Un’intervista a Rashid Khalidi

Composita solvantur . Letture e riflessioni sul conflitto Israele-palestinesi (4)

a cura di Ennio Abate

L’intervista, di cui – saltando le domande – riporto 25 miei stralci che ritengo significativi per i temi trattati, è intitolata: “Una situazione disperata che diventa sempre più disperata” ​. E’ comparda il 1 novembre 2023 sul blog FRAMMENTI VOCALI IN MO (qui), dove potete leggerla interamente purtroppo in una traduzione approssimativa. Khalidi espone le sue riflessioni (pessimistiche) sulla storia del conflitto israelo-palestinese e porta molti dati trascurati o ignorati dai media. Tratta il tema della Imprevedibilità dell’attacco di Hamas del 7 ottobre ma lo ritiene ben comprensibile alla luce delle scelte del governo israeliano (e in particolare di Netanyahu), che in questi ultimi decenni hanno visto un aumento del numero dei palestinesi uccisi in Cisgiordania, delle incursioni dei coloni, dei tentativi di organizzare il culto ebraico nell’Haram al-Sharif, intorno alla Moschea Aqsa. La sua tesi è cristallina: è avanzato a grandi passi un processo di pulizia etnica insopportabile per il popolo palestinese già provato da una lunga occupazione. Altrettanto chiaro gli appare l’intento da parte dello Stato di Israele, appoggiata dai paesi occidentali (in primis gli USA) e da alcuni paesi arabi (coi rispettivi media al seguito), di seppellire  per sempre “un orizzonte politico per i palestinesi” e di cancellare così la “questione palestinese”.  Khalidi non tace sulla crisi di Fatah e sulla corruzione  e assenza di strategia da parte di Abu Mazen e dell’Autorità Palestinese di Ramallah. Insiste pure sull’odio verso essa di molti palestinesi e sulla popolarità  che ha ottenuto Hamas in tutto il mondo arabo  dopo l’attacco del 7 ottobre. A suo parere, dopo l’Ucraina, anche gli eventi di Gaza delle ultime settimane accrescono il divario culturale tra gli occidentali, che si pensano ancora padroni del mondo e gli altri Paesi (Russia, India, Cina, Indonesia, Pakistan, Bangladesh, Brasile) che non li riconoscono più come tali. Infine, giudica il sionismo storico un progetto coloniale “arrivato troppo tardi” (Tony Judt) e anacronistico, ma non senza effetti reali che rendono al momento irresolubile la questione  di come si possa avere “uno stato ebraico a maggioranza sovrana in un paese a maggioranza araba”. E, pessimisticamente fa notare che: 1. anche i tanto applauditi accordi di Oslo (1993) voluti da Rabin in realtà prevedevano uno “Stato palestinese […] meno che sovrano; […]un frammento di un frammento della Palestina storica” ;  2.  le due soluzioni (Due popoli, due Stati; Uno Stato, due popoli), di cui si continua a discutere attualmente, sono sempre più impossibili, specie dopo tanto sangue versato e che ”continuerà ad essere versato”.

 

Stralci:

1.
Penso che nessuno avrebbe potuto prevedere quello che abbiamo visto nelle ultime due settimane. Voglio dire, il fatto che l’esercito israeliano, uno dei più grandi al mondo, con uno dei migliori servizi di intelligence della storia, non avesse assolutamente idea di cosa sarebbe successo – e su questo ci saranno commissioni di inchiesta e studi universitari di guerra. […]. Le uniche persone che lo sapevano erano [quelle] che hanno lanciato questo attacco. Allo stesso tempo, chiunque avesse avuto una certa sensibilità per i dettagli di ciò che stava accadendo nei territori occupati e in Israele, avrebbe potuto presumere che prima o poi una sorta di esplosione sarebbe stata inevitabile. Hamas non è solo [un’organizzazione presente] a Gaza [ma] abbraccia tutta la Palestina. [Da tempo i suoi dirigenti e militanti] erano estremamente sensibili al fatto che, soprattutto da quando questo nuovo governo [di Netanyahu] è entrato in carica, ma [già] nell’anno precedente,  era in aumento il numero di palestinesi uccisi in Cisgiordania, di incursioni di coloni, di tentativi di organizzare il culto ebraico nell’Haram al-Sharif, intorno alla Moschea Aqsa. E anche la quantità di terra rubata dai coloni stava aumentando. Più recentemente, tre piccoli villaggi in Cisgiordania, costituiti in gran parte da popolazioni nomadi, sono stati cacciati dalle loro terre.
La pulizia etnica è in corso a un livello molto basso perché il mondo possa prestarvi attenzione. E seppellire la questione palestinese, seppellire un orizzonte politico per i palestinesi, sembrava essere lo sforzo principale dei paesi occidentali e di Israele, così come di alcuni alleati arabi di Israele.

2.
[Questa] occupazione israeliana […]sarebbe continuata indefinitamente. I palestinesi, tutti, lo hanno visto. Ovviamente non tutti hanno reagito come ha fatto Hamas. Ma tutti hanno visto che la situazione era sempre più disperata e che i loro interessi e i loro diritti venivano completamente ignorati da tutti – non solo da Israele o dagli Stati Uniti o dai suoi alleati clienti occidentali, ma anche dai paesi arabi.

