L’acqua entra dalle mie labbra

 

 

di Arnaldo Éderle

Stavo pensando a una sequela
di ragionamenti tanto forti da farmi
vibrare il cervello e rotolarmi
nella loro burrasca e vedermi
offeso nella loro spuma e giostrarmi
tra i suoi flutti senza nessun punto
dove riferire i miei inutili sforzi
e lì sostare in balia della fortuna.
E mi pareva di riuscirci quando
un flutto più alto degli altri mi
superò il mento e invase la mia povera
bocca e mi fece vomitare il sale
dell’acqua entrata dalle mie labbra
aperte. E il mio fiato si sconvolse.
Mi sentii perso e le braccia cominciarono
a sbattere convulse e i polmoni, credo,
si ritrassero come spugne secche
ma non riuscii a sgombrarli
e così rimasero per alcuni istanti.

Questa era la situazione quando un pesce
sbattendo la sua possente coda mi sottrasse
alla mortifera presa e mi spinse a galla.
I gravi motivi del mio terrore svanirono
e ricominciai a respirare.
Ora sto respirando e spero per sempre,
ma la poesia continua a muovere
frasi lunghe e corte dentro il mio
convulso cranio. Non so che mi succederà
tra poco. I vecchi flutti seguitano
un po’ a perseguitarmi, più leggeri
ma sempre impetuosi seguitano a inseguirmi
nel mio vagare fra queste acque
furiose, ma con la bocca all’aria ora,
alla vita al raziocinio, spero di
continuare così fino all’apparire del
della mia preda, del mio ricercare.

Si sa, è una poesia del “ricercare”
dell’andare per balzi e scivoloni in cerca
delle false verità nei nascosti voleri
nelle strane convinzioni nei gravi rapporti
tra i vivi di questa bella terra,
sebbene le cose siano le stesse
da centinaia d’anni. Non si sa mai
che con un colpo di cervello
qualcuno, come me, non riesca
a indovinarle e ridurle a cenci sporchi
ininvidiabili.
Oh mia breve calotta, ingegnati scorri
i dizionari le enciclopedie dei grandi,
scova parole e geni capaci e inesorabili
che calcolino intrugli e creino boccette
coinvolgenti multicolori fascinose dolci
che non risparmino lingue e palati
dei mostri, che sono molti
e così affamati e luridi da schifare
le pulci.

Ecco vi vorrei così miei cari geni
miei cari personaggi salubri alla memoria,
semmai ce ne fu di memoria,
di questa benaugurata specie di queste
figure adorate pregne di buon gusto
di idee confacenti le volontà di tutti
gli amici della pace
e degli eccelsi soli e delle
spiagge finalmente pulite e accoglienti
dove le buone maniere e i gesti fraterni
si rincorrono come lieti bimbi che corrono
nei loro campi con le loro piccole
gambe e gridano motti cari a tutti
gli astanti che ridono felici delle
loro grida.

Oh sì, così si placherebbero i miei
lebbrosi affanni le mie ansie
il bruciore delle mie ferite e quelle
degli altri che soffrono la mia stessa
malattia e continuamente guaiscono
colpiti a morte.

Ah, quale sarebbe la nostra sfera
spalmata di bontà e attenta alla bua
dei bambini come alle infelici escoriazioni
degli sfortunati che scivolano su una
innocente banana e si fratturano un osso
buono che sostituiscono con un buon
bastone.
Paure e terrori non sarebbero più pronti
a morderti i calcagni e fermarti il cuore.

Come orribili bestie bastonate
i nostri eterni persecutori certamente
correrebbero dentro le loro caverne
a difendersi e difendere i loro tristi
offensivi cervelli e le loro macabre
idee, giungerebbero persino a sbranarsi
tra loro e finalmente finire
in una scura poltiglia nauseabonda
da dove le loro ossa spunterebbero
come fiori del male dalle corolle brune
e tremendamente velenose.

