Israele, palestinesi, Gaza. Cinque articoli di Pierluigi Fagan

Composita solvantur . Letture e riflessioni sul conflitto Israele-palestinesi (3)

a cura di Ennio Abate

Segnalo (riasssumendo o  riportandone stralci)  quattro  interessanti e coerenti articoli di Pierluigi Fagan sul conflitto  che vede di nuovo Gaza tragicamente al centro  del caos mondiale. Gli eventi sono misurati da un’ottica freddamente geopolitica  guidata dal pensiero della complessità. 

1. IPOTESI (7 ottobre 2023)

In merito all’attacco di Hamas ad Israele, ricordo un dato di quadro forse utile per inquadrare gli eventi. Poco tempo fa, da Blinken in giù, si annuncia un nuovo e potente piano americano di pacificazione della questione israelo-palestinese, particolarmente caro a Biden, forse anche in funzione dell’incipiente campagna elettorale per le presidenziali dell’anno prossimo. […] l’azione di Hamas potrebbe aver avuto in vista la volontà di incendiare irrimediabilmente il tutto. Evitare che l’Autorità svenda la causa, evitare l’emarginazione di Gaza e di Hamas stesso, evitare che i sauditi si possano ritrovare col nucleare che però è inibito agli iraniani (sicuramente vicini ad Hamas), financo evitare che la Cina si ritrovi una concorrenza logistica di tale tipo. […] Un’azione molti obiettivi, che dispiacerà a qualcuno ma piacerà non poco a molti altri. È solo un’ipotesi, magari serve o magari no, fate voi. Hezbollah la legge così e penso abbiano ragione… Mi rimane però un dubbio. Chi aveva pensato a questo ipotetico progetto di pacificazione non aveva messo in conto una reazione di questo tipo? E se sì, la questione non si esaurisce allo stato attuale delle cose e dobbiamo prevedere qualcosa di più grosso in preparazione per tornare ad incendiare l’intera area dopo i tentativi di pacificazione promossi dai cinesi? P. s. come si può escludere che N.[Netanyahu], sapendo, non abbia lasciato fare? In fondo anche a lui conviene avere “cause di forza maggiore” per di non dover parlare con i palestinesi. Con quel governo, col paese spaccato, ha solo che tirato un sospiro di sollievo secondo me. È possibile accumulare migliaia di razzi sotto il naso del servizio segreto israeliano? Me lo sono chiesto pochi minuti dopo aver letto la notizia. A me anche sembra più probabile che sapessero.

 

2. IL NEO-NAZIONALISMO MORALE OCCIDENTALE (15 ottobre 2023)

In questo articolo, “Il neo-nazionalismo morale occidentale”, comparso anche su Sinistra in rete, Fagan  indica nella attuale  propaganda proposta dalle élite statunitensi  – sia nel caso guerra tra Russia e Ucraina  che – ora –  di fronte alla  politica di Netanyahu in Israele –  una “precisa ideologia”. Il suo nocciolo si fonda  su una (storicamente) indimostrata “supremazia morale” di “noi occidentali” (europei e statunitensi).  uesto “nazionalismo occidentale” alimenta lo spirito da crociata  o la necessità di uno “scontro di civiltà”, già teorizzato da Samuel Huntington negli anni ’90: e si serve repressivamente dei media come “nuova “polizia morale”.

Stralci:

1.
Il sentimento “noi occidentali” è oggi una precisa ideologia promossa dalle élite occidentali ovvero quel gruppo con signorie locali che fanno capo a un principe, statunitense. Il principe statunitense ha lanciato l’operazione “noi occidentali” in Ucraina poiché una delle ragioni del come si sta gestendo quel conflitto in ottica multipolare è stata la piena cattura egemonica dell’Europa, l’annessione dell’altrimenti vociante, incoerente e disparata Europa sotto la protezione del principe di oltreatlantico. La polarizzazione degli occidentali europei è stata ottenuta con sorprendente velocità e allineamento poiché gli europei vagavano in un limbo idealistico e irresponsabile di negazione della realtà mentre gli statunitensi, sulla realtà, avevano progetti.

2.
Ormai usiamo categorie di pensiero, mode del pensiero, slogan americani, software-mail-browser statunitensi, siamo culturalmente euro-americani su fino al come sono impostate molte discipline, la loro epistemologia, il metodo. Tutta questa è la nostra immagine di mondo occidentale dominante

Gli statunitensi stanno tentando l’istituzione di un nazionalismo occidentale in un frame che resuscita lo “scontro di civiltà”, intuizione di Samuel Huntington anni ’90[vi]. Abbiamo citato Huntington in un precedente articolo[vii] sulla progressiva corrosione dello standard democratico uscito dal dopoguerra

3.
La natura di questo nuovo sentimento del popolo occidentale, che, come ogni popolo che finisce con l’esuberare il proprio nazionalismo da identità distinguente a ragione di superiorità ha bisogno di ragioni “alte”, è la superiorità morale.

Noi siamo superiori moralmente: diritti individuali (i sociali non esistono perché non esiste una cosa chiamata “società”), parità dei sessi, tolleriamo i diversamente sessuali, siamo democratici, scientifici quindi razionalmente oggettivi, siamo liberi e liberali, siamo inclusivi, non ammazziamo i bambini ed i civili altrui -a almeno così ce la raccontiamo-, quando non si può fare a meno di difendere qualcuno bullizzato da non civiltà o civiltà degenerate magari usiamo le armi ma è il nostro destino di polizia morale del mondo che ce lo impone, vogliamo “solo” commerciare, competere con regole per la ricchezza e la posizione sociale. Si badi, si può anche credere a tutto ciò ma non c’è nulla in questa credenza che implichi il fatto che “migliore” deve portare allo scontro contro il “peggiore”. Addirittura, si potrebbe argomentare al contrario, proprio perché sei migliore dovresti saper gestire le differenze evitando il conflitto.