3.
Se guardate la CNN, vedrete che ai generali israeliani è consentito affermare, senza alcuna reazione, che Israele evita la morte di civili (o sta dando ai palestinesi la “possibilità di evacuare” per un senso di umanitarismo), [mentre] subito dopo [si vedono] scene di condomini, campus universitari e la via di evacuazione fatta saltare in aria a Gaza. Allo stesso modo, il comitato editoriale del New York Times [titola]: “ […]Israele sta combattendo per difendere […]una società che valorizzi la vita umana e lo stato di diritto”, [mentre] le notizie [che pubblica] dimostrano che Israele ha ordinato l’uccisione di migliaia di persone, contro il diritto internazionale. […]Trovo, nella maggior parte dei media mainstream, essenzialmente propaganda di guerra totale.

4.
Abbiamo una sfera [pubblica] priva di memoria, di storia e di fatti, in cui, ad esempio, passa inosservato che un Capo di Stato Maggiore dell’esercito. [ora] in pensione  [e] recentemente entrato a far parte del gabinetto israeliano, Gadi Eisenkot, era [stato] capo delle operazioni dell’esercito israeliano  [contro] il Libano. All’epoca [ si vantò] di aver sviluppato quella che chiamava la “dottrina Dahiya”. L’aeronautica israeliana aveva raso al suolo l’intero quartiere di Dahiya [a Beirut] e lui[aveva dichiarato]: “Applicheremo una forza sproporzionata e causeremo grandi danni e distruzione lì. Dal nostro punto di vista questi non sono villaggi civili, sono basi militari”. Ha anche promesso che “ciò che è accaduto nel quartiere Dahiya di Beirut nel 2006 accadrà in ogni villaggio da cui Israele verrà colpito”. Eisenkot è ora ministro. È una delle persone che pianificano questa guerra. Vi ha detto quello che fa: non rispetta il diritto internazionale umanitario. Ho scritto un articolo sul Journal of Palestine Studies a riguardo. Ora, mi aspetterei che il giornalista medio leggesse il Journal of Palestine Studies. Sfortunatamente [non accade]. […] Anche coloro che potrebbero [conoscere] queste cose non sono in grado di [trattarle, divulgarle]. Parlo continuamente con i giornalisti e so che tipo di storie [gli] viene chiesto di scrivere.  [Solo] occasionalmente, i giornalisti si oppongono.

5.
Il presidente degli Stati Uniti – la voce più alta del paese […]– ha […] paragonato Hamas all’Isis. [Anzi si è parlato di] “male puro” [di] “peggio dell’Isis”. Abbiamo fatto paragoni con l’11 settembre. Questo è il massimo che puoi raggiungere sulla scala apocalittica. Ciò corrisponde al copione israeliano, secondo il quale Hamas viene descritto come terrorista e nient’altro [ e si dimentica che] c’era un governo a Gaza [e che Hamas è] un’organizzazione politica, sociale, culturale, religiosa.

6.
La politica palestinese è in difficoltà particolarmente gravi in ​​questo momento. Quello che era il più grande rivale di Hamas, Fatah, è in declino a causa della sua associazione con l’Autorità Palestinese corrotta e inetta di Ramallah. L’Autorità palestinese ha sostanzialmente preso il posto dell’OLP, [anch’essa] moribonda […]. L’Autorità palestinese non ha una strategia. [Ha] un approccio diplomatico e nonviolento, ma con quasi nessun sostegno tra i palestinesi, dal momento che [esso è fallito] decenni mentre gli insediamenti si espandevano e i palestinesi venivano schiacciati in sempre meno spazio. Molti palestinesi odiano l’Autorità Palestinese perché esegue gli ordini di Israele ed è sostenuta dall’esterno. Questa è una costante della politica palestinese, che risale agli anni ’30: l’ingerenza dei paesi arabi e delle potenze straniere che si arrogano il diritto di parlare a nome dei palestinesi, o dividono i palestinesi, o indeboliscono i palestinesi, o li trattano come clienti. I paesi arabi e altri paesi vogliono utilizzare i palestinesi o le organizzazioni palestinesi per i propri scopi.

7.
L’Autorità Palestinese è sostenuta […] dagli Stati Uniti, dall’Europa e da un certo numero di paesi arabi. Hamas è sostenuto dalle potenze regionali: l’Iran, ovviamente, ma anche la Turchia, il Qatar e altri. Il regime iraniano, il regime di Assad, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e l’Egitto hanno tutti i propri obiettivi e i propri interessi nazionali. I palestinesi [devono superare questa dipendenza] se vogliono arrivare da qualche parte. Ma non sarà facile. Da dove verrà una nuova generazione di leadership [e] una strategia che porteranno i palestinesi verso i loro obiettivi – non lo so.

8.
Basta leggere o ascoltare la dichiarazione della persona che sembra aver architettato questo attacco, Mohammed Deif, il comandante militare di Hamas. Ha detto quali erano gli obiettivi [già al] primo giorno di questo attacco. Ha [ricordato] i tentativi di trasformare l’Haram al-Sharif, l’area attorno alla moschea di Aqsa, in un luogo di preghiera ebraica. Quando [sono stato] a Gerusalemme a marzo [ho visto]: gruppi di coloni israeliani, coloni religiosi, scortati credo da guardie di frontiera e polizia, entravano dalla porta Magharibah, la porta marocchina, e poi pregavano nell’angolo sud-orientale dell’haram, circa venti o trenta metri dalla moschea Aqsa. Ogni giorno dopo le preghiere del mattino cacciano via i fedeli musulmani, soprattutto giovani. Scacciano tutti e permettono a questi gruppi di coloni di venire a pregare. Questi gruppi sono diventati sempre più [numerosi]. Durante  il Sukkot,[1] giorni prima dell’attacco, è successo che migliaia di coloni siano venuti per pregare pubblicamente e collettivamente nel complesso della moschea.