Sì, i mali del mondo intero vengono
dal loro fiato morboso
che in loro si nasconde brulica nelle
loro mani e si annida nelle volte
dei loro malatissimi cervelli e finirà,
speriamo, con la loro estinzione.

10 pensieri su “L’acqua entra dalle mie labbra

  1. Giona nella balena “ma la poesia continua a muovere/ frasi lunghe e corte dentro il mio/convulso cranio”
    (spero per sempre)
    “con la bocca all’aria ora,
    alla vita al raziocinio, spero di
    continuare così fino all’apparire del
    della mia preda, del mio ricercare.”
    Bello il passaggio: l’apparire del/della mia preda.
    Carissimo Arnaldo, tra le lingue e i palati dei mostri (che sono perfino “così affamati e luridi da schifare/le pulci”, le pulci soggetto dello schifare) non è male, anzi è da fare, ricordare la faccenda, dopo un’ubriacatura di gioventù postbellica ormai passata. E’ cioè una lunga tradizione della nostra cultura la meditazione della morte, faccenda giustamente culturale (nonostante gli altri “guaiscono/colpiti a morte”).
    Tu adegui il confronto, millanni dopo, da scettico, anche da stoico, ma in verità da epicureo “queste/figure adorate pregne di buon gusto/di idee confacenti le volontà di tutti”. Ché, senza offensivi cervelli e macabre idee, la solidarietà umana smaltirebbe le paure. Non sarebbe male.

  2. “…E il mio fiato si sconvolse” (Arnaldo Ederle): ritrovo le sensazioni angoscianti e impotenti che si provano durante una crisi di panico, quando ci sembra di essere assaliti da nemici superiori alle nostre forze, dalla “mortifera presa” (A.E.)…Superato l’attacco, si tende a credere che i mostri siano sempre fuori, mentre anche quelli dentro, creati da noi stessi, non scherzano…

  3. Caro Arnaldo, mi hai affettuosamente rimproverata per il commento ellittico che ho lasciato sulla tua poesia. E’ stato nei fatti un commento egocentrico, una lettura del “ricercare”, nella tua “poesia del ‘ricercare’”. Tu rivolgi con forza la tua attenzione ai cari geni, i cari personaggi salubri della memoria. Ai bambini e non ai mostri con malatissimi cervelli.
    Ma il drammatico dualismo (fra balzi e scivoloni) della tua poesia non è il mio atteggiamento verso la nostra bella terra, popolata di mostri atroci e quotidiani. Non spero niente di più di quanto azioni sensate possano produrre. Invece è proprio la comune fragile insensatezza quella che sempre osservo. Per questo ho letto “in diagonale” la tua poesia, come la eterna e sciocca interrogazione sulla morte, che certe culture mettono al centro della vita, e altre, come noi fino a prima del crollo del mondo bipolare e del successivo terrorismo, ignoravamo a bella posta.
    Ecco qui, ho letto una meditatio mortis e, bentornata, le ho detto.

  4. Cara Cristiana, grazie per la precisazione. Questa volta mi sembra di aver capito, ma
    sei una tale critica che quasi mi mette paura leggerti (ma scrivi, contiua a scrivere, ché
    la tua è la critica che mi interessa più di tutte (di traverso o lineare, va bene in tutti i
    modi). Un forte abraccio, carissima Cristiana, e a risentirci presto. Arnaldo

  5. Possente vis poetica.
    Condivido la speranza della chiusa.
    Riprendendo la lettura “obliqua” della sig.ra Fischer, temo davvero che siamo costretti, sotto l’eterna minaccia d’una decimazione mondiale, a riprendere l’antica meditatio mortis.
    Ma in fondo, anche i mostri, dove possono sopravvivere se non nelle loro caverne?
    Non vale anche per loro un’identica, e speculare, meditatio infera?

  6. Caro Martini, grazie del bel commento. Spero che il mio poemetto le sia piaciuto davvero
    e che sia d’accordo sulla mia ultima stanza. La ringrazio ancora e le mando un mio
    amichevole saluto. Arnaldo Ederle

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *