Tre poemetti da “ODISSEO NOTTURNO”

di Lidia Are Caverni

Lidia Are Caverni ha scritto da una vita versi, racconti e romanzi e continua a scriverne. Numerosi sono gli interventi critici sui suoi lavori, alcuni tradotti in varie lingue. E attualmente, continuando ad interessarsi a studi di carattere antropologico, storico e linguistico, collabora con  diversi blog letterari. Nei poemetti che mi ha inviato per Poliscritture ce ne sono diversi (“Il Ciclope risvegliato”, “Proserpina”, “Odisseo notturno”)  che rielaborano le figure del mito, addolcendone  – a me pare – i tratti oscuri, ambivalenti e anche  minacciosi. Ho scelto però di pubblicare tre testi:  “La casa”, dove le figure arcaiche del mito sono assenti e un simbolo di solitudine si offre in tutta la sua dichiarata finzione; “Incantesimo”, per  la immersione quieta e solenne in un paesaggio trasognato;  e  “ Oscure meraviglie”, dove l’osservazione dei fenomeni naturali vuole essere più oggettiva. Con l’intento non  di mettere tra parentesi  la sua produzione su temi mitici ma di evidenziare la levità del suo sguardo poetico, che – mia ipotesi interpretativa – ha altre origini. (Riporto comunque in Appendice  il primo componimento omonimo di “Odissseo notturno” e invito a leggerne altri apparsi sul Web, in modo che  i lettori si facciano la loro opinione). [E. A.]

LA CASA

(1991)

Splendide dannazioni
s’intrecciano alle colonne
del portico
è la casa un po’ demodée
dove trascorri i tuoi giorni
non cercheresti altrove
fauni e zampogne
per i riposi agresti
pago riponi i lenti fagotti
nel ripostiglio del tempo
prodigo solo di memorie
che con le briciole dispensi
agli improvvisi visitatori

Alati si posano
sui gradini di casa
di guano imbrunano
gli intarsi
inghiottono i ritagli
del tempo che rapidi
trasformano in escremento
il tuo volto rimane levigato
perché il passato
non è zavorra ma fertile
concime a nuove sementi
nutrimento

Rapide scendono sere
mi cerchiano
bambini
frementi aspettano
che si spezzi l’ora
è la tua voce un filamento
che ogni soffio unisce
ogni frullo
tramite d’incanti

Guerrieri danzano
nelle antiche gesta
eroi vincono draghi
vanno solitari i poeti
disegnando arazzi
immobili ridono le immagini
maschere grottesche
di zampilli prorompono
a inondare il giardino
di profumi di fiori
e d’acque

Quieti più non avrai
che queste
e quella che dopo verrà
a disperdere nel vento
le parole
vuota la casa chiuderà
finestre
sconsolati cesseranno
i voli
altri volti vedranno
le splendide dannazioni
nell’invincibile cerchio
che ogni cosa chiude
solo un bisbiglio resta.

 

 

INCANTESIMO

(1991)

Dalle condotte scorrono
i residui delle trascorse
alluvioni
abbeverarti non potresti
che di acque salse
somigliano alle lacrime
che a volte ti rigano
il viso quando sei solo
e pensi alle passate stagioni

Nel grembo affondi le mani
molti soli hanno curvato
orizzonti e non sai più
se aspetti mattini
eternamente sognati
dal consueto uccello
deposti sui rami sul tetto
nel vano fare e disfare nidi

Persino il gallo disdegna
l’inetta sua prole
la civetta annienta di sguardi
chiunque s’accosti
e rimane ad avvolgersi
di saggezza dove senti persa
la tua e cancelleresti il tempo
per annientarti

Dove andavano i gridi
le tane nascoste dei sorci
fra le travi di stanze
percorse di stanca freschezza
come i bucati già sporchi
distesi sui fili di soffitte
annerite dall’ombra e le soste
saporose di spighi

Perché compagni tacciono
gli aliti di vento
sono solo bisbigli di voci
che non sanno parlare
alle tue orecchie
che chiudi
come se ti stordisse
la rinnovata eco

Cantava lo sai la sua voce
fanciulla
inebriato danzavi
dove fioriva l’amore
guardavi allora come fecondava
il seme la terra
che il tuo piede attento
scansava perché ci fosse frutto

Sulla cima dei monti
si depongono nevi
fredde si sono staccate
le foglie
i meli giacciono aspettando
le primavere che ignori
più non conosci sapori
di acerbe canzoni

Azzurri squali discendono
le fonti recando
accattivanti sorrisi
tu lasci i grigi percorsi
come se infinite malie
scuotessero le estreme inerzie