9.
A quanto pare, l’attacco [di Hamas] era stato pianificato per due anni, quindi l’ultima escalation di questo processo non aveva nulla a che fare con esso, ma era un grido di battaglia. Quindi, se lo pensano davvero o se si tratta di uno stratagemma per conquistare l’opinione pubblica palestinese, araba e musulmana, è irrilevante. Chiaramente, questa è una motivazione. E Deif ha elencati altri [motivi]: l’assedio di Gaza, la colonizzazione strisciante e l’annessione della Cisgiordania, e il fatto che il governo israeliano opera come se la questione palestinese non esistesse. Si tratta di un modo indiretto per [sottolineare]che la normalizzazione è andata avanti in tutto il mondo arabo per molti anni, da quando Anwar Sadat si recò a Gerusalemme nel 1977. [ E che] è stata recentemente completata dal flirt tra Israele e Arabia Saudita […].

[Oggi chi ha affermato che] la questione palestinese [è poco importante] per gli arabi […]non dovrebbe mai più aprire bocca. Perché […]abbiamo visto manifestazioni in Egitto, Giordania, Turchia, Libano, Marocco, Bahrein. Alcuni [di  questi Paesi] sono [governati da] dittature [militari], dove a nessuno è permesso [di] manifestare [o di esprimere opinioni politiche]. Eppure, l’opinione pubblica in tutto il mondo arabo è esplosa a sostegno dei palestinesi. Ci sono state manifestazioni [senza precedenti]. Lo Yemen è un paese devastato, uno Stato fallito. Hanno una guerra civile, sono stati bombardati dai Sauditi e dagli Emirati per anni e anni, [eppure anche lì] sono [scesi] nelle strade a manifestare per la Palestina.

10.
Ho trovato circa quattrocento articoli pubblicati prima del 1914 in una dozzina di giornali arabi, dal Cairo a Damasco ad Aleppo, che parlavano di Palestina e sionismo. Le persone nel mondo arabo erano preoccupate per questo 110 anni fa. [Lo] erano durante la rivolta araba del ’36-’39, […]durante la Nakba, e [lo sono oggi]. I governi arabi hanno rappresentato questa preoccupazione? Raramente. Mai. A volte. Ma non è questo il punto. [Il fatto è che] sono regimi non democratici – monarchie assolute o dittature [militari], e non rappresentano nessuno e niente, tranne le loro cleptocrazie, le persone che si arricchiscono da esse e gli stranieri che le mantengono al potere con le armi o il sostegno diplomatico.

11.
Questo non riguarda solo il mondo arabo e nemmeno il mondo musulmano. Gli americani, gli europei, la bolla coloniale dei coloni bianchi, che produce una quota molto ampia del PIL mondiale e che ha un’enorme [influenza] mediatica, un enorme potere […] pensano ancora a se stessi come padroni del [mondo]. Sono una piccola minoranza della popolazione mondiale. [Ci sono] India, Cina, Indonesia, Pakistan, Bangladesh, Brasile: questi sono alcuni dei paesi più grandi del mondo, e le persone lì non hanno affatto la stessa visione della situazione. […].[Si] approfondisce il divario tra l’Occidente e il resto [del mondo]. Penso che tutto ciò sia iniziato con la guerra in Ucraina. Nella maggior parte del mondo, nessuno guarda alla guerra in Ucraina come fanno gli Stati Uniti e i suoi alleati europei, il che è visibile nel modo in cui l’Assemblea Generale ha reagito. Non è che le persone sostengano necessariamente la Russia. E’ che non la vedono nello stesso modo isterico e iperbolico degli Stati Uniti e dei suoi più stretti alleati [o] degli ucraini e degli europei dell’Est. Ciò che sta accadendo ora in Palestina accentua [questa divergenza] e diminuirà il potere, la posizione e la sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati. D’ora in poi, gli americani che parlano di diritti umani e democrazia saranno trattati come gli ipocriti più rancorosi e nauseanti. Nessuno crede a questa retorica nel resto del mondo, e con buona ragione.

12.
La parola “occupazione” non esiste nel lessico americano per quanto riguarda Israele. L’occupazione non è un [semplice] “ostacolo alla pace” . E’ un’imposizione aggressiva e violenta, progettata per trasformare la Palestina nella terra di Israele, come i leader sionisti hanno cercato di fare dai tempi di Theodor Herzl. Quindi, quando gli Stati Uniti belano sull’occupazione dell’Ucraina, e poi collegano Hamas e Putin, come ha tentato di fare Biden nel suo discorso allo Studio Ovale, nessuno [gli] crede, tranne le persone dell’Anglosfera, che sono ignoranti o hanno subito il lavaggio del cervello. Ma un sondaggio della CBS ha mostrato che la maggioranza dei democratici e degli indipendenti si oppone agli aiuti militari a Israele. La maggior parte degli americani è molto più sensata di coloro che ci governano.

13.
Tony Judt[2] ha scritto che Israele “è arrivato troppo tardi” ed [è stato] un anacronismo. [ Se l’idea] fosse stata lanciata nel diciottesimo secolo, avrebbe potuto avere successo. Sarebbe stato in linea con lo spirito di tempi,[in cui] gli europei bianchi avevano diritti, che i non europei [e] non bianchi non avevano, e potevano [impossessarsi]di qualsiasi area di terra e fare ciò che volevano. Della popolazione indigena. Questa è stata la [legge] della giungla da Colombo fino alla Prima Guerra Mondiale.

14.
Il sionismo non si è mai vergognato, nei suoi primi decenni, di descriversi come un progetto coloniale. Era ed è un progetto nazionale. Inoltre, era ed è un figliastro viziato dell’imperialismo. Perché Herzl andava dal Kaiser? Perché il primo presidente di Israele, Chaim Weizmann, andò dagli inglesi? Queste non erano potenze disinteressate, neutrali, simili alla Svizzera. Erano le grandi potenze imperiali dell’epoca, che avrebbero fatto il lavoro sporco [a favore del] progetto sionista. […]

15.
[Arrivo] a ciò che gli Stati Uniti hanno appena fatto, o hanno cercato di fare. Apparentemente il governo degli Stati Uniti era complice del piano israeliano volto a trasferire parte o tutta la popolazione dalla Striscia di Gaza all’Egitto, e possibilmente in altri luoghi. Non c’è dubbio che Antony Blinken stesse facendo proprio questo [piano], collaborando con Israele per rimuovere i palestinesi a completamento della pulizia etnica iniziata nel 1948.

16.
Questa è una guerra demografica. Tutti nel movimento sionista, in Palestina e nel mondo arabo, dagli anni ’20 e ’30 in poi, hanno capito che sostituendo gli arabi con gli ebrei si ottiene una maggioranza ebraica; se non lo fai, avrai una maggioranza araba. Ridurre quei numeri era ed è un obiettivo primario sionista. Che gli Stati Uniti si prestino a questo [piano],[è un fatto che], oltre ad essere forse un crimine di guerra, è […]assolutamente immorale. A nessuno che è stato espulso è mai [stato] permesso di tornare. Ogni arabo, ogni palestinese lo sa. Nessuno spinto in Egitto tornerà mai a Gaza o in qualsiasi altra parte della Palestina. La maggior parte di queste persone, ovviamente, sono già state sfollate. Sono la popolazione del sud della Palestina che fu cacciata nel 1948 e che è rimasta rinchiusa nella Striscia di Gaza[in questi] ultimi 75 anni. Spostarli di nuovo sarebbe un crimine.

17.
Ora, per varie ragioni – alcune gradevoli, altre sgradevoli – il governo egiziano ha rifiutato, sostenuto dai sauditi e da tutti gli altri nel mondo arabo: “Dovremmo diventare complici della vostra pulizia etnica dei palestinesi. Siete pazzi? Volete che perdiamo i nostri troni e le nostre fortune? Volete che veniamo rovesciati dal nostro stesso popolo perché siamo agenti di Israele e degli Stati Uniti?” Non penso che questo sia ciò che il presidente egiziano Abdel el-Sisi ha effettivamente detto a Blinken. O ciò che il principe ereditario ha effettivamente detto a Blinken. Si sono rifiutati persino di incontrare Biden. Sono regimi ai quali mi oppongo senza eccezioni, ma devo dire che hanno fatto la cosa giusta rifiutandosi di incontrare il presidente. E hanno fatto bene a dare a Blinken due meritati schiaffi in faccia. Il principe ereditario lo ha fatto aspettare dieci ore, Sisi lo ha rimproverato in una conferenza stampa pubblica. Questo è un segno di ciò che sta cambiando nella regione.

18.
La questione è: come si può avere uno stato ebraico a maggioranza sovrana in un paese a maggioranza araba? [Ad essa non si è mai trovata] una soluzione […]. [E resta] il ​​fatto che si è trattato di un processo coloniale [e che] ora lì ci sono due popoli, uno dei quali ha tutti i diritti e l’altro quasi nessun diritto. Ci sono stati tentativi di avvicinarsi […], ma penso che si possa tornare a ciò che disse l’ex primo ministro Yitzhak Rabin alla Knesset nell’ottobre 1995, prima di essere ucciso […], e cioè che qualsiasi entità palestinese creata attraverso Oslo sarebbe stata “meno di uno Stato”. Gli Stati Uniti hanno sempre [dato per contato] che Israele avrebbe continuato [a mantenere] il controllo su Israele e Palestina. [E che] lo Stato palestinese sarebbe stato meno che sovrano, che sarebbe stato un frammento di un frammento della Palestina storica. In altre parole, [non avrebbe avuto] nemmeno il 22% [del territorio]rimasto alla fine della guerra del 1948. Da quando Rabin salì al potere nel ’92 fino al suo assassinio nel ’95 e poi per tutto il resto del cosiddetto decennio di Oslo, Israele ha espanso gli insediamenti a un ritmo vertiginoso, conquistando più terra palestinese e facendosi beffe dell’accordo di Oslo.

19.
Chiunque dica: “Oh, i palestinesi hanno rifiutato un generoso piano di pace” non [tiene conto di] ciò che realmente stava accadendo sul terreno. Gli israeliani avevano altri obiettivi. Uno era la sistemazione permanente della maggior parte dei territori occupati. Un altro era il controllo permanente su tutto il territorio israelo-palestinese, [il che non] è compatibile con la sovranità […], nemmeno con uno Stato ridotto.[…] Basta leggere l’ultimo discorso di Rabin alla Knesset per capirlo.