4.
I costruttori della nuova supremazia morale stanno in questi giorni piantando nel discorso pubblico il discrimine dell’antisemitismo. Ecco trasformata una complessa questione storico-culturale che ha settanta e passa anni, in una crociata morale. La crociata morale pesca nelle emozioni come il nazionalismo aggressivo, è prepolitica, è dicotomica ovvero taglia ogni mezzatinta, esclude tu possa rifiutare la dicotomia imposta puoi solo scegliere da che parti trovarti anche se il contenuto morale auto-evidente fa sì che tu in realtà non puoi scegliere nulla, non vorrai mica parteggiare per il “nemico della tua civiltà”? Saresti un traditore che è un nemico interno che va trattato come quello esterno, magari un po’ meglio visto che è dei nostri come nazione e quindi merita un occhio di riguardo per non farci scivolare nella barbarie che stiamo combattendo.

5.
come con il meccanismo “aggredito-aggressore” basta l’ostracismo, antica pratica di autoprotezione dei gruppi umani. Questi meccanismi sono pensati da qualcuno, compaiono subito e diventano presto condivisi, quello attuale è l’assimilazione di Hamas all’ISIS, quindi jihad e scontro di civiltà a seguire. I nostri media sono presidiati dalla nuova “polizia morale” che ha la stessa funzione che ha in Iran, presidiare la norma.

6.
A questo discorso tutto morale va opposto il piano per il quale ci sono solo due modi di ordinare l’intero pianeta umano, contrattando o imponendo, il piano del reale. Il senso di superiorità morale aggressiva non contratta e visto che in teoria dovremmo essere qualcosa di simile ad una democrazia, non si capisce neanche chi l’ha deciso viste anche le conseguenze che comporta.

7.
Io sono occidentale e mi vergogno di dover condividere la categoria con certa gente. Dovremmo alzare la voce e contrastare questo tentativo di definire dall’alto la nostra stessa identità, imporre il dibattito su quale tipo di civiltà vogliamo essere nell’era complessa[x]. Porre il discrimine pragmatico tra imporre o contrattare. Nell’era complessa, se la nostra civiltà andrà in guerra, morirà, è una guerra che semplicemente non può vincere.

3. PACE E GUERRA.  (16 ottobre  2023) 

Stralcio:

"A marzo, nella distrazione generale delle nostre opinioni pubbliche esposte solo ad alcune notizie, in genere urlate e ignare del tutto di altre notizie che pure meritano attenzione, arriva l’incredibile notizia della ripresa delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita ed Iran grazie alla intensa mediazione cinese. La cosa si porta appresso gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman storico mediatore interno il mondo musulmano diviso tra sciiti e sunniti, il Qatar che sta in mezzo i due grandi paesi, non dispiace l’Egitto e la Turchia. Incredibilmente, iniziano le procedure per riallacciare i rapporti con la Siria di Assad dopo 12 anni e migliaia di morti in una lunga ed inconcludente guerra da cui è sorta anche la strana ISIS. A maggio, Assad è riammesso nella Lega Araba. Ad agosto, nella tormentata riunione dei BRICS che discutono il proprio allargamento, l’India porta dentro l’Arabia Saudita (che si porta appresso gli Emirati Arabi Uniti), la Cina porta dentro l’Iran, la Russia porta dentro l’Egitto. I tre più importanti paesi musulmani del quadrante mediorientale dal 1° gennaio, sarebbero parte di un’unica organizzazione. A settembre si tengono addirittura colloqui di pace tra sauditi e yemeniti (Huthi) dopo otto anni di una guerra che ha fatto milioni di sfollati. Paesi difformi ed in lunga tensione reciproca, sciiti-sunniti-e cinquanta sfumature di islam (più "politico" o "religioso"), ognuno con cicatrici per guerre fatte o subite, riuniti dal comune interesse per uno sviluppo economico che non solo costa meno del farsi guerra ma che è l’unico modo per stabilizzare le relative società civili, dando speranza nel futuro.
A settembre, al G20 che si tiene in India, si manifesta un dissidio tra l’ospitante India di Modi e gli Stati Uniti di Biden che per altro lo stesso Modi ha visitato a giugno siglando una dozzina di contratti importanti in campo militare, tecnologico, astronautico. L’americano pretende una dichiarazione di condanna della Russia per la guerra in Ucraina (che Modi non firmerà), ma vuole anche che l’India aderisca al progetto di una nuova Via del Cotone che diventerebbe una spina nel fianco alla Via della Seta cinese (che Modi firmerà). Si tratta di un corridoio logistico su cui far viaggiare merci dall’India all’Europa, via Emirati, Arabia Saudita, Giordania, Israele come terminale portuale di Haifa. Il tutto costruito da imprese tedesche, francesi, italiane. La cosa dispiace a molti. All’Iran che verrebbe emarginato e che perderebbe analogo progetto con l’India che avrebbe collegato questa alla Russia, via Caspio. Alla Russia stessa e per varie immaginabili ragioni. Alla Turchia ed al Qatar emarginati dalla partita. All’Egitto che vedrebbe calare il suo traffico a Suez e relativa centralità geopolitica. Al mondo musulmano più in generale poiché formerebbe una alleanza forte di interessi tra alcuni suoi paesi ed Israele e l’Europa in via esclusiva. Alla Cina. Ai palestinesi che non è chiaro se beneficiati da qualche briciola della partita come Autorità dei territori e non come Gaza, ovviamente. Inoltre, pare che i sauditi per firmare l'accordo pretendessero il benestare americano ed israeliano allo sviluppo nel loro nucleare civile che, come è noto, differisce non di molto da un possibile uso bellico. Un autentico stravolgimento degli equilibri d'area. Il 7 ottobre scoppia la guerra tra Israele e palestinesi di Gaza/Hamas.Nel giro di appena otto mesi, c’è stata una inedita e speranzosa ricucitura del martoriato quadrante a cui è seguita una decisa scucitura per mettere tutti contro tutti come noi occidentali lì facciamo da sempre."

