Drammaturgia in versi per voce sola e indignazione molta
di Mariella De Santis
Il testo che segue è stato ispirato da una coraggiosa intervista di Emilio Quadrelli ad Anna (nome di fantasia), apparsa su Alias (nr. 10 anno 5 del 3 febbraio 2007), inserto culturale del quotidiano il Manifesto, allegato al giornale ogni sabato. Dall’articolo riporto quali veri il rapimento di Anna nel 1996, a 13 anni, per essere portata a lavorare in una fabbrica italiana, i ripetuti stupri e la deportazione in un bordello per militari, paramilitari e civili operanti in Albania dal 1998, la liberazione a mano armata nel 2004 da parte del fratello al comando di una milizia di trafficanti d’armi e la sua condizione di vita al momento dell’intervista.Molto altro di quello che ho scritto mi è stato raccontato da donne immigrate incontrate vivendo…Per questo motivo nel mio testo, la protagonista l’ho chiamata Milena e non Anna. Il resto è da considerarsi mia creazione artistica cosa questa, come sappiamo, non sufficiente ad attribuirle lo statuto di finzione. Questo mio testo è dedicato ai giornali e ai giornalisti indipendenti che molestano le nostra visione delle cose, alle colonne della mia famiglia Lina, Angela e Roberta e alle migliaia di sorelle ignote che vorrei tutte abbracciare. [M. De S.]
Tra uccidere e morire c’è un’alternativa. Vivere.” Cassandra “Non per l’odio reciproco, ma per il reciproco amore sono nata.” Antigone
Personaggi:
Milena, 35 anni, veste abiti che le occultano il corpo. Il viso è indecifrabile, non bello, non brutto, ma austero, inalterabile. Il portamento è rigido, quasi marziale. Le mani sono la sola parte del corpo che quasi suo malgrado si muove, avanza, segna lo spazio, quasi indipendenti da lei.
L’azione si svolge in una stanza semiscura.
In scena, accanto a Milena c’è un cumulo ordinato di indumenti da donna (scarpe, una borsa, biancheria intima, un cappello, gonna, pullover) in penombra. Quegli abiti “sono” una prigioniera a cui Milena si rivolgerà nel corso del monologo.
Una radio è accesa. Milena si avvicina all’apparecchio spegnendolo. Sembra annoiata. Sta fumando. Siede su una sedia comoda,allunga le gambe. Indossa pantaloni di una tuta mimetica e una maglia informe,calza anfibi. Al polso ha un vistoso orologio d’oro. La luce è solo su di lei, bassa, ma si intravede alla sua sinistra un cumulo di indumenti e accessori da donna.
Erano belle le canzoni prima, ora niente mi piace.
Una volta ascoltavo e cantavo e credevo che io anche
sarei un giorno stata una di quelle ragazze cantanti
belle belle di nero vestite con quelle gonne corte corte
che chissà come facevano a non farsi vedere le mutandine.
Io pensavo che quando sei lì sopra un palco bella ci diventi.
Così pensavo allora e con queste mani mi schiaffeggerei
(Solleva le mani dinanzi a sé; tutto il corpo rimane in ombra e solo le mani rimangono come sospese nell’aria. Questo si ripete ogni volta che lei dice: “con queste mani”).
E poi forse mi piaceva se me le vedevano le mutandine.
Me li immaginavo a mille a mille tutti giù dal palco
a chiamare me, solo me e io bellissima a mandare baci da lontano.
Che poi io ero tale e quale a quella ragazza che stava alla televisione
a presentare il Festival col nome del santo che adesso
neanche quello mi ricordo più qual era ma un santo bugiardo
come a tutti gli altri, quello era. (Sputa a terra).
Un santo maschio e bugiardo. Sicuro.
Quanti fiori che c’erano in quel teatro,lo vedevo alla televisione
e mia zia mi diceva che in Italia bisognava andare
che se c’erano i soldi per tutti quei fiori, figurati per il resto cosa c’era.