20.
Ci sono molti palestinesi che non credono che Israele abbia il diritto di esistere. Ci sono molti palestinesi che non credono che esista qualcosa come il popolo israeliano, cosa che evidentemente, [invece], esiste. Gli israeliani sono un popolo. Molti palestinesi non si rendono conto che molti progetti coloniali hanno creato popoli. [Noi qui negli USA] viviamo in un progetto coloniale di coloni. Chiunque non faccia parte della popolazione indigena originaria è un colono. Ma come chiede il libro di Mahmood Mamdani Neither Settler nor Native , quando i coloni diventano nativi? Politicamente è una questione spinosa perché, anche se si accetta l’esistenza di un popolo israeliano e si afferma che i popoli hanno diritto all’autodeterminazione, [non si può ignorare che siamo davanti] a un processo di negazione dell’identità palestinese e dei diritti nazionali, di esproprio, di espulsione. e pulizia etnica. Tutte queste cose devono essere comprese e affrontate prima di riuscire a capire come questi due popoli possano venire a patti.

21.
Personalmente non ho problemi con le persone che vedono la Terra di Israele estendersi dal fiume al mare […]. La domanda è: quali conseguenze politiche e di altro tipo ne derivano? Se questo significa diritti assoluti ed esclusivi per un popolo e oppressione di un altro popolo, allora [è una cosa inaccettabile]. E lo stesso vale per la Palestina. “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”. Che cosa significa? Ebbene, se ciò significasse che i palestinesi non sono più oppressi [e che non opprimono gli israeliani [sarebbe un buon risultato]. Ma […]diversi palestinesi hanno opinioni diverse al riguardo. E penso che l’intensificazione della repressione e le azioni offensive intraprese dai governi israeliani nel corso di molti anni abbiano spinto i palestinesi [ad abbandonare la posizione che avevano] nel periodo di Oslo, quando erano disposti ad accettare una soluzione a due Stati, [anche] manifestamente ingiusta, purché [si intravvedesse la prospettiva di una] reale sovranità e statualità palestinese.

22.
Sono pessimista sul fatto che una di queste due soluzioni [Due popoli, due Stati; Uno Stato, due popoli] sia attualmente possibile. Israele e gli Stati Uniti hanno in pratica lavorato febbrilmente fin dal 1967 per garantire il controllo permanente israeliano sui territori occupati, per sistemarli in misura sempre maggiore e per assicurarsi che in nessun caso uno Stato palestinese indipendente [sorgesse]. La sovranità israeliana è sempre stata operativa ovunque nei territori che Israele ha conquistato nel 1967. E [gli israeliani] hanno fatto tutto il possibile per consolidare la Cisgiordania e trasformarla in Israele. […]. Hanno provato a sistemare anche Gaza, ma vi hanno rinunciato nel 2005. Il governo degli Stati Uniti [finanzia con] centinaia di milioni di dollari esentasse il progetto di insediamento [dei coloni]. Arma gli israeliani [e dà] sostegno diplomatico, veto dopo veto nel Consiglio di Sicurezza, a questa […]distruzione della Palestina. La maggior parte di coloro che parlano di una “soluzione a due Stati” non[la vogliono]. Non intendono uno stato palestinese indipendente e sovrano sui territori occupati nel 1967. Intendono un qualche simulacro, uno stato Potemkin. Questo è ciò che intendono.

23.
Allora, come si fa a far vivere insieme [due popoli] nello stesso Stato dopo il sangue versato [e che] temo continuerà ad essere versato? Non lo so. Non credo che nel breve termine ci siano motivi particolari per essere ottimisti su qualsiasi soluzione.

24.
D’altronde tutti pensavano, fino al 7 ottobre, che il mondo arabo fosse moribondo e se ne fregasse della Palestina. Le cose sono cambiate molto rapidamente. L’opinione pubblica israeliana è decisa alla vendetta, spinta dal dolore e dalla rabbia – in particolare, per le vittime civili, ma anche per il crollo di ogni dottrina [sulla sicurezza garantita dall’esercito israeliano]. Chiaramente, il popolo israeliano non è sicuro. Chiaramente, tutto ciò che tutti pensavano fosse sbagliato, non solo riguardo ad Hamas ma anche riguardo alle capacità militari israeliane.

25.
Quindi in questo momento non [avremo] alcuna svolta verso la pace. Il lutto andrà avanti per molto tempo. E se gli israeliani sono addolorati e infuriati, lo sono anche i palestinesi. Al momento il numero delle vittime civili palestinesi è enorme e non conosciamo ancora il conteggio finale.
Ma si spera che qualcuno, da qualche parte, cominci a dire che l’approccio politico di Israele è completamente fallito. Non si può continuare a martellare i palestinesi con la violenza senza aspettarsi una risposta violenta. [Dicendo questo non giustifico] nulla, è semplicemente per spiegare che, se si applica questo tipo di pressione su una popolazione, questa si solleverà in modi che potrebbero essere orribili [e anche] politicamente o moralmente sbagliati. Se applichi una pressione intensa e incessante, ci saranno esplosioni.

 

 

 

Rashid Ismail Khalidi (nato nel 1948) è uno storico palestinese-americano del Medio Oriente e professore di studi arabi moderni alla Columbia University.  È stato redattore del Journal of Palestine Studies dal 2002 al 2020, quando è diventato co-editore con Sherene Seikaly. È autore di numerosi libri, tra cui The Hundred Years’ War on Palestine and Palestinian Identity: The Construction of Modern National Consciousness; è stato presidente della Middle East Studies Association; e ha insegnato presso l’Università libanese, l’Università americana di Beirut, l’Università di Georgetown e l’Università di Chicago. 

