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Nonne

di Annamaria Locatelli



La nonna del Nord contadina (Maria)

La povera gente - diceva- è sempre quella
possiede una padella
per cucinare due uova al tegame
e non morire proprio di fame.
Rompeva un sasso a metà,
la sua specialità:
con uno scaldava il letto di notte,
con l’altro insaporiva la zuppa
di verdure cotte.
Sapeva scrivere del tempo che passa
su fili d’erba verdi e rossi,
delle stagioni in eterno cammino.
Il viaggio era lungo e stanco
a novembre, di cascina in cascina,
tracciando rughe sulle mani scure
come solchi della terra
e delle passioni vive e oscure
che ogni vita semina e raccoglie.
Arrivata a settant’anni soleva dire:
“toh, in un baleno la vita è finita
da ora, per ogni anno,
è regalata!”





La nonna del Sud, pescatora (Chiara)

Dal Sud di casa nostra
al Sud del mondo, l’Argentina,
e poi di nuovo al nord italiano
tra i tranesi della Mala milanese,
l’osteria a Porta Ticinese:
il vino mescolato
ad amaro sangue...
E ancora, vagando per pianure,
approdasti in quel di Lodi
tra fitte nebbie.
La prima neve scambiasti per farina:
che spreconi quei polentoni!
Avevi la grinta di chi non si arrende,
la sciura Chiarina benefattrice 
fu riconosciuta dai piu’ poveri.
Senza saper leggere e scrivere
tenevi testa ai signori laureati
con le tue parlate salaci.
Ma un sogno conservavi, del tuo mare...
di quando con le mani il pesce pescavi
e crudo come dio l’ha fatto
poi mangiavi!






La nonna del Sud ricamatrice (Anna)

Umbratile di fattezze
ma bellissima, color seppia
nella foto di una coppia
d’altri tempi, appare: 
al suo fianco mio nonno, dai baffi regali,
e splendida lei, la mia nonna Anna,
quella che, appena quarantenne,
seguì la spagnola lasciando 
sei figlioli, l’ultima, ancor bambina,
mia madre...
Appena sedicenne, dal Sud catapultata
in un’osteria della Mala, si perse...
Mia madre quasi non la ricordava,
gli zii, suoi fratelli, tessevano di lei le lodi
di una donna raffinata e disadattata.
Le sue lenzuola, in dote ricamate,
ne conservo un paio, erano opere di fate!




Su “Passeggiare dove sono di casa”

di Annamaria Locatelli

Ho letto, ovvero riletto i quattro racconti del libro: Passeggiare dove sono di casa di Angelo Australi (usciti in precedenza su Poliscritture), ma letti insieme generano nuove scoperte sulla sua scrittura, modalità e temi ricorrenti… Racconti molto belli di un viaggio passeggiando vicino a casa, in realtà scavando in territori reali e dell’anima alla ricerca di un segreto, di un mistero che vi si nasconde…
Un percorso che si perde in un labirinto di stati d’animo e spesso perviene allo smarrimento, alla confusione, ma solo dopo aver attraversato argini di fiume, contemplato mari e arcipelaghi di isole, oasi faunistiche e scalato una montagna in pellegrinaggio sulla tomba di Italo Calvino… Memorie del passato si intrecciano con i vissuti al presente di persone amiche, familiari… Su ogni realtà c’è molta attenzione… La disputa teologica tra i due frati del ‘cinquecento, a mo’ di storiella raccontata nelle stalle le sere d’inverno o nell’osteria, riprende il tema di Bertoldo il contadino, dalla gestualità irresistibile, che sbeffeggia i potenti.

