Pensieri

 

di Annamaria Locatelli

E come tutti, ci si ammala… questa novità costituisce una forma di movimento che in qualche modo riattiva qualcosa, anche la semplice domanda: vuoi vivere o no? Il meccanismo si è inceppato? Coraggio, dai!

…e vale la pena

E viene quando
non di parole
hai bisogno
ma di cure,
le tante trafitture
arrivano al costato.
Servono bende
carezze di sguardi
e di mani.
Un tempo a rilento.
lena lenisce lena lenisce
le palpebre socchiuse
vite e visioni
rimescola.

…il demonio sarebbe ormai diventato il signore del mondo secondo Walter Siti… E’ difficile dargli torto se solo si dà un’occhiata ai fatti intorno: barbarie senza riscatto, minacce occulte senza scampo…Il tutto ben mimetizzato da divise sfavillanti, guerre umanitarie, mine antiuomo in pacchi-dono, progresso tecnologico ma, non meno di sempre, con la finalità di colonizzare, sfruttare, opprimere. L’essere umano assurdamente contro l’essere umano. Un’unica differenza rispetto al passato: gli oppressi spesso agiscono fianco a fianco degli oppressori: piagati e sanguinanti, le menti ottenebrate, agli aguzzini porgono (si porgono) tenaglie e altri strumenti di tortura. Subdolo ed efferato il nostro inferno.

E poi c’è chi ti sorprende…in bene intendo. Ma perché è così timido nel procedere? Si muove un po’ nell’ombra, a passi felpati, come nelle stanze di un ospedale, dove sono i megalomani incurabili a dirigere il grande istituto… proprio loro tengono rinchiuso il sano (tra l’altro anche lui con vari segnali di contagio), lo considerano un malato cronico di “illusioni”, senza speranza di guarigione, gli concedono di muoversi solo di notte per i bisogni primari, lo controllano a vista di giorno e gli azzerano gli accessi reali: le chiavi sono nella stanza inaccessibile dei bottoni, blindata e protetta da arsenali e arsenali…E il (quasi) buono di che armi dispone? Non vuole accedere agli arsenali, se ancora larvatamente esiste è perché le ha rifiutate, le armi, allora si guarda finalmente le mani bianche, nere, gialle e sa che con quelle soltanto può cercare di disfare, boicottare frange della diabolica piramide e prendersi cura di quanto resta della vita agonizzante…Dispone anche di una mente e di una voce e con quelle può pensare, svelare, urlare, ma le sue urla sono insonorizzate, azzerato il volume sul grande schermo del grande fratello (sembra che solo così gli sia concesso di comunicare) e non manca molto che una solerte lettiga sopraggiunga per trasferirlo nel più vicino internario. Come gli vogliono bene! Per lui interviene subito la pubblica assistenza!
Insomma, tempi duri! e per un domani forse non resta che allenarsi nella pratica della telepatia, che rinforza le convinzioni all’interno di un noi disperso e ripiegato e agisce nel silenzio…

Che, di questi tempi, gli alberi per loro natura così indifesi possano fornirci un esempio di resistenza? Alleati vegetali? Ma noi solitamente pensiamo di avere molte più chance di loro per salvarci, possiamo scappare in caso di pericolo e poi abbiamo la nostra straordinaria intelligenza e le capacità organizzative per difenderci. Sì, proprio come hanno potuto constatare le povere popolazioni dell’ Iraq, dell’ Afghanistan e della in Siria!.. I mostri già in azione lasciano ben poco margine di scampo, ma molti altri ancora più muscolosi e dagli aliti mortiferi sono pronti a seguirne l’esempio. Il dejà vu delle recenti guerre mondiali sarebbe solo un pallido esempio.

Ricordo come da bambina, ma anche più in là negli anni, per certe paure incontrollate, lasciavo liquido tiepido alla terra, come chiedere aiuto a chi può farlo senza umiliarci. Oggi poi c’è l’incontinenza senile…si ritorna bambini. Pensieri liquidi

Ho letto che alcuni esemplari dell’albero del caco sono stati gli unici a sopravvivere alle radiazioni dopo l’esplosione atomica su Nagasaki nel 1945, così che in Giappone il caco è considerato l’albero della pace…posso parlarvi di un benjamin di mia conoscenza, in tempi apparentemente meno duri, ma certo non pacifici:

Un benjamin
dal chiuso di un segreto giardino
si proietta nella mia stanza,
tenera acqua verde
ho tolto le tende
per farmi inondare.
Riceve sole un’ora sola
al giorno, al mattino
dalle nove alle dieci
s’indora
di mille e mille
foglioline lucenti.
Ma poi
s’adombra
ammutolisce,
a inerpicarsi fatica,
stretto com’è tra le case,
sino all’azzurro,
ha freddo e non raccoglie
canto d’ uccello,
solo in fuga un merlo
lo trapassa fischiando…
Lui, paziente, aspetta il vento amico
che s’intrufoli nei reconditi recessi urbani
sino ai suoi rami
e allora, in catene, danza

Non assomiglia un po’a tutti noi l’albero che invano si divincola? Ma forse non invano, ora almeno si è liberato dall’illusione più grande: i suoi rami non crescono all’infinito, si allungano solo quanto la linfa e la sua specificità all’interno del regno vegetale permettono..e soprattutto se l’accetta, anche il cemento e lo smog, li risparmierà…Magari sogna nelle notti di luna piena di volare sino a raggiungere quell’astro in apparenza a portata di rami, così assoluto e completo…Ma per fortuna i suoi piedi non si staccano mai da terra. Comunque gli alberi, non solo quelli dei boschi e delle foreste, comunicano tra loro anche a distanza e sicuramente provano pietà (o paura) per la sorte vicendevole e se si tagliano i rami o le foglie di uno o di alcuni, gli altri declinano anche solo impercettibilmente le loro…Un fremito sotterraneo li attraversa. Noi facciamo altrettanto quando ruggiscono le bombe in Siria, in Palestina e cadono vite? Sentiamo declinare qualcosa dentro di noi?