Vai dove fioriscono fiori
lente si drizzano le spalle
scende l’oblio ad addolcire
ricordi
con i colori di mieli
fluttuano alveari attorno
alla tua testa a farti
corona
ancora lasci che ti accarezzi
il sole

Non chiuderà il suo giogo
la valle le creste aspre
che di nuovo scavalchi
col passo senza riposi
a calpestare la zolla
che ti rifiutò

Teorie di rettili
indicano deserti
vi stabilirai dimora
là tesse l’assenza
ignote poesie
dove ti fermi
bozzolo che cerca
la sua seta
per ritrovarsi crisalide
nutrendoti di luce.

 

 

OSCURE MERAVIGLIE

(2000)

Oscure meraviglie chiudono gli occhi
non vogliono vedere come stormiscano
le foglie nei grembi avari delle terre
aliene più non sanno come si abbeverino
gli uccelli nelle fresche fontane
e la piuma si levi a distribuire saggezze
hanno il volto velato di nebbia
e annegano di oblio.

Gli uccelli giungono a frotte
sanno solo dove andare hanno
dimenticato il ritorno l’arrivo
non ha lietezza quando dovranno
ripartire moriranno perché ignoto
è il colore del nord il suo addormentarsi
nella notte e l’alba è un filo che
si ripete ogni volta infinito
dovranno fermarsi nel luogo oscuro
per il riparo dal freddo guazzare
nelle chiare acque melmose
della barena guardare la cupola
d’oro e restare finché il caldo atroce
disseccherà le membra.

Nella gabbia appesa al muro
di un giardino c’è un merlo ma
tace a lungo ha cantato nelle ore
d’estate guardando l’ombra
disegnarsi sulla meridiana della
chiesa di fronte ma la sua canzone
era sempre uguale gliel’aveva
insegnata un bambino che è
diventato vecchio ed è morto
e il merlo non ha più voce.

Sullo sfondo del mare era apparso
l’arcobaleno aveva piovuto a lungo
nella notte le onde si erano spezzate
sulla riva sugli scogli appuntiti
e scoscesi ora stava irraggiando
il sole e il pulviscolo grondava colori
i pesci li guardavano saltavano per
raggiungerli e nuotare nella loro malia
ma ogni volta ricadevano e una malinconia
invadeva i loro cuori perché anche
l’arcobaleno era fatto di niente.

Il messaggio non arrivava mai
l’aveva spedito una fanciulla
al suo innamorato l’aveva scritto
di notte quando nessuno la vedeva
e la luna l’aveva inondato di malia
per quello non giungeva era fatto
solo per essere scritto se le parole
fossero state lette si sarebbero dissolte
l’amore che le aveva generate
distrutto.

Aveva nevicato a lungo la neve
scendeva ricoprendo di bianco
ogni cosa anche il cielo era bianco
perché conteneva la neve gli alberi
gli uccelli nel piumaggio d’inverno
solo una cosa restava nera una foglia
e il suo gambo che la legava al ramo
era secca ma dondolava al vento
come se vivesse.

All’infinito non si vedeva niente
la nebbia aveva inghiottito la pianura
la linea sempre uguale sul mare
l’orizzonte restava la pozza dell’acqua
un pezzetto di prato dove pascolava
un cavallo un’ape ronzava irritata
dal freddo anche gli alberi erano
scomparsi intorno come un ricordo
solo l’oggettività presente restava
che potevi percepire.

Minuscole foglie nascondevano
la superficie dell’acqua e una ninfea
galleggiava rosa come un fiore d’estate
era invece l’autunno e l’erba intorno
seccava moriva anche il cardo chiuso
nel suo cuore di rigido fiore era
una forma strana che cessava di esistere
la salamandra cercava invano
l’ultimo sole stendeva le zampe
e la sua pancia sussultava avvertendo
già il gelo non restava nessuno
solo il ricordo il suono delle voci
lontane.

La porta si era chiusa dietro
l’ultimo passo la casa restava
isolata e sola dentro restavano
cose le persone erano altrove
la casa continuava a vivere
conservava memoria la sedia
il ricordo di un corpo il cucchiaio
la mano che lo recava alla bocca
il letto le giacenze d’amore
i respiri lo specchio l’impronta
del volto le pareti le risa
il terrazzo la rosa il profumo
che si spandeva ma nessuno tornava
e la porta non si riapriva il freddo
avrebbe invaso la casa perché
il suo era un calore riflesso
che non aveva più.