Sempre presenti il problemi del quotidiano, le fatiche di tutti i giorni, la clausura in tempo di pandemia e la paura per la minaccia di un virus mortale. Altro tema ricorrente è il degrado ambientale, la calura estiva da cambiamento climatico, ma anche l’insofferenza al caldo di Spartaco, l’io narrante, da età che avanza, il fiume in secca ma anche la lunga biscia che attraversa il sentiero umano, l’imprevisto, mentre Spartaco conversa sull’argine con un ultranovantenne contadino… Le attività dei due pensionati sono messe a confronto: l’uno l’orto, l’altro lettura e scrittura… E così, come in tutti i racconti di Angelo Australi, si arriva sempre a una svolta narrativa. In questo caso l’oggetto è la balena bianca di Melville, un film lettura, che ha colpito straordinariamente entrambi gli anziani signori… La riflessione si fa complessa, visionaria e surreale… terribilmente tragica. Il viaggio sull’oceano di Capitan Achab e la sua nemica, la balena bianca, giocando una partita mortale, in eterno reciproco inseguimento distruttivo “… rappresenta un qualcosa di cattivo che cova dentro la mente di ogni essere umano”, dove il bianco, sintesi di tutti i colori e il nero, assenza di colori, si confondono… La conclusione mi ha ricordato quel romanzo di Conrad Cuore di tenebra, una discesa agli inferi. Ma c’è anche, in sintonia, il racconto del vecchio curatore dell’orto. Parla di un amico ubriaco che, pedalando di notte, non sente la sua testa girare, ma ‘vede’ la strada spostarsi finendo ripetutamente nella scarpata. Non sappiamo, alla fine, se partiamo, arriviamo o ritorniamo, se giriamo semplicemente intorno a noi stessi: il viaggio sul territorio si riflette o meglio si chiude nella mente come una misteriosa realtà ai confini…

I racconti sono pieni di personaggi e presenze, ma sempre avvolti nella malinconica solitudine del narratore, nei suoi dubbi e tormentose scelte, impersonato da Spartaco, nei vari passaggi della vita.
Ho sempre l’impressione, leggendo le opere dell’autore, di trovarmi davanti ad un prodotto di alto e prezioso artigianato oppure ad un lavoro di scavo al rinvenimento di dimenticate vestigia…

La corsa alla pace s’è mai vista?

di Annamaria Locatelli

La corsa? Un parolone, direi.
Se per la pace qualcosa si muove
va al rallentatore…
La corsa alle armi, invece, non s’arresta,
vince il campionato del mondo
e stravince il mondo!
La prima, timida ormai,
si nasconde,
rossa di sgomento e di vergogna,
per quel che vede far
dai signori della guerra:
massacri dagli scranni dorati
e lei, inerme, tra le vittime…
Impari e perdente ogni confronto!
Ma la pace infine puo’ rovesciar le sorti,
lei stessa facendosi guerriera?
Assai difficile, penso, finchè non affina
le sue armi
nella ferrea convinzione,
piu’ dura del diamante e del cannone,
di avere assolutamente ragione
a pretender il buon diritto delle genti
alla vita e alla dignità

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Due poesie

di Annamaria Locatelli

A me temeraria

Il tempo mi tampina
pesa sulla gobba
strattona
rampogna
-Stai un passo in là   
non puoi starmi appresso
fai mille passi in là,
piccola umana!
La mia misura non sei tu
ma il movimento dei pianeti
i flussi delle maree
le mutazioni climatiche...
Quando tu ti fermarai
io continuero’ a percorrere
spazi infiniti,
saltelli tra le siepi...
Se proprio vuoi con me misurarti
fissa un raggio di sole
e segui il suo cammino
dall’alba al tramonto
e di notte accompagna
ogni battito del tuo cuore
e conta, se ti riesce, le stelle in cielo
sino alla piu’ remota...
Esausta e smarrita
non avrai sfiorato 
che un mio piccolissimo frammento...-
ll tempo sberleffa noi umani 
e siamo già vinti!
E chi cavalco’
temerariamente 
il tempo?
Gengis Kan Napoleone Hitler...
Inseguendo la superba vittoria
con armi ed eserciti?
In un pugno di mosche
e di cenere
si risolse la loro impresa
nel cono d’ombra.
Personalmene... 
sono arrivata a 
sentirne la presenza
rumoreggiante
quale quella 
di un fanciullo monello
che a volte mi cammina appresso
ma poi corre corre via...
Percorso l’universo
amico com’è del mistero, 
il tempo ritorna da me
per pochi passi
volando di nuovo via...
Se fosse aquilone 
lo terrei stretto per lo spago
e via con lui nel vento... 

