Appunti politici (4 bis): “Comunismo” di Franco Fortini

COMMENTO A “COMUNISMO” DI FRANCO FORTINI (punti 7,8)
articolo apparso su “Cuore”, supplemento de “L’Unità”, 16 gennaio 1989)

Concludo con quest’ultimo articolo il commento a “Comunismo” di Fortini. I due articoli precedenti sono reperibili qui e qui.  Al commento farò seguire un confronto con le posizioni  che sviluppano il concetto di comunismo in modi diversi o contrapposti a quello di Fortini o lo liquidano.  Chiedo a quei pochi che prendono sul serio questi discorsi di associare le idee qui espresse alle immagini e alle parole di un documentario del 2015 che ho scoperto su You Tube in questi giorni, HUMAN. La versione completa è  suddivisa in tre parti.  I link per accedervi sono alla fine di questo testo. [E. A.]

di Ennio Abate

7.
CHI QUELLA LOTTA ACCETTA SI FA DUNQUE, E NEL MEDESIMO TEMPO, AMICO E NEMICO DEGLI UOMINI. NON SOLO AMICO DI QUELLI IN CUI SI RICONOSCE E AI QUALI, COME A SE STESSO, INDIRIZZA LA PROPRIA AZIONE; E NON SOLO NEMICO DI QUANTI RICONOSCE, DI QUEL FINE, NEMICI. MA ANCHE NEMICO, SEBBENE IN ALTRO MODO E MISURA, ANCHE DEI PROPRI FRATELLI E COMPAGNI E DI SE STESSO; PERCHÉ NON DARÀ REQUIE NÉ A SÉ MEDESIMO NÉ A LORO, PER STRAPPARE ESSI E SE STESSO AGLI INGANNI DELLA DIMENTICANZA, DELLE APPARENZE E DEL SEMPRE-UGUALE.
DOVRÀ EVITARE L’ERRORE DI CREDERE IN UN PERFEZIONAMENTO ILLIMITATO; OSSIA CHE L’UOMO POSSA USCIRE DAI PROPRI LIMITI BIOLOGICI E TEMPORALI. QUESTO ERRORE, CON LE PIÙ VARIE MANIPOLAZIONI, HA GIÀ PRODOTTO, E PUÒ PRODURRE, DEI SOTTOUOMINI O DEI SOVRAUOMINI; EGUALMENTE NEGATORI DEGLI UOMINI IN CUI CI RICONOSCIAMO. EREDITATO DALL’ILLUMINISMO E DALLO SCIENTISMO, DEPOSITATO DALLA CULTURA FAUSTIANA DELLA BORGHESIA VITTORIOSA DELL’OTTOCENTO, QUELL’ERRORE OTTIMISTICO FU PRESENTE ANCHE IN MARX E IN LENIN E OGGI TRIONFA NELLA MASCHERA TECNOCRATICA DEL CAPITALE. QUANDO SI PARLA DI UN AL DI LÀ DELL’UOMO, È DUNQUE NECESSARIO INTENDERE UN AL DI LÀ DELL’UOMO PRESENTE, NON UN AL DI LÀ DELLA SPECIE. COMUNISMO È RIFIUTARE ANCHE OGNI SORTA DI MUTANTI PER PRESERVARE LA CAPACITÀ DI RICONOSCERSI NEI PASSATI E NEI VENTURI.

Se leggiamo questo passo conoscendo il percorso autobiografico e intellettuale di Fortini,vi troveremo un esempio della saldatura tra la sua giovanile formazione religiosa (inizialmente ebraica e poi cristiano-valdese) e l’antropologia marxista e comunista. Il singolo – cristiano, comunista – , scegliendo la lotta, diventa, fuori da ogni misantropismo o filantropismo, «nel medesimo tempo, amico e nemico degli uomini». Amico «di quelli in cui si riconosce». Che possono essere gli appartenenti ad una classe sociale, a un partito organizzato, a un’area culturale. Coopererà a loro favore ma anche a favore di se stesso. (Non si tratta di generico altruismo). Diventerà con tale scelta, allo stesso tempo, anche «nemico» di quanti non condividono e contrastano il «fine» (il comunismo) perseguito dalla parte (o “partito” in senso lato e non solo politologico) di uomini coi quali collabora.
In una poesia del 1958, «Forse il tempo del sangue…», che varie volte ho riproposto, troviamo dei versi che chiariscono questo tipo di fraternità realizzabile tra uomini (e donne) in lotta: « Cercare i nostri eguali osare riconoscerli / lasciare che ci giudichino guidarli esser guidati / con loro volere il bene fare con loro il male /e il bene la realtà servire negare mutare». La parte che viene scelta non ha,cioè, nulla della mitica comunità coesa al suo interno e perciò rassicurante per il singolo, che, scegliendola, vi si adagerebbe o addirittura fonderebbe. Una classe, un partito non è affatto una comunità di buoni, che opera sicuramente per il bene. Fortini lo dice chiaro e tondo: « con loro volere il bene», cioè perseguire quei valori ritenuti validi, ma anche «fare con loro il male», cioè trasgredire valori e norme che i nemici ritengono invece assolutamente giusti.