Cosa c’è, le chiedevo io? Cosa c’è in Italia per noi?Vestiti nuovi,
mi rispondeva, uno diverso al giorno, ragazza mia, e uomini belli
che noi donne albanesi a loro gli piacciamo, dai nonni lo sanno
quanto sono belle le donne d’Albania. E come lo sanno i nonni,
chiedevo io? Chiedevo e sognavo già la vita nuova, una vita tutta
fatta per ridere, mangiare bene e smettere di obbedire, che
tanto a me come femmina di obbedire mi toccava. Ma là in Italia
tutto era diverso, mi dicevo io. E io là dovevo andare.
(Canticchia “Vorrei incontrarti fra cent’anni”di Ron, motivo popolare nel 1996. Si alza e gira intorno al cumulo d’abiti alla sua sinistra).
Quando la voce di Maria con la mia questa canzone intonava
poteva capitare sentissimo un morso di fame
ma niente peggio di quello ci immaginavamo
potesse nelle nostre vite stare.
La sola paura era che quel morso nello stomaco durasse.
(Rivolgendosi al fagotto).
Dimmi invece della vita bella che in quegli anni facevi tu in Italia.
Non ti vergognare, quello che tu avevi allora io oggi lo posso avere.
E di più anche, più di quanto si possa desiderare.
Dici che era fatica la tua vita allora?
(Con un leggero sarcasmo).Ti piace di più questa di ora?
Studiavi nella tua calda casa, avevi una madre un padre
dei fratelli con cui giocare di questo momento qui, di ora,
di adesso lo potevi immaginare?
(Si alza, cammina intorno al fagotto, gira intorno lentamente più volte).
Chissà se è vero quanto dici, di voi stranieri non ci si può fidare.
Anzi no, di nessuno ci si può fidare. Si può trovare un padre, una madre,
una sorella pronti la tua vita a barattare. È legge di natura la prole
preservare vera quanto quella di doverla se necessario mangiare.
Piangi? Perché tu piangi? Avanza la paura, la minuscola sorella del
terrore? Dici che per pena di me tu piangi.
Io non credo a queste tue lisce parole senza ruga senza sangue senza grinza. No, non permetterti di dire che la vita tua difficile fu quanto la mia. Della mia ancora non c’è lingua che sappia raccontare.
(Ha smesso di camminare, è irata, ferma di spalle agli indumenti, solleva una gamba come per sferrare un calcio ma si trattiene).
Non piangi di paura mi ripeti. Leggera tu dici sarebbe la morte se una vita con un’altra potesse pareggiare, dici che bene sarebbe morire se mi potesse riparare. Cose mai udite sono queste, falle tacere. Capire le parole e non sapere cosa stiano a dire non può portare sollievo o giovamento.
( Torna a sedersi, porta la testa tra le mani e poi solleva il busto).
Ma niente mi ha fermata, tu non mi fermerai.
Andiamo avanti, seguo il tuo cammino di preda che non sfugge
al suo destino. Quando tanti a mille e decine di mille uniti la notte
infilarono, affacciandosi al mare forestiero,troppo troppo piccola ero.
Case da un giorno all’altro vuote poi arrivavano foto e cartoline di parenti, cugine con quei vestiti belli, capelli pettinati e mia zia diceva: aspetta Milena aspetta ancora un poco che la terra rossa della Puglia la baciamo anche noi.
Ah, tu ricordi?
(Scuote la testa, sarcastica).
La vittima e il carnefice dal ricordo uguale vuol dire che io e te
guardavamo lo stesso telegiornale.
(Con leggera sorpresa rivolta verso il fagotto, in ascolto)..
Quello che mi racconti non è acqua che scorre senza lasciare macchia
anche se ormai per me tutto quel che vedo ascolto e so
non vale stupore né offesa. Rabbia odio, odio e rabbia sono
i soli argomenti del corpo mio.
Saperti piccola tu quanto me non nell’immaginata casa ma
orfana e ignorata da ogni carta di quelle indispensabili a dire
che una vita esiste, un poco mi sorprende. Avrai conosciuto
notti di buio e rumore, battiti alla porta da far balzare il cuore
(accusa un lievissimo cedimento, ma lo controlla subito)sebbene…
quel che io ho visto ascoltato e so bocca non ripete.