4. MAGO BIBI (21 ottobre 20223) 

 Il ragionamento svolto in questo articolo si riallaccia alla IPOTESI  del punto 1 e la approfondisce:

“Netanyahu, un paio di settimane prima degli eventi dello scorso 7 ottobre, si è presentato con cartina ed evidenziatore all’Assemblea generale dell’ONU, dicendo che si stava ridisegnando l’ordine geopolitico del Medio Oriente tramite l’accordo con l’Arabia Saudita promosso da Biden al recente G20, a seguire gli “Accordi Abramo” di Trump.”

Fagan nota che questo piano è stato ribadito il 9 ottobre, due giorni dopo l’attacco di Hamas. Ad un incontro con sindaci di paesi circostanti Gaza Netanyahu ha, infatti, dichiarato: “La risposta di Israele all’attacco di Hamas da Gaza -cambierà il Medio Oriente“.

Fagan si chiede poi perché, malgrado Netanyahu sia “l’autore del più clamoroso fallimento politico dell’intera storia di Israele” – (un sondaggio israeliano “dà l’80% dei cittadini che lo ritiene colpevole del non aver evitato o prontamente minimizzato l’operazione di Hamas”) -,  resti ancora al governo di Israele e  con in mano i poteri di guerra, “lo stato d’eccezione”.  E respinge la tesi che i servizi segreti  di Israele – “uno di paesi meglio difesi al mondo” –   siano stati colti di sorpresa dall’inizialitva militare di Hamas, visto che conoscono benissimo Gaza,  “un’area grande come il comune di Spoleto con dentro 2,4 milioni di persone, di cui controlla entrate ed uscite”.
Questo super-controllo è confermato anche dal fatto che, in passato, “nelle almeno sei grandi operazioni militari con nomi espliciti, da Scudo difensivo a Piombo Fuso, da Piogge estive ad Inverno caldo, da Pilastro di difesa a Margini di protezione. Oggi siamo a Spada di ferro”,  Israele ha sempre colpito “con estrema e chirurgica precisione”, come confermano “tutti gli addetti ai lavori” .

Da queste considerazioni la sua conclusione: l’obiettivo di Israele è uno solo e ben chiaro: ”disarticolare Gaza, ridurne drasticamente la popolazione, l’acquitrino che alimenta Hamas.”. Obiettivo che sta già realizzando:

“Per il momento, i palestinesi che lamentano 4130 morti e 13.000 feriti a Gaza con 1300 dispersi, altri 81 con almeno altri 1300 feriti e più di 800 arrestati in Cisgiordania e dall’altra gli israeliani che lamentano 1400 morti e 4600 feriti, circa 200 rapiti e circa 100 dispersi. Ma soprattutto, 700.000 palestinesi di Gaza sono sfollati nella metà occidentale della Striscia e le loro abitazioni sono per lo più rase al suolo. Vengono bombardati ospedali e chiese, sono terrorizzati, stanchi, affamati, scoraggiati, sta arrivando il colera. Diventeranno profughi. “

E l’operazione di Netanyahu è possibile perché “l’intero Occidente appoggia Israele […]. Coprendo con tornado di chiacchiere i fatti, sono passate due settimane e nulla cambia, l’operazione va avanti, ineluttabile”.
Fagan parla di “soluzione finale in quel di Gaza”, sostenuta da Biden, “che garantisce di aver l’arsenale per le democrazie pronto, l’intero complesso mediatico occidentale alacremente all’opera per creare realtà parallela per genti che non sanno e capiscono nulla della intricatissima vicenda”. L’intento di Netanyahu e Biden  di “ridisegnare l’intero Medio oriente” sta andando e andrà avanti.

 

5. PIVOT TO BIBI (22 ottobre 2023)

Fagan trova  ulteriori conferme alla sua lettura degli eventi  in un articolo sul  NYT di L. Friedman,  tre volte  premiato con il Pulitzer, corrispondente dal Medio Oriente per anni, ebreo e uno “dei principali attori del vasto mondo di think tank e fondazioni che coltivano il pensiero strategico americano “.
Friedman sostiene che, in questo momento, Netanyahu ha disperato bisogno di rimanere in carica perché altrimenti finirebbe in carcere.
Nell’articolo Fagan aggiunge poi “un breve inciso per capire meglio come si è arrivati a tutto ciò”. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 “la curva demografica israeliana fa un salto verso l’alto”,  perché Israele ha iniziato a “importare gente nuova che abbracciasse la causa della sopravvivenza di Israele, ebrei o non ebrei poco importa, il problema non è etnico o religioso ma nazionale”.
Per Fagan “questo afflusso di nuovi israeliani è la base elettorale dello spostamento a destra di Israele” e permette a Netanyahu di sopravvivere “al margine del precipizio che lo porterebbe in galera”.
Certo, si poteva, a suo tempo, gestire il problema del conflitto tra Israele e i palestinesi in altro modo:

"Si sarebbe dovuto fare un serio piano di pace. [...] questo avrebbe comportato che l’intero cerchio di interessi geopolitici intorno la questione si mettesse d’accordo. In breve: USA, UE, Russia, Iran, mondo arabo vario che va dall’Egitto alla Turchia all’Arabia Saudita. Ma le strategie generali americane andavano da un’altra parte, negare gli accordi con l’Iran portati avanti da Obama, continuare la lenta penetrazione e provocazione in Ucraina vs Russia, far saltare Assad in Siria utilizzando le milizie jihadiste petromonarchiche e di recente, la brillante idea della Via del Cotone che è la goccia che ha fatto traboccare un vaso in cui i cinesi si erano spesi per calmare le acque fino al punto di mettere Egitto, AS ed EAU ed Iran assieme, nel recente allargamento dei BRICS."

Ma  ormai:

 "Bibi è il perno di tutta la faccenda. Se esagera c’è il cataclisma è Bibi non è così pazzo da fare Sansone e tutti filistei, non sopravvivi politicamente in quel casino geopolitico che è Israele da decenni (è il più longevo premier dell’intera storia di Israele) senza avere ben chiaro che il potere è una faccenda di equilibri dinamici. Ma se prende tempo e lo riempie di migliaia e migliaia di termobarici, sfonda terreno, gas, agenti biologici et varia che a quel punto gli americani sono anche contenti di dare pur di evitare la catastrofe finale, la vendetta è compiuta, il tempo passa, alla fine avrà ammazzato qualche migliaio di persone ma dirà che per lo più sono di Hamas, magari qualche puntatina notturna dei reparti speciali dei rapidi "entro-ed-esco" per fare "fine tuning" li puoi concedere ai militari, dei profughi si occuperà qualcuno, gli arabi faranno gara di solidarietà e se e quando si voterà, la demografia di Israele, sempre quel risultato darà, quello che oggi gli dà i pieni poteri." 

 

11 pensieri su “Israele, palestinesi, Gaza. Cinque articoli di Pierluigi Fagan

  1. Coacervo di notizie imprecise e mal digerite…
    Forse meglio riportare il primo articolo di Travaglio che pur non essendo specialista dell’area almeno si era informato e capiva cosa leggeva.
    Il nucleo del problema è il progetto militare di Biden di accerchiamento della Cina, con l’accordo della ‘Nato asiatica’, con il progetto di accordo militare Israele-Arabia Saudita; e dal lato opposto la formazione di un fronte allargato che resiste a questo progetto e forma un’alleanza altrettanto disparata ma nuova (e non militare), da Iran ad Arabia a India a Russia…; nel piano di Biden i Palestinesi si trovano isolati e inermi, e l’attacco di Hamas è la risposta quasi obbligata.
    Le vicende interne di Israele contano poco, le eventuali complicità israeliane altrettanto: modificano solo le forme della reazione, non la sua strada.

  2. “Coacervo di notizie imprecise e mal digerite… “? Ma dai…
    Davvero troppo sprezzo del lavoro altrui . Eppure se, come scrivi, “Il nucleo del problema è il progetto militare di Biden di accerchiamento della Cina, con l’accordo della ‘Nato asiatica’, con il progetto di accordo militare Israele-Arabia Saudita” , non pare proprio che Fagan su questo sorvoli:

    1.
    l’azione di Hamas potrebbe aver avuto in vista la volontà di incendiare irrimediabilmente il tutto. Evitare che l’Autorità svenda la causa, evitare l’emarginazione di Gaza e di Hamas stesso, evitare che i sauditi si possano ritrovare col nucleare che però è inibito agli iraniani (sicuramente vicini ad Hamas), financo evitare che la Cina si ritrovi una concorrenza logistica di tale tipo.
    2.
    Gli statunitensi stanno tentando l’istituzione di un nazionalismo occidentale in un frame che resuscita lo “scontro di civiltà”, intuizione di Samuel Huntington anni ’90
    3.
    A marzo, nella distrazione generale delle nostre opinioni pubbliche esposte solo ad alcune notizie, in genere urlate e ignare del tutto di altre notizie che pure meritano attenzione, arriva l’incredibile notizia della ripresa delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita ed Iran grazie alla intensa mediazione cinese.
    4.
    Ma le strategie generali americane andavano da un’altra parte, negare gli accordi con l’Iran portati avanti da Obama, continuare la lenta penetrazione e provocazione in Ucraina vs Russia, far saltare Assad in Siria utilizzando le milizie jihadiste petromonarchiche e di recente, la brillante idea della Via del Cotone che è la goccia che ha fatto traboccare un vaso in cui i cinesi si erano spesi per calmare le acque fino al punto di mettere Egitto, AS ed EAU ed Iran assieme, nel recente allargamento dei BRICS.”

  3. Ringrazio Ennio Abate per aver riassunto gli interessanti e coerenti articoli di Pierluigi Fagan sul conflitto. Anche se non condivido pienamente tutti questi articoli di Fagan sono abbastanza d’accordo con lui.