Subito dopo, però, e solo in apparenza contraddicendo la netta e statica separazione (schmittiana) amico/nemico ( ma si potrebbe anche dire: buoni/cattivi), Fortini dice che «chi quella lotta accetta» – ripeto: cristiano, comunista – si fa «anche nemico […] dei propri fratelli e compagni» , «sebbene in altro modo e misura». (Intendo: non con la medesima durezza, ma graduandola rispetto alle circostanze, alla realtà da « servire negare mutare») .
È importante sottolineare questa “interiorizzazione” del discorso: sia nei confronti «dei propri fratelli e compagni» sia nei confronti «di se stesso». Questa intransigenza – paradossale, inspiegabile o eccessiva per il senso comune ( “ma come, non siamo fratelli della stessa famiglia (umana)? non siamo nello stesso partito? nella stessa comunità o patria?”) – è invece coerente sia con la visione cristiana che con l’antropologia marxista. Gli altri intesi come * noi*, pur diventati « propri fratelli e compagni» di lotta, e pure ciascun partecipante a questo *noi* (da non intendere – è bene ripeterlo – come naturale o preesistente, ma scelto e sempre in ardua costruzione) possono/può sempre cedere alla «dimenticanza» dello scopo per cui si lotta o farsi ingannare dalle «apparenze» (ah, il teatrino della politica!) o adagiarsi nel «sempre uguale» delle abitudini o nell’inerzia. E qualcuno («chi quella lotta accetta») dev’esserci che «non darà requie né a «sé medesimo» né «a loro».

(Vorrei ricordare che questa dialettica tra il sonno, che può invadere la ragione e la volontà sia di una società che dei singoli, e il rifiuto di «chi quella lotta accetta» di assopirsi o rassegnarsi è presente in tutta l’opera di Fortini. É stata analizzata da Pietro Cataldi in un saggio intitolato «Il sonno e la veglia» in «Dieci inverni senza Fortini 1994 – 2004» (Quodilibet 2006) e ad esso rimando. Mi è poi venuta in mente una sua poesia, «Il nido», a pagina 86 di «Paesaggio con serpente» (Einaudi 1984) , dove insiste sul tema: «Dentro il nido ignoranti esserini /alla frenesia della madre tremeranno. Griderà la fame e tutto insegnerà la madre. / Nell’aria inorridita voleranno / e non sapranno nulla di più mai». Sicuramente questo tema rimanda echi evangelici: «”Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace, ma spada!” (Matteo 10,34) , che si affiancano bene però alla la visione della storia come conflitto (di classe) del marxismo.
Nel passo successivo, dove Fortini critica il progressismo illuministico settecentesco e il positivismo ottocentesco («l’errore di credere in un perfezionamento illimitato»), la figura del superuomo ben o male attribuita a Nietzsche o quella staliniana dell’”uomo nuovo” sovietico, vorrei sottolineare ancor di più l’elemento autobiografico, generazionale e tenacemente umanista dell’esperienza militante Fortini. È stato tra i pochi che costantemente ha criticato il “progressismo”, il mito ottimistico dei “punti alti” dello sviluppo capitalistico, « presente anche in Marx e in Lenin», ma contraddetto già ai suoi tempi da «altre parti del movimento operaio» e poi dagli sviluppi storici. (Tra i tanti rimanderei per un approfondimento ad un polemico articolo, «Filoamericani di sinistra colonizzati e contenti» (Talpa/Manifesto del 3 maggio 1991).

Il comunismo di Fortini nonsi confonde perciò mai con l’avanguardismo. Egli respinge l’ideologia capitalistica dominante, che continua a distinguere fra paesi avanzati e paesi arretrati, senza mai specificare mai i criteri di tale distinzione, finendo per ritenere “progresso” la crescita del prodotto nazionale lordo). Per lui i massimi punti di sviluppo sono inseparabili dai minimi e dialetticamente connessi: lo “sviluppo” costruisce “arretratezza”. E perciò contro questo mito, che « oggi trionfa nella maschera tecnocratica del capitale» e che mira a «un al di là dell’uomo» o a « un al di là della specie», Fortini ha varie volte chiarito che, quando si parla di un al di là dell’uomo, è necessario intendere un *al di là dell’uomo presente*. Ha continuato, cioè, a far riferimento al piano della storia della specie umana e non ad un al di là della specie. Per lui «comunismo è rifiutare anche ogni sorta di mutanti per preservare la capacità di riconoscersi nei passati e nei venturi».

8.
IL COMUNISMO IN CAMMINO ADEMPIE L’UNITÀ TENDENZIALE TANTO DI EGUAGLIANZA, FRATERNITÀ E CONDIVISIONE QUANTO QUELLA DI SAPERE SCIENTIFICO E DI SAPIENZA ETICO-RELIGIOSA. LA GESTIONE INDIVIDUALE, DI GRUPPO E INTERNAZIONALE, DELL’ESISTENZA (CON I SUOI INSUPERABILI NESSI DI LIBERTÀ E NECESSITÀ, DI CERTEZZA E RISCHIO) IMPLICA LA CONOSCENZA DELLE FRONTIERE DELLA SPECIE UMANA E QUINDI DELLA SUA INFERMITÀ RADICALE (ANCHE NEL SENSO LEOPARDIANO). QUELLA UMANA È UNA SPECIE CHE SI DEFINISCE DALLA CAPACITÀ (O DALLA SPERANZA) DI CONOSCERE E DIRIGERE SE STESSA E DI AVERE PIETÀ DI SÉ. IN ESSA, IDENTIFICARSI CON LE MIRIADI SCOMPARSE E CON QUELLE NON ANCORA NATE È UN ATTO DI RIVOLGIMENTO AMOROSO VERSO I VICINI E I PROSSIMI; ED È ALLEGORIA E FIGURA DI COLORO CHE SARANNO.IL COMUNISMO È IL PROCESSO MATERIALE CHE VUOL RENDERE SENSIBILE E INTELLETTUALE LA MATERIALITÀ DELLE COSE DETTE SPIRITUALI. FINO AL PUNTO DI SAPERE LEGGERE NEL LIBRO DEL NOSTRO MEDESIMO CORPO TUTTO QUEL CHE GLI UOMINI FECERO E FURONO SOTTO LA SOVRANITÀ DEL TEMPO; E INTERPRETARVI LE TRACCE DEL PASSAGGIO DELLA SPECIE UMANA SOPRA UNA TERRA CHE NON LASCERÀ TRACCIA.»