Un fiore vermiglio di sangue fioriva
nel languido abbandono aveva
rivestito il muro sorriso nel sole
dell’estate portava chiuso in sé
il suo profumo perché il suo destino
era di non morire guardava ogni
genere di pianta il suo nascere
ed essiccare guardava il volo
degli uccelli partire e non tornare
non conosceva il rigenerarsi in seme
ma solo lo splendore dei suoi colori
l’espandersi del suo profumo
e piangeva con gli occhi che non volevano
vedere perché troppo aveva vissuto.

 

APPENDICE

 

ODISSEO NOTTURNO

(1991)

Segnato dal silenzio
non avresti che poche cose
da dire
dissanguato ti lasciano
parole che dicevano ore
pallori di meriggi
consumati in una tazza
di thé
sole ti restano attese
di presenze che non verranno

Rustiche pareti indicano
ricoveri dove si passa
una notte
aspettando di proseguire
cammini
devastate da lune
che dissipano raggi
incuranti della tua nudità

I nomi che tacciono
perdute stelle
mai possedute
se non per indicarle
con i pallidi telescopi
degli occhi
non le ritrovi
nella notte senza luna
se non per rimpiangerle

Curva sul tuo cappello
si è posata la luna
un po’ di mago
un po’ di bohemien
ne approfitti per tacere
chi sei
preferendo velarti
di mistero

Ora ti sorridono gli occhi
molto hai sognato
di luoghi lontani
assaporate acque di fontane
e di pianti
mescolati sudori e mattini
sosti e stai
di nuovo aspettando di partire
Assetato di follia
non porteresti con te
che le consuete banalità
sono le sole da cui
si può uscire
zavorre che ti faranno
tornare

Assaporate le acque
del sogno
non potrai che dire vado
infinite ti giungono malie
di stelle lontane
che non ritrovi più qui
mascherate di indifferenza

Lo stretto corpetto
rivela l’ombelico del mondo
attorno a cui credi
di ruotare
senza voltarti indietro

Solo un luogo ti è noto
che riscopri nei luoghi
che trovi
e non sei mai partito
punto che lanciato ritorna
boomerang di te stesso.

*ODISSEO NOTTURNO (poemetti 1990-2010), Ediz. Orizzonti meridionali, 2016

4 pensieri su “Tre poemetti da “ODISSEO NOTTURNO”

  1. …trovo questi versi di Lidia Are Caverni molto belli, decadenti e inquietanti.
    “…Piangeva con gli occhi che non volevano/ vedere preché troppo aveva vissuto” (“Oscure meraviglie”), in essi colpisce infatti la testarda negazione visiva della realtà brutta e complessa in cui viviamo , ma di cui si vedono le tragiche conseguenze in quell’Eden della natura che fu un tempo la terra popolata da eroi, animali fanciulle bambini, ora tristemente sopravvissuti a se stessi. Atlantide che sprofonda lasciando vuoti simulacri, ma ancora aperti al sogno e all’incanto della poesia ” …Nel grembo affondi le mani/ molti soli hanno curvato/ orizzonti e non sai più/ se aspetti mattini/ eternamente sognati/ dal consueto uccello/ deposti sul ramo sul tetto/ nel vano fare e disfare nidi”…Una musicalità gonfia e decadente accompagna e avvolge come in una nuvola questi versi che ci accompagnano in un lento e inesorabile tramonto…Un commiato
    La poesia

  2. complimenti Ennio per la scelta di questa autrice e dei suoi versi che veramente cantano con dolcezza e delicatezza, ma soprattutto con quella chiarezza espressiva per me sempre importantissima in poesia.

    brava, brava

    1. Desidero innanzi tutto ringraziare Ennio Abate per aver pubblicato i miei poemetti e i lettori, senza i quali nessun autore può definirsi tale.
      Ringrazio Annamaria Locatelli per il suo diffuso giudizio. Oscure meraviglie è uno dei miei poemetti più cari e mi fa piacere che trovi riscontri in chi legge.
      Lidia Are Caverni

  3. Nei testi qui presentati rilevo due elementi che mi hanno interessata. Il primo è la metrica di “Oscure meraviglie”, poemetto che in metrica non è, ma quasi una prosa ritmata in brevi frasi compiute, non secondo cadenze ritmiche.
    L’altro aspetto è l’irruzione fantastica di vite animali (“Azzurri squali discendono/le fonti”, “Teorie di rettili/indicano deserti” “la salamandra cercava invano/l’ultimo sole stendeva le zampe/e la sua pancia sussultava”) nella raffigurazione di una natura invece educata, colta con un sensorialità diffusa ma distaccata.

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