  4. Non so, mi perdo… nomi di paesi e di stati accumulati e giocati come pezzi di un domino… scomposti e riassestati come in un caleidoscopio. Chi si diverte?
    Che farei, io? Cercherei di individuare le classi dirigenti di quei paesi e i loro interessi a sopravvivere o crescere. Insomma, sono “uomini” (maschi, per lo più) e hanno materialissimi bisogni. E servitù.
    Insomma, cercherei i “fondamentali”.
    Il resto è un gioco combinatorio.

  5. “Cercherei di individuare le classi dirigenti di quei paesi e i loro interessi a sopravvivere o crescere.” (Fischer)

    E non è quello che tenta di fare anche Fagan? Davvero la sua ricerca si riduce soltanto a “un gioco combinatorio”? Ricerca dei “fondamentali”? Quali?
    D’accordo, invece, sul fatto che ci si perde o che noi ci siamo persi. Sulla stessa pagina di Fagan oggi una commentatrice ha messoa fuoco cose che – al di là dell’approssimazione della terminologia usata (“politica umanistica e indipendente”, “Persona umana”, “Collettivo”, “Giustizia sociale”) in molti – io fra questi, non so di altri/e più imperturbabili o consapevoli – confusamente percepiamo:

    Carola Codadilupo Manfrinetti
    Grazie. Però, ora, peggio mi sento. C’è un mondo sconfinato che sta al di là della consapevolezza e della conoscenza (pur necessarie come l’aria) di questi ingranaggi complessi, inevitabilmente oggettivi anche per deboli menti come la mia. Un mondo di persone in carne ed ossa che vivono, a vari livelli, la quotidianità inconsapevole nuda e cruda in tutte le sue forme. Il mondo dei potentati, e dei traffici economico-finanziari che li sottendono, che Lei così compiutamente descrive, del mondo “di sotto” dei comuni mortali non ne vede e considera neppure la più debole ombra. Come, in questa visione terribile, riuscire ad organizzare o riorganizzare una politica umanista e indipendente, una rappresentanza, una chiamata, una testimonianza in grado di rimettere in gioco istanze di Giustizia e di Umanesimo? Come far ripartire un movimento culturale globale che ridia ossigeno e nuovo radicamento alla centralità della Persona umana, del Collettivo, del condiviso nella Giustizia sociale? Queste richieste inderogabili spetterebbero ai dominati di ogni angolo di mondo, come è apparso per un brevissimo periodo storico apparentemente tramontato, e in forma talmente compatta e pressante da risultare non ignorabile. Nel momento in cui si strappa il solido velo superficiale delle analisi binarie, così utili ad alimentare e disorientare le masse, e si guarda in faccia il groviglio d’interessi che c’ignora, come non cadere nello sconforto più alienante e continuare a credere che un altro mondo sia ancora possibile? Forse, chiedo qualcosa di talmente generalizzato da risultare banale…

    1. direi che i fondamentali li avevo chiariti nelle righe precedenti, e che espone molto bene Carola Codadilupo Manfrinetti: i potentati, i traffici economico-finanziari, il groviglio di interessi.

  6. dell’articolo di Pierluigi Fagan mi ha interessato il concetto di Neo-Nazionalismo Morale Occidentale: dalla difesa dell’ identità al sentimento di superiorità morale… come, veicolato dai discorsi dei potenti e dai piu’ diffusi mass media, sia riuscito a mettere davvero radici nelle menti di chi “di sotto”, cioè noi, e non solo…Una guerra subdola giocata con le armi della mistificazone, dell’indifferenza, della paura e del razzismo,spesso con apparente apertura, e copertura, nella campo dei diritti civili…un vero muro da abbattere proprio perchè possa decollare “…un movimento culturale globale che ridia radicamento alla centralità della Persona umana, del Collettivo, del condiviso della Giustizia sociale” (Carola Codadilupo Manfrinetti)…
    Un movimento che non sia solo cuturale ma che leda in qualche modo gli interessi economico capitalistici, gandhiano. (Riporto questo pensiero che ho letto sulla pagina fb di Franco Romano’ perchè mi ha colpito)…Come sarebbe opportuno disertare i botteghini del lotto e del gioco, cosa che contrasterebbe anche la ludopatia…solo un esempio

  7. Segnalazione

    Medio Oriente in fiamme, «vedere» l’altro lato. Così si può ricomporre la frattura emotiva generata dalla guerra
    di Carlo Rovelli

    I pro Palestina: quando denunciamo le sofferenze dei bimbi di Gaza, ci ricordiamo di quelli israeliani uccisi? I pro Israele: chiamare antisemita chi non faccia il tifo per le bombe sui civili non ci libererà dal razzismo

    Ho una parola da dire, anzi sussurrare, alle persone che stanno dall’uno e dall’altro lato della radicale frattura emotiva suscitata dagli eventi di Gaza. Permettetemi di rivolgermi per primi ai milioni di manifestanti in Italia e nel mondo, solidali con le sofferenze del popolo di Gaza.
    È difficile non sentire empatia per Gaza, data la palese agonia di tanti palestinesi in questo momento. Mi sento uno di voi. Ma vi ricordate che il punto da difendere era proprio che l’empatia non può essere a senso unico? Certo è ridicolo accusare di antisemitismo chi si indigna per le sofferenze di un popolo bombardato — siamo arrivati perfino all’imbecillità di denunciare come antisemite persone come Greta Thunberg.