Questo brano finale della voce ‘comunismo’ insiste ancora sui rischi dell’ottimismo illuministico e positivistico ottocentesco. Non dimentichiamo – dice Fortini – che la libertà non è slegata dalla necessità, non può essere libertà pura; e che ogni certezza che conquistiamo non è assoluta, è storica e comporta altri rischi. La specie umana – concetto presente anche nella riflessione di Lukács – deve conoscere le sue «frontiere», i suoi limiti insuperabili, la sua « infermità radicale (anche nel senso leopardiano)». Può «conoscere» (o sperare di conoscere),ma non deve essere spietata. Deve anzi «avere pietà di sé». (Ovvio, credo, che qui non si tessono le lodi del pietismo o dell’autocompiacimento per le “debolezze umane” o ci si allea col «pensiero debole» o gli amministratori della “pappa del cuore”).
Centrale è la critica all’etica signorile. Essa è incapace di identificarsi con le miriadi (di persone) scomparse e con quelle non ancora nate. Le ignora. In pieno contrasto con questa etica signorile, aristocratica, elitaria, distruttiva e nichilista, Fortini pensa la lotta per il comunismo non come atto distruttivo ma come «atto di rivolgimento amoroso verso i vicini e i prossimi». E sottolinea l’apertura verso il futuro di tale atto: «è allegoria e figura di coloro che saranno». Nel senso di anticiparne alcuni tratti, ma sempre nella realtà della vita umana e della storia. Perché – ribadiamolo – il comunismo non è una credenza o una fede nel futuro o un nobile moto spirituale, ma è «il processo materiale che vuol rendere sensibile e intellettuale la materialità delle cose dette spirituali».
È quest’ultima un’altra delle sue paradossali affermazioni. Fortini non separa (come fa il pensiero scientifico) o contrappone (come fa il pensiero religioso) la «materialità delle cose» alle «cose dette spirituali», ma indica la possibilità di metterle assieme, integrandole e trasformandole. Perché credo di poter dire che per lui la pura materialità delle cose e la pura spiritualità sono entrambe disumane. E perciò mi pare che insista sul fatto che il comunismo come «processo materiale» porterà la specie umana « fino al punto di sapere leggere nel libro del nostro medesimo corpo tutto quel che gli uomini fecero e furono sotto la sovranità del tempo».

APPENDICE


HUMAN è un lavoro politicamente impegnato che ci permette di abbracciare l’umana condizione e riflettere sul significato della nostra esistenza.
HUMAN si compone di una raccolta di storie e immagini del nostro mondo, che offrono la possibilità di immergersi nel cuore di quello che significa essere umani. Attraverso queste storie, piene di amore e felicità, ma anche di odio e violenza, HUMAN ci pone faccia a faccia con l’Altro, spingendoci a riflettere sulle nostre vite. Storie quotidiane, testimonianze delle vite più incredibili, questi toccanti incontri hanno in comune una rara sincerità e pongono in evidenza chi siamo – il nostro lato più oscuro, ma anche ciò che è più nobile in noi, e ciò che è universale. La nostra Terra viene mostrata nella sua forma più sublime attraverso immagini aeree mai viste prima, accompagnate da una musica in crescendo; un’ode alla bellezza del mondo che offre un momento per prendere respiro e fare introspezione.

 

 

 

 

 

13 pensieri su “Appunti politici (4 bis): “Comunismo” di Franco Fortini

  1. I due punti, 7 e 8, svolgono argomentazioni morali. Evocano:
    Ascetismo NON DARÀ REQUIE NÉ A SÉ MEDESIMO NÉ A LORO, PER STRAPPARE ESSI E SE STESSO AGLI INGANNI DELLA DIMENTICANZA, DELLE APPARENZE E DEL SEMPRE-UGUALE;
    Purificazione CONOSCENZA DELLE FRONTIERE DELLA SPECIE UMANA E QUINDI DELLA SUA INFERMITÀ RADICALE (ANCHE NEL SENSO LEOPARDIANO);
    e prefigurano la necessità di ben note funzioni di guida e correzione QUELLA UMANA È UNA SPECIE CHE SI DEFINISCE DALLA CAPACITÀ (O DALLA SPERANZA) DI CONOSCERE E DIRIGERE SE STESSA E DI AVERE PIETÀ DI SÉ.
    La forte carica utopica di Fortini (si veda su FB un commento di Ennio “Sì, Lenin, nel suo Stato e rivoluzione (settembre 1917, alla vigilia della Rivoluzione russa) cadde in pieno nella *tentazione* e s’immerse in quel secolare fiume utopico che da Tommaso Moro a Müntzer ai levellers agli anarchici ha alimentato il pensiero utopico. Ha trasposto ‘l’escatologia sul piano storico’? Ma non avevamo detto, parlando di Fortini, che in ogni movimento politico ci sono venature religiose più o meno forti e mai eliminabili, essendo impossibile un movimento o un mutamento fatto solo da un’élite di intellettuali o sapienti? Perché scandalizzarsene?” affilia il comunismo al millenarismo religioso.
    Il “comunismo in cammino” affida l’idea di comunismo alla prassi, in una prospettiva materialista. Si tratta di realizzare la nuova umanità in terra e in un tempo indefinito, contenuto feuerbachianamente entro il concetto di specie: IN ESSA, IDENTIFICARSI CON LE MIRIADI SCOMPARSE E CON QUELLE NON ANCORA NATE È UN ATTO DI RIVOLGIMENTO AMOROSO VERSO I VICINI E I PROSSIMI; ED È ALLEGORIA E FIGURA DI COLORO CHE SARANNO.
    In sintesi voglio dire che ritengo lo scritto di Fortini un testo di idee (per non cadere in una versione riduttiva della parola ideologico), con matrici riconoscibili ma poco utili, proprio in quanto riferite a un idealismo etico astratto.

