Giovanni Fattori, La libecciata (1880-1885 circa
di Donato Salzarulo
Mi piace scrivere al vento. Mi piace scrivere sapendo che non mi leggerai. Il castagno, che a maggio si colora di rosa coi suoi fiori a grappolo, alla festa d’Ognissanti non ha più foglie. È chioma scheletrita, immobile.
Qualche giorno fa, al tramonto, sul filo più alto della corrente, quasi vicino al pilone, una schiera di storni attese il buio. Il giorno dopo non c’era più. Era volata verso il caldo. Ciò che possono fare gli uccelli migratori, non è consentito ai palestinesi di Gaza. Devono morire sotto le bombe. Non li vuole nessuno. Neanche gli egiziani al confine Hamas li vuole martiri, scudi umani. Netanyahu li vuole morti o espulsi. Espulsi dove? Che fortuna sarebbe per un bimbo palestinese diventare storno. Da giovane ho manifestato migliaia di volte. Gridavo: «il proletariato non ha nazione, internazionalismo, rivoluzione» Lo dicevo in italiano, ma mi sentivo libero di volare in qualsiasi parte del mondo. Avrei dovuto adattarmi a nuovi volti e lingue. Avrei dovuto lavorare, cercare qualcosa da mangiare, rifarmi una vita, Oggi è tutto un fiorire di nazionalismi, di prigioni dell’anima, di muri, di confini spinati. È tutto un andare avanti e indietro di carri armati. Piuttosto che morto, esiliato. Che delusione Giordano. Tutto schiacciato sull’Evento. dello sterminio di civili israeliani. Criminale l’attacco di Hamas. Spettacolare. Un atto disumano, feroce, ingiustificabile. Ma comprensibile forse. Prevedibile che un gruppo militare, terroristico intervenga cinicamente su una tragedia storica per stimolare il desiderio di vendetta dei palestinesi o di riflesso degli israeliani. Nessuna vendetta porta giustizia. Nessuna guerra. Nessuna legge del taglione riporterà in vita un morto mille morti, duemila, tremila, dieci mila… Dare sangue da bere alle famiglie degli assassinati. Tutta qui la storia. Nessun eroe finirà in paradiso per questo. Non lo vuole Javhé né Allah. Diventeranno ossa avvolti nelle loro lenzuola o rinchiusi nelle loro bare. Le guerre le amano soltanto i costruttori di armi, gli azionisti che vedranno gonfiarsi i loro portafogli coi fantasmi degli uccisi palestinesi o israeliani. Io sono un Niente che parla, io scrivo al vento. Oggi ho avuto la fortuna di mangiare il mio piatto di pasta, ma non sono contento. Non sono felice dei miei simili. Mi addolora il loro dolore, mi fa star male il loro odio reciproco, il loro infinito rancore. Non so se questi sentimenti muovono il mondo. A me sembra un abisso, un baratro assai profondo. Ognissanti 2023
SUBLIME IL COLPO Sublime il colpo d’artiglieria israeliano fotografato sul Corriere della Sera del sedici ottobre. A prima vista fa pensare alla cascata dei fuochi d’artificio o a un salice piangente, poi, a guardarlo bene, verso il centro appare l’ombra della morte: il cranio, il tronco le spalle, le ossa lunghe delle gambe, i tentacoli sbilenchi di uno scheletro. Memorabile la bellezza della guerra!... Memorabili pure i rimbrotti degli editorialisti che ci vorrebbero in tuta mimetica, giubbotto antiproiettile ed elmetto. «Noi italiani – dicono – siamo pappamolla da settant’anni. Bello vivere sotto l’ombrello americano della NATO! È ora di svegliarsi. Ai popoli s’addice la tragedia, non la commedia» Non penso a me quando leggo queste retoriche guerresche. Penso ai figli e ai nipoti. Penso a tutti quelli che dovranno convincersi che sono belli anche i resti di alcuni edifici residenziali colpiti dai missili. I fotografi ne vanno pazzi. Sulle rovine si faranno affari d’oro di ricostruzione. Peccato che le persone di vita ne hanno una sola e non potranno partecipare ai banchetti dei vincitori. “La pace è finita” annuncia un esperto di geopolitica. Siamo entrati in una fase turbolenta della nostra vita. Ognuno deve prendere parte alla partita e decidere che ruolo giocare. Come se davvero fosse così. Il mio ruolo, comunque, è chiaro. Sono contro tutte le persone attualmente al governo in qualunque parte del mondo. Sono contro il potere guerresco, armato, contro quello che in gioventù chiamavo “il complesso militare industriale”, Sono contro le teocrazie e le democrazie oligarchiche. Sono contro i nazionalismi, le invasioni e le occupazioni, sono contro i terrorismi. Sono contro le torture, le polizie morali, le pene di morte. Sono perché ogni persona possa vivere liberamente la sua unica vita. 26 ottobre 2023
poesie che toccano nel profondo e sanno far trasparire il sentire comune davanti ai fatti di guerra che ci arrivano da immagini e commenti presentati dai mass media…dove la guerra ormai è sdoganata come fosse la minestra che mangiamo tuti i gioirni…Veniamo aggiornati persino sulle strategie militari, la raffinatezza e la potenza degli armanenti in uso…non sfugge la bellezza di certe esplosioni, come i fuochi d’artificio per la festa di Sant’Antonio…se non che lo scheletro gigante della morte ne è la controfigura
L’abbandono della ricercatezza nel verso e la ricerca della semplicità di un liguaggio vicino alla prosa , rendono uniche e limpide le poesie di Donato Salzarulo
Cara Annamaria ti ringrazio per il commento. Hai evidenziato con esattezza l’intento espressivo di questi semplici versi o riga-versi, quanto mai inadeguati rispetto alla tragica situazione della guerra in corso fra Stato israeliano ed Hamas.