Senza tormento

Non ebbe bisogno di riti
di lacrime e di sospiri
un giorno qualsiasi capito’...
Meno di una brezza di vento
e il risveglio
meno d un saluto distratto
e la vita finita continuo’
senza tormento

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Due foto


di Annamaria Locatelli

La prima l’ho scattata io, come obiettivo la parete della prima casa di Iselle, piccola frazione di frontiera prima della lunga galleria del Sempione, galleria che consente alla ferrovia di passare dal territorio italiano a quello svizzero, Briga. Immagino che sia la gigantografia di una foto di gruppo di lavoratori e tecnici, scattata durante gli anni dei lavori di scavo del tunnel (1895-1905). Una foto poi trasformata in cartolina postale da inviare ai (o dai) parenti dei picconatori, rimasti nei paesi di origine: ‘Saluti mamma’. Gli aspetti più interessanti da osservare, secondo me, sono gli sguardi molto seri e provati dal lavoro e da una vita di stenti e gli abbigliamenti sobri delle persone in posa. I bambini pure molto seri negli sguardi e negli abiti dimessi però, se molto piccoli, si presentano con qualche vezzo in più; come la mantellina, si può immaginare, lavorata ai ferri dalla nonna, o il cappellino alla moda. I più grandicelli sono in tutto e per tutto vestiti come i padri. La ragazzina molto seria, in primo piano sulla destra, porta in mano l’involto del pane per l’intero gruppo di fratellini. Uno dei maschietti indossa un cappellino da ferroviere, come forse il padre lo vedrebbe ben sistemato da adulto, alla fine dei lunghi e pericolosi lavori, che costarono il prezzo di molte vittime umane. Sulla destra, bambini più curati viaggiano in calesse. Forse sono i figli di impiegati e tecnici.

 

La seconda è di Antonia Pozzi, poetessa e fotografa (1912- 1938). Probabilmente  è stata scattata durante una fiera o sagra di Pasturo (Valsassina), località dove soleva trascorrere le sue vacanze negli ultimi anni della sua, per volontà, breve vita. Anche in questa foto trovo interessanti da osservare sia gli sguardi incantati dei ragazzini davanti alle meraviglie, capaci di accendere la loro fantasia, di semplici oggetti realizzati dall’artigianato locale, come gli abbigliamenti. Il ragazzino cresciuto troppo in fretta che porta pantaloni e giacca decisamente fuori taglia mi ha ricordato, per contrasto ma anche per somiglianza, un personaggio della poesia di Giovanni Pascoli: ‘ Valentino vestito di nuovo…’

 

Due scritti

di Annamaria Locatelli

…e se la guerra fosse un non senso?

A notte fonda infuriava la battaglia nella gola scura e arida: cozzavano spade, baluginavano armature e i corpi dilaniati giacevano a terra, le membra sparse…Ma ancor piu’ feriva l’aria l’incrociarsi di sguardi guizzanti, allucinati dall’odio che strisciava come serpente negli animi…La battaglia durava da giorni e giorni senza vinti o vincitori.

In lontananza, dal bosco, giunse repentino l’ululato di un lupo, tuttavia i guerrieri indifferenti continuarono il loro sanguinoso scontro, finché l’ululato non crebbe a dismisura, sino a diventare quello di cento, mille, diecimila lupi famelici. Allora persino i guerrieri piu’ temerari prestarono orecchio a quel latrato terrificante e minaccioso, quale boato di un devastante terremoto, e infine videro spuntare lo straordinario animale dal bosco e lanciarsi nella mischia…Serrarono le fila e furono costretti ad affrontare insieme la mostruosa belva, come nemico comune. L’avevano circondato, ma il lupo lampeggiante scintille teneva testa a tutti con artigli e denti affilati, finché lo videro arrestarsi e arretrare improvvisamente…Solo per un attimo esultanti, i guerrieri impietrirono ammutoliti, abbandonate le spade ai piedi, perché colpiti da un insopportabile prurito e brividi deliranti. Il lupo, improvvisamente mansueto, si ritirò nel bosco da cui proveniva…Ogni guerriero allora iniziò a togliersi con frenesia l’armatura, l’elmo, i gambali, finché non si ritrovò nella notte completamente nudo, come nel giorno della nascita: ognuno si grattava a più non posso il corpo piagato e arrossato, colpito da forma perniciosa, chiedendo indifferentemente aiuto ad amici, quanto a nemici nel reciproco bisogno…Senza uniforme, abbandonate le inutili armi, caduti i lustrini, i gradi, le medaglie e colpiti dalla stessa malattia, erano proprio tutti uguali, fratelli. In cuor loro avevano dimenticato il motivo di tanto odio e se ne chiedevano invano la ragione…