  2. …”In sintesi voglio dire che ritengo lo scritto di Fortini un testo di idee…, con matrici riconoscibili ma poco utili, proprio perchè riferite a un idealismo etico astrato”( Cristiana)…penso che l’idealismo etico non debba essere per forza astratto, nel caso del pensiero di Fortini no. Credo piuttosto che il poeta sia passato,attraverso le sue vicende personali e storiche, da una assoluta adesione alle idee marxiste e al movimento rivoluzionario sociale da esse promosso, ad una dolorosa delusione in seguito allo sviluppo dei fatti che accompagnarono la realizzazione delle medesime nel comunismo reale sovietico, soprattutto durante la seconda metà del novecento…Tuttavia Fortini volle ribadire la sua fiducia nelle idee di giustizia sociale e fratellanza che ispirarono il movimento, come il metodo basato sul combattimento a cui sembra impossibile sottrarsi nei conflitti che caratterizzano la storia umana. Non rinunciò all’idea di un “comunismo in cammino” che è già comunismo, credo come fede e come progetto, convinto che ciò che è nella sfera spirituale possa incontrare quello materiale, perciò non è un pensiero astratto. Una visione laica che vuole conservare una visione sacra dell’umanità…Personalmente la condivido, ma penso che la parola “combattimento” possa assumere valenze diverse: anche il movimento pacifista può definirsi combattente…

    1. @ Annamaria
      Trovo che sia vero quanto scrivi nel caso della persona Franco Fortini “penso che l’idealismo etico non debba essere per forza astratto, nel caso del pensiero di Fortini […] volle ribadire la sua fiducia nelle idee di giustizia sociale e fratellanza che ispirarono il movimento, come il metodo basato sul combattimento a cui sembra impossibile sottrarsi nei conflitti che caratterizzano la storia umana”.
      E’ sicuramente vero che idee di giustizia sociale e fratellanza valgono per molti, come orientamento nel combattere tra i vari conflitti che costituiscono la storia umana. E’ vero anche che quelle idee possono costituire una visione laica ma anche sacra dell’umanità.
      Tu raccogli queste idee di giustizia e la visione laica/sacra dell’umanità nell’idea di comunismo in cammino, che è già il comunismo, ma qui non ti seguo.
      Il comunismo è un nome che ha avuto lungo corso, anche prima di Marx, e dopo di lui ha avuto anche delle realizzazioni, che non hanno dato buon frutto. Il nome è fin troppo pieno di pensieri ma anche di realtà. Forse *concretezza*, in opposizione alla mia *astrattezza* che tu respingi, si potrebbe darla a persone e movimenti che c’erano alle origini della Rivoluzione sovietica, quella corrente calda che spesso Ennio richiama.
      Non so se movimenti e idee, smentiti dagli anni successivi, possano essere oggi ripresi, o se invece siano ancorati agli avvenimenti di allora, quando furono sconfitti. Oggi è la potenza della moltitudine di Toni Negri (“Molti movimenti parlano ormai in termini di interelazionalità, di connessioni variabili e potenti di rivendicazioni, di lotte e di istituzioni: così si organizza la nuova potenza della moltitudine”), mi pare, che li riprende.
      Il legame con cui stringi laico e sacro riguardo all’umanità è però una idea che può essere pericolosa: la Nazione la Patria il Popolo sono idee laiche&sacre, il fascismo e il nazismo ci costruirono sopra ideali per male. Anche i Valori sono laici&sacri ma si piegano secondo le necessità.
      Ci sono poi visioni “sacre” della storia, ma differiscono tra loro.
      Sono relativista, cioè penso che tutto si equivalga? No, affatto, cerco di essere razionale, mi oriento sul meno peggio, stamane leggevo questa frase di un (sedicente) cinese: “La vita è una opzione non tra scelte ottime, ma tra scelte tutte pessime. Se fossero ottime saremmo nel paradiso terrestre o finalmente sbarcati a Utopia”.
      Certo che “razionale” razzola a terra, non si spinge a visioni, ricava lezioni belle e amare dalla storia e sceglie in mezzo alle contraddizioni.

  3. “cerco di essere razionale, mi oriento sul meno peggio” ( Fischer)

    Ma perché mai il *razionale* dovrebbe orientarsi sul o coincidere con il *meno peggio*? Perché escludere che *razionale* sia il *meglio*? O che solo ciò che è davvero *razionale* sia il *meglio*? (O altrimenti: cos’è allora il *meglio*?).