io sono ridotta al silenzio, non ho pensieri né parole. grazie a Donato che è riuscito a trovare un filo che rompe quel silenzio paralizzante.
“Il piacere di scrivere al vento”: alcune osservazioni
“Criminale l’attacco di Hamas. Spettacolare. Un atto disumano, feroce, ingiustificabile. Ma comprensibile forse. Prevedibile che un gruppo terrorista…”. Io penso che nemmeno una estrema e lunga repressione, com’è quella di Israele, possa aiutarci a comprendere le efferatezze compiute da Hamas. Prevedibile, invece, la reazione di Israele, cioè la guerra genocida portata avanti da un governo che ha il sostegno delle forze dell’estremismo religioso, antiarabo e razzista.
Il massacro di civili innocenti da parte di Hamas è il risultato di un fallimento politico enorme, del rinnovato e tragico errore di non riconoscere l’esistenza di Israele e di perseguire il genocidio degli ebrei. Negli ultimi vent’anni i palestinesi di Gaza sono in un vicolo cieco, senza prospettiva politica. Hamas li ha privati persino della dignità della rivolta.
“Spettacolare” è proprio il termine che indica lo spirito del terrorismo: la propaganda della morte, la diffusione istantanea di immagini sempre più brutali (con la bodycam sul fucile si spara a un bimbo sotto gli occhi del padre, o al padre sotto gli occhi del bimbo, si oltraggiano i corpi seminudi trasportati sui pick-up. E altro.)
“Il piacere di scrivere al vento”. Trattandosi di versi che nascono dalla tragica e bruciante attualità, mi chiedo da dove il poeta – che immaginiamo davanti al piatto di pasta evocato in una delle poesie, gli occhi fissi su schermi saturi di atrocità – possa trarre questo piacere.
Trovo sentimenti contraddittori in “Sublime è il colpo”. Qui il poeta, guardando una foto sulla prima pagina di un giornale – l’esplosione di un razzo intercettato dalla contraerea israeliana – vede disegnarsi alta in cielo, tra il fumo, l’immagine di uno scheletro. Una spettrale radiografia. Potrebbe bastare. Ma la visione della morte è come incorniciata da due versi, il primo e l’ultimo, in cui lo sguardo sembra indugiare sull’immagine “spettacolare” della danza macabra nel cielo di Gaza. E non capisco l’enfasi con cui viene salutata la visione:” Sublime è il colpo”, appunto, e “Mirabile è la bellezza della morte!” Due aggettivi, “sublime” e mirabile”, scherzosi e iperbolici che, seppur corretti dall’ironia, risultano come due esclamazioni di esultanza. Il poeta si sente gratificato per aver colto la morte in flagrante opera di distruzione? Con questa sinistra e involontaria allegria, si ritorna ai triti fatti, ai “rimbrotti”, alle polemiche giornalistiche?
Nell’ultimo testo si avverte la mancanza di immagini e di tensione nella scrittura. Il poeta tenta di affermare il proprio ruolo e la propria identità-contro: “Il mio ruolo, comunque, è chiaro”. Non mi convince la disinvoltura con cui si passa da “Io sono un Niente che parla, /io scrivo al vento”, dall’io, insomma, sempre più ridimensionato e nullificato – ma una coscienza poetica può mai essere un niente? – al momento politico, costruito su un discorso tutto anaforico – “Sono contro” ripetuto sei volte – generico e volontaristico. Avrei visto meglio come conclusione le belle immagini contenute nelle prime due poesie, quella degli storni che volano via, immagine di levità e di libertà, e “la chioma scheletrita” del castagno, che evoca la morte ma conserva una possibilità di fioritura e di speranza.