Una mia cugina, più grande di me, nel dopoguerra conobbe in un sanatorio un partigiano, ferito gravemente durante la resistenza; entrambi vi erano ricoverati, lei per curare la tisi, lui le ferite ai polmoni… I medici avevano pronosticato a tutti e due un tempo breve di vita, ma una scintilla che si accese tra loro, al contrario, la alimentò…

Il tempo oggi ha sempre più il suono di un grammofono arrugginito…la velocità senza respiro di una rete iperconnessa lo percuote con spinta supersonica, rispedita al mittente quale solo può un cavallo impennato…E che capocciata per gli umani! Se ieri i pensieri erano seri e oggi mogi, quelli di domani di certo strani..

Ma no c’è chi non si è impantanato nel tempo…non è un idealista perso a collezionare farfalle nell’universo, sa passare ai fatti, che sono poi l’unica cosa che conta…Anche chi fa le guerra lo sa, è molto pragmatico…non si spreca in chiacchiere idealiste, in pensieri stravaganti

E i comunisti nelle retrofile? A raccogliere riflessioni sul significato di sconfitte e fallimenti, a salvare quanto, nonostante tutto, rispunta dalle rovine…Il valore di alcune parole che nel tempo da millenni si ricorrono sulla strada della Storia umana a cercare giustizia e pace per tutti…In un tempo stonato non sembra poco. Le note raccolte, spesso divergenti in tonalità e respiro, non sono in grado di lanciare il la di una rivolta e tantomeno di alzarsi all’unisono in un concerto… Però forse sono prove di un’orchestra che verrà…O preferiamo pensare ad un futuro di pazzia solitaria e collettiva?

Qualcuno può pensare allora che il tempo tutto vada alla riflessione e magari a sospirare sfogliando la margherita: la rivoluzione avverrà, non avverrà…

Nei cori vissuti si raccolgono le note migliori, dolenti e spaventate, ma anche incoraggianti…tra i bambini, i giovani, i migranti, i malati…E lì conviene confondersi per ritrovarsi…
E’ il recupero del minimo umano che ci preme…Come confondere chi ci vuol confondere? Partire da alcune esperienze originarie, che si ripetono nei millenni a caratterizzarci può aiutarci? Gli occhi sul mondo della prima infanzia, anzi primissima (in America hanno dotato di schermi video persino i seggiolini da viaggio per neonati), i bisogni primari ricorrenti, la malattia, la migrazione, anche l’amore (sebbene quest’esperienza sia tra le più colonizzate)…

Come ci hanno diviso e omologato!