Era l’anno 1991 arrivavano nel porto della bella Bari le navi
piene e maleolenti, con quelle foto poi fece fortuna l’astuto tessitore,
i colori marci della fame li usò per vendere sogno di mercanzia. Otto
gli anni tuoi otto quelli miei futuro incerto il mio quanto quello tuo.
Ma tu, almeno sino ad oggi la ferocia l’hai scampata.
Ora siamo qui tu rapita io rapitrice tu solenne creta , io umida cripta.
Siamo qui bandiere lacerate di patrie malfamate. La tua quanto la mia.
(Fa un repente balzo all’indietro e si nasconde le mani dietro la schiena).
Non ti permettere, né la punta del piede né lembi dei miei capelli devi tu toccare.
(Si ripete il movimento delle mani tese in avanti).
Con queste mani tu non sai che ho fatto e cosa potrei ancora fare.
(Guarda lontano, immersa nel ricordo).
Donne a migliaia il mare affrontavano, madri, sorelle, amiche, mogli,
da un giorno all’altro dietro un’onda ci lasciarono.
Case vuote, letti sfatti, figli da chiamare in un futuro che si sperava non lontano rimanevano ad abitare un presente disumano.
Ma ho saputo poi che florida sorte non arrise a molte.
Marciapiedi, squarci sul ventre, notti lunghe con la paura di clienti pochi e botte molte intanto arrivavano alte bionde ancora più giovani juke box del sesso quei venti centimetri di notte ad assediare.
Tutte insieme saremmo un esercito di demoni pronte alla vendetta
ma fame, paura e maledetto istinto di sopravvivenza fanno di noi carne da macello.
Questo tu lo sai, lo vedi e scrivi sui tuoi giornali giorno dopo giorno. Pensi che basti per farti a noi sorella?
Assistenti sociali, educatori di strada, suore, case d’accoglienza o come le chiamate…sai qual è la cosa vera? Noi a voi diamo da mangiare.
L’operazione Alba e prima quella Pellicano, con nomi belli e pieni di poesia portate qui di voi i peggiori che non terreste a casa nemmeno a pagamento.
Le chiamate azioni umanitarie.(Con un riso sarcastico). Mi dirai se è vero quando avrai ascoltato quel che ho da dirti io…
(Dal buio prende un fucile, lo imbraccia, prende la mira e spara una due tre volte. È indifferente. Parla cercando di non manifestare emozioni, ma la voce è roca).
Ecco, così va meglio. Questo solo oggi mi piace. Un’arma tra le mani mi piace ma ancora meglio è, con queste mani…(ripetere inquadratura).
(Guarda la sua prigioniera con sfida ma subito cambia espressione, turbata ).
Se ancora ricordassi cosa esattamente vuol dire essere buoni,
questo direi tu sei. Mi ricorda il tuo viso una foglia docile al vento,
le tue braccia un canestro pronto a dondolare. Ma non capisco più
quella parola. Bontà è polvere e cemento che mi solca il labbro,
mi dissecca il senno.
Va bene, insisti. Ora ti racconto. Ti racconto come vivendo
su un pugnale ci si può infilare
come urlando si deve continuare a camminare
sanguinare, maledire e bestemmiare.
Ora ti racconto con ordine il terrore.
Attraverso parole accostate. Le stesse che usano
per le previsioni del tempo,
quelle con cui i mariti chiedono
cosa si mangia oggi e le mogli rispondono che hanno mal di testa.
Non ce ne sono altre. Devo usare quelle di tutti i giorni
come fossero abiti buoni per i campi, la guerra, la festa.
Ma quello che ti racconto, no, non esisteva prima nella mia testa.
No, non esisteva nella mia né in quella di Dalia, Teresa, Maria, tutte noi che diventammo scarto di pattume, macelleria.
(Si siede nuovamente, il volto è nel buio. Le braccia, le gambe, si muovono sotto la luce. Come se la voce provenisse da un corpo decapitato).
Fabbriche italiane in Albania.
Non ci sembrava vero che pure a noi
toccava di stare dentro quelle cartoline
che le sorelle spedivano dall’Italia
senza dover rischiare la frontiera
o le ire del mare affaticato da zattere immorali.
Non ci sembrava vero ma presto iniziarono le donne dalle fabbriche a tornare.
Non era come l’Italia ci dicevano: i turni durano giorni e non ore,
dei piccoli controllori ti trovi a forza le voglie a soddisfare.
Non c’è quel cibo della televisione fumante e colorato e se ti ammali, ci dicevano, bene è sparire non farsi ritrovare.
Fu per questo che tante ritornarono nei villaggi a mangiare pane e miseria ma a morire per conto proprio e non di uno straniero.
Così fu. E rabbia crebbe, in pochi mesi ognuno volle un poco di quel che gli spettava. Assalti ai magazzini, rivolte nelle aziende.
Ma che modi sono questi? Anche un popolo incivile si vuole ribellare? Questo debbono aver pensato i vostri imprenditori mentre all’altare si andavano a comunicare.
Così mi presero un giorno dal villaggio e mi portarono in fabbrica, neanche troppo lontana da casa a faticare.
Tredici ormai i miei anni, vedi che insolente il tempo? Avesse un poco accelerato il passo, sarei adesso accanto a te in Italia a lavorare.
Invece siamo qui a nutrire odio che fornisca impegno alla società futura. Tu non mi odi, dici?
Mi spiace per te ma non so cosa ci posso fare. Odiarmi ti conviene, si sopporta meglio il male del nemico che quello dell’amico.
Cosa si sapeva di noi a casa tua? Che il paese era finalmente in ordine? Che stava rifiorendo l’economia?
E come mai allora verso la vostra costa ancora imbarcazioni? Pidocchi d’albanesi come si permettevano, fannulloni e ubriaconi, con tutte le aziende che ormai c’erano…questi hanno zero voglia a lavorare…
L’anarchia violenta del paese, sentivo che si portava dietro ogni speranza mia.
Arrivano i soldati, bisogna fare presto, non di solo pane vive l’uomo ma di molto, molto sesso.
E siamo al 1998, se non fossi stata schiava era quello l’anno in cui sarei partita anch’io.
Ma dalla fabbrica mi vengono a chiamare. Mi dicono:oggi basta a lavorare. Mi danno da mangiare.
Cibo buono, abbondante, profumato, crema per le mani, sapone per il viso e balsamo per corpo.
Adesso quasi sembro una vera quindicenne. Siamo in quattro o cinque giovani più delle altre come loro belle.
Domani niente lavorare, pensate a riposare ci dice il capo vecchio, quello che la più piccola di noi faceva disgustare quando le annunciava che quella sera per lei aveva un regalino.
(Accende una sigaretta, lentamente, e aspira boccate lunghe, nel buio si vede l’intermittenza della brace ).
È morto il vecchio adesso. (Pausa). Era ora che qualcuno gli desse il permesso di smettere di lavorare.
(Si alza, va verso la luce, in piedi, riprende il fucile da terra, punta in lontananza e spara).
E glielo diedi io. Così, con un colpo secco arrivò il giorno che il permesso glielo diedi io.
(Guarda la sua interlocutrice).
Cosa è questo volto tuo stravolto? Siamo all’inizio, il peggio deve ancora cominciare. Questo non è un triplo salto mortale. Qui c’è la morte fatta vita. Dove pensi si possa scappare? Continuo? Hai coraggio, mi chiedi ancora di continuare.
(Torna a sedersi. Ora è di nuovo interamente in luce).
Ogni giorno di benessere più della fatica ci tormentava.
Nessuno ci diceva cosa ci aspettava la piccola andava ora a supplicare il vecchio: mi manderai a casa, pigolava?
Lui rideva, il porco rideva e le diceva: ti ho fatto scuola io e mi ringrazierai.
E vennero un giorno a prenderci, pioveva, ci ripararono ognuna con un ombrello, troppa premura io mi ripetevo e imploravo Dio: fa che io muoia Padre mio, questo terrore non lo posso sopportare.