  4. @Cristiana
    se, secondo te, il razionale coincide in qualche modo con il “meno peggio” nella realtà odierna e passata allora prevale una visione del tutto pessimistica e senza speranza per l’essere umano perchè, credo, il peggio così è destinato ad aumentare ed il meno peggio a restringersi…A porre unicamente freno al peggio saremmo perdenti…In realtà anch’io in questo periodo sono orientata a considerazioni pessimistiche sul corso della storia, ma penso che la ragione sia la conseguenza di scelte di potere sbagliate perchè inumane e il loro rinforzo continuo e massificato attraverso le mode…Un corso che va frenato , è vero, ma anche sostituito con altre scelte, valori, proposte…Anch’io, come te, invoco la concretezza ma a largo raggio, cioè che tenga conto di due cose: il sangue versato, le ingiustizie, le miserie non conoscono bilance diseguali per gli esseri umani che condividono lo stesso pianeta e il così detto “effetto farfalla” delle medesime…

    1. @Annamaria e Ennio: calma, calma, non mi oriento in vista di un meno peggio, ma, tra le pessime -quasi sempre- situazioni che abbiamo davanti, spero, con un orientamento razionale, di contribuire a renderle meno peggiori. Non è così che si fa?
      Il campo razione valuta, scarta, sceglie, propone, opera… anche tra le “visioni”.

  5. Spietato riproporre nel 2017 questo articolo di Fortini, una supercazzola paramistica dalla quale si evince che il comunismo se esiste abita in un’altra galassia o forse coincide con l’antimateria.

  6. * Alcune premesse a una segnalazione sulla storia del comunismo

    1.
    «Come arrossì fino alle tempie la giovane bibliotecaria, tanti anni fa, alla “Lenin”, quando le chiesi con garbo quale modulo si dovesse riempire per avere in lettura un volume di Trockij. […] Quando gli scritti di Trockij saranno in edizione economica nelle edicole sovietiche, vorrà dire che avranno subìto la stessa riduzione a “cultura” che, nelle nostre, hanno subìto Nietzsche, Lenin, i documenti di Auschwitz e il diario di Guevara. Per agire la verità si cercherà altre vie».

    (da F. Fortini, Al tavolo di Trockij, in «Disobbedienze I», p. 39, manifesto libri 1997, Roma)

    2.
    «La Nuova Sinistra ha ereditato dagli intellettuali comunisti degli anni Cinquanta una definitiva qualità d’ipocrisia verso l’Unione sovietica. […] Quale ipocrisia? Di considerare scontato, saputo (noioso, per i più ebeti) quello che è accaduto nell’età di Stalin. Quindici anni fa i professori del Pci non trovarono abbastanza “marxista” il rapporto di Kruscev al XX Congresso, 1956. Togliatti invocò un “approfondimento”. I sovietici se la risero. I professori che, nove anni prima, avevano applaudito i decreti di Zdanov pensarono bene, nel silenzio degli storici sovietici, di lasciar lavorare gli storici capitalistici, inglesi e americani. Erano dei militanti, loro: si interessavano solo del significato politico di quel passato prossimo. […]Deportazione, terrore, distruzione di ogni legame tra compagni, spionaggio universale:pessime cose, certo. Ma tutte causa ed effetto di un errore politico. Una volta che lo si fosse identificato – per esempio, nella scomparsa della democrazia interna di partito –tutto il resto poteva rientrare nella “piccola storia”.

    ( F. Fortini, «Più velenoso di quanto pensiate», in «Questioni di frontiera» pagg. 16-17, Einaudi, Torino 1977)

    2.1.
    «la Nuova Sinistra non ha preso in considerazione la letteratura internazionale sui campi di concentramento e di lavoro dell’età staliniana, sulle deportazioni, la condotta della guerra, i processi ( e, aggiungo, la prosecuzione del regime di polizia nel corso degli ultimi vent’anni). Ma, lentamente, ha accettato. Sull’Ottobre polacco e ungherese ha preferito sorvolare. Ha accomunato quei fatti nella nebbia del termine “revisionismo” Prendiamo ad esempio la Cecoslovacchia del 1968. Non si poteva parlarne senza risalire all’età staliniana. Di qui i contorcimenti di moti amici e compagni […].Il socialismo per il quale era disposto a battersi l’operaio di Praga sembrava troppo poco ai nostri studenti del 1968-69. E ancora oggi spiegano con cutezza a questi operai che cosa avrebbero dovuto fare e a quegli intellettuali che cosa avrebbero dovuto pensare. Ho sentito trattare da “fascista” un noto regista ungherese perché nei suoi film presenta le atrocità rosse accanto a quelle bianche: so che se insegnassi storia a Budapest o a Varsavia o a Praga ( e se, naturalmente, me lo permettessero) insisterei molto sulle atrocità e sulle colpe “rosse”. Si devono formare uomini capaci di sostenere le contraddizioni della verità; e, per esempio, la presenza di sadici nelle file della Buona Causa. Per me, tutto questo viene – nel senso di: discende cronologicamente – dalla incapacità di guardare l’età di Stalin» ( F. Fortini, «Più velenoso di quanto pensiate», in «Questioni di frontiera» pagg. 18 -19, Einaudi, Torino 1977)

    SEGNALAZIONE

    Comunisti contro Stalin
    Pubblicato il 12 aprile 2017 •
    di Luca Cangianti
    https://www.carmillaonline.com/2017/04/12/comunisti-contro-stalin/

    Copertina_libro_BrouePierre Brouè, Comunisti contro Stalin. Il massacro di una generazione, AC Editoriale, 2016, pp. 398, € 15,00.