Note

[1] Il termine Sukkot o Succot si riferisce a una festa di pellegrinaggio che in Israele dura sette giorni, otto al di fuori di Eretz Israel. I primi due e gli ultimi due sono di Yom Tov. È conosciuta anche come festa delle capanne o festa dei tabernacoli. Nell’ebraismo è una delle festività più importanti

[2] Tony Judt è stato uno storico britannico, residente negli Stati Uniti. Specializzato in storia europea, ha ricoperto il ruolo di Erich Maria Remarque Professor in European Studies all’Università di New York dove ha diretto l’Erich Maria Remarque Institute

9 pensieri su “Un’intervista a Rashid Khalidi

  1. A parte che Hamas è – nei fatti – terrorista quanto Israele, direi che l’analisi è corretta. Temo però che come avendo due Stati indipendenti, l’odio non diminuirà: perché i Palestinesi avranno comunque sangue da vendicare e recriminazioni anche con questa soluzione, da un lato; e dall’altro i governi israeliani percepiscono (non a torto) tutti i Paesi arabi come nemici, uno Stato in cui le due etnie convivono è ormai impossibile. Quindi meglio il male minore.

  2. Il professor Khalidi ha perfettamente ragione. Israele è un progetto coloniale che non avrebbe mai dovuto vedere la luce e il popolo ebraico sarebbe dovuto rimanere lì dove era prima. Oramai il danno è stato fatto però e i palestinesi non possono che ribellarsi all’occupazione con tutti i mezzi a loro disposizione. Ma è un’impresa disperata – spiega il docente – perché la potenza statunitense veglia come una chioccia sulla testa di ponte coloniale israeliana, unica base militare americana nella marea di un miliardo di arabi autoctoni della regione del Medio oriente. E tutti i mezzi di comunicazione reggono loro la coda. Le proposte di pace, cartine alla mano, erano inique e inaccettabili, i paesi arabi hanno lasciato soli i palestinesi senza neanche tentare di combattere Israele. Hamas fa quello che può, ma come si fa a organizzare una vita civile dignitosa in una prigione a cielo aperto?
    Gli israeliani non rispettano moschee e ospedali, università, infrastrutture; le loro agenzie di stampa diffondono solo bugie e nella bolgia l’unica voce che potrebbe raccontare la verità, quella dei palestinesi, viene regolarmente imbavagliata. Hamas è un’organizzazione politica, sociale culturale e religiosa, scelta con regolari elezioni nel 2006 per governare Gaza. Tutti si sentono in diritto di parlare a nome del popolo palestinese, l’Iran, la Giordania, il Qatar, la Siria, ma sono ingerenze esterne indebite, e è il popolo da solo a decidere cosa vuole o cosa non vuole. La Palestina storica è l’unico punto saldo di riferimento, senza coloni, senza muri, senza profanazione di Al Quds e senza violenza.

    “Eppure lo sappiamo:

    anche l’odio contro la bassezza
    
stravolge il viso”. (B. B.)

  3. A me pare reticente e puerile rispondere con il sarcasmo di un’apparente approvazione alle posizioni di Khalidi invece di valutare quanto in esse ci sia di vero – e dunque da condividere – o di falso – e dunque da criticare.

  4. Non ho nulla da criticare nelle posizioni del palestinese Khalidi le quali sono, dal suo punto di vista, perfette. La “mesta ironia” riguarda noi, non lui.

  5. Ennio, hai pubblicato un articolo di un professore palestinese che ripete, grossomodo, quello che tutti i compagni stanno scrivendo o dicendo. Io sostengo che la propaganda, anche se condotta con le migliori intenzioni, sia un disastro. Cosa dovrei fare? Dire che dal Kaiser di turno ci andarono tutti e non solo i sionisti? E poi tu mi chiederesti un link a qualche documento storico che non ho il tempo né la voglia di rintracciare per altri, e via dicendo. Ma che almeno questo sia chiaro: o iniziamo a criticare anche le posizioni e le idee arabe (e palestinesi) sulla situazione o si continuerà stancamente a ripetere le formule sul colonialismo, l’America, etc. etc. che non hanno portato, nei decenni trascorsi, nulla di buono ai palestinesi, o agli ebrei.
    Io ho fatto un riassunto di quanto scritto da Khalidi, e non mi pare proprio di aver distorto alcuna parte ma, ripeto, se quello è il nostro miglior pensiero, siamo più che inutili. Ricordo il Presidente Mao: prima fai l’analisi spietata dei tuoi errori, dopo sarai pronto a discutere con il nemico.

  6. “che almeno questo sia chiaro: o iniziamo a criticare anche le posizioni e le idee arabe (e palestinesi) sulla situazione o si continuerà stancamente a ripetere le formule sul colonialismo, l’America, etc. etc. che non hanno portato, nei decenni trascorsi, nulla di buono ai palestinesi, o agli ebrei.” (Partesana)

    Non mi pare di aver mai escluso le critiche a posizioni e idee “arabe (e palestinesi). Non è, però, l’obiettivo di questa mia rubrica che, in ricordo di Fortini, ho voluto intitolare “Composita solvantur. Letture e riflessioni sul conflitto Israele-palestinesi”, dove pubblico testi e autori che incontro nelle mie (insufficienti) esplorazioni on line e che mi paiono interessanti o che potrebbero interessare altri.
    Se tu vuoi proporre testi più mirati all’obiettivo che a te pare urgente, sai che qui c’è spazio.

