“La forza di gravità” di Claudio Piersanti

                  Pubblicato nel giugno 2018        

di Angelo Australi                                 

Non si può certo dire che Claudio Piersanti sia uno di quegli scrittori che rimpastando temi di attualità produce un libro a stagione, tra La Forza di gravità ed il suo precedente, Venezia, il filo dell’acqua, sempre edito da Feltrinelli, sono trascorsi ben sei anni.

Personalmente lo ritengo uno dei pochi scrittori della generazione nata negli anni Cinquanta del secolo scorso che, nel trovare il tono del racconto che più si confà al suo ritmo di narratore, riesce ad incontrare un respiro linguistico sempre autentico. Claudio è uno che quando scrive ha la mano felice.  In un panorama italiano come quello degli ultimi decenni, dove spesso il linguaggio degli scrittori tende ad uniformarsi in romanzi che si accontentano di aver raggiunto un livello qualitativo medio che appaga il lettore, a differenziarlo c’è questa sua saldezza nel voler tendere verso un’idea di letteratura che non cerca giustificazioni usando trucchi e/o scappatoie, con una scrittura dal taglio davvero autorevole i suoi personaggi ci accompagnano in quel punto dove la realtà di un determinato contesto sociale ostenta i limiti di una classe dirigente inadeguata e così fragile da non comprendere la stupidità in cui si sta ingessando l’uomo contemporaneo.

La trama de La forza di gravita, come sempre accade nei suoi romanzi, non vive di ampi intrecci e di una moltitudine di attori in scena, sembra piuttosto girare intorno a una serie casuale di fatti, aspettando l’occasione giusta per cogliere al volo l’essenza di un’esperienza vissuta che nel quotidiano, fatto di gesti ripetitivi e anonimi, è sempre avvolta da una fitta coltre di nebbia istintiva. Le vicende narrate si svolgono tutte nello spazio limitato di un quartiere situato nella periferia di una città, sorto intorno agli anni Sessanta/Settanta del XX secolo per concretizzare i desideri della piccola borghesia impiegatizia o di un certo proletariato ormai appagato, e oggi condannato al degrado da un’indifferenza disarmante della politica alle sue problematiche.

I due personaggi principali, un vecchio ed una giovane, che sono apparentemente agli antipodi, alla fine, in un mondo ampiamente destabilizzato come il nostro, dove l’individuo è tutto preso dall’inseguire con ossessivo cinismo un’affermazione individuale, rappresentano gli anelli deboli della catena che annoda ideologicamente produttività e consumo. Dario Posatore, professore in pensione, senza pensione, disilluso, ex ribelle anarchico, che nel rifiuto di adeguarsi alla contemporaneità si fabbrica una realtà alternativa, crea un sottile rapporto affettivo con Serena che, essendo orfana di madre, pur di non vivere con il padre pressoché assente, vive con la zia appassionata di musica. Sia Serena che il Professore abitano nello stesso condominio di cui la zia è amministratrice. Mentre il Professore, estremizzando i sui gesti radicali contro la società è impegnato a realizzare una ghigliottina di legno e acciaio con la quale immagina di tagliare un po’ di teste a persone che nel quartiere incarnano un certo conformismo da lui odiato in modo ossessivo, Serena porta fuori il suo vecchio cane (Fox) a cui è molto legata, con lui ed altri tre cani del palazzo tenuti al guinzaglio, passeggia nel buio attraversando spazi fatiscenti, dove spesso incontra tipi a dir poco equivoci, specchio appunto di una periferia che agli occhi di una persona sensibile non può suscitare che inquietudine e isolamento. Il professore verso di lei sembra esercitare le premure di un padre, la aiuta a prepararsi al test di ammissione alla facoltà di medicina, a darsi un metodo di lavoro, a scoprire il fascino dello studio.

L’avanzare della storia che nella prima parte si costruisce su certi elementi discordanti della doppia personalità del Professore, creando un clima surreale, quasi onirico, a un certo punto fa muovere i due protagonisti a ruoli invertiti: sarà la ragazza, preoccupata dal suo stato mentale, a prendersi cura di lui, senza mai tralasciare lo studio che la porterà a laurearsi in medicina.