    Cercarono fino alla fine di rompere il silenzio, di denunciare l’atrocità che si stava per compiere. In viaggio verso i campi di concentramento praticarono lo sciopero della fame, srotolarono striscioni e cercarono di coinvolgere la popolazione delle città che attraversavano. Sui battelli che li deportavano verso regioni remote, si riunirono in assemblea e firmarono risoluzioni di protesta da inviare al comitato centrale del partito e alla Terza internazionale. In una bottiglia inserirono un messaggio e la lanciarono nelle acque dello stretto di La Pérouse. Sulla tundra ghiacciata, mentre marciavano a gruppi di cento, sapendo di andare incontro alla fucilazione, cantavano L’internazionale. I giudici, la polizia segreta e il partito li avevano schedati con la sigla Krtd, cioè “controrivoluzionari terroristi trotskisti”, ma loro si definivano “bolscevico-leninisti” per rivendicare il comunismo dei primi anni della rivoluzione, di contro alla degenerazione verificatasi con l’ascesa al potere di Iosif Stalin.
    Finalmente è stato pubblicato in italiano Comunisti contro Stalin di Pierre Brouè, lo storico e attivista francese scomparso nel 2005, famoso per le sue ricerche sul movimento comunista internazionale. Il libro, uscito in edizione originale nel 2003, è basato sul materiale reso disponibile con l’apertura degli archivi sovietici. Scopo dichiarato dell’opera, costruita intorno alle biografie di circa 700 oppositori, è sottrarre all’oblio la vita e i nomi delle migliaia di comunisti sovietici massacrati negli anni trenta dello scorso secolo.
    L’epiteto di “trotskista” finì per essere rivolto contro chiunque criticasse l’involuzione autoritaria che aveva distrutto la democrazia dei soviet, vietato qualsiasi forma di libertà politica e consegnato il potere a una casta di grigi impiegati di partito, interessata alla difesa del proprio status, dei propri magazzini speciali e di tutti gli altri privilegi ai quali non aveva accesso la maggior parte della popolazione lavoratrice, affamata e sfiancata dai ritmi della produzione taylorista. Tra i comunisti antistalinisti sovietici non troviamo quindi solo i veri e propri seguaci di Lev Trotsky, raggruppati nell’Opposizione di sinistra, ma anche appartenenti ad altre correnti quali ad esempio l’Opposizione operaia, i decisti e i neopopulisti.
    Secondo le stime dello stesso Stalin gli oppositsionneri dovevano essere circa 30 mila, ma grazie a fonti ufficiali di polizia Brouè riesce anche a tracciare alcune linee sociodemografiche: il 44% erano operai d’officina e il 25% ex operai ascesi a incarichi di responsabilità. L’85%, inoltre, aveva meno di 35 anni e le donne erano numerose. Quanto ai dirigenti delle varie correnti dell’opposizione, si trattava prevalentemente di rivoluzionari della prima ora: “Non sono uomini dell’apparato, ma militanti di massa. Hanno conosciuto la clandestinità e la prigione, ma anche l’emigrazione e i vasti orizzonti del movimento internazionale. Meno funzionari che trascinatori d’uomini, più tribuni o agitatori che amministratori, più scrittori che estensori di circolari… Credono ancora alla rivoluzione mondiale, all’avvenire socialista dell’umanità intera. Credono nella forza delle idee, nella fecondità del loro confronto, nella convinzione che nasce da questo combattimento. Hanno fiducia nel loro partito, che vogliono riconquistare e togliere dalle grinfie del suo apparato, per riportarlo alla purezza dei suoi anni rivoluzionari.” Gli oppositsionneri furono progressivamente allontanati dalla vita politica negli anni venti, poi arrestati, torturati, messi gli uni contro gli altri e infine sterminati nella quasi totalità. La storia dei comunisti antistalinisti sovietici si conclude infatti con la sepoltura di migliaia di cadaveri nelle fosse comuni di Magadan e a Vorkuta.

    Dopo il crollo dell’Unione sovietica questi eventi potrebbero sembrare d’interesse unicamente documentario o peggio costituire l’ennesimo sostegno alla tesi secondo la quale ogni aspirazione rivoluzionaria è condannata a trasformarsi in gulag. Trotsky nella Rivoluzione tradita cercò di spiegare l’involuzione del potere sovietico con il sottosviluppo e l’isolamento dell’Urss, con il fallimento della rivoluzione mondiale e la stanchezza delle masse sovietiche provate dalla guerra mondiale, prima, e civile, poi. Rosa Luxemburg, invece, intravide i germi della degenerazione già nei primi anni successivi alla rivoluzione quando, per contrastare l’aggressione delle potenze imperialiste, il partito bolscevico accentrò nelle proprie mani tutto il potere statuale. Dopo quegli eventi, la democrazia rivoluzionaria sovietica non fu più riattivata e chi, come i marinai di Kronstadt nel 1921, iniziò a reclamarla, fu trattato da controrivoluzionario e represso nel sangue.
    Il partito di Stalin non può essere semplicisticamente ricondotto a quello di Lenin, sia per quello che quest’ultimo andò elaborando nei suoi ultimi anni di vita riguardo allo sviluppo della burocrazia, sia perché tra il partito del 1917 e quello degli anni ’30 c’è la cancellazione politica e fisica di una generazione di rivoluzionari. E tuttavia sarebbe utile interrogarsi se già nei primi anni successivi alla Rivoluzione d’ottobre alcune restrizioni della libertà possano aver avuto un effetto mutageno sulla struttura delle istituzioni sovietiche. Coloro che giustificarono i metodi autoritari si appellarono all’eccezionalità del momento che avrebbe reso necessario l’accentramento incondizionato del potere nelle mani di una élite e la persecuzione del dissenso, altrimenti avrebbe trionfato la reazione. Il paradosso è che la sospensione della democrazia dei soviet ha portato esattamente alla morte delle istituzioni rivoluzionarie e, dopo una lunga parabola di accumulazione originaria durata settant’anni, ha finito per reintrodurre il capitalismo in tutti i suoi aspetti, consegnando la proprietà dei mezzi di produzione proprio a quella casta di burocrati che ne curava già la gestione ai tempi dell’Urss.

