Ventimila dollari – storie d’amore e di soldi
di Angelo Australi
In questi giorni ho riletto la raccolta di racconti della scrittrice americana di origini armene Rebecca Curtis, pubblicato in Italia nel 2008 dalla Casa Editrice palermitana Gea Schirò con il titolo Ventimila dollari – storie di amore e soldi (Twenty Grand and Other Tales of Love and Money), nella traduzione di Chiara Stangalino. Per quello che possono contare le classifiche, a cui invece negli Stati Uniti sembrano tenere in modo particolare, questo libro di esordio della scrittrice nata nel New Hampshire nel 1974, è stato inserito dal The New York Times tra i migliori 50 libri di narrativa usciti in America nel 2007.
Le classifiche o i premi letterari sono una forma di competizione che fa pensare alla gara dove si sceglie il più bravo della classe, per scoprire alla fine che il valore o la qualità della scrittura conta ma solo fino ad un certo punto. Sono forme di promozione che servono a commercializzare un prodotto. Tutto qui. Comunque fa effetto la rilevanza che viene data al racconto in quella parte del mondo, quando in Italia questa forma di scrittura tutt’al più viene considerata ideale per leggersi durante le vacanze al mare, sfogliando le pagine di un quotidiano sotto l’ombrellone, ubriacati di sole e storditi da una noiosa sonnolenza. Insomma, non ci sogneremmo mai di trovare un libro di racconti tra i finalisti di uno dei nostri prestigiosi premi letterari, o in una di quelle assurde classifiche dei libri più letti (venduti). Per conquistare una certa visibilità in Italia bisogna scrivere romanzi, possibilmente già pronti per essere trasformati in film o serie Tv. Meglio ancora un giallo, genere oggi così diffuso. Mentre per quanto riguarda gli Stati Uniti, con autori che si sono affermati solo grazie alle short story potremmo compilare un elenco almeno di qualche pagina formato A4. Tutto questo per esporre la semplice constatazione di quanto quel mercato, pur spietato, competitivo fino all’ossessione e pieno di contraddizioni, grazie ai suoi scrittori sia ancora ricco di sorprese in grado di leggere i conflitti di una realtà sociale, mentre nel nostro piccolo e provinciale salotto si registra sempre più spesso il radicarsi di una certa mancanza di curiosità, di coraggio nelle scelte, tanto che ormai sembra impossibile trovare delle differenze tra il mestiere di giornalista e quello più artigianale dello scrittore. Sempre più spesso insomma ci troviamo di fronte a storie che cercano giustificazione negli stereotipi di un’idea, piuttosto che lasciarsi andare al piacere di raccontare lo scorrere della vita. Oggi non è mai un problema di bella scrittura, dietro ogni libro ci lavorano in tanti e a più livelli, quanto di autenticità nel sentirsi liberi di toccare quel punto nascosto che dentro ogni scrittore origina la passione per il suo lavoro.
I tredici racconti che compongono il libro di esordio di Rebecca Curtis nella scrittura hanno davvero qualcosa di fresco e di originale che va in questa direzione. La scrittrice insegna scrittura creativa alla Columbia University, tuttavia nelle sue storie non si trova traccia della vita vissuta negli ambienti intellettuali di una metropoli come New York, l’ispirazione nasce dai luoghi del nativo New Hampshire, nel profondo di una provincia americana dove si fa sempre più fatica a vivere le proprie aspirazioni alle condizioni della modernità. Le protagoniste sono donne alle prese con quei problemi quotidiani con i quali tutti prima o poi siamo costretti a fare i conti: guadagnare dei soldi con un lavoro, tentare di superare il difetto dell’invidia verso chi è ricco. Si tratta di cameriere, di ragazze che scappano di casa o che perdono la testa dietro a uomini sposati. E sono tutte infedeli e bugiarde. Ma restando umanamente donne che inseguono, senza riuscirci, il sogno di un viaggio che possa permettere il recupero di una felicità perduta. Non cercano di riscattarsi, affrontano le delusioni di ogni giorno nell’ironica consapevolezza che il mondo sia pieno di ingiustizie e che loro si affacciano dalla parte sbagliata del palazzo, sempre da quelle finestre dove durante la giornata non batte mai il sole.
In questi racconti troviamo diverse variazioni emotive intorno ad un personaggio femminile che risulta essere sempre lo stesso. Si tratti di una bambina che osserva sbigottita il frustrato e distratto sconforto degli adulti, o di una ragazza obbligata a fare la cameriera nei ristoranti per recuperare i soldi che le occorrono per il college, le loro vite ordinarie affiorano dalle pieghe della scrittura così libera e fresca con l’arma dell’ironia, per farci conoscere l’America contemporanea. La disarmante quotidianità ci viene descritta attraverso un minimalismo non eccessivo, capace di vestire un qualsiasi istante nelle vite delle persone più comuni con qualcosa di così particolare che può aprirsi coscientemente su quella paura del vuoto che, almeno una volta, ognuno di noi ha provato.