Quella dei protagonisti è la storia di una marginalità che nel finale si trasformerà in una forma di liberazione individuale, con il Professore che finalmente fugge da tutto e da tutti facendo perdere le sue tracce, e Serena che, dopo aver conseguito la laurea e una specializzazione in psicologia, parte a cercarsi il suo futuro in un paese straniero

La forza di gravità credo sia una delle prove migliori di Claudio Piersanti e sta, nel mio personale giudizio di lettore, insieme a Non luogo a procedere di Claudio Magris (Garzanti 2015) e Nostalgia di Ermanno Rea (Feltrinelli 2016), tra i libri usciti in Italia negli ultimi anni che più rappresentano la nostra epoca. Sono romanzi che attraverso una personale ricerca sul lessico, pur partendo da presupposti diversi, suggeriscono come orizzonte l’importanza di riuscire a toccare il fondo di un problema. Indagano nei limiti di una nazione che nel programmare il futuro sembra propensa a dimenticare con troppa facilità gli errori del passato, ne occulta l’imbarbarimento degenerativo nell’illusione di uno sviluppo tecnologico che vive di presente, restringendo al limite lo spazio d’azione in cui l’esperienza umana tenta di superare lo scoglio della solitudine individuale per entrare in un contesto universale.

E’ raro oggi trovare in un libro una visione del mondo che tenti di capire dove si annida il male. Piersanti scrive senza servirsi degli stereotipi di un sistema dove ormai la parola, anche in letteratura, è diventata un mezzo per vivacchiare di annunci, di proclami più o meno mascherati di lirismo e che invece, denudandosi il culo, avvalora le aspettative di un certo provincialismo tipico della commedia all’italiana di cui ormai, almeno per quanto mi riguarda, ne ho le scatole piene.

La forza di gravità è un romanzo profondo, aperto, cattura dalla prima all’ultima pagina senza proporci il solito, rassicurante lieto fine. L’autore, senza mai indulgere in inutili giustificazioni, costringe i suoi personaggi a raggiungere il fondo del pozzo, laggiù dove li attira “la forza di gravità” della loro storia di marginalità, dalla quale fanno lo sforzo di risalire trasformando la rabbia e il cinismo della solitudine in una forma di energia sensibile che li riconduce verso la vita. Piuttosto che strappare i temi alla cronaca per rientrare nella giostra della presenza mediatica, l’approccio di Claudio Piersanti alla storia è coerente con il suo istinto narrativo. La scrittura è condensata ma anche liquida, scorrevole, e trasforma la precisione della narrazione in una capacità di concentrazione sulla realtà poetica. Secondo me è qui che l’esperienza dello scrittore deve chiudere il cerchio: superato lo scoglio della solitudine individuale c’è il tentativo di entrare in contatto con il bisogno vitale di capire quanto la letteratura è ancora un punto di osservazione oggettivo per decifrare un’epoca.

4 pensieri su ““La forza di gravità” di Claudio Piersanti

  1. …sì, mi attira alla lettura il romanzo “La forza di gravità” di Claudio Piersanti presentato così bene da Angelo Australi poichè protagonisti sono antieroi che vivono nella periferia di una città chiusi nella loro solitudine, alla quale un poco sfuggono nell’incontro reciproco…Il meccanicismo e la spietatezza del sistema sociale porta molte persone a toccare il fondo, in un dramma individuale che può sfociare in tragedia nell’indifferenza generale….Persone trovate cadaveri magari dopo anni nei loro appartamenti, fianco a fianco della “società civile”. Allora le semplici pratiche del quotidiano che possono risollevare le sorti dei più marginati per affacciarsi di nuovo alla vita ben vengano…

  2. La rappresentazione di Claudio Piersanti mette in evidenza la caducità della vita e di quanto importanti sono le relazioni. la scoperta di un certo fascino che offre la conoscenza. Angelo Australi descrive molto bene il romanzo di Piersanti “La forza di gravità” e dunque rimane solo il desiderio di leggere.
    Ho trovato la figura del professore decisamente nichilista, la rabbia è un sentimento che fa male e con il tempo comprendi che è inutile e poi quella eccessiva melanconia, un uomo troppo ostile nei confronti del mondo. Comunque malgrado le tematiche affrontate, ci sono ancora una volta delle storie autentiche di vita. Non è un libro facile: è essenziale e rigoroso. Il titolo sembra far richiamo proprio ad un destino che regola la vita di ognuno, come gli incontri, così importanti per il proseguo delle nostre vite. Insomma sembra che le scelte sono la cosa più importante e su questo chi non può essere d’accordo?
    Grazie Angelo di questo consiglio di lettura. Un caro saluto.

  3. Avete letto il testo di Claudio Piesanti che ci suggerisce Ennio Abate, “Aforismi per una sceneggiatura” uscito su doppiozero?.

    Leggetelo, ne vale la pena.

    angelo

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