Archivi tag: Angela D’Ambra

Bruce Hunter

Poesie scelte da  A Life in Poetry  I Quaderni del Bardo Edizioni Febbraio 2022
Traduzione di Angela D’Ambra

STRONG WOMEN
 
 
In this family
the men are romancers
of whiskey and lies.
The drinking tales that have us
leaving Scotland for stealing sheep,
Ireland as potato thieves.
What is not said,
is because of the women
we are men.
Strong men
any men at all.
This poem is for the women.
 
Auntie, a name with the irony
that a big man is named Tiny,
riding west from New Brunswick
by wagon before the railway
in response to a newspaper advertisement:
Wife Wanted
reply Hiram G. Worden Esq.
 
She came with muslin bags
of shinplasters, gold pieces
a trunkful of whalebone hoop skirts
a sidesaddle, Colt revolver
just in case, and savvy.
The latter two of which
she would use some years later
on a burglar entering her bedroom window
comforting him while police arrived
that the bullseye in her mind
was the top button of his shirt.
Never missed yet, wouldn’t now.
 
Hiram G. came home one night
drunk (often it is said).
She crowned him with a cast iron kettle.
He was never quite the same
nor was her stature among his friends.
 
Grandmother, 1929, spun ’round town
flapper in a rumble-seat sportster, hers.
Dancing the Charleston
playing poker Sunday nights.
Monday morning back at the office
pert secretary to the deacon of the diocese.
Lived four doors down
from Nellie McClung.
Never understood all the fuss
about that woman –
in the West all women are strong.
When her man died in ’38
she never remarried
became her own man.
 
A friend points her out
in the family album.
The face is familiar
she plays his tables at the casino
blackjack, high and fast.
Sometimes two tables
talking of her grandchildren,
who hearing of this
would be aghast.
 
Mother in the 1970’s
when the father leaves
it comes to this:
you can’t ride sidesaddle,
poker face or shoot your way out
with seven children.
There is no romance in this.
Play it straight
and they’ve got a jacket for you.
You’re tied to a table
the doctor from California
is into electricity
that lights up the last frontier
within your skull
like a Christmas tree
that will never be in season again.
Yours is the story
they do not tell.
 
 
 
 
DONNE FORTI
 
 
In questa famiglia
gli uomini sono autori
di whisky e di fandonie.
Le fole da taverna secondo cui
lasciammo la Scozia per furto d’ovini,
l’Irlanda perché ladri di patate.
Ciò che non si dice,
è che è grazie alle donne che
siamo uomini.
Uomini forti
uomini e basta.
Questa poesia è per le donne.
 
Zietta, nome che ha l’ironia
d’un omone il cui nome è Minuzzolo,
cha va a ovest da New Brunswick
su un carro, prima della ferrovia
in risposta a un annuncio di giornale:
Cercasi Moglie
contattare l’esimio sig. Hiram G. Worden.
 
Lei arrivò insieme a borse di mussola
con banconote in piccolo taglio, monetine d’oro
un baule di gonne con guardinfanti di fanone
una sella da donna, una pistola colt,
per prudenza, e buonsenso.
Le ultime due cose
le avrebbe usate anni dopo, quando
un ladro dalla finestra le entrò in camera 
e lei lo tenne a bada finché arrivò la polizia, 
dicendogli: “Il bersaglio nel mio mirino
è il primo bottone della tua camicia.
Mai mancato finora, non mancherei ora”.
 
Hiram G. una notte tornò a casa
sbronzo (si dice capitasse spesso).
Lei gli diede una botta in testa con un bricco in ghisa.
Non fu mai più lo stesso
né lo fu lei agli occhi degli amici di lui.
 
Nonna, 1929, sfrecciava per la città
spregiudicata su una rombante auto sportiva: sua.
Ballava il charleston
giocava a poker ogni domenica sera.
Il lunedì mattina, di nuovo in ufficio
segretaria sbarazzina del diacono della diocesi.
Abitava a poca distanza
da Nellie McClung.
Non capii mai perché tanto parapiglia
per quella donna:
a Ovest tutte le donne sono forti.
Quando il suo uomo nel ’38 morì
non si risposò
e divenne l’uomo di se stessa.
 
Un amico la indica
nell’album di famiglia.
Il viso gli risulta familiare  
gioca ai tavoli del suo casinò
blackjack, scommesse forti.
A volte, due tavoli
intanto parla dei nipoti,
che se lo sapessero
ne sarebbero allibiti.
 
Mamma negli anni ’70
quando papà se ne va
c’è poco da fare:
non puoi cavalcare all’amazzone,
bluffare a poker o uscirne a colpi di pistola
se hai sette figli.
Non è un romanzo questo.
Dì ciò che pensi
e ti mettono la camicia di forza.
ti ritrovi legata a un tavolo
il medico dalla California
si intende di corrente:
quella che accende l’ultima frontiera
nel tuo cranio
come un albero di Natale
che non funziona più nel tempo giusto.
La tua è la storia che
loro non raccontano.
  
 
 
 
CONCRETE VISIONS OF CHILD
 
 
An old
old sun pokes through
fat-fisted clusters of nimbostratus.
 
Through fences picketed
around the treewalled yard
with its tin tubs floating
armadas of black-backed snappers.
 
The red Massey rusty bedded in corn,
a soup can hat on its standpipe,
attended by sunflower nuns bowing head high
over hidden shrines of bricks and boards.
Once this was all that heaven could be.
 
The old man across the street
all the God we’d ever need
rising sometimes from the planting of lobelia
long enough to be child again
to join the worrying of clouds
and angels with April’s kites.
 
  
 
 
VISIONI CONCRETE DI BIMBO
 
 
Un vecchio,
vecchio sole spunta fra
ammassi di pingui nembostrati.
 
Fra recinti con paletti
intorno al cortile tappezzato d’alberi
con le sue vasche di lamiera in cui
nuotano armate di dentici dal dorso nero.
 
Il rosso Massey che fa la ruggine nel mais,
latta di zuppa a mo’ di basco sul tubo,
curato da suore girasole, teste alte chine
su santuari segreti di mattoni e d’assi.
Un tempo, questo era tutto il paradiso possibile.
 
Il vecchio della casa di fronte
l’unico Dio cui ci rivolgevamo
sorgeva, talvolta, dal campo di lobelia
quanto basta per tornare bambino
e unirsi all’inquietudine di nubi
e d’angeli con aquiloni di aprile.
 
  
 
  
IMAGES OF WAR
 
 
Dyked by white painted shiplap
Billy’s father’s plot of Holland
at the end of the small street.
His austere garden grew no flowers
only his family’s food.
 
This ironic immigration
from blitzkrieg memory,
for on the street’s opposite end
Klaus’s father, former S.S. sergeant.
His flower garden precise and clipped.
His similar accent
drove away the neighbourhood children.
 
While Klaus circled the street one day
in his father’s black helmet
Billy retrieved revenge
from under his parents’ bed.
The shoebox full of old photographs:
one more curled and fingerworn than the rest.
A man in the leather jacket of the Dutch Resistance
belted under a sash of bullets.
 
Finger set on the trigger of a machine gun.
Black barrel lowered on a storm trooper
kneeling hands over helmet against the wall.
Under the lean eye of Billy’s father
who ate tulips during the war.
Their bulbs boiled into bitter soup.
 
  
 
  
FOTO DI GUERRA
 
 
Cinto da perlinato bianco
l’angolo d’Olanda del padre di Billy
in fondo alla stradina.
Quell’orto austero non dava fiori
solo cibo per la famiglia.
 
Ironica immigrazione, questa,
da ricordi di guerra lampo,
ché al capo opposto della via
c’è il padre di Klaus, ex-sergente SS.
Il suo orto di fiori preciso e ben curato
L’accento, dello stesso tipo,
respingeva i bambini del vicinato.
 
Mentre Klaus, un giorno, gironzolava per la via
con l’elmetto nero del padre addosso
Billy si prese la rivincita
da sotto il letto dei suoi genitori.
La scatola da scarpe piena di vecchie foto:
una più gualcita dell’altra e lisa dalle dita.
Un uomo della Resistenza Olandese in giacca di pelle
allacciata sotto una fascia di proiettili.
 
Dito fermo sul grilletto d’una mitragliatrice.
Canna nera puntata in basso su un assaltatore
in ginocchio, mani sul casco, contro il muro.
Sotto l’occhio smunto del padre di Billy
che durante la guerra mangiava tulipani.
Ne bolliva i bulbi per una zuppa amara.
 
 
 
  
LIGHT AGAINST LIGHT
 
 
I want again to believe   
that when we love  
we remain   
passing always from this light   
into the next.
 
To remember   
those x-rays of my lungs   
I was shown as a child   
whose gauzy shadows  
I thought were hidden wings.   
You could feel the hot fist of the heart   
but where was the soul?
 
And that his shoulder blades   
when Billy stripped by the river   
were more than bones  
and that we would someday lift our arms.
We had seen the gleaned skeletons  
of birds drying on the salt flats.
On each wing, a thumb and four bird fingers.
 
How we lost faith  
and knew that the minister’s collar  
was a halo that had slipped,  
a noose that reddened his face  
and made it difficult  
for him to look down.
 
Billy believed 
that the 13 loops of the hangman’s noose  
made a hoop into the next life.
Me, I practiced that knot over and over.
 
But now there’s no way back  
and at night I ingest the room   
and into the room, the building  
and into that, the city and the lake,  
until I am pulling in    
all those edgeless places   
where this galaxy becomes another.
 
Where the mind  
is a sail full of light   
and the body a vessel.
 
One day I will keep on going,   
borrowed  
for a lifetime,
sent spinning back.
 
That light I was:
all we are  
luminous bodies,
particles, one against another
– light against light.
 
 
 
  
LUCE CONTRO LUCE
 
 
Voglio ancora credere
che quando amiamo
noi restiamo
passando sempre da questa luce
alla seguente.
 
Ricordare
i raggi-x dei miei polmoni
che mi mostrarono da bimbo,
le cui ombre velate
credevo ali segrete.
Il pugno caldo del cuore lo sentivi,
ma l’anima dov’era?
 
E che le sue scapole
quando, al fiume, Billy si spogliava
fossero più che ossa,
e che un dì, le braccia in volo avremmo alzato.
Avevamo visto scarti di scheletri
d’uccelli seccare su distese di sale.
Su ogni ala, un pollice e quattro artigli d’uccello.
 
Come perdemmo la fede
e capimmo che il solino del prete
era un’aureola sdrucciolata,
un cappio che gli arrossava il volto
rendendogli difficile
abbassare lo sguardo.
 
Billy credeva
che i 13 anelli del cappio del boia
formassero un cerchio nella vita seguente.
Quanto a me, m’allenavo di continuo con quel nodo.
 
Ma ora non si torna indietro
e di notte assorbo la stanza
e dentro la stanza, l’edificio
e dentro quello, la città e il lago,
finché attraggo
tutti i luoghi senza bordi
dove questa galassia un’altra diventa.
 
Dove la mente
è una vela ricolma di luce
e il corpo è un vascello.
 
Un giorno proseguirò,
mutuato
per una vita,
rispedito vorticando indietro.
 
Quella luce ero io:
tutti noi siamo
corpi luminosi,
particelle, una contro l’altra
‒ luce contro luce.
Nota biografica
Nato a Calgary, Alberta, Bruce Hunter, primo di sette figli, ha perso l’udito da bambino. È cresciuto nell’area degli Ogden Shop della Canadian Pacific Railway, ora dismessi. Suo padre era un ‘tinbanger’, cioè operaio metallurgico impiegato nell’edilizia. Sua madre era una casalinga e, più tardi, una studentessa d’arte e un’artista. Il bisnonno di Bruce fu uno dei primi allevatori dell’Alberta.Dopo il liceo, Bruce ha svolto molti lavori: operaio, operatore di attrezzature, prima di frequentare il Malaspina College dove ha studiato con Ron Smith che lo ha incoraggiato a scrivere. Completato il suo apprendistato orticulturale, Bruce ha lavorato per vari anni come giardiniere nell’Alberta e nel sud dell’Ontario. Mentre svolgeva questi lavori, ha pubblicato poesie in diverse riviste, ottenendo così una borsa di studio alla Banff School of Fine Arts dove ha studiato con W.O. Mitchell, Irving Layton, Sid Marty ed Eli Mandel. All’età di 28 anni, ha frequentato la York University (cinema e letteratura), mentre seguiva corsi di scrittura con Don Coles, BP Nichol e Miriam Waddington. Il primo libro di poesie di Bruce, Benchmark è stato pubblicato nel 1982 ed è stato trasmesso a livello nazionale nel programma Anthology di Radio CBC. Dopo la laurea, Bruce ha insegnato scrittura creativa alla York University, alla Banff School of Fine Arts, prima di entrare a far parte del Seneca College di Toronto nel 1986, dove si occupa di seminari di poesia.Nel 1986 ha pubblicato la seconda raccolta di poesie, The Beekeeper's Daughter, seguita nel 1996 da una breve raccolta fiction, Country Music Country, trasmessa da programmi nazionali nel 1999 e nel 2000 su Between the Covers di radio CBC. Nel 2000 ha pubblicato la terza raccolta di poesie, Coming Home from Home. Nel 2007 è stato scrittore in sede per la Richmond Hill Public Library. Nel 2009 è uscito il suo romanzo In the Bear’s House che ha vinto il premio Canadian Rockies 2009 del Banff Mountain Book Festival. Two O’clock Creek è la poesia “seme” che ha portato alla scrittura del romanzo. Negli ultimi 30 anni, Bruce ha vissuto in varie parti dell'Ontario meridionale tra cui Jordan Station, Stratford e Toronto. Attualmente, risiede a Thornhill

Poesie

Mario Carbone ed Emilio Gentilini, Roma

di Marc Alan Di Martino traduzione di Angela D’Ambra

Runaway

My mother is sitting alone on a park bench in Villa Borghese, eating a sandwich. It isn’t an easy thing to find a sandwich in Rome in 1966. She had to root out the Bar degli Americani on Via Veneto, near the embassy, in order to find ham on white bread. No mayonnaise. Imagine that: a Jewish girl eating a ham sandwich on a park bench in Rome with no mayo. What is she doing there, so far from home? And where is home, anyway? Her parents’ home in Brookline, Massachusetts? That isn’t home. Not anymore. She ran away from that home, came to Rome via Paris via San Francisco. Anywhere but at the shabbos table with that tyrant her mother and her ineffectual father. A ham sandwich on a park bench is better than that, she says to herself as a dapper man appears, dressed in a smart black suit. She notices his teeth. Naively, she thinks he might be Marcello Mastroianni, her singular destiny to meet a movie star, fall in love, and become his wife. Live happily ever after. The fantasies that run through a young woman’s head. This man is not Eddie Fisher. Nice Jewish boy. Dungaree Doll. This man is a smooth-talker. He wants to sell her something. Realizing she is American, he begins speaking in broken schoolboy English. He turns on the charm, and she is charmed. What is he selling? Wine - what else? You are in Italy, poor girl, eating a sandwich, all alone. He overwhelms her, makes her feel like Audrey Hepburn. She, in turn, is an easy target. Not like Italian women. To get into their pants you have to go through their families. He knows. He has two sisters. He’s always beating up guys in his neighborhood for putting their hands on them. He’s got a reputation. But everyone knows American women are unmoored. Why else do they come here?  To get into trouble. To meet a Casanova. To have what they call a ‘fling’. (He learned that word in a movie.) Then they go back home and get married to a Rock Hudson or a John Wayne, have two kids and two cars and pursue their dreams of happiness. Europeans have history, Americans have dreams. That seems to him a profound insight. My mother crinkles the cellophane into a ball, rolls it in her palm, brushes the crumbs from her  skirt. He looks at her knees, the skin boldly exposed, wonders what’s beyond them. She isn’t thin, he thinks, as he absorbs her body with his eyes. He isn’t subtle. You don’t need to be in 1966. All you need to have is charm, and he has excellent charm. She decides in that moment she will go anywhere with this man. She will do anything he asks. She has nothing to lose, no one waiting for her on the other side of the ocean, no Eddie Fisher. Her brother is married to a German. Her brother the magician, who disappeared into a German woman and never came out. How she would like to disappear into this man, fall into the black hole of him, learn to curse her own parents in his tongue, allow the sensual inflections of Italian to evict the Yiddish gutturals lodged in her throat like fish bones. How she would like to learn to trill her r’s, double her consonants, put a crucifix around her neck for the sheer pleasure of seeing her mother’s dumbstruck punim, bury her alive with Roman invective li mortacci tua - fuck your dead ancestors - tear the crucifix off and flush it down the toilet, having exhausted its usefulness. She smooths her skirt, a little flushed.

Fuggiasca

Mia madre siede sola su una panchina di Villa Borghese; mangia un panino. Non è impresa da poco trovare un panino a Roma nel 1966. Aveva dovuto scovare il Bar degli Americani, a via Veneto, vicino l’ambasciata, per trovare prosciutto e pane bianco. Niente maionese. Immagina la scena: una ragazza ebrea che, su una panchina di un parco, a Roma, mangia un panino al prosciutto senza maionese. Cosa ci fa là, così lontana da casa? E, comunque, dove è la sua casa? La casa dei suoi genitori a Brookline, Massachusetts? Quella non è la sua casa. Non più. Da quella casa è fuggita, è venuta a Roma via Parigi via San Francisco. Ovunque, fuorché al tavolo dello shabbos con quella tiranna di sua madre, e il padre inetto. Un panino al prosciutto su una panchina del parco è meglio di quello, si dice quando appare un uomo azzimato, che indossa un elegante abito nero. Ne nota i denti. Ingenuamente, pensa che potrebbe essere Marcello Mastroianni, e che il proprio destino speciale sia incontrare una star del cinema, innamorarsi, diventarne la moglie. Vivere per sempre felici e contenti. Le fantasie che frullano nella testa d’una ragazza. Quest’uomo non è Eddie Fisher. Bravo ragazzo ebreo. Dungaree Doll. Quest’uomo è un adulatore. Vuole venderle qualcosa. Accortosi che è americana, inizia a parlare in un inglese scolastico. Accende il fascino, e lei è affascinata. Cosa vende? Vino; che altro? Povera ragazza, in Italia, tutta sola a mangiare un panino. La perturba, la fa sentire come Audrey Hepburn. Lei è, peraltro, un bersaglio facile. Non come le italiane. Per portartele a letto, devi passare per le loro famiglie. Lui lo sa. Ha due sorelle. Sta sempre a picchiare i ragazzi del quartiere che le molestano. Ha una reputazione. Ma tutti sanno che le donne americane sono senza legami. Sennò perché verrebbero qui? Per mettersi nei guai. Per incontrare un Casanova. Per avere quello che chiamano ‘fling’: un’avventura. (Aveva imparato quella parola in un film.) Poi, se ne tornano a casa, si sposano un Rock Hudson o un John Wayne, hanno due figli e due auto, e inseguono i loro sogni di felicità. Gli europei hanno una storia, gli americani hanno sogni. Questa gli parve una profonda intuizione. Mia madre accartoccia il cellophane in una palla, se lo fa rotolare nel palmo, spazza le briciole dalla gonna. Lui le guarda le ginocchia, la pelle audacemente esposta, si chiede cosa ci sia oltre. Non è magra, pensa, mentre ne divora il corpo con gli occhi. Non è scaltro. Non è necessario esserlo nel 1966. Tutto ciò che ti serve è fascino, e lui fascino ne ha d’avanzo. Lei, in quell’istante, decide che andrà ovunque con quest’uomo. Farà tutto ciò che le chiederà. Non ha niente da perdere, nessuno ad aspettarla dall’altra parte dell’oceano, nessun Eddie Fisher. Suo fratello ha sposato una tedesca. Suo fratello, il mago, scomparso in una tedesca, e mai più riapparso. Come vorrebbe scomparire in quest’uomo, cadere nel suo buco nero, apprendere a maledire i propri genitori nella lingua di lui, permettere alle inflessioni sensuali dell’italiano di sloggiare le gutturali yiddish alloggiate nella sua gola come lische di pesce. Come vorrebbe imparare a vibrare le proprie r, raddoppiare le consonanti, mettersi un crocifisso al collo per il puro piacere di vedere il punim esterrefatto di sua madre, seppellirla viva sotto insulti romani li mortacci tua - vaffanculo i tuoi antenati morti - strapparsi il crocifisso e buttarlo nel water, dopo che ha esaurito la sua funzione. Si liscia la gonna, un po’ rossa in viso.

“Geniza”


A scrap of parchment in the hand of Maimonides
drifts down to us quietly
through ten centuries of blood and dust
lands in the hands of a researcher
in Tel Aviv, New York, Budapest
whose eye has been trained to mend
desiccated fragments, resurrect
mummified inklings, perceive
the worth of such undertakings. Dust
to lust[1], one culture’s erasure is another’s
treasure. Here sacred suckles profane
and must be tweezed apart
so as not to alter both. Crate by crate
smuggled by steamer out of Egypt
tiptoed their way past gods and guards,
again nearly drowned in the sea.

The luck of history.




“Gheniza*[2]



Un brandello di pergamena, di pugno di Maimonide
discende silenzioso fino a noi
attraverso dieci secoli di sangue e polvere
approda nelle mani di un ricercatore
a Tel Aviv, New York, Budapest
che ha occhio allenato a riparare
frammenti essiccati, resuscitare
indizi mummificati, percepire
il valore di tali imprese. Polvere  
alla passione, la rasura d’una cultura è il tesoro
di un’altra. Qui il sacro sugge il profano
e va diviso con le pinze
sì da non alterare entrambi. Cassa dopo cassa
usciti di frodo dall’Egitto via piroscafo
cauti superarono deità e guardie,
e quasi si re-inabissarono nel mare

La fortuna della storia.

 

The Skaters
 
                   “and years - so many years”
                       - Virgil, Aeneid
 
 
The dragonflies of summer have all vanished.
      Now people warm their hands above strange fires
blazing from big green oil drums. There are holes
 
in the sides. I wonder what made them there. 
      Neighbors, mostly. Girls lacing up their skates
in packs . The smoke and spark of firesticks
 
jutting out over the lip, burning, burning.
      My parents are somewhere, walking on water
together. My sister is here, her hand in mine
 
steadying me. Off to the right is where
      the man with the Firebird lives, the one
who followed me, in those apartments over
 
there. Don’t go there by yourself. Repeat. Don’t
      go...when my father hoists me and we’re off! 
 
 
 
 
I pattinatori
 
“E anni, così tanti anni”
                 - Virgilio, Eneide
 
 
Le libellule estive sono tutte scomparse.
       Ora la gente si scalda le mani sopra strani fuochi
che ardono da grandi fusti di petrolio verdi. Hanno fori
 
ai lati. Mi chiedo cosa li abbia fatti là.
       I vicini, per lo più. Ragazze s’allacciano i pattini
in gruppi. Fumo e scintille di stecchi
 
che sporgono oltre il bordo, e bruciano, bruciano.
       I miei genitori sono da qualche parte, a camminare sull’acqua
insieme. Mia sorella è qui, la sua mano nella mia
 
a rendermi saldo. A destra è dove
       vive l’uomo con la Pontiac, quello
che mi seguì, in quegli appartamenti lag-
 
giù. Non andarci da solo. Ripeti. Non
       andare ... quando mio padre mi solleva e via, sul ghiaccio!

 

“Still”
 
 
There are still birds, still things coming to life
in unexpected ways. Still nights and days. 
Nocturnal, diurnal. Circadian rhythms
scratching an itch* at the back of the throat.
Still family, still friends. Still love
slapping you silly with its rubber tongue,
salt that makes your stomach sing a psalm,
palettes of rusted foliage, stray bees
in November, still buzzing in the lavender.
 
 
 
“Ancora”
 
 
Ci sono ancora uccelli, ancora cose che prendono vita
in modi inaspettati. Ancora notti e giorni.
Notturno, diurno. Ritmi circadiani
a raschiare un pizzicore in fondo alla gola.
Ancora famiglia, ancora amici. Ancora amore
a schiaffeggiarti, sciocco, con la sua lingua di gomma,
sale che al tuo stomaco fa cantare un salmo,
tavolozze di fogliame rugginoso, api vaganti
in novembre che ronzano nella lavanda, ancora. 

[1] Nd’A: dust to lust:è un gioco di parole “dalla polvere alla brama”:  la polvere dell’artefatto e la brama del ricercatore per le scoperte

[2] Nd’A: *la gheniza era una specie di sgabuzzino nelle sinagoga antica del Cairo dov’era stato trovato un accumulo enorme di manoscritti vecchissimi, che poi è stato trasferito a Cambridge e che contiene molti tesori letterari di natura ebraica

Marc Alan Di Martino is a Pushcart-nominated poet, translator and author of the collection Unburial (Kelsay, 2019). His work appears in Baltimore Review, Rattle, Rust + Moth, Tinderbox, Valparaiso Poetry Review and many other journals and anthologies. His second collection, Still Life with City, is forthcoming from Pski’s Porch. He lives in Italy.

