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Da «Ziantò (e nonna Lenuccia)»

di Luigi Greco

Questi brani sono tratti da «Ziantò (e nonna Lenuccia)» un bel libro, per ora inedito e a circolazione amicale, di memorie familiari che s’intrecciano con quelle della storia di una citta del Sud, Taranto, dai primi anni del Novecento ai Sessanta. Ziantò e la moglie Lenuccia – le due leggendarie figure rievocate con affetto e con toni da narrazione popolare dal nipote Luigi Greco, autore del libro – attraversano gli anni duri del fascismo, quelli della sua capitolazione e quelli del dopoguerra e della ricostruzione. E compaiono con i tratti netti e senza fronzoli o ambivalenze della umanità resistente di quell’epoca: lui, militante anarco-comunista assuefatto alle dure leggi della clandestinità antifascista ma anche spirito beffardo e capace di ironia e generosità anche contro chi lo perseguita; lei, di formazione cattolica e più esterna all’ideologia antifascista del marito, ma altrettanto combattiva e, pur sempre accanto a lui, capace di indipendenza femminile. Faccio notare che Ziantò è il padre di Michele Turi, che ho ricordato qui. [E. A.]

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Sulla violenza nella storia

La questione della violenza nella storia, ora anche in una dimensione “gobalizzata” (in passato affrontata su Poliscritture almeno qui, qui, qui e qui), resta irrisolta . Meglio insistere a interrogarsi sul fenomeno. Da tutti i possibili punti di vista. Senza mai arrendersi all'”evidente” e finire per sublimarla o esorcizzarla. Va bene anche partire da materiale “datato” o “passato” o riflettendo a distanza di anni da questo o quell’evento traumatico. All’indomani della discussione scaturita dal post di Donato Salzarulo sugli anni ’70 (soprattutto nella sua seconda parte: qui) e per continuare ad approfondire, pubblico dal mio “Riordinadiario 2005” le ben meditate e ancora lucidissime e attuali “Sette tesi sul terrorismo nel Ventunesimo secolo” di Peppino Ortoleva. Apparvero il 5 agosto di quell’anno sul sito della LUHMI (Libera Università di Milano e del suo hinterland, promossa da Sergio Bologna) e vale la pena rileggerle e rifletterci. Aggiungo il mio intervento e le conclusioni dello stesso Ortoleva (purtroppo non più accessibili on line a quanto vedo, ma di cui avevo conservato una copia). Chi volesse conoscere il resto della discussione lo trova qui (andando in ‘Archivio’ > ‘Sul terrorismo’). Un’ultima precisazione. Ad Ortoleva, che nella sua replica scriveva: «La mia posizione sulla violenza politica implica un corollario, su cui credo Ennio non sia d’accordo. In materia di violenza politica l’etica della convinzione (per rifarci al binomio weberiano rimesso in circolazione da Bobbio) non serve a nulla: se si agisce sul terreno della storia è su questo che si deve essere giudicati; se si coinvolgono altre vite non si può pretendere di essere giudicati solo sulla propria coscienza», rispondo sia pur a distanza di anni di concordare invece in pieno con lui: no, per me pure non è la coscienza individuale (o soggettiva) a misurare da sola il valore di un’azione. Lo può essere (forse) un “io/noi” capace di proporre e attuare – fosse solo per poco tempo (nella storia le rivoluzioni sono lampi) – un progetto razionale e condiviso evitando sia i deliri incontrollati dell’”io” sia quelli standardizzati dei “noi” eterodiretti. [E. A.]

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