    La recente pubblicazione in italiano di Comunisti contro Stalin è un buon modo di celebrare la rivoluzione del 1917 nell’anno del suo centesimo anniversario: da un lato ci restituisce il nome e la storia di chi denunciò la degenerazione del potere sovietico in nome della stessa rivoluzione, dall’altro fornisce nuovi dettagli su un processo che, lungi dall’essere un unicum storico, riguarda tutte le esperienze – non solo passate – che imboccano la via dell’irrigidimento statale piuttosto che quella dell’espansione e dell’approfondimento rivoluzionari. Una formazione economico-sociale postcapitalista che non riesca a diventare egemone instaurando una gestione dal basso della vita politica ed economica è destinata a subire l’accerchiamento del perdurante capitalismo, a produrre nuove caste di gestori del potere, e infine a degenerare.

  7. DA POLISCRITTURE FB A POLISCRITTURE SITO

    Alberto Rizzi

    Si sa che lo stesso Lenin raccomandò tanto di non eleggere Stalin al suo posto; ma mi chiedo, e la domanda è molto seria: “chi tentò di rompere il silenzio fino in fondo, ecc.”, come si era comportato, negli anni immediatamente precedenti a ciò, riguardo ai crimini commessi durante la Rivoluzione, contro le forze “a sinistra” del PCUS? Mi riferisco in particolare agli episodi di Kronstadt e della Machnovcina.

    Ennio Abate

    Sono domande che richiedono approfondimenti. Non ho tempo di controllare se esistono materiali attendibili ( e non di mera propaganda accusatoria o giustificazionista) sul Web. Su Kronstadt – ma solo per avviare il discorso – io rimanderei al capitolo intitolato “Kronstadt, il “punto 7″ e la Nep. Democrazia e rivoluzione” ne la “Storia del comunismo” di Luigi Cortesi ( pag. 438, manifestolibri 2010).

    Più in generale una buona (e ovviamente non per questo interamente condivisibile) sintesi fatta mediante saggi specifici sui problemi aperti o seppelliti dell’esperienza sovietica si trova nel vol I de “L’altronovecento”, L’età del comunismo sovietico, Europa 1900-1945, a cura di P.P. Poggio, Jaca Book 2010.

  8. Con l’autorizzazione dell’autore pubblico le osservazioni che Ezio Partesana mi ha inviato in una mail privata sul tema “Comunismo di F. Fortini”. [E. A.]

    Sopra il comunismo di Fortini

    Ciao Ennio,

    non ho mai amato in modo particolare quello scritto di Fortini e la lettura alla quale mi hanno portato i tuoi lunghi appunti non mi ha fatto cambiar giudizio.
    Non metto in discussione l’abilità letteraria, sintattica e retorica di Fortini, anzi: forse è proprio quella che più mi lascia perplesso. Tutto torna a posto in questo scritto ma alla fine ti resta il dubbio che si tratti più di un artificio che di politica e filosofia, anzi, detta meglio, più di poesia che di filosofia.
    Così vedi, forse faccio parte – sebbene dalla parte opposta – di quelli che tu immagini dicano “ma questa è poesia, dài”. E forse è vero che da filosofo (e gesuita, aggiungerei in un impeto di autocoscienza) in questo brano la dialettica di Fortini mi pare lasciare il posto a una sintassi astutissima ma, ahimè, non candida come un falco.
    Non ho grandi obiezioni da fare alle tue riflessioni, se non una certa lunghezza e l’inserimento di tematiche che so essere a te molto care – la divisione del lavoro e la potenza delle emozioni, per esempio -, ma che non sono sicuro appartenessero in egual misura a Fortini che, per storia e educazione non le ebbe mai a affrontare personalmente, se non altro.
    Piuttosto sopra alcuni punti dissentiamo negli accenti che tu poni e io non riesco a riconoscere centrali. Il “combattimento”, per esempio, mi appare un chiaro tema di morale comunista innestato sopra alla così detta “anticipazione”, che è tema blochiano sì ma che sospetto al Nostro sia arrivato più tramite l’etica protestante (e l’ebraismo, ma lo dico solo di soppiatto perché, se fosse vivo, Fortini mi spellerebbe vivo) che non, come tu scrivi, come necessità di una ecologia della lotta. Così come le due parti sugli oppressori e sugli oppressi mi paiono essere una trasposizione non particolarmente riuscita della dialettica Signoria e Servitù in ambito polemico. Non ho mai avuto occasione di discutere con Fortini di questo suo scritto, ma di altri fortemente impegnati sì, e anche di fronte al me allora ragazzo (ma con qualche nozione di filosofia) Fortini non esitava ad ammettere che fosse un genere a lui poco congeniale.
    Che altro posso dirti nei tempi stretti del mio tempo biografico? Alla fine la definizione migliore di “comunismo” io l’ho trovata nel Fortini che cita Adorno che cita la Bibbia: “Date a tutti da mangiare e da vestire e il Regno dei cieli vi verrà dato in sovrappiù”.
    […]
    Un abbraccio,
    Ezio