11 pensieri su “Pensieri

  1. Bel testo. L’ho letto con timore (pensando e rivolgendo auguri all’autrice per il male su cui riflette) e insieme con piacere e interesse, quasi sentendomi in colpa per questo.
    Tralascio ogni osservazione cogliendo solo un inciso occasionale, che però forse può portare a qualche indiretto riscontro col testo stesso.
    Annamaria Locatelli ricorda che «il demonio sarebbe ormai diventato il signore del mondo secondo Walter Siti». Ma chi è il Demonio (con l’iniziale maiuscola, nome proprio; o il demonio, con l’iniziale minuscola, nome comune?). Nel campo religioso, per le religioni del libro, è un angelo creato da Dio che si è ribellato e ha subito la condanna…. Ma che condanna? Che condanna è essere stato delegato a gestire l’Inferno? È una condanna o un premio? Alcuni teologi islamici hanno sostenuto che il Demonio è il migliore servitore di Dio, perché ha accettato di sobbarcarsi, per suo conto, il “lavoro sporco”.
    Ma il demonio ha vari nomi: Lucifero è il primo: portatore di luce, bello, potente, fra i prediletti di Dio; ribellandosi diventa Satana, il nemico calunniatore di Dio, colui che sobilla gli uomini contro il loro creatore. Come spirito tentatore che s’impossessa della volontà degli uomini è il Demonio, o un demonio (iniziale minuscola), uno dei tanti che si sono uniti a lui nella ribellione e nella gestione dell’Inferno.
    L’Inferno è il luogo dove si punisce il male. Qualche teologo cattolico dice che è vuoto, perché Dio è come un padre che minaccia ma poi perdona sempre. Altri sostengono che è pieno, perché il male si diffonde sempre di più.
    È un male sostanziale? Intrinseco alla natura umana? Pertanto creato da Dio stesso? O è un male che deriva dall’esterno della natura umana o da alcune sue caratteristiche in sé positive ma suscettibili di volgersi in negative? Ecco, insomma, l’eterna doppia facce delle cose sempre intrise di bene e di male.
    Per un laico non credente il Demonio è una metafora del fallimento della prima utopia, voltatasi in distopia. Nel paradiso celeste (prima che in quello terrestre si ripetesse una storia analoga) Lucifero concepisce questa bella utopia: conquistare l’indipendenza e la libertà lottando contro il padrone del tempo (di quel tempo storico prima di ogni storia come del tempo in assoluto). La rivoluzione fallisce, Lucifero è scacciato dal paradiso e costretto a un lavoro infernale, pur sempre, però, alle dipendenze del suo Dio.
    Perché Dio ha bisogno di un servitore così potente per sottoporre gli uomini alla tortura della tentazione? Perché vuole condannarli tutti o vuole spronarli alle scelte migliori e selezionare i più capaci (dal suo punto di vista)? Stando alla dottrina cristiana (sia cattolica, sia luterana, sia ortodossa) della grazia, secondo la quale l’uomo si salva non con le sue forze ma solo con l’aiuto di Dio, sembrerebbe che sia così. Ma l’insufficienza delle forse dell’uomo non è conseguenza del peccato originale, ma lo precede, altrimenti non sarebbe caduto in tentazione e in peccato.
    La tragedia che si è svolta nel Paradiso terrestre è la seconda utopia fallita. Adamo ed Eva hanno creduto di poter diventare come Dio e per farlo si sono ribellati a lui. Con la conseguenza di venire scacciati dal Paradiso terrestre e condannati al lavoro sulla terra, che, per molti versi, è sempre un lavoro “infernale” con cui ha in comune il carattere punitivo.
    Il nocciolo della questione sembra dunque essere, sempre, una questione di libertà e di potere. Chi desidera esercitare in proprio la libertà e il suo potere personale (come insieme di capacità, facoltà, idee), finisce male. Così da millenni si dice che la libertà deve essere contenuta dalla responsabilità e che questa consiste nell’obbedienza alle regole. A quali regole? Giuste o sbagliate che siano, si tratta quasi sempre di regole dettate da altri. Fino alle più assurde affermazioni secondo le quali la vera libertà è riconoscere che il suo unico esercizio responsabile consiste di scegliere di non essere liberi ma obbedienti al verbo, al credo, al programma, al capo, alla Chiesa, al partito ecc. ecc. Insomma si è liberi solo se si è capaci di non esserlo e di gratificarsi di questa rinuncia.
    Forse per questo tutti desiderano la libertà e però, insieme, tutti o quasi tutti la temono e la rifuggono. Il tema psicoanalitico della “fuga dalla libertà” è ben spendibile anche in politica, come nella vita privata quotidiana. Si cercano allora dei surrogati della libertà, cioè una libertà senza il coraggio della responsabilità; la libertà dei furbi, la licenza di trasgredire impunemente, di comportarsi secondo i consigli del demonio quando siamo sicuri di non pagarne le conseguenze e secondo le buone norme negli altri casi (sebbene spesso solo per ipocrisia).
    Ma poi, nella sua storia, con Dio o senza Dio, con credenze religiose o senza, l’uomo ha tentato di costruire molte altre utopie e, in qualche modo, di ritornare al Paradiso terrestre, a una situazione di benessere sicuro e completo, ma ha sempre fallito e sempre per mancanza di comportamenti abbastanza liberi e insieme abbastanza responsabili (senza abusi di potere, senza egoismi, con gli equilibri e le ragioni possibili, il rispetto degli altri, la discussione fra le diverse proposte ecc.). Più è stato alto il tentativo di costruire l’utopia, più forti sono state le deviazioni e più terribili le distopie effettivamente realizzate.
    Allora, forse, uscendo dalle credenze religiose e dalle metafore interpretative di esse, è necessario ammettere che in noi, nella nostra natura, ad ogni livello, ci sono compresenti e cooperanti sia il bene sia il male, siamo noi sia il dio sia il diavolo della nostra vita e spetta a noi saper scegliere quella libertà responsabile che è l’unico atteggiamento, privato e politico, che può portarci a un male minore. Per poter scegliere è necessario l’esercizio della libertà e anche quello delle conseguenze, negative e positive. Se c’è qualcuno che pensa sempre per noi (Dio, Stato, Istituzioni varie) impedendoci di esperimentare direttamente le contraddizioni della libertà, non usciremo mai dalla pessimistica tesi sulla necessità del governo (e quindi della coercizione) come minore dei mali. E non un governo creato da noi, con un accordo volontario, nell’ambito della comunità in cui viviamo, ma un governo imposto da altri e al quale ci è negato di sottrarci.
    Ma al male intrecciato alla libertà e alla servitù si accompagna poi un male che ci sembra talvolta casuale, talvolta metafisico. Perché la malattia? Perché un terremoto? e così via. Esclusa l’idea che certa teologia ripropone ancora oggi, del male come punizione divina, non possiamo escludere l’idea che il contrasto fra male e bene che è nel nostro interno si trova anche all’interno della natura, che la si concepisca come serie bruta di processi necessitati o come corpo con una sua propria vita e logica e un certo livello di libertà. Senza tornare ai rapporti fra micro e macrocosmo, è indubbio che i problemi irrisolti dell’uomo si riflettono sulla natura e questa vi risponde a suo modo, talvolta ribellandosi e cercando di scacciare l’uomo, di annientarlo. L’esempio delle malefatte edilizie che provocano frane, allagamenti e danni diversi è solo uno dei più semplici. Altri sono più complicati e alludono a misteri e comportamenti che non possono ridursi al puro meccanicismo.
    Si dice, ad esempio, che i figli non sono responsabili delle colpe dei padri. Saggia dottrina giuridica. Ma dal punto di vista psicologico, pedagogico, biologico possiamo dire che i figli non godano delle virtù dei padri e non soffrano delle colpe? Vi sono forme di “ereditarietà” più o meno strette che smentiscono l’ottimismo giuridico.
    E anche in questi casi vi sono contrasti fra bene e male, fra libertà e non libertà, che hanno una loro radice (non unica e non sempre prima radice) all’interno della storia dei singoli, perché ogni singolo, anche dal punto di vista genetico, ha sempre a che fare con un tradizione, con una trasmissione di cultura e di natura.
    Anche il male pertanto, qualunque tipo di male, va concepito e affrontato con questa consapevolezza, che talvolta può esserci d’aiuto direttamente e subito, altre volte solo in una media e lontana prospettiva, per i nostri discendenti.
    Ho scritto improvvisando dopo una notte di lavoro, prima di chiudere il pc e andare a letto (ore 7,19). Spero di non avere “liberato” spropositi nascosti dentro di me, ma solo alcuni frammenti di una riflessione per una escatologia laica.