Non morii in quel momento né, come vedi dopo di allora.
Il corpo non morì, io però da tempo non sono più persona.
Ci mettono su un autobus, intanto siamo aumentate, per trentasette donne sei guardiani armati. Due erano belgi e quattro gli italiani.
Arrivammo in quella casa da cui per anni non sarei più uscita.
Ancora uomini ad aspettare. Quindici ne contai ubriachi e lerci, a caso di noi scelsero qualcuna e sotto i nostri occhi nei loro teneri corpi i loro marci vi affondarono ridendo, godendo.
Poi prendono i cani, ci spogliano in cortile e ce li buttan contro.
Attente pecorelle, urlano tutti in coro, da oggi siate brave ché a queste bestie la carne cruda piace. I soldati li dovete far divertire e niente facce tristi o ricordatevi di chi sarete il pasto.
E il peggio doveva ancora arrivare.
( Mentre Milena parla, si sente un pianto sommesso provenire dal fagotto d’abiti. Milena continua imperterrita, il corpo è contratto e immobile come di marmo).
Ora ho iniziato e non mi posso più fermare. Non so cosa è successo. Non immaginavo che l’orrore avrei saputo raccontare.
Adesso è un’altra la fabbrica avviata e chi lo ha detto che gli italiani sono cattivi imprenditori? Il sesso per i soldati è certo rendimento.
Sulla nostra carne di tutto si può fare.
Chi tra noi ha più coraggio muore togliendosi la vita.
Sono andate anche Dalia e Maria in una notte che durava da ventiquattro ore venti uomini per quelle due senza più fiato neanche a maledire i maschi tra le gambe, i grembi delle madri e i lombi dei padri che li avevan messi al mondo.
Soldati in missione di pace
quei poveri nostri inermi corpi scempiavano di guerra.
Logistico eravamo al pari di armi, zaini o rancio.
Logistico è parola che non produce pena.
E peggio di quella casa c’era il bordello dei civili, chiamato il capolinea, ricetto per pedofili, sadici, cocainomani impotenti uniti in viaggio premio, vacanza dal lavoro, ritiro dalla monotonia domestica.
Europa, transeuropa vicino e medio oriente mercato trasversale
alla bandiera e all’ora di preghiera imbrattano
le stanze della storia senza lasciare traccia
in libri o fogli di giornale.
L’odore di bruciato per le sigarette smorzate sulla pelle,
il sangue per le scale,
le urla sotto le risa vorrei da qualche parte depositare.
Chi a casa prega e nel bordello fotte può darsi che rispetti la regola di lasciare a Cesare quanto è di Cesare ma se a Dio arrivano le preghiere dove finivano le nostre urla e i lamenti?
(Si alza, si muove. Non ha più la baldanza che l’ha caratterizzata. È come sfinita,ma continua, camminando, muovendosi, avvicinandosi e allontanandosi dagli indumenti in terra).
Ma arrivò anche per me il giorno della paga.
Come vedi mi hanno liberata. Non soldati di pace né di guerra. Né vostri cooperanti o politici illuminati.
Quello che lasciai piccolo fratello oggi m’ha salvata.
Non gli ho mai chiesto se lui è uno di quelli che ci va in bordello.
Già la mia storia è troppo da sapere. Non altro, non altro questo corpo può contenere.
È arrivato con armi e banditi. Quelli che trovarono di guardia li hanno tutti uccisi.
Ma come mai queste notizie sui vostri giornali non arrivano? Dimmi, come mai? Vi dispiace per i turisti morti nell’attacco kamikaze, ma dei morti maledetti è meglio non parlare…
E adesso? Adesso io con queste mani(le mostra sotto la luce ), con queste mani, con queste mani uccido.
Posso sparare, mitragliare, ma meglio di tutto è la lama seghettata del mio coltello e quello sguardo supplice che implora perdono e comprensione, allora con queste mani uccido e per un istante, un lampo, lo scorcio di un momento, dimentico.