  9. Dovrei ammettere che sono circondato e mi devo arrendere? Tra le critiche di Partesana, Fischer e Aguzzi (e indirettamente quelle di La Grassa che ho comunque in mente) davvero starei difendendo l’indifendibile e solo per un attaccamento filiale a papà Fortini, “comunista speciale” sì, ma troppo poeta e poco filosofo e politico?
    Come ho detto ad Ezio, sono partito da questo testo di Fortini, impegnandomi in un commento sicuramente troppo lungo e didattico, per una insofferenza profonda verso ogni liquidazione dell’idea e della storia del comunismo. Sulle quali da tempo – fin dal numero zero di Poliscritture del 2005 – mi sono proposto innanzitutto di tenere aperta la riflessione critica. In tal senso continuerò a rileggere vari testi (Cortesi, Poggio), a seguire le riflessioni di quanti ancora ne parlano (Conferenza sul comunismo a Roma del gennaio 2017). E spero di continuare a proporre nei mie «appunti politici» aspetti della questione. Ben sapendo che si tratta, appunto, di “rovine”. Non voglio che diventi un tabù visitarle.

  10. Probabilmente sono una pignola (invece non credevo di esserlo), ma vorrei proprio ritoccare una frase di Ennio su Fortini “troppo poeta e poco filosofo e politico”. Troppo filosofo, invece, di una filosofia criticabile, un razionalismo che finisce in un messianesimo. Quindi, la politica come ideale radicato nell’antropologia, in un continuo rimando a quello che non è -ancora-, a un possibile ma non garantito, in cui l’aspirazione, la speranza, lo stimolo continuo a trascendersi… sfianca.
    Vladimiro Giacché, anch’egli si impegna a tenere aperta la riflessione sul comunismo. Ma si occupa del comunismo che è stato, l’ultimo libro è sul pensiero economico di Lenin nel governo. Invece di immaginare “altro” che non si è dato, valorizza ciò che è stato, e che invece i c.d amanti del comunismo respingono.

  11. *Autorizzato, pubblico questo brano di una mail di Massimo Parizzi. [E. A.]

    Caro Ennio,
    ho letto tutta la discussione su Fortini e il comunismo, ma è stato un tour de force! 90 cartelle! Devo dirti che sono sempre più infastidito da queste discussioni via blog o simili. Troppo facile scrivere e spedire, troppo facile copiare e incollare pezzi presi di qua e di là, troppo veloce tutto, con il risultato che il numero di pagine si moltiplica a dismisura e il rigore del pensiero, il controllo della scrittura scemano. Non parlo dei tuoi interventi, che sono sempre più rigorosi e controllati di altri, ma in genere mi sembra così. Ha senso? A parte che le nostre vite hanno un termine, e per leggere 90 cartelle occorre del tempo che forse si potrebbe dedicare ad altro; a parte questo, io penso che sarebbe importante dare esempi di scrittura più rigorosi, più attenti, e invitare a letture più meditate. Sarà, certo, che io non ho né l’inclinazione né la stoffa dell’intellettuale militante, quello che interviene giorno per giorno nell’“agone” politico-culturale (e sono ben contento che altri lo facciano), ma c’è anche che, ne sono convinto, la crisi di una prospettiva di cambiamento radicale, rivoluzione se vuoi, è profonda e durerà a lungo, che intervenire sul presente mi sembra senza speranza, e che quindi mi sembra più utile cercare di lasciare qualcosa che riesca a parlare bene a “chi verrà” (e già c’è).
    Sul merito: la discussione m’è parsa infestata di equivoci, di digressioni (come quella su fascismo e comunismo versus liberalismo), di risposte roma per toma e, se devo andare al nocciolo, mi spiace, ma non ci ho trovato niente di particolarmente interessante, niente che non sia stato già detto o che non si possa facilmente immaginare. Conoscevo quel testo di Fortini e, ai tempi, m’era piaciuto con delle riserve (specie sulla necessità di usare gli altri come mezzi, anche se sempre meno). Le riserve sono cresciute: in particolare, ora, mi contraria la terminologia militare (“combattimento” è più militare di “lotta”), non per pacifismo, ma, uno, perché alludere a uno scontro violento nella nostra epoca di armamenti super mi sembra insensato, e, due, perché la violenza è il regno dell’efficienza e porta in primo piano gli efficienti (Stalin insegna). Ma il punto più importante è che io, a differenza di te, credo che la parola comunismo non si possa più usarla. Mi spiace, perché nella sua radice (“comune”) è una parola bella e ricca, ma è legata indelebilmente all’idea di Marx di una lotta di classe come motore della storia, di una classe che liberando sé libererà tutti ecc., che credo si siano dimostrati errori, ed è legata indelebilmente alla storia dei comunismi reali, e sappiamo qual è.

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