    P.s.
    Non ho giudicato l’intervista a Khalidi ” propaganda, anche se condotta con le migliori intenzioni”. ( La stessa selezione che ho fatto dei brani dal testo completo dell’intervista dovrebbe dimostrarlo).

  7. Complimenti a Ennio per la sintesi e per l’editing alla traduzione del blog, che in alcuni punti era terribile. Credo sia molto importante questa intervista a Khalidi perché ha il coraggio di sviscerare in modo disilluso la situazione concreta sul campo, che raramente viene inquadrata in modo nudo e crudo nei media mainstream. Le posizioni di Khalidi sono simili a quella di vari ebrei israeliani di sinistra o pacifisti inizialmente sionisti che poi si sono accorti che Israele non ha mai avuto intenzione di dare ai palestinesi uno stato vero, autonomo, con un esercito, che non fosse sotto il controllo di Israele – con la differenza che questi ebrei si battono ora per uno stato unico binazionale chiedendo il boicottaggio di Israele (due esempi: Gideon Levy, giornalista di Haaretz e Jeff Halper, pacifista americano migrato in Israele dopo le lotte con ML King).
    Qui l’intervista di Khalidi in lingua originale:

    https://www.thedriftmag.com/a-desperate-situation-getting-more-desperate/?fbclid=IwAR1v9zxWCCsNOnvJN98BeaMrofGEbtZLx-Xjv2ThVMmT9sqsSZD5PWBUKjw

  8. Aprofitto per riportare qualche stralcio dell’intervista al sociologo di Tel Aviv Moshe Zuckermann, comparsa sul Manifesto due settimane fa, che si connette al post iniziale:

    1) Lei pensa che abbia senso un’analisi se quanto successo il 7 ottobre viene rappresentato solo come conseguenza dell’occupazione? Dov’è secondo lei il confine tra un’azione di resistenza che è completamente legittima anche ai sensi della legalità internazionale e il terrorismo?

    –I palestinesi in linea di principio hanno il diritto a resistere perché sono sotto occupazione. Il fatto che poi degeneri – è stato un pogrom, non resistenza: non sono state attaccate forze militari, ma civili, donne, bambini, neonati – è un eccesso che in nessun caso può essere accettato. Queste persone hanno agito in modo barbaro. Ma resta il fatto che i palestinesi non hanno un esercito ma solo formazioni di combattimento più vicine alla guerriglia o al terrorismo. Non hanno un’aviazione, né squadroni di carri armati. Ma rispetto a quello che abbiamo vissuto in Cisgiordania durante la seconda Intifada, quello che è successo il 7 ottobre è uno stato di eccezione. Quel giorno hanno effettivamente agito dei terroristi, non combattenti per la libertà. […] Ma devo aggiungere due cose: la prima è che la barbarie può essere commessa anche con attacchi aerei, lo stesso donne e bambini vengono fatti a pezzi; la seconda è che Hamas per me non è mai stato un movimento di liberazione. Per me i movimenti religiosi fondamentalisti non sono movimenti di liberazione. Io sono un marxista, ritengo che la religione non possa essere una motivazione per la liberazione se non va di pari passo con idee di emancipazione. Dal momento che Hamas è fondamentalista religioso, per me non è di una virgola migliore dei fondamentalisti religiosi che abbiamo da noi. I coloni della Cisgiordania non sono affatto migliori. Loro non hanno bisogno di uccidere bambini – anche se pure questo è successo – perché hanno i militari. I militari agiscono in maniera più elegante, hanno gli aerei da combattimento con i quali bombardano.

    2) Cosa pensa degli episodi di antisemitismo che ci sono stati nel mondo e che tipo di reazioni ci sono in Israele? Il 7 ottobre può mettere in discussione l’idea di Israele come luogo sicuro per gli ebrei?

    –Io penso che Israele strumentalizzi il concetto di antisemitismo, ma penso anche che sia legato alla mancata distinzione tra antisemitismo, antisionismo e critica nei confronti di Israele. È possibile che quando si critica Israele ci siano anche elementi di antisemitismo, ma credo che la ragione principale sia soprattutto legata alla guerra e alla reazione che Israele ha avuto. [—] Israele tra l’altro non ha nulla contro l’antisemitismo. Lo dico da anni. Quando c’è antisemitismo all’estero, per Israele è meglio perché può dire “noi siamo il luogo più sicuro”. […] La tematica dell’antisemitismo è strumentalizzata: non ci si chiede quali siano le ragioni per le quali Israele agisce così e perché quindi si è critici verso Israele, o perché si reagisce in modo antisemita o antisionista. La domanda non viene posta perché c’è un elefante nella stanza che è l’occupazione, da oltre cinquant’anni in Cisgiordania, sulle alture del Golan…e anche se Israele nel 2005 si è ritirato da Gaza, questa è completamente sotto controllo israeliano. Se Israele vuole, nella Striscia non c’è elettricità, non c’è carburante, se Israele vuole nella Striscia non c’è neanche lavoro. Fino a quando questo durerà, Israele non può pensare di essere lasciato in pace. I palestinesi hanno buon diritto di opporre resistenza, non come il 7 ottobre, ma hanno diritto di resistere. Sono un popolo tiranneggiato da Israele, tenuto sotto un’occupazione repressiva. Hanno il pieno diritto di resistere. Se si guarda a come Israele ora sta radendo al suolo Gaza, ci si può immaginare che la prossima generazione di palestinesi che odierà profondamente Israele stia già crescendo. Fino a quando non si mira alla soluzione politica, si ripeteranno di nuovo catastrofi come quella che abbiamo vissuto non solo il 7 ottobre, ma ora a Gaza.