Al sopraggiungere dell’alba, dopo una lunghissima notte, i sopravvissuti squassati levarono gli occhi alla prima luce e sentirono scendere dal cielo una pioggia sottile e rinfrescante ed esposero le membra martoriate alla sua benefica carezza. A lungo fecero scivolare sulla pelle arrossata e ferita il liquido trasparente finché non si sentirono rigenerare e un grande sollievo penetrò nei meandri del corpo, finalmente liberato da malattia e odio: farsi guerra un non senso…

In quello stesso luogo decisero di innalzare un’immensa fontana chiamata ”Acquapace”, i viventi tutti vi affluivano…

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2022. Notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano

Questi sono i primi  cinque interventi di una riflessione che  speriamo corale su un episodio di cronaca che sembra, come altri consimili,  paralizzare e azzerare le nostre già affaticate capacità di  pensare e agire sugli sconvolgimenti in atto nella nostra vita sociale. Altri  sono in arrivo e verranno pubblicati mano mano. [E. A.]

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Tre poesie

di Annamaria Locatelli

Un fiore
 
Di ritorno sul solito treno,
dopo commiati e pianti ricacciati,
risospinta lontano
in mare aperto
nella risacca di onde all’indietro...
....sul treno di ritorno,
una volta come tante,
un gran sferragliamento
e il convoglio s’arresto!
Uno scambio fulmineo? Un guasto?
No, una voce lieve di verità
in lenta carovana di sguardi
serpeggiò...
Nel vagone accanto,
sommessamente,
un uomo
la vita aveva lasciato,
il capo molle reclinato
sulla spalla
dell’ignoto vicino.
Mi prese un sussulto
di sgomento
per quell’insolito
anonimo destino,
ma infine mi rallegrai,
forse invidiai
quel cullato trapasso
dal vitale movimento
all’immoto centro
del nido agognato...




Volpina
 
Invano cercheresti
nel musetto a triangolo
la grazia del gatto..
Gli occhi sgranati
sanno la fame,
lunga eterna,
di Arlecchin Batocia
e Pulcinella.
L’affilato visetto
in piccole astuzie
trascina
l’esistenza clandestina.
Rosseggia la folta coda
nei boschi,
bersaglio in fasti di caccia.
La volpina bella
fugge
dal mondo crudele...
 
 
 
 
 
Amici dei fiori
 
Giardino di fiori e di piante
assoggettate al disegno dell’uomo
che ha mani sapienti
e stabilisce confini
assembla colori e aiuole
stabilisce la statura dell’erba
seleziona i contorni del verde
traccia meditati percorsi
ombreggia radure
soleggia tratti boschivi
...docili gli esseri vegetali!
 
...ed ora per sentieri montani
non tracciati
se non da serpi e scarponi
tra cespugli pietre e rovi
a svelare
i fiori sciolti d’altura
ritagli azzurri gialli rossi
oltre le vette irraggiungibili
e noi,
giardinieri metodici,
ad inchinarci
davanti a tanto respiro
sapiente e sconfinato
 
 
 
 
 
 
E’ quanto
 
Su una piccola mano
aperta
porgiamo quanto...
La mano
trema per la miseria
di quel quanto:
una manciata di semi
dispersi nel deserto
poi dal vento.
Eppure brillano,
raggi figli del sole,
e per un istante soltanto...
È quanto 

Due fiabe

di Annamaria Locatelli

NEL BOSCO ANTICO   

Anno 2050…autunno piovoso. Il bosco offre un tappeto di foglie multicolori: il sentiero ne è disseminato, ma ne restano ancora sugli alberi, piccole fragili bandierine già arrese. Alle zampe di agili o pigri animali, le foglie non scricchiolano più, la pioggia le ha rese flosce e marce, quasi una poltiglia di fango giallo-verde mescolato al terriccio. Una stradina costeggia il bosco e un’altra lo attraversa: ad un tratto, alla svolta di un’audace curva, si congiungono, quasi vanno a sbattere muso contro muso, come due animali fuggitivi e disorientati. Nessun paia di occhi a testimoniare l’incontro, solo felci e muschio.

Ma quelle due strade hanno fissato un incontro per sempre: rigide, immobili. Si toccano, si attraversano per poi divergere di nuovo. Chissà se hanno pattuito un’intesa, si sono confidate un segreto o solo sfiorate per perdersi una volta per sempre…Presenze, presenze. Gli alberi sono quelle più antiche: dominatrici possenti vite, hanno generato altre vite. Formiche, uccelli, insetti, piccoli mammiferi e poi fiori, arbusti…un mondo completo, anche se  marcescente. Il torrente, scendendo dal monte e srotolando macigni, si è affacciato alla scena ancora prima del bosco: intorno a lui tutto è germogliato…di presenza in presenza un’infinita catena a ritroso, senza poter risalire al Big Bang. Ripercorrendola in avanti, per ultimo è apparso l’uomo che ha sentito il bisogno di tracciare una o più strade nel bosco. Eppure prima di lui nessuno vi si era mai perso. Chi volava sopra, chi lo attraversava con la lentezza della lumaca, chi con la velocità della lepre, senza bussola e punti cardinali. Era sempre la propria casa: non ci si allontanava mai, non ci si perdeva mai. A volte si mangiava, a volte si veniva mangiati: sempre si andava a concimare la terra. E arrivò l’uomo! Non è riuscito ad essere con la natura, ha voluto dominarla…ma le stradine, in fondo, sono solo una tenera cosa, un bisogno di esserci, di facilitare il cammino, senza disturbare.

In quel bosco, ai piedi delle montagne, a parte le due stradine, lascito di antichi pastori che un tempo conducevano i loro greggi sulle alture e sentiero prediletto di persone solitarie e di innamorati, non c’erano tracce di opere umane.

L’autunno é avanzato e si intravedono i primi segnali dell’inverno imminente. Gli animali più pigri si preparano al lungo letargo, gli uccelli migratori hanno già spiccato il volo per terre lontane, le farfalle, dalla breve vita, sono scomparse e l’edera, cadute le foglie,  ha cessato di ricoprire i tronchi e le verzure di delicate campanelle bianche, screziate di rosa, in un abbraccio mortale.

C’è un’attesa nell’aria, nel silenzio incantato, silenzio che la sottile pioggia non riesce a turbare. La natura tutta sembra interrogarsi sul suo destino: vivrò o non vivrò? E’ struggente e spasmodica la richiesta di una risposta che tarda ad arrivare…e tutto è sospeso nell’aria, come per il primo giorno del mondo. Però allora il mondo si apriva alla speranza di un’eterna primavera, ora invece presentimenti di morte si stampano nella linfa verde e nei corpi dei piccoli insetti e degli animali del bosco. Gli alberi piangono le loro lacrime di pioggia e di freddo, le goccioline a rivoletti si inseguono sui tronchi squamosi, sui rami, sulle foglie ingiallite e vanno a penetrare nella terra scura…scoiattoli, talpe, serpentelli si acciambellano nelle loro recondite tane e rifiutano agli occhi la luce…ne hanno vista e vista e basta una volta per tutte! Lasciateci dormire in santa pace! Noi veniamo forse a disturbare il vostro sonno? Scusate, scusate. I dialoghi sommessi nel bosco…

E le due stradine che si incrociano sempre rigide a fiutare la metamorfosi – soltanto un mese prima tutt’intorno c’erano movimento, vita, musica di uccelli, colori e profumi inebrianti – pensano di essere solo loro uguali nel tempo, mentre lì tutto si trasforma. Certo sono opera dell’uomo, l’essere che pretende di incidere sulla natura “ per sempre”, l’essere che pretende di essere immortale.

Ma ad un tratto, nel silenzio tintinnante, un garrito squarcia l’immobilità del cielo e il pesante grigiore: la macchia scura di un rondone taglia in due lo spazio, segnando nel cielo, come a specchio, la traiettoria del piccolo sentiero che attraversa il bosco, una freccia saettante.

Nello stesso tempo una farfalla vola al limitare del bosco, sulla piccola strada che costeggia il tratto boschivo. Il rondone, in una delle sue acrobazie, si abbassa nel volo, quasi radendo il suolo, e va a raccogliere tra le ali nere quelle della bianca farfalla. Forza e delicatezza si incontrano in un abbraccio improvviso e disorientante di corpi vivi nel volo. Ciascuno dei due esseri si sorprende imbarazzato e desideroso di  recuperare il suo spazio, la sua integrità, e si ritrae ma subito dopo freme dal desiderio di replicare il contatto. Farfalla e rondone sono dei sopravvissuti, i loro simili hanno già concluso la breve esistenza oppure sono migrati in terre lontane, dal clima accogliente. Solo loro sono rimasti a quelle latitudini, nel rigore dell’inverno imminente. Ma perché? Perché non seguire il comportamento dei compagni che da tempi remoti si ripete e che attiene alla conservazione della vita? Un mistero unisce le due creature in un insolito e comune destino! Forse un’amnesia dell’istinto destinata a portarli a morte certa?  Oppure un atto coraggioso di volontà, la bacchetta magica di tutti i giorni? L’incontro inaspettato ha scatenato mille dubbi e ciascuno teme sadiocosa. Lunghi e incerti sguardi…Incomincia il rondone con un timido rito di corteggiamento, vola intorno alla farfalla, ma non è abituato a volare basso e a percorrere piccoli spazi concentrici, bensì a puntare all’immenso cielo azzurro intrecciando con i compagni mille trine nere. Solo così si sentiva libero e felice, ma ora una forza irresistibile lo porta in altra direzione. Anche la piccola farfalla, del resto, lo asseconda e cerca di elevare il suo volo quasi all’altezza dei rami più bassi degli alberi, colta da ugual sentimento. Il rondone vede la farfalla tremare di gioia, allora distende le sue ali protettrici e la farfalla prontamente vi si incunea, e non più per caso, sentendosi entrambi pervadere da un senso di accoglienza. Cercano ora un rifugio  nella fessura del tronco di una vecchia quercia e a lungo si raccontano…Le stradine del bosco sbirciano in tutte le direzioni, vorrebbero divincolarsi, rincantucciarsi l’una nell’altra, ma si sono perse d’immobilità…

 

 

L’INVITO

La donna si sveglia di soprassalto, guarda l’orologio: è mattina tarda ormai! Quella notte aveva sofferto di insonnia, i soliti pensieri fissi che le disturbavano il sonno! Era sola e viveva di preoccupazioni e di ansie. Riusciva comunque a sognare in quelle poche ore di sonno dall’alba al risveglio, e non sempre erano sogni rassicuranti! Quella notte, infatti,  una invasata ipnotizzatrice le aveva letteralmente inculcato la paura folle di avere ormai poco tempo di vita e di dover portare a termine con urgenza una missione: scrivere un testo teatrale per uno spettacolo che si doveva rappresentare su un grande palco, in una regione imprecisata del mondo, in una località ancora meno definita. Nella mente della donna tutto era vago, il sogno lo era per i suoi contorni indistinti, ma nello stesso tempo il messaggio trasmessole aveva una forza assoluta e un mandato indiscutibile. Pertanto la signora si preparò un caffè molto forte e si mise subito al lavoro. Lei non era una scrittrice, tuttavia prese un foglio ed una penna e pensò: qualcosa mi verrà in mente…Dopo un’ora la pagina era ancora del tutto bianca, tra l’altro nessun suggerimento le era stato fornito sul soggetto. Sconforto e terrore cominciarono ad impadronirsi di lei. L’orologio scandiva senza tregua il trascorrere del tempo e lei non riusciva a sfornare la più piccola idea! Era una questione di vita o di morte arrivare al più presto allo scopo…ma perché, se doveva comunque morire? I sogni vai a capirli! Bisognava almeno pensare ad un nome, ad un titolo che l’avrebbe magari ispirata e poi forse tutto sarebbe stato più semplice. La donna strinse forte la penna nel pugno e scrisse di getto una sola parola: Pagnotta. Fu come accendere uno schermo: apparve il Paggio Pagnotta di dimensioni umane, pervaso da un intenso profumo di menta e avvolto da un mantello di color verde, dal bavero rubino. Incantevole ed enigmatico…la piccola stanza si allargò e prese le dimensioni di una vasta foresta profumata, attraversata da un impetuoso corso d’acqua!