    Ma stiamo tenendo presente anche il fatto reale che l’antisemitismo esiste, è reale, ed è vero che è in aumento? Che la storia secolare degli ebrei e il tragico racconto dell’Olocausto perpetrato dal regime nazista nutre in tanti ebrei un ricorrente e comprensibile terrore? Quando denunciamo le sofferenze dei singoli bambini, donne, e uomini a Gaza, per mano dell’esercito israeliano, prima di ogni analisi storica e di ogni attribuzione di colpe, ci ricordiamo anche che ci sono singoli bambini, donne, e uomini israeliani trucidati? Prima di fare aritmetiche (certo, sbilanciate), o attribuire responsabilità, prima di rimarcare quali strutture politiche siano oppressi o oppressori, ci ricordiamo di mettere in chiaro che la responsabilità non è mai collettiva, e che stiamo difendendo il diritto alla vita, alla casa, a non essere schiacciato, anche per gli esseri umani che stanno dall’altra parte di un conflitto? Sono certo che quasi tutti voi mi rispondiate «ma è ovvio». Ma ci rendiamo conto che se non lo ripetiamo con chiarezza, ogni nostra espressione di solidarietà con chi soffre, ogni nostra denuncia di ingiustizia, ogni nostra richiesta di giustizia, viene percepita da chi per motivi di etnia, di educazione, di formazione, si trova dall’altra parte della barricata, come una dichiarazione di odio, una condanna a morte, il riapparire dello spettro dei pogrom, i ricorrenti massacri di ebrei nella storia?
    Fra noi ci sono cari amici ebrei che hanno sempre detestato la politica oppressiva di Israele, hanno sempre militato per il riconoscimento di uno Stato palestinese pienamente indipendente, ma ora esitano, indietreggiano, spaventati dalla vasta marea nel mondo che condanna gli eccidi compiuti dallo Stato israeliano, ma non vuole dire una parola sugli ebrei massacrati. Non vedere questo effetto è cecità, è spingere verso il baratro, verso l’inevitabilità dell’odio. Non si tratta di un dettaglio. Si tratta della capacità di vedere entrambi i lati di una tragedia, di comprendere cosa motiva chi vede le cose diversamente.
    E permettetemi ora di rivolgermi invece a chi appunto sta dall’altra parte di questa tragedia. Capisco il senso di assediamento, capisco cosa suscita sentire nelle piazze del mondo intero gli inni a Hamas. Capisco la vostra percezione del mondo. Mi sento uno di voi. Ma ci rendiamo conto che chiamare antisemita chiunque non faccia il tifo per un bombardamento su civili non porta a liberarci dalla piaga infetta dell’antisemitismo e del razzismo? Al contrario, alimenta proprio l’antisemitismo? Ci rendiamo conto che è la stessa nostra paura, e ciò che questa paura provoca, a nutrire comportamenti che alimentano reazioni antiebraiche contro di noi? Ci rendiamo conto che più lamentiamo e usiamo la violenza di Hamas come giustificazione per le nostre azioni, più forniamo argomenti emotivi proprio a chi ritiene che l’unica risposta possibile alla violenza sia ancora più violenza? Pensare di stravincere ammazzando tutti gli altri non può funzionare, in un vasto mondo in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite vota 120 verso 14 contro uno Stato israeliano che rifiuta una tregua.
    Chiamare «diritto alla difesa» lo scatenamento di una violenza estrema non ci rafforza, ci indebolisce. Proviamo per un momento anche noi a guardare il conflitto dalla prospettiva dell’altra parte: dall’altra parte non ci sono solo estremisti fanatici che vogliono sterminare gli ebrei. Ci sono anche quelli lì, ahimè, ma sono una minoranza sparuta nel mondo: perfino la carta fondante di Hamas auspica una convivenza pacifica fra Islam e ebraismo. Se identifichiamo sempre chiunque non ci sostenga con la minoranza più estremista, se tacciamo di antisemitismo chiunque non sostenga la linea politica più dura, stiamo gettando via tutte le soluzioni possibili, e attirandoci nemici.
    La maggioranza di chi non è d’accordo con noi non vuole la nostra morte, e neppure farci del male. Vuole non essere bombardata, non essere oppressa, vivere in una democrazia, dove chi è governato possa votare chi lo comanda. Ecco, questo volevo provare a dire, sommessamente, a chi emotivamente si sente da una parte e a chi si sente dall’altra. Proviamo per un momento a guardare le cose dall’altro lato. A chi invece soffia sul fuoco, da una parte e dall’altra, per calcoli strategici geopolitici di potere, o a chi su questo dolore lucra vendendo armi, non ho nulla da dire, se non ricordare le parole finali di Bob Dylan in Masters of war. Rileggetele.

    A sinistra la Marcia per la Palestina sabato a Londra per chiedere il cessate il fuoco nel conflitto tra Israele e Hamas (Afp). A destra la manifestazione di domenica. A destra la manifestazione di domenica a Varsavia in solidarietà con le vittime israeliane dell’attacco di Hamas del 7 ottobre (Epa)

    (DA https://www.corriere.it/politica/23_ottobre_29/medio-oriente-fiamme-vedere-l-altro-lato-cosi-si-puo-ricomporre-frattura-emotiva-generata-guerra-e6fbc980-7685-11ee-97ac-bb749494f7ad.shtml?refresh_ce)

  8. Come al solito Rovelli è preciso e convincente;
    tuttavia scrivendo sul Corriere, perchè vuole parlare alla gente che legge il Corriere, deve fare in modo che lo ascoltino, che non si chiudano subito le saracinesche; quindi non può fare un discorso di larga scala, non può parlar troppo male degli USA, non può parlare di imperialismo.
    Ma, curiosamente, è un termine che manca in gran parte delle analisi: si parla di nazioni, io sono ‘occidentale’ dice Fagan (forse si incarna nel Kennedy dell'”Ich bin ein Berliner”), si parla di conquista delle coscienze, si evoca lo scontro di civiltà…e non si arriva mai al sodo.
    Che in questo momento è il percorso degli Stati Uniti verso l’affermazione totale e irreversibile (nel loro disegno) del loro dominio sul mondo. Se dovessi fare una graduatoria l’atto più significativo in questa direzione è stato il blocco della vendita alla Cina dei chip più avanzati per l’AI (mossa degli USA che si è imposta a tutto il testo del mondo); non solo perchè ha significato, anche nelle parole dei funzionari USA, una volontà di escludere per sempre la Cina dal novero delle nazioni tecnologicamente avanzate, ma perchè in un quadro di accerchiamento militare della Cina con 144 basi militari pronte a bloccarne gli spostamenti navali, nel mentre di una guerra per procura contro la Russia, questa era una campana che suonava forte e chiara più di un colpo di cannone. E la guerra di sterminio Israele/Gaza ne è una indiretta ma immediata conseguenza.
    Non facciamoci ingannare dal fatto che Biden sia cattivo come sempre ma anche un pò rincoglionito, dal fatto che le conseguenze a breve sono una rottura del quadro di alleanze costruito intorno all’asse Israele/Turchia/Arabia Saudita. In Medio Oriente le parole sono sempre gratis ma i fatti troppo spesso posposti.
    Hamas ha avuto il movente (l’eliminazione per la Palestina del suo quadro di alleanze e quindi di ogni voce in capitolo) e l’occasione (Bibi che che ha rotto l’unità con servizi ed esercito e si è anche rifiutato di ascoltare i capi dei servizi che lo mettevano sull’avviso, Servizi segreti israeliani ed americani che, con Bibi, pensano Hamas semplice e corruttibile e non ne capiscono il legame con un popolo disperato). Ma nè Russia nè Cina hanno voce in capitolo sugli esiti finali.

  9. ISRAELE, GAZA, PALESTINESI

    @ Claudio Vercelli

    Grande stima per quel che vai scrivendo in questi giorni ma un dubbio quando affermi: ” Sto con la democrazia esistente, ancorché farraginosa.” Fosse soltanto “farraginosa”! C’è qualcosa di peggio, di molto peggio.

    P.s.
    E non pare dubbio soltanto mio. Lo vedo espresso su “il manifesto” d’oggi da Alessandra Algostino:
    “Il buio calato su Gaza è l’ultimo cortocircuito della democrazia in Israele: i bombardamenti che hanno raso al suolo le città, i volti persi dei bambini coperti di polvere, un assedio disumano con la privazione di acqua, cibo, medicine e elettricità, l’invasione di terra in un silenzio che nega comunicazioni e informazioni e che non possiamo immaginare che spettrale e colmo di angoscia. Come accostare il termine democrazia a tutto questo?”.

    (https://ilmanifesto.it/il-cortocircuito-della-democrazia-in-israele)

    APPENDICE

    Claudio Vercelli è con David Bidussa e
    altri 6

    NON ABBIATEMENE – Una comunicazione di servizio e, soprattutto, a seguire, una considerazione di fondo. La prima consiste in ciò: sono giornate difficili, molto difficili, anche perché intasate da una miriade di sollecitazioni. A tale riguardo, non inseguite, per parte vostra – ovvero tra quanti mi leggono – la somma di polemiche quotidiane che, come si manifestano (ad esempio Zerocalcare, solo per citare l’ultima), così anche si consumano e vengono dimenticate, nel tramestio permanente del sottofondo dei social. E non solo di essi. Dal 7 ottobre, per mia parte, mi sono trovato in una sorta di tempesta comunicativa, che ha letteralmente sconvolto la mia agenda quotidiana. Posto che ciò che penso, dico, scrivo e quant’altro, è sempre e solo farina del mio sacco. Non ho collaboratori e serventi, ai quali delegare un tale compito. Tanto per capirci. Così come non ho un glorioso petto, onusto di medaglie, da esibire. Diffidate, in questo come in tanti altri frangenti, dei “grilli parlanti”, quelli che – da performer – fanno “opinione”, sparando sentenze su cose che, molto spesso, non solo non conoscono ma neanche intendono analizzare. Posta la grande quantità di tempo che tutto ciò altrimenti richiederebbe. (Su Israele e sul rapporto con i palestinesi ci lavoro, nel mio piccolo, da almeno una quarantina di anni. Rimanendone frastornato. Non ho certezze, per capirci. Invidio coloro che – soprattutto tra i colleghi – invece ne menano pubblico vanto.) Quindi, se non rispondo, soprattutto alle tante richieste personali (opinioni e pareri, “bibliografie”, conversazioni e così via, perlopiù veicolate – come è giusto che sia – in pvt), ciò è dovuto soprattutto al fatto che non ne sono concretamente in grado. Posto che ho anche un retroterra domestico, e dei famigliari, ai quali pensare. (Anche in questo caso, per capirci, non delego nessuno.) Grazie – quindi – dell’eventuale comprensione. Detto questo, rimane il resto. La parte più importante. Ossia, la “considerazione” di cui facevo menzione in esergo. Fino ad oggi, non ho vissuto situazioni di disagio personale, legate ad insulti, minacce o cos’altro. Mi è capitato invece nel passato, ma nulla è poi successo, al di là della pur sgradevole sequela di parole profferite sul momento. A volte ho subito il doloroso effetto del cosiddetto “fuoco amico”. Amén. Il mio profilo Fb è volutamente chiuso, e non da adesso, poiché le persone che lo frequentano hanno in comune una sola caratteristica “strategica”, quelle di essere decorose. Quindi, rispettose non solo del parere altrui ma anche, e soprattutto, delle persone che lo esprimono. Con tali interlocutori, si possono condividere celie così come giudizi severissimi. Ovvero, si può divergere da questi ultimi senza che tutto ciò da subito trascenda in insulti. Non è solo una questione di etichetta (che pure conta) ma di formae mentis. Ossia, di personale disposizione verso l’altro da sé, quindi nei confronti dei diversi pareri personali. Si tratta non di accettazione e assimilazione ma di decorosa tolleranza. La mia esistenza, peraltro, è stata informata, da sempre, al rigetto di ogni espressione di fondamentalismo identitario. Magari, ben camuffato dietro a istanze di risarcimento, presentate come assolutamente insindacabili: “abbiamo sofferto, ci dovete molto se non tutto. Quindi, tacete!”. Diverse comunità umane, peraltro, potrebbero avanzare una tale richiesta. In parte, e non a caso, tutto ciò si ripete nei fatti ai quali stiamo assistendo. Ancora una volta. Quindi, per essere chiari, nel conflitto tra israeliani e palestinesi. Poiché – tra le altre cose – la contrapposizione, del tutto ingovernabile, e quindi non mediabile con gli abituali strumenti della politica dei nostri tempi, è soprattutto rispetto a due identità che rivendicano, agli occhi altrui, l’egemonia del discorso sulla propria sofferenza. Le due istanze, nel mentre, sono state rispettivamente assorbite da imprenditori politici della paura che le utilizzano a proprio beneficio. Dichiarando che la soluzione sta solo e unicamente nella cancellazione della controparte. Per capirci, senza equilibrismi di sorta: Hamas è un’organizzazione terroristica di radice antisemita (dell’antisionismo se ne fotte, essendo da sempre ben oltre). In ciò si rivelano essere i nipotini del totalitarismo europeo. Posto che un tale stato di fatto può significare molte cose, tuttavia per nulla buone. Punto e a capo. Il governo Netanyahu VII, imbarca una maggioranza composta anche da elementi che NON ritengono che il Paese debba rimanere una democrazia. Semmai costoro hanno in testa l’idea di una società mono-etnica, completamente diversa da ciò che Israele, sia pure molto contraddittoriamente, ha cercato di diventare nel tempo. Il disegno di una parte di essi è, infatti, il suprematismo. Hamas, che è organizzazione criminale ma non per questo demenziale, ha attaccato adesso proprio perché sa di avere dinanzi a sé un soggetto di tal fatta. Che non è Israele bensì la sua pencolante leadership. Anche qui, al dunque, dobbiamo dirci: punto e a capo. Ovvero, pari e patta, quindi? Gli uni e gli altri si equivalgono? No, per nulla. Ed ancora: si sta pertanto nel mezzo, invocando le ragioni di una inesistente ancorché vaneggiata “pace”? Per cortesia, chi mi legge è – oppure è stato – sufficientemente attrezzato per non rincorrere idealismi tanto eticamente sottoscrivibili quanto concretamente impolitici. Tali poiché infecondi. Un po’ come dire: metto le mani nelle feci senza per questo volermele sporcare. Anche per questo – quindi non a caso – ad oggi non c’è nessun terreno di comprensione, e ancora meno di mediazione tra le parti in campo. Poiché se ci si pensa come assoluti, allora non ci si riconoscerà mai nel disagio altrui. Credetemi: non è questione di essere “buoni” (che cosa ciò vuole concretamente dire, e ancora più implicare, nei fatti?) né di essere tolleranti. Quest’ultima condizione, in fondo, nel rapporto tra Stati, ovvero tra comunità politiche tra di loro conflittuali, è spesso non una virtù dei forti ma un segno di debolezza. La crisi irreversibile della politica, ossia di quell’insieme di cose, idee, atteggiamenti, comportamenti e persone di stampo novecentesco, si rivela, tra gli altri, anche nello stallo in sé bellicoso, che Israele e i palestinesi stanno vivendo. Come specchi della nostra stessa impotenza. No, nessun “filosofeggiare”. Men che meno nessuna equivalenza. Sto con la democrazia esistente, ancorché farraginosa. Ma ruggine e calcare, se si accumulano, nel corso del tempo, possono fare imballare anche le migliori macchine. E in Medio Oriente, nessuno può vantare un tale primato. Hamas deve sparire. Ma con esso, non spariranno i “palestinesi”. Per me, si ricomincia, da adesso, da un tale riscontro. Una strada in salita, per capirci. Se non la dovessimo percorrere, tuttavia, allora saranno persi gli “altri” ma anche “noi”

  10. a) non capisco il senso di fingersi segretario di stato-in esilio- e dire agli altri cosa devono fare; non sarebbe più opportuno capire e far capire?
    b) dire che bisogna distruggere Hamas è, per quanto Hamas possa risultare odioso, un’idiozia: c’è un bell’articolo oggi sul NYTimes di N. Kristof che incontra 40 anni dopo due vecchi conoscenti palestinesi, allora giovani studiosi pieni di entusiasmo e speranze, oggi senza più vita nè speranza. Non hanno mai fatto politca, ma dell’attacco di Hamas dicono: hanno fatto sentire la nostra voce.
    Distruggi Hamas e non solo distruggi quel residuo di speranza di un popolo, ma crei 2 milioni di martiri; il che nell’Islam vuol dire molte cose

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