5 pensieri su “Ciao Meeten!

  1. Meeten Nasr era un autentico poeta. È morto nel milanese l’8 agosto 2019. Era nato a Pesaro, da una famiglia di ebrei sefarditi. Non conosco la data di nascita. Una volta gliel’ho chiesta, ma non mi ha risposto. Non l’ho trovata in nessuno dei molti articoli e schede biografiche e bibliografiche che ho letto su di lui. Dal contesto dei tre libri suoi che possiedo e ho letto, direi che era nato agli inizi degli anni ’30 ed è quindi morto a 85 anni circa. Mi soffermo su questo punto non per pignoleria, ma perché è per me significativo del percorso biografico di Meeten Nasr, pseudonimo scelto quando ha aderito a una comunità religiosa – filosofica indiana, abbandonando il suo nome anagrafico, Sergio Chiappori (parente, credo cugino di primo grado, del vignettista, pittore e scrittore Alfredo Chiappori).
    Nella sua opera, strettamente aderente alle sue scelte esistenziali, mi sembra di poter distinguere almeno tre filoni.
    Uno è quello del traduttore dal greco classico (aveva fatto studi di filologia greco-latina, di epistemologia e di storia della scienza), e la sua traduzione di una parte degli epigrammi di Callimaco è un gioiello. Libera traduzione in versi, aderente al testo originale e insieme creativa di nuovi versi, di nuova veste linguistica. La si può prendere anche come opera poetica sua, originale.
    Un secondo filone è quello del traduttore di testi scientifici, soprattutto di psicanalisi e di sessuologia, per editori di primo piano, fra i quali Feltrinelli. Anche queste traduzioni non sono semplici lavori per guadagnarsi il pane, ma rientrano nel percorso culturale ed esistenziale in cui si riassume la sua vita.
    Un terzo filone è quello della sua poesia, estremamente colta e raffinata, rigorosa, direi aristocratica. Coltivata con estrema disciplina. Nella collaborazione a riviste come nelle letture pubbliche di poesie il suo stile si distacca nettamente dalla media – diciamo così, per intenderci – e si fa apprezzare per la sua qualità. Le sue pubblicazioni, sebbene non molto diffuse, documentano il suo percorso poetico, fra i più interessanti degli ultimi quarant’anni (le sue prime poesie edite risalgano agli anni ’70) e la sua «Autoantologia» comprende poesie degli anni 1982-2014 [«Scorre il giovane tempo. Autoantologia poetica 1982-2014. Milano, La Vita Felice, 2014]. Ha affiancato l’attività poetica con quella di promotore della poesia, di organizzatore di letture e di eventi legati alla diffusione della poesia.
    Ma la sua personalità, che si esprime nella poesia come nella scelta delle traduzioni, è soprattutto caratterizzata da un continuo inseguimento della vita intesa come libertà, piacere e gioco. Da qui nasce un percorso di studio e di pratica psicanalitica, in funzione liberatoria e di continuo rinnovamento, direi quasi di ringiovanimento, inseguendo una perenne gioventù, anche nelle forme del piacere sessuale, delle relazioni molteplici e aperte, delle nuove relazioni più giovani delle precedenti. In qualche modo Sergio è rimasto per tutta la vita un “giovane irresponsabile”, innanzitutto verso se stesso, non curando interessi di carriera, di “sistemazione”, di stabilità, poi anche verso gli altri, preferendo le relazioni amicali a quelle che comportano assunzioni specifiche di responsabilità e di cura.
    L’inseguimento di questa sua forma di mito e/o di utopia lo ha portato a diverse esperienze, fra cui i viaggi e soggiorni in India per approfondire e praticare quelle forme di spiritualità e religiosità che negli anni ’70 divennero di moda (o, se preferite, di grande attrazione) anche in Italia. Nel suo libro autobiografico «La mosca di Rousseau» [Milano, ExCogita Editore, 2012], una specie di diario degli anni 1976-1988, si rispecchiano ora esplicitamente ora implicitamente queste sue tendenze e scelte di vita. E si rispecchia anche il fallimento di quell’utopia che aveva posto al suo centro il piacere e la giovinezza. Con la vecchiaia, con le malattie, con le difficoltà economiche, con la perdita del vasto giro di amicizie, il senso della vita diventa un altro.
    Tuttavia, e questa è una mia impressione / supposizione, Meeten Nasr non ha mai rinunciato alle sue scelte giovanili e ha affrontato i problemi, anche di tipo nevrotico e ossessivo, che ne sono derivati, o che forse erano precedenti e motivanti di quelle scelte.
    Ha così attraversato gli anni della sua vita occupandosi poco e marginalmente di politica, ma partecipando ai problemi radicali del suo tempo nelle forme della “fuga” in Oriente, della ricerca spirituale, della libertà dell’Es e dell’attività culturale di traduttore e di poeta. Chi si occupa di storia del Sessantotto e degli anni Settanta, e delle crisi e delusioni che ne sono seguite, troverà materiale su cui riflettere anche nella poesia e nelle altre scritture di Sergio Chiappori. E al centro di questa scrittura vi troverà temi tipici del clima culturale di quegli anni; di quella parte di “militanti” che non si sono dati alla politica ma che hanno impegnato a fondo se stessi per la “liberazione dell’Io” dalla tirannia del “Superego”. Percorrendo strade alla ricerca dell’affermazione dell’anarchia dello spirito e nella contestazione della civiltà repressiva.

  2. Ho conosciuto Meeten in seguito alla pubblicazione di alcune mie poesie su “Il Monte analogo”. Nel corso delle successive presentazioni della rivista con le conseguenti letture, ci siamo conosciuti meglio ed è nata un’amicizia tra noi; passando per molti discorsi e confronti sulla poesia, la simpatia reciproca ci ha condotti a parlare delle nostre vite, del nostro passato, delle origini e del mondo… una amicizia tra “diversi” per generazione e formazione. Così si è creato un legame di affetto e stima. Ho poi letto e presentato con molto piacere (con un’altra persona) alla libreria “Bocca” in galleria il suo libro autobiografico “La Mosca di Rousseau”. E qui la sua anima di viaggiatore e la mia India giovanile si sono di nuovo magicamente incontrate; parlando del suo libro parlavo anche di qualcosa che ha riguardato in parte anche me. Una pezzo del “’68” che ho vissuto anche, inizialmente, nelle sue componenti libertarie, trasgressive e nella ricerca spirituale, che Meeten ha perseguito certo più di me. Ora Meeten mi manca; un uomo buono, sensibile, generoso – un amico – un poeta – una persona curiosa della vita, degli altri, aperta anche verso quanto non era affine ai suoi criteri… una persona di valore, che saluto con affetto e ricordo con tenerezza.

  3. La notizia della morte di Meteen Nasr mi addolora profondamente. Lo conobbi in occasione di alcuni contatti con la Rivista Monte Analogo contatti peraltro mai diventati istituzionali. Distinguo quindi la sua persona – amabile e gentile come non si è soliti incontrare in questa società – da quelli con la rivista citata che furono sempre marginali e occasionali. Meeten era mio vicino di casa e anche per questo a volte ci incontravamo al di fuori ed oltre i discorsi sulla poesia. Ebbi in dono e conservo le sue ultime poesie nonché la traduzione degli epigrammi di Callimaco. Su tale sua opera condivido pienamente il giudizio di Aguzzi. Non sono un critico di poesia e non ebbi mai modo di incrociare le armi sulla sua poesia o sulla poesia in generale. Ma – portato come sono a vedere nel poeta prima di tutto una persona volta ad un “esperimento per così dire morale” – non posso dire di lui se non che fu poeta autentico per la determinazione ferma e schiva con cui tale esperienza ha percorso. Come sempre rimpiango tanti che non ho conosciuto fino in fondo. Addio, caro amico sfiorato appena. Giorgio Mannacio

  4. ALTRE PAROLE SU MEETEN NASR
    Ho ripensato alle brevi parole scritte per M.N e mi sono sembrate una sorta di necrologio, genere pubblicitario che rifiuto. Quello che ho detto di lui è generico, insufficiente e soprattutto fa torto a quello che si deve dire di un poeta. Quello che si deve dire prescinde in un certo senso dal giudizio sulla “ validità estetica “ dei suoi versi. Quello che oggi aggiungo dovrebbe allontanare da me l’accusa che non voglia esprimermi sulle sue qualità. Preciso – in tale direzione – che quel poco che ebbi a leggere di lui mi era piaciuto ed interessato. Ma chi sono io per autoassegnarmi un ruolo critico e soprattutto attribuire a tale giudizio una qualche validità ? Qualche volta e in qualche occasione ho tentato di scindere – almeno in parte – la poesia e le sole poesie di una persona dal suo porsi davanti all’attività che le ha prodotte. Ho sempre pensato che il fare poesie abbia a che fare – in quanta parte resta da definire – con “ una esperienza esistenziale “ nella quale colui che l’attraversa butta oltre l’ostacolo le proprie energie totali , sentendendosi realizzato solo nella fedeltà a questo progetto di vita. Vorrei rivalutare la parola “ romantico “ come quella che presuppone un “ combattimento contro “ e dunque l’accettazione sia di una vittoria che di una sconfitta.. Recentemente ho sentito parlare della poesia come scacco riuscito
    ( lo penso da tempo ) . Questa riflessione mi porta a considerare la “ condition humaine “ del poeta, dei poeti come quella di chi che affronta un cammino nel deserto che li aspetta e ne fanno esperienza di vita.
    Ecco , di MN ricordo e voglio sottolineare questi aspetti: la sua profonda cultura che veniva da lontano e già marcata dalla sua origine culturale ed etico- religiosa; la sua discrezione; la sua calma determinazione nello scrivere; il suo garbo. la sua arguzia, il piacere che provava nel ricevere in casa sua e di incontrare gli amici in una sorta di fratellanza mai proclamata retoricamente ma vissuta nei fatti. Cosa avrebbe meritato e cosa ha acquisito prima che la Nemica fosse andata a trovarlo ? Sono certo, vo che non ha mai chiesto un premio per il suo cammino nel deserto e che a questo itinerario-decisione si sia sempre attenuto.
    Giorgio Mannacio, 2 settembre 2019

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