  2. …ringrazio Luciano Aguzzi per la lettura e per queste sue riflessioni che hanno davvero molta attinenza con i miei pensieri. Intanto assicuro che il mio(piccolo) male è assolutamente sulla strada della guarigione…In quanto al male o Demonio con la lettera maiuscola, in contrapposizione al Bene mi sembra un problema di grande importanza che si trascina con sé il senso da attribuire alla vita…Che il loro scontro possa essere considerato nei miti anche fuori dal tempo, come nella Storia umana attraverso il tempo mi ha parecchio colpito…Una riflessione che raccolgo e trovo interessantissima è quella del Demonio, ex Lucifero, nemico del Bene in quanto tentatore e , nello stesso tempo, suo servitore…Mi suscita un dubbio però: se esistesse l’inferno ultraterreno con le sue pene, allora ci sta, ma in una visione laica come la mia non vedo che chi si comporta male qua sulla terra sia sempre punito …Anzi spesso lo sono i “buoni”, in quanto oppressi e indifesi…Così il Demonio se la ride due volte…Molto giusta la riflessione sulla libertà e il potere, libertà che comporta la responsabilità e quindi l’accettazione dei limiti, sia quelli della natura che quelli della coscienza e, da quest’ultima, di un contratto sociale condiviso… Non so invece sciogliere un dubbio: la natura condivide con l’uomo la presenza del Male? Tendo a credere, ma non sono certa, che solo l’essere umano possa disporre di una volontà cattiva, crudele (come dispone della volontà buona), mentre la natura può essere meccanicamente spietata, ma non crudele…per quanto riguarda certe misteriose presenze malvagie nella natura, nei paesaggi, nelle cose…persino nelle persone, tendo ancora ad attribuire la causa sempre al passaggio, difficilmente dimostrabile, della crudeltà umana…Forse perchè per me non esiste il Demonio come entità…In tutti i modi il parlarne proprio oggi, in data venerdì diciassette, non può che essere esorcizzante…questo per i superstiziosi

  3. Una volta avevo un amico, prete missionario. Scrivo avevo, perché era molto più grande di me e sarà morto, ma forse no. Una volta gli chiesi se il male è sostanziale e eterno, ma dissi in realtà che il male è ineliminabile, ed è oggettivamente cattivo.
    Mi rispose che no, che il male non “esiste”.
    – Però Hitler, per esempio…
    – Che ne sai? rispose.
    – Dio lo ha salvato?- per provocarlo…
    – Sì. Noi non sappiamo.
    Non ho mai dimenticato. Ne derivano parecchi pensieri, alcuni li ho accettati, altri
    il pensiero laico ora imperante li respinge: se Hitler era pazzo e crudele, era al servizio della guerra, con idee perverse e interessi orribili, fu anche seguito da mezzo mondo: erano tutti diavoli?
    Non giudico la storia per blocchi. La responsabilità è personale, la libertà
    è una conquista, il male è solo dentro di me, quello che voglio o non mi curo di fare. E la pianta che muore, il rivo che si strozza… rifluisce e rivive nella terra.

  4. Nella tradizione cristiana è prevalsa la corrente teologica e dottrinaria che parte da san Paolo e passa da Agostino, ripresa da Lutero e in genere da tutte le correnti radicali delle chiese cristiane. Così sono stati stabiliti, addirittura come dogmi, principi quali l’esistenza del peccato originale trasmesso da Adamo a tutti i suoi discendenti, la salvezza per grazia divina e non per mezzo delle proprie opere di bene, la predestinazione della salvezza ed altri punti in linea con questi. Molto diverso, direi quasi una forma di illuminismo teologico cristiano, era il pensiero di Pelagio, aspramente combattuto da Agostino e infine condannato. Il suo pensiero venne considerato eretico ed espulso dalla discussione interna alle chiese cristiane. Eppure, se avesse prevalso il moderato e più illuminato suo pensiero, la storia della Chiesa e quindi dell’intera società in cui il cristianesimo è giunto, sarebbe stata molto diversa. Pelagio non ammetteva il peccato originale, non la predestinazione, non la salvezza solo per grazia. Riteneva l’uomo libero e responsabile delle sue scelte. Poteva scegliere il bene o il male e dalla sua scelta dipendeva il suo destino ultraterreno: l’ascesa in Paradiso o la condanna all’Inferno. È indubbio che questa concezione religiosa avrebbe potuto evolversi in minor tempo in una visione laica illuminata. Di Pelagio riporto un brano della sua “Lettera e Demetria”:
    «Pur avendolo creato debole e inerme esteriormente, Dio creò l’uomo forte interiormente, facendogli dono della ragione e della saggezza, e non volle che fosse un cieco esecutore della sua volontà, ma che fosse libero nel compiere il bene o il male. Se ci pensi bene, ti apparirà evidente come, proprio per questo, la condizione dell’uomo sia più alta e dignitosa, dove sembra e si crede invece più misera. Nell’essere capace di distinguere la duplice via del bene e del male, nella libertà di scegliere l’una o l’altra sta il suo vanto di essere razionale. Non vi sarebbe alcun merito nel perseverare nel bene, se egli non avesse anche la possibilità di compiere il male. Per cui è un bene che possiamo commettere anche il male; perché ciò rende più bella la scelta di fare il bene. Sembra che molti vogliano rimproverare il Signore per la sua opera, dicendo che avrebbe dovuto creare l’uomo incapace di fare il male: non sapendo emendare la loro vita, costoro vogliono emendare la natura! Invece la fondamentale bontà di questa natura è stata impressa in tutti, senza eccezioni, tanto che anche fra i pagani, che non conoscono il culto di Dio, essa affiora e non di rado si mostra palesemente. Di quanti filosofi, infatti, abbiamo sentito dire o visto con i nostri occhi che sono vissuti casti e astinenti, modesti, benevoli, sprezzanti degli onori del mondo e dei piaceri, amanti della giustizia? Di dove vennero loro queste virtù, se non dalla natura stessa? Fa’ dunque che nessuno ti superi nella vita buona e virtuosa: tutto questo è in tuo potere e spetta a te sola, poiché non ti può venire dal di fuori, ma germina e sorge dal tuo cuore».