Viviamo in branchi armati, rubiamo, deprediamo,non è lotta politica è solo lotta e basta. È solo rabbia e basta. È solo odio che non mi basta.
(Si gira verso l’altra donna. Si guardano per un breve interminabile momento. L’aria è tesissima. Milena va verso gli indumenti, si inginocchia)
E ora, ora io con queste mani io ti libero.
Con queste mani io ti libero e dico, vai, vai e scrivi quanto hai sentito e visto.
Vai e consegna quel poco che rimane di coscienza al mondo.
Sii la mia bocca, il mio volto, il mio seno guarito, sii la memoria di me e l’amore che non so più dire, il bene che non so più fare.
All’odio lascia resti attaccata io.
(Buio)
Fine
Milano, 2008, cercando luce.
SINOSSI: Milena è una donna scampata ad uno dei bordelli per militari e operatori di missioni umanitarie, allestiti nei territori teatri di missioni di pace. È diventata una criminale senza scrupoli e di questo parla ad una giornalista, suo ostaggio. Due donne con un passato parallelo e diverso che avrebbero potuto essere amiche, colleghe, sorelle invece sono contrapposte nella lotta alla sopravvivenza. Qualcosa però accade e di questo imprevisto si è partecipi nello svolgimento dell’azione scenica.
Notizia sull’autrice:
Mariella De Santis è nata sul mare di Bari in un raro giorno di neve nel 1962. Vive attualmente tra Roma e Milano.
Ha pubblicato libri di poesia, prosa, teatro. Collabora con artisti, musicisti, radio nazionali ed estere. È stata vice direttore di Smerilliana, annuale di civiltà poetiche.
Con queste mani è una drammaturgia civile in versi ispirata ad una vicenda reale, contenuta nel libro Io e l’altra, Joker Edizioni (2010). Il volume contiene 5 testi di drammaturgia in versi che hanno al centro storie reali di violenza contro le donne, rivissuti attraverso l’interpretazione artistica.
Con queste mani è stato più volte rappresentato (2010-2015) con la regia di Barbara Gabotto mentre il ruolo della protagonista è stato alternativamente interpretato da Barbara Gabotto, Simona Biasetti, Lorella De Luca e per Radio Popolare da Elisabetta Vergani.
Le sue ultime pubblicazioni sono le raccolte poetiche La cordialità, Nomos edizioni, 2014 e Vinerotiche e altre delizie, Leggeredizioni, 2015.
Realizzazioni teatrali: Misteriosa Karenina, (Tramedautore 2001,Outis- Milano, Teatro Filodrammatici con Lucia Vasini e Pia Engleberth, regia Luca Sandri) Giulia, un’aquila in cerca di un cielo, è stato commissionato e rappresentato dal Festival delle Arti di Sabbioneta 2002 (con Adriana De Guilmi, Elisabetta De Palo, Pierapaolo Pavan, regia Stefano Monti). Il Ristorante (Lugano, 2007,Teatro Foce, con Silli Togni e Giovanni Battaglia) e L’appuntamento del venerdì (Outis, Festival Identità e Passioni, Milano, Legnano, Nerviano, 2007, con Barbara Frantoli, Massimiliano Zanellato, Caterina Barbieri, regia Luca Ciancia), In memoria di una ragazza perbene – in collaborazione con Barbara Gabotto e Giacomo Guidetti – (Lecco, Milano, 2009, con Elisa Carnelli, regia Barbara Gabotto e Giacomo Guidetti), Claude e Maurice (Milano, 2009, musica di Marco Simoni, con Roberto Carusi, regia Barbara Gabotto e Giacomo Guidetti). Merletti e Baionette (2011) ha inteso essere un omaggio alle donne meno note del Risorgimento italiano ma attualizzato attraverso l’amicizia di tre donne dei nostri giorni. È stato rappresentato in diversi luoghi e contesti d’Italia con la regia e la cura scenica di Barbara Gabotto e Giacomo Guidetti e l’interpretazione di Daniela Jannace, Barbara Gabotto e Francesca Rossi Brunori.
Scrive per tentare di mettere ordine tra le cose senza smarrire il sorriso.
Ho letto, 10 o 15 anni fa, un giallo dozzinale, o un thriller d’accatto, sui bordelli in Bosnia, e lo ho subito dato da leggere a mio figlio, perchè sapesse quello che facevano i suoi simili.
Non ho dubitato per un attimo che le cose raccontate in quel lercio libro non fossero vere.
Le frasi del testo che mi risuonano, a me vecchia civile e protetta, sono: “mercato trasversale alla bandiera e all’ora di preghiera imbrattano le stanze della storia senza lasciare traccia in libri o fogli di giornale.”
“Tutte insieme saremmo un esercito di demoni pronte alla vendetta… ” dice quella con le mani armate di coltello, segue la costatazione della rottura reale tra le due donne: “Questo tu lo sai, lo vedi e scrivi sui tuoi giornali giorno dopo giorno. Pensi che basti per farti a noi sorella?”
Lo strappo tra le due donne tuttavia si ricompone perché una delle due possa parlare dell’altra, perché Mariella De Santis scriva il suo testo da rappresentare: “Siamo qui bandiere lacerate di patrie malfamate”.
Una superiore civiltà nelle parole scritte e dette, scontando in sé profondamente l’orrore vissuto dall’altra: “dici che bene sarebbe morire se mi potesse riparare. Cose mai udite sono queste, falle tacere” anche se “capire le parole e non sapere cosa stiano a dire non può portare sollievo o giovamento”.
SEGNALAZIONE da FB
Ilda Curti
11 gennaio alle ore 15:37 ·
Prima mi gridavano “abbella che te mi ci farei” quando passavo ma nessuno disse niente perché avevo la gonna corta
Poi mi dissero “che te costa sei mica vergine” ma nessuno disse niente perché, in effetti, non ero vergine
Poi mi strapparono la camicia in tre ma nessuno disse niente perché in effetti, camminavo da sola per strada ed era buio
Poi mi portarono ad una festa piena di alcol e roba e in cinque abusarono di me, ma nessuno disse niente perché me l’ero cercata
Poi andai davanti ad un poliziotto a raccontare di quelle botte di mio marito e di quei lividi sulle braccia, ma nessuno disse niente perché chissà come l’avevo provocato e, in fondo, mi amava tanto.
Infine, gli stessi che non dicevano niente, oggi mi dicono che mi difenderanno dalle orde di immigrati islamici che abuseranno di me, perché io sono una loro donna, una loro figlia, una loro sorella.
Ma io, con il mio velo sulla testa, il mio capo scoperto o coperto, la mia gonna corta o lunga, la mia verginità e la mia non-verginità, il mio sguardo alto e il mio sguardo basso, il mio Dio e il mio non-Dio, i miei tacchi e le mie scarpe basse, la mia gioventù o la mia vecchiezza continuerò a camminare nella notte con le mie sorelle. E vi sfiderò, tutti, a guardarci negli occhi e lasciarci in pace.
#ballataDell’Insensatezza
… Mariolina de Santis si esprime, in questo testo teatrale, in forma poetica popolare, da ricordarmi, a tratti, le ballate di una volta che raccontavano di destini tragici, con le donne sempre protagoniste…Nella situazione descritta le due donne rivestono il ruolo di carnefice e di vittima, ma i ruoli sono visti come interscambiabili in quanto la prima fu enormemente più vittima di quella società-mentalità da cui proviene la seconda (suo malgrado)…Una società che nella guerra cosidetta umanitaria sa presentare il volto mostruoso dell’uomo schiavista, torturatore verso la donna ( in questo caso la sceglie di un altro popolo) e quello falso buonista del protettore, consolatore, curatore di ferite ..Dopo il tragico racconto la prima affida alla seconda il compito di raccontare, di svelare, in fondo le accomuna il fatto di essere donne, di avere una storia atavica simile. Nel monologo il racconto raggiunge apici tragici e la realtà del vissuto presente, dove la donna ostaggio è un quasi invisibile mucchio di stracci, altrettanto, con spari in scena , quando l’odio ricevuto si fa rabbia e odio insieme…ma a colpirmi sono stati soprattutto i toni dimessi e altamente intensi che qua e là appaiono, della donna, come quando dice : “..Non morii in quel momento nè, come vedi dopo di allora./ Il corpo non morì, io però da tempo non sono più persona..” Una vera discesa all’inferno, nel più profondo del cuore di tenebra.
Ringrazio Cristiana, Ilda e Annamaria per l’attenta lettura e la condivisione.
In fondo noi scrittori assumiamo su noi una delega per conto di chi non ha potuto usare le proprie. E le parole vere, ci portano alle azioni necessarie.
Un abbraccio,
Mariella.
…Mariella, mi scuso per aver frainteso il tuo nome: mi capita a volte perchè sbadata, a volte per problemi di vista, e ti ringrazio per l’intensa testimonianza di vita e di scrittura che ci hai consegnato
Annamaria
SEGNALAZIONE
Con queste mani
Lettura Teatrale
Spazio Teatrale del Circolo ARCI Martiri di Turro, Milano, via Rovetta 14, Milano
20 febbraio 2016
Alle h 21, ingresso libero.
L’incasso della cena presso il Circolo sarà devoluto ad EMERGENCY
A favore del centro chirurgico e pediatrico di Goderich, in Sierra Leone
Prenotazioni allo 02 45 47 84 20
Con queste mani
Drammaturgia in versi per voci sole e indignazione molta
di Mariella De Santis,
con Raffaella D’Angelo, voce – Marzia Palmieri, voce, percussioni
Chi sono le donne che ogni giorno vengono violentate, assassinate, stuprate, e i cui corpi ci giungono contorti, macchiati, spezzati? Chi sono queste donne non amate per ciò che sono come persone, ma brutalmente desiderate come carne? Cosa hanno provato durante il massacro della loro identità? Erano intelligenti, sensibili, colte… erano come noi? Come restituire loro dignità, forza, cuore, anima affrontando i segni dei misfatti di cui sono state vittime, e con quali codici narrare le loro sventure? Il teatro e la poesia possono, in poche righe, raccontarci mondi interiori e psichici, restituirci la complessità di una relazione o di un momento di vita e trasformare un atto banale in narrazione dai contenuti universali.
Il monologo “Con queste mani” è stato ispirato da una coraggiosa intervista di Emilio Quadrelli ad Anna (nome di fantasia), apparsa su Alias (nr. 10 anno 5 del 3 febbraio 2007). Questo testo è dedicato ai giornali e ai giornalisti indipendenti che molestano le nostra visione delle cose.
…grazie dell’informazione. Cecherò di esserci…
Grazie Annamaria.
io purtroppo sarò trattenuta a Roma da seri problemi familiari ma Raffaella D’angelo è molto brava,ama questo testo e una volta ne ha realizzato una versione col linguaggio dei segni.
Sosteniamola tenacia!
Un sorriso,
Mariella.
Grazie a te, Mariella…mi spiace per i tuoi problemi. Farò presente l’evento anche a delle amiche. Ciao
Annamaria
…ieri sera ho potuto assistere, presso l’ARCI Martiri di Turro, Milano, alla rappresentazione teatrale “CON QUESTE MANI” tratta dal testo in versi di Mariella De Santis. Mi permetto qualche osservazione da semplice spettatrice…La parte recitativa è stata resa in maniera eccellente dalle brave attrici Raffaella D’Angelo e Marzia Palmieri , che, con compostezza e sobrietà, senza mai indugiare in toni retorici o enfatici, visto il tema, hanno saputo restituire la tragicità delle situazioni e delle emozioni narrate….Raffaella è nel ruolo di Milena, la prima vittima della crudeltà umana e del gioco dei potenti, che l’odio ricevuto aveva trasformato in carnefice, Marzia, voce e percussionista, sostiene ed amplifica la tragedia, come il coro greco…Forse mancava in scena, per chi non avesse letto prima il testo, la presenza oscura e drammatica della seconda vittima…Grazie e complimenti per essere riuscite a svelare tanto…