Lo strano essere, mangereccio e fluviale, si rivolse direttamente alla donna molto sorpresa (aveva, nonostante l’aspetto, la voce severa):

– Ero qua ad osservarti da molto tempo, tu non mi vedevi, ma poi mi hai invocato, eccomi qua:  hai bisogno di aiuto e l’avrai, ma devi anche farti guidare…le cose non vanno mai o quasi mai secondo i piani degli uomini! Ma sbrigati, hai già perso troppo tempo in cose ingannevoli. Ti suggerirò le informazioni esatte che da tempo cercavi. Prendi la mappa della Terra, c’è un luogo, piccolo punto del nostro pianeta, dove sei attesa. E’ situato in prossimità del mare e verdi colline lo incorniciano. Là si erge un palco costruito dalla natura: uno spiazzo elevato e protetto da antichissimi lecci e querce. Vai e saprai: ti aspetta un velivolo e il pilota è già pronto a condurti!-

La donna si sente confusa e smarrita: dovrebbe partire subito, lasciare tutto per una destinazione ignota e per una missione ancora più ignota? Ha un momento di esitazione, ma sa di non avere alternative, il suo cuore batte forte, ha molta paura ma deve. All’ultimo momento afferra una borsettina con qualche soldo e una carta d’identità, non poteva sapere di qualche controllo di frontiera. Intanto l’autorevole e appetibile Paggio si rende di nuovo invisibile e la donna spaventata si precipita all’esterno dove una cornacchia dalle ali spiegate la incoraggia impaziente a salirle sul dorso. Solo un fugace pensiero: ma quanto scomoda sarò? Si vola! Si vola! La signora prova a rilassarsi perché deve pur affrontare la situazione con calma; le penne del capo, a cui è aggrappata, sono alquanto ruvide! Intanto ha il tempo di riflettere con apprensione che, se ci doveva essere una rappresentazione, di essa esisteva solo il titolo: Pagnotta, ma senza  testo, ovvero molto conciso. Qualcuno avrebbe provveduto a tutto, spera, l’importante ora era restare calmi e farsi trasportare! Non si può scegliere il mezzo di trasporto come è inutile opporsi al destino. Tira un profondo respiro, ma è troppo presto per prendere fiato, l’uccello è investito da tremende scariche elettriche e una formidabile tempesta si abbatte sul piccolo velivolo. Fortunatamente il pilota – quanto lo stava rivalutando il suo uccello trasportatore!- sa tenere la rotta e passa indenne tra bagliori sinistri e sconquassi…Il cielo ora si rischiara e appare molto in basso la Terra, tra bianchi vapori; la cornacchia si appresta ad atterrare e la donna vede avvicinarsi la meta. Si tiene stretta, trema, ma l’atterraggio è abbastanza indolore, solo un divertente ruzzolone alla fine. Quando sbarca, si aggiusta i capelli, raccoglie la borsettina e vorrebbe ringraziare il volatile ma non ne ha il tempo, subito un gran rumoreggiare di mare e di genti la travolge: vede molte persone, centinaia, migliaia, sedute in cerchio intorno a un grande palco naturale. Dal colore della pelle, dagli abbigliamenti e dal risuonare delle più svariate lingue, capisce che provengono da ogni angolo del pianeta. Anche lei si ritrova seduta tra loro, è una di loro: una donna bianca del vecchio continente…Tutti giunti lì dalle regioni più lontane e, viene a sapere – le barriere linguistiche azzerate – con un invito particolare tutti sollecitati a scrivere il testo per una rappresentazione. Nessuno, si capiva dai volti preoccupati, era riuscito a portare a termine la consegna. Il mare ai piedi della grande collina occhieggiava tra scintillii di luce e sembrava divertito. Tra i mille interrogativi dei presenti, all’improvviso si fa silenzio e una quasi certezza: era quello l’incantevole spettacolo promesso, si presentava ai loro occhi: genti e mare da amare… Già scritto il copione, a caratteri di liquide onde increspate, un gigante a tracciarne la trama? Lor solo chiamati a rifletterlo: insieme autori, attori e pubblico? Ormai era lì e non le dispiaceva; sciogliere l’intero enigma era impossibile, pensa la donna. Quanto era lontano il suo piccolo mondo! Poteva anche sbarazzarsi della borsettina, nessuno lì chiedeva documenti, si sentiva a casa e si rifletteva in tutto ciò che vedeva, non distingueva più onde occhi mani…e infine: ”Pagnotta per tutti!”