    @ Cristiana Fischer
    «che il male non “esiste”» è un’antichissima affermazione che si basa, a mio parere, su un sofisma logico. Esso afferma che tutto ciò che esiste è un bene, ma che i diversi beni sono di livello diverso, da un bene massimo a un bene minimo. Quindi il male «sostanziale» non esisterebbe e il male «morale» nascerebbe dal scegliere un bene minore al posto di uno maggiore o del bene massimo. In sostanza il male c’è e tormenta la nostra vita ma consisterebbe nel dare alla vita un senso errato e nelle scelte che portano a questo. Ad esempio dedicarsi troppo al piacere contingente trascurando la possibilità di un piacere più stabile e di lungo termine. E in senso religioso, sostituire l’amore per Dio, bene massimo, a quello per un altro qualunque dei beni minori, in un rapporto talmente sproporzionato da trasformare quel bene minore nel vero dio di chi lo ha scelto in quel modo. Il male, pertanto, si risolverebbe sempre in una specie di idolatria. Oggi, una delle forme più diffuse di idolatria sarebbe il consumismo materialistico che ci fa dimenticare dei beni spirituali. Tradotta in termini laici validi anche per i non credenti, questa concezione del male come errore di scelta e non come sostanza potrebbe tradursi in una laica educazione alla scelta corretta. Ma ciò è proprio quello che l’educazione in generale e quella etica-politica in particolare affermano di voler fare, senza riuscire a farlo in modo soddisfacente e condiviso da tutti. Certamente, è l’osservazione più ovvia, le scale di valori sono diverse da individuo a individuo e l’unica cosa da fare sarebbe di concordare alcuni valori di base senza i quali è impossibile una convivenza accettabile e lasciare ognuno libero di scegliere come vuole su tutti gli altri valori, cioè su tutti gli altri beni minori o maggiori che siano considerati.
    La concezione del male come non esistente in senso sostanziale cozza però col fatto che spesso noi subiamo il male come frutto di azioni di altri. Questo male, nel momento in cui lo subiamo (ad esempio veniamo aggrediti) è sostanziale o no? E se non è sostanziale, com’è che io, che non ho commesso l’errore di scegliere di essere aggredito, devo subire l’errore di scelta di altri che nell’aggredirmi trovano la realizzazione di un suo bene? La distinzione di male sostanziale e male solo morale mi sembra non reggere a un esame rigoroso e alla domanda se il male esiste va risposto che sì, esiste. Esiste e si fa sostanza morale sia nelle mie scelte sia nelle altrui per cui tutti siamo a rischio di infliggere agli altri il male delle nostre scelte errate e di subire quello delle scelte errate degli altri. La battaglia contro il male ha, dunque, sempre due fronti: evitare di far male agli altri, difendersi dal male che gli altri cercano di farci, magari anche con la presunzione di farci del bene.

  5. @ Luciano Aguzzi. Il mio amico mi insegnava questo: che male e bene non sono “fuori”, non sono oggetto, ma sono nell’anima in cui è anche Dio. Sono responsabilità e scelta.
    Si può sbagliare per varie ragioni, e anche perché si sceglie il male.
    Questo implica sempre la comprensione (l’assoluzione per i preti) e mai la condanna – tranne i casi in cui c’è scelta esplicita del male.
    Il male per me, che deriva dal non sapere dell’altro, è propriamente il Caso, e il caos.
    Non esistono configurazioni identificabili di mali grandi o piccoli. L’unica dimensione è quella individuale, è sempre questione di scelte.
    Una volta sentii in tv la Zevi (non ricordo il nome proprio, forse Tullia) raccontare di un giovane studente che le aveva in un dibattito ribattuto: se non avessi allora denunciato, o imprigionato, o giustiziato, un ebreo, avrei rischiato la vita.
    E allora? gli rispose lei, però avresti salvato la sua.
    È sempre questione di scelta.

    1. @ Fischer. Stavo scrivendo una articolata risposta ma il testo, per un qualche errore involontario di battitura, è improvvisamente scomparso. Cerco di ricostruirlo in sintesi.
      1) Sono d’accordo che «male e bene non sono “fuori”, non sono oggetto, ma sono nell’anima in cui è anche Dio». Formulando diversamente il concetto per eliminare l’aspetto religioso, diremmo che sono nelle intenzioni e nelle azioni degli esseri che hanno libertà per scegliere e agire. Il male non è nella pietra che mi cade in testa o in oggetti e azioni prive di libertà di scelta e quindi di intenzionalità. Senza libertà di comportamento vi sono il caso e la necessità, che possono causare danno, anche se è un danno che io posso vivere come un male che mi ha offeso, che mi ha aggredito, che mi ha tolto qualcosa o molto, ma che non posso considerare un male in senso metafisico. Salvo, come nella storia spesso si è fatto, attribuirlo ad un essere dotato di intelligenza e libertà, ad esempio a Dio, come in certe polemiche contro i terremoti ed altri “mali” di natura. L’ipotesi di un Dio maligno è ben presente nella storia del pensiero umano e giustificherebbe la teoria del male come categoria propria della natura, come suo comportamento imprescindibile (ad esempio nella poesia di Eugenio Grandinetti, tanto per citare un nome che in questo blog ricorre più volte).
      2) Non sono però d’accordo che il male non abbia una sua dimensione oggettiva ogni qualvolta il soggetto (il dentro, l’anima) di chi fa il male è un altro rispetto a chi lo subisce. Se il signor A uccide, magari per puro divertimento, il signor B che ignaro e del tutto innocente sta camminando per strada (caso che si è verificato più volte nelle cronache nere, si pensi, fra gli altri, al caso di Marta Russo uccisa all’Università di Roma La Sapienza). Per il signor B quel male è del tutto oggettivo, esterno a se stesso, alla stregua di un sasso che gli cade in testa, con la differenza che il signor A non è un sasso e agisce di proprio volontà e libertà.
      3) Questa dinamica di oggetto – soggetto nelle relazioni con gli altri si applica comunque, ma in particolare la si deve applicare nel caso tipo Marta Russo richiamato (o alle stragi di vario tipo di cui sono piene le cronache degli ultimi anni). Che altro è, se non un fattore oggettivo, quel tizio che per divertimento mi spara in testa mentre io passeggio ignorandolo del tutto? E che altro è se non una manifestazione del male del soggetto-altro che per me è ora oggetto? Non è certo un evento casuale o necessitato, come un fatto naturale.
      4) Anche in termini di difesa, quel male che mi colpisce dall’esterno lo devo trattare come oggettivo. Devo ergere delle difese concrete in modo analogo alle difese che erigo per evitare le frane, le alluvioni ecc. Devo prevenire, controllare, evitare i rischi ecc. Tutti comportamenti propri di chi ha a che fare con un’esternalità pericolosa, con un qualcosa di oggettivo che può farti male o ucciderti.
      5) Il tema del male e del bene sono complicati e implicano una quantità enorme di considerazioni di dettaglio che costituiscono una fenomenologia vastissima e penetrante. Se fossero solo «nell’anima in cui è anche Dio» dovrei subito, ad esempio, chiedermi come posso difendermi dal male che la mia anima, le anime degli altri e Dio possono farmi. Le anime e Dio acquisterebbero subito un loro spessore oggettivo che mi porrebbe il problema, se voglio ragionare razionalmente e non dare subito per scontato che Dio voglia solo il bene ecc. , di conoscere con che cosa ho a che fare veramente e quale strategia migliore adottare per vivere come meglio credo. Quando poi mi si dice che Dio salva o condanna per sua volontà imperscrutabile e che il mio agire bene o male non influenza le sue decisioni, penso allora di avere a che fare con un dio ingiusto, isterico, instabile, in cui è da individuare la vera radice e sostanza del male. Un dio che non solo mi reca danno in questa vita, ma che minaccia di condannarmi in eterno anche nelle altre eventuali vite senza darmi la possibilità di predisporre un razionale piano di salvezza.
      6) Non penso questo, ovviamente, ma perché non credo in un dio con una personalità simile, contrario ad ogni mia possibile concezione di equilibrio, di giustizia, di razionalità. Lo studio psicanalitico della dialettica – molto presente nella vita di tanti santi come pratica ascetica quotidiana di umiltà e annullamento di fronte a dio – fra il considerarsi nulla senza dio, tutto con dio, ci rivela una dialettica fra la psicologia dell’uomo che si ritiene inadeguato a tutto fino ad annichilirsi e quella di chi si ritiene, in dio e con dio, una specie di superuomo dotato di poteri infiniti. I due elementi riuniti nella stessa persona non sono esenti da tratti di paranoia schizofrenica rintracciabili nelle personalità molto religiose e istituzionalizzati in certi tratti della teologia e della pratica religiosa (e in modo analogo rintracciabili in militanti politici molto fanatici e convinti, come Hitler, Lenin, Stalin e altri, le cui personalità rivelano tratti paranoici evidenti [nel caso di Juan Domingo Perón vi erano addirittura aperte manifestazioni di paranoia testimoniate da diversi personaggi]).
      7) Per concludere: il male e il bene hanno così tante facce che nessuna definizione le può comprendere tutte. Solo una sistematica analisi di tutte ci avvicinano ad una idea abbastanza completa. CI avvicinano, ma non ce la offrono, perché, fra l’altro, il male e il bene sono concetti mobili, in movimento e in evoluzione continua e nessuna definizione di “essenze metafisiche, di “sostanze” o di altro colpisce davvero il bersaglio al centro.

  6. *Come correttivo possibile all’andamento di questa discussione propongo uno stralcio da un complesso saggio di Gianfranco La Grassa che, di passaggio, tocca la questione dello scontro fra Bene e Male e lo riporta, in maniera per me convincente, a un’esigenza *pratico-politica* [E. A.]

    SEGNALAZIONE

    Stralcio:

    “è assolutamente inutile arrovellarsi sulla “natura” umana, sulle “costanti antropologiche”, e via dicendo. Credo che discussioni del genere abbiano senso, così come ha senso dibattere sulla religione, sull’esistenza o meno di un Essere chiamato Dio e su molti altri problemi dello stesso ordine che, se hanno da sempre spinto grandi intelletti a profondervi le migliori energie, non sono evidentemente destituite di significato come spesso pensano coloro che hanno cervelli simili a computer, e sistemi nervosi solo dediti alle più elementari sensazioni animalesche.
    Tuttavia, per una analisi che in qualche modo si richiami alla scienza della struttura e dinamica della società nell’attuale epoca storica – un’analisi che voglia porre le basi di prese di posizione pratico-politiche in essa, pur se magari ancora assai generali e non indirizzate alla soluzione di problemi “puntuali” – non è gran che rilevante decidere se le tendenze al conflitto per la preminenza, tramite sconfitta e subordinazione dell’avversario, fanno parte dell’intima costituzione dell’essere umano oppure se vi sono speranze circa l’avvento, in un futuro imprecisato, di una società fondata su rapporti interindividuali, al limite ancora competitivi, non però caratterizzati dalla prevaricazione, dalla menzogna e subornazione, ecc. Penso che chi non accetta la società così com’è adesso, diciamo pure quella capitalistica (perché abbiamo in definitiva a che fare con strutture sociali di questo tipo), debba mantenere un atteggiamento di contrasto e di critica radicale dello spirito conflittuale, basato sulla prepotenza e ricerca del predominio, che in detta società si dispiega pienamente in tutte le sue sfere (economica, politica, ideologico-culturale); non ci si deve però porre nella situazione del “profeta disarmato”.
    E’ ora di farla finita con la favoletta della non violenza gandhiana, che sarebbe il miglior modo di vincere le proprie battaglie e di porre le basi per una organizzazione sociale di pace e armonia. A parte le falsità storiche raccontate dall’agiografia di Gandhi, che non era poi così pacifico come si vuol far credere (ai gonzi), la sua vittoria è nata dalla reale sconfitta subita dall’Inghilterra nella seconda guerra mondiale. Apparentemente tale paese faceva parte delle potenze vincitrici, ma in realtà uscì dalla guerra nettamente ridimensionato, avendo definitivamente perso il suo ruolo di grande potenza capitalistica e imperialistica (coloniale). Non poteva in nessun caso mantenere l’India nella situazione precedente la guerra, così come dovette rinunciare alle sue altre sfere di influenza asiatiche e africane. Non parliamo del “pacifismo” attuale dell’India, dotatasi dell’arma atomica, in ricorrente conflitto con il Pakistan, con alcuni (molti) suoi governi locali che reprimono moti popolari tipici di un paese lanciatosi nello sviluppo ad alti ritmi, con le sue “naturali” conseguenze fortemente squilibranti in termini sociali.!

    ( da http://www.conflittiestrategie.it/razionalita-strategica-e-razionalita-strumentale-di-g-la-grassa)

    1. Posso concordare “grosso modo” con La Grassa del brano riportato, il quale però, come tu scrivi, « tocca la questione dello scontro fra Bene e Male e lo riporta, in maniera per me convincente, a un’esigenza *pratico-politica* [E. A.]», tocca solo il problema per parlare d’altro. Ma il problema del “male” e dei rapporti fra “bene” e “male” è un problema concreto e di grande interesse. Le dispute di tipo “metafisico” possono sembrare inutili e dispersive, ma hanno poi ricadute in scienze ben più pratiche (e viceversa; le elaborazioni scientifiche cambiano le prospettive metafisiche), quali la sociologia, la psicologia, l’antropologia e altre, fra cui le discipline assai meno scientifiche della sfera politica.
      Ad esempio, mi è parso interessante l’approccio di alcuni antropologi culturali che hanno studiato il carattere aggressivo in alcune popolazione cosiddette primitive (nativi americani, alias pellirossa; studi degli anni Quaranta e Cinquanta poi aggiornati, nell’ambito della psicoanalisi applicata all’antropologia). Hanno evidenziato come si diventa aggressivi soprattutto sulla base di un’educazione, un imprinting, in cui il primo anno di vita è determinante. Sono le modalità stesse del parto, dell’allattamento, dell’allevamento del neonato che determinano differenze in seguito non più eliminabili. Le tribù dedite all’agricoltura con parto assistito, lunghi periodi di allattamento e allevamento ricco di coccole producono membri della tribù poco inclini all’aggressività. Al contrario, le tribù guerriere, con economia basata sulla caccia e sulla guerra di conquista e saccheggio (l’esempio era riferito ad alcune tribù apache), lasciavano che le donne partorissero da sole fuori dagli accampamenti e tornassero con il bambino in braccio, il quale era allevato con durezza, senza coccole, e svezzato appena in grado di mangiare altro di diverso dal latte materno. Questi piccoli erano così, fin dalla nascita, indirizzati alla formazione di un carattere aggressivo, dove la violenza era regolata da codici di onore e premiata quando quei codici erano rispettati. Ma ci sono poi le patologie, sia sociali sia biologiche in senso più stretto. In questi casi l’inclinazione alla violenza poteva trovare sfogo al di fuori dei codici fissati, quindi non veniva approvata e non dava onore. Ad esempio, era apprezzata la capacità di uccidere il nemico (il preteso nemico, chi non era della tribù) e anche quella di uccidere, in regolare duello, un membro stesso della tribù con il quale si entrava in competizione. Era invece disapprovata l’uccisione a tradimento, per motivi non onorevoli, in forme vili e così via.
      In tutte le società vi è una educazione, che non passa attraverso la scuola e che in gran parte si completa negli anni della prima infanzia, che dà alle inclinazioni naturali dell’individuo un indirizzo di significato sociale, che lo porta a compiere delle scelte che, secondo le regole prevalenti (che non corrispondono a quelle dell’ordinamento giuridico ma a quelle della comunità, a volte solo della famiglia, in cui si nasce e cresce), possono essere rinforzate dall’approvazione o contrastate dalla disapprovazione.
      Tutti gli individui hanno determinate inclinazioni naturali (che possono diversificarsi entro una cerchia assai ampia di possibilità, ma sempre socialmente condizionata). Però, a parità di inclinazione e di ogni altra qualità personale, i comportamenti degli individui possono essere molto diversi a secondo delle condizioni sociali in cui si vive e delle regole assorbite negli anni dell’imprinting infantile. Uno può utilizzare il coraggio e l’aggressività facendo l’eroe positivo, un altro facendo il criminale. Ci sono inoltre, a determinare le scelte concrete degli adulti, in aggiunta alle inclinazioni naturali e all’educazione ricevuta, altri fattori, quali l’intelligenza e il senso di libertà che possono rendere più o meno capaci di uscire dalle regole ristrette della prima educazione per confrontarle e riformularle a confronto con un mondo più vasto. Alcuni individui possono “rieducarsi”, per così dire, anche più volte, riprogrammando le proprie prospettive di vita; altri invece non escono mai dalla loro prima “programmazione” ricevuta. Il margine di libertà di scelta non è mai del cento per cento, ma la percentuale di libertà è comunque tale da determinare, fra individuo e individuo, significative differenze di comportamento a parità di altri input. Un altro fattore è il livello di salute mentale, che non è mai al cento per cento nemmeno nei sanissimi di mente. Vi è un residuo irrazionale che sfugge ad ogni scelta razionale e che, nei casi di patologie di un certo rilievo, pur senza essere “matti” da legare, può determinare deviazioni comportamentali che suggeriscono (non determinano, ma solo suggeriscono) scelte considerate asociali o antisociali o criminali.
      Ovviamente, anche le scelte criminali assumono la loro concretezza all’interno del contesto sociale e non vivono nell’astratto. Ad esempio, proprio oggi ho letto un articolo che riferiva come in Norvegia i pagamenti con denaro contante sono ridotti ad un minimo sotto il 5%. Si paga con strumenti digitali, anche un caffè da un euro. Ciò ha portato a una rilevante diminuzione di illeciti e di reati legati all’uso della moneta contante, ma contemporaneamente ha portato a un aumento di altri e nuovi reati, fra i quali le truffe informatiche.
      Chi, dunque, si potrebbe concludere provvisoriamente, è incline al “male”, troverà comunque il modo di farlo, in qualunque tipo di società si trovi a vivere. Ma ogni società ha però le sue forme specifiche di criminalità sulle quali può agire con riforme che riformino se stessa.
      A questo punto si affacciano domande di grande rilievo teorico, quali:
      1) Una qualche forma e percentuale di inclinazione al male ci sarà sempre e comunque oppure è concepibile una società senza più nessun segno di questo?
      2) Ammesso che un residuo di inclinazione al male ci sarà sempre, è concepibile una società organizzata in modo tale che questa inclinazione non produca reati gravi ma solo leggeri o addirittura solo forme di competitività non criminali?
      3) Inoltre: sarà possibile utilizzare le inclinazioni al male come differenze convertibili in utilità sociali? (Ad esempio, in alcune utopie si indirizzano al lavoro di macellaio, o all’addestramento militare e all’esercito, chi è incline all’aggressività e al piacere di uccidere).
      4) Infine, sarà possibile eliminare le inclinazioni al male senza togliere agli individui personalità e libertà, cioè senza ridurli ad automi sociali? In molti romanzi e film distopici l’eliminazione del male si risolve in un male ancora maggiore (secondo me): nel più gretto conformismo sociale, nell’automatismo indotto, nella riduzione della libertà alla sola sfera della scelta dei consumi e dei divertimenti socialmente approvati.
      Allora, piuttosto che questo bene utopico privo di libertà, è forse meglio sopportare un po’ di male e convivere con un certo tasso di criminalità, pur cercando di ridurlo al minimo “vitale”.

  7. @Luciano Aguzzi. “Che altro è se non un fattore oggettivo quel tizio che per divertimento…” e quindi quel male è del soggetto-altro che per me è ora oggetto? Ecco, il mio (sempre più caro se discuto di queste cose) amico proprio qui segnava una indivisibile rottura (lui era prete, non opinionista): l’altro che mi offende è come me, mai oggetto. La sua scelta di sparare in giro aveva motivazioni per lui essenziali, come io posso aver avuto le mie per offendere, sanguinosamente magari, ma in modo non visibile chissà chi, madre, figli, amiche e amici, estranei.
    Altra cosa è chi “vuole” il male.
    Non esiste mai il male come oggetto, è sempre il male di qualcuno, anche di molti associati (che sono sempre uno per uno). E, se non volontario ma indiretto (quindi per chi lo riceve caso o caos), allora mi implica, perché anch’io posso essere ugualmente causa o contribuente di male per altri.
    Se poi devo ergere delle difese, allora collaboro alla logica di guerra.
    p.s. ma giustamente, come scrive lei, non c’è bisogno di dio e di anima, non ancora. Ce n’è bisogno quando si passa a volere il male, ma è un altro discorso.

  8. @ Ennio Abate. La Grassa immagina come possibilità concreta una società fondata su rapporti interindividuali. È l’idea del femminismo che io condivido. Pace e guerra diventano altro, né organizzazioni per prevalere, né pacifismo aprioristico.
    Certo, non è così. Ma è la strada da fare, accendere solo relazioni.

  9. …per quanto riguarda i singoli soggetti, nella lotta interiore tra il bene e il male e per quanto riguarda la loro eventuale predisposizione verso quest’ultimo, trovo interessanti le informazioni che Luciano Aguzzi riferisce circa l’influenza, quasi determinante. dell’educazione ricevuta, del patrimonio genetico e del contesto storico ambientale…Se il discorso però passa dal singolo a un gruppo, dove le soggettività possono essere le più varie ma avendo scelto di condividere alcune convinzioni e valori, si pone il problema di come affrontare il “male condiviso”, cioè con quali strumenti, mezzi, armi… G. La Grassa afferma, se ho ben capito, che bisognerebbe entrare nei conflitti per contrastare il potere a tutti i livelli in una società spietatamente capitalistica e cercare di crearne una nuova anche competitiva, ma non distruttiva, aggiunge però non certo come profeti disarmati…Tuttavia tra porsi come profeti disarmati e pretendere di entrare nei conflitti di oggi sostenendo un braccio di ferro con gli avversari, cioè con le stesse armi mi sembra non possa esserci molta differenza in termini di risultati…Si tratta di un vuoto da colmare che riguarda appunto i mezzi, gli strumenti, “le armi” da mettere in campo per risultare minimamente efficaci…

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