    3) ’imbarbarimento cresce da entrambe le parti: di là ci sono infatti i coloni.

    —Se si vuole arrivare alle ragioni dell’imbarbarimento, bisogna avere chiaro che il conflitto israelo-palestinese non è un conflitto religioso o etnico, è un conflitto territoriale che risale almeno a 75 anni fa, da quando esiste uno Stato di Israele, ma fondamentalmente già da quando il movimento sionista è arrivato in Medio Oriente e ha cominciato a stabilirvisi. Da cinquant’anni si è consolidato un regime di occupazione che ha distrutto la possibilità della soluzione “due popoli, due Stati”. Occorre quindi cercare altre soluzioni politiche. Finché mancherà un approccio politico, finché non si vorrà risolvere il conflitto ma – come dice Netanyahu – “amministrarlo”, finché ci sarà questa occupazione, ci potrà essere solo escalation.

    4) Lei si definisce un antisionista.

    —Non mi definisco antisionista, mi definisco non sionista. Antisionista è chi pensa che il sionismo non avrebbe mai dovuto vedere la luce. Ci sono anche ebrei che lo pensano, in particolare ultraortodossi, che ritengono che il regno degli ebrei non possa vedere la luce fino a quando non arriverà il Messia. Ci sono stati tempi in cui nel giorno dell’indipendenza appendevano drappi neri, come in un giorno di lutto. Altri antisionisti erano anche certi ebrei comunisti, i cosiddetti bundisti. Io non sono mai stato antisionista nel senso di affermare che il sionismo non avrebbe mai dovuto vedere la luce. I miei genitori sono sopravvissuti ad Auschwitz, dopo la Shoah la nascita di uno Stato per gli ebrei è stata a lungo per me una necessità storica. Ma il fatto che sia stato realizzato sulle spalle dei palestinesi, che il torto subito dagli ebrei dovesse essere riparato attraverso uno Stato fondato e legittimato da una nuova ingiustizia, mi ha portato a dire “che tipo di sionista sono?”. Quando ho visto che Israele non vuole affatto la pace ma è interessato unicamente a fomentare guerre inutili, a guadagnare spazio per le colonie ebraiche, allora mi è stato chiaro che non avevo più niente a che fare con questo sionismo. Mi sono convinto che il sionismo ha imboccato un tale vicolo cieco che non ha possibilità di sopravvivere. Israele è diventato sempre più fascista, più razzista, è diventato uno Stato di apartheid. Si può discutere se il sionismo originario sia o no un movimento coloniale, ma a me pare chiaro che l’Israele in cui sono nato nel 1949 aveva già messo in atto la Nakba, il disastro nazionale per i palestinesi, ma stava anche costruendo una società civile, soprattutto a fronte del fatto che gli ebrei nel XX secolo avevano subito qualcosa di gravissimo. L’Olocausto è stato una cesura come mai prima nella storia ebraica.

    5) È possibile arrestare il declino di cui parla nel libro “Il destino di Israele”?

    —Non intendo declino come evento metafisico o mistico, piuttosto come qualcosa che strutturalmente si lega all’agire storico del sionismo. Il sionismo dopo il 1967 non voleva restituire i territori occupati. Tutti i governi israeliani, anche quello di Rabin, hanno costruito insediamenti. E oggi abbiamo a che fare con 650.000 coloni ebrei in Cisgiordania. Questo significa che se oggi si vuole ancora implementare la soluzione dei due Stati, bisogna fare in modo che se ne vadano da lì. Se si è minata la soluzione dei due Stati – è stata l’opera della vita di Ariel Sharon – bisogna confrontarsi con un dato di fatto: ormai tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, è nata una struttura binazionale. Non dico ancora Stato, dico struttura. Perché palestinesi e ebrei sono circa 50/50 in questo territorio. Questa struttura può essere ratificata democraticamente verso uno Stato unico di tutti i cittadini. Ma se questo non viene fatto, allora ufficialmente ci si è accomodati in uno Stato di apartheid. Perché gli ebrei con il loro Stato dominano una minoranza che già non è più una minoranza, siamo già a una suddivisione paritaria del paese. Questo il vicolo cieco nel quale si è andato a cacciare il sionismo e per il quale non ha una soluzione perché è diventato ufficialmente uno Stato di apartheid. Per questo dico che il sionismo porta avanti il proprio declino: se diventato uno Stato di apartheid, è diventato un paria nella popolazione mondiale, prima o poi si ripresenterà la situazione del Sudafrica.

    6) E dall’altra parte secondo lei c’è qualcuno lo vuole?

    –Non è possibile chiedere niente ai palestinesi perché sono sotto lo stivale degli israeliani. […] Ci sono persone del genere tra quelle che Israele tiene prigioniere, per esempio Barghouti. Ma al momento è inattuabile perché Israele, soprattutto sotto Netanyahu, ha spazzato via la soluzione politica. Nessuno oggi in Israele parla di occupazione o soluzione politica. La pace sembra essere la più grande minaccia. Le forze fasciste nazionalreligiose ormai si sono rafforzate così tanto che non sono più solo un’appendice ma un fattore nella politica israeliana. […] E’ un tema quel che vogliono i palestinesi, ma al momento sono costretti a volere quello che gli israeliani rendono possibile e gli israeliani al momento non rendono possibile niente.

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