Marc Alan Di Martino è un poeta nominato per il Pushcart, un traduttore , ed è autore della raccolta Unburial (Kelsay, 2019). Le sue opere sono apparse su Baltimore Review, Rattle, Rust + Moth, Tinderbox, Valparaiso Poetry Review, e molte altre riviste e antologie. La sua seconda collezione, Still Life with City, è in uscita da Pski’s Porch. Marc vive in Italia.

ANGELA D’AMBRA ha conseguito la laurea quadriennale in Lingue e letterature straniere presso l’Ateneo di Firenze (2008); un diploma di Master II in traduzione di testi post-coloniali in lingua inglese presso l’Ateneo di Pisa (2009). Si è laureata in Lettere moderne presso l’Ateneo fiorentino nel 2015. Nel 2017 ha conseguito un diploma di Master I in traduzione di testi biomedici e legali presso ICON (Pisa). Nel 2019, la LM in Teorie della Comunicazione presso la Scuola di Studi Umanistici dell’Ateneo fiorentino. Dal 2010 traduce non-profit testi poetici (En > IT). Le sue traduzioni sono state pubblicate su varie riviste italiane e straniere tra cui El GhibliSagaranaMosaiciSemicerchioJITGradivaOsservatorio Letterario. Ha pubblicato (in traduzione italiana) una selezione di testi dall’antologia poetica On Being Dead in Venice di Gary Geddes (novembre-dicembre 2019) e una selezione di testi dall’antologia poetica Dancing Birches di Glen Sorestad (febbraio-marzo 2020).

“Utopia” di Peter Cowlam

L’enorme ricchezza di Zora Murrillo è un mistero per gli abitanti di Hoe, la cittadina inglese in cui la ragazza, inopinatamente, arriva. Ma non è il solo mistero nella vita della giovane donna, la cui personalità magnetica ed enigmatica non può non stuzzicare la curiosità degli abitanti della cittadina di provincia, in particolare, del cronista locale Andrew Mawdrie. Dopo l’acquisto e la ristrutturazione dell’hotel Pleiades, da lei trasformato in cabaret, la curiosità intorno a Zora cresce anche in seguito alla comparsa di un uomo misterioso. Il suo nome è Em (anche M o Emoticon) e sembra essere legato a Zora da lunga amicizia. Em, agli occhi del mondo, è il redattore di cronaca mondana del Bluffington, ma dietro questa maschera si cela altro. Em  sembra conoscere la parte della vita di Zora anteriore all’arrivo in Inghilterra. Non solo: si scopre, nel corso della narrazione, che Em ha giocato un ruolo centrale non solo per consentire a Zora di raggiungere l’Inghilterra e Hoe, ma anche nella fuga del padre di lei, il dott. Raphael Murrillo – esperto di intelligenza artificiale e creatore, insieme alla figlia, di automi quasi  perfetti – da Utopia, loro terra natale: un luogo dove corruzione, burocrazia, colpi di Stato, dittatura militare sono una costante.   La trama, fitta di intrighi e colpi di scena, si snoda in 36 brevi e icastici capitoli.  Il mistero sulla vita e la reale natura di Zora sembra, però, destinato a non sciogliersi, neppure alla fine del romanzo. (La traduzione e la cura dei due capitoli di Utopia sono di Angela D’Ambra)

Continua la lettura di “Utopia” di Peter Cowlam

“Dancing Birches. Part 5” (5) + tre nuove poesie di Glen Sorestad

traduzione di Angela D’Ambra

Ecco la quinta e ultima poesia di “Dancing Birches. Part 5” assieme ad altre tre nuove sempre su Hemingway c,he fanno da appendice. Le precedenti le trovate scrivendo in alto a destra (lente d’ingrandimento) il nome dell’autore. [E. A.]

 Finca Vigia[1]
 
  
 His house is now a museum. You can look,
 but you can’t touch – photos, if you wish,
 may be taken from cordoned doorways 
 or through open windows in this home 
 where he and Mary lived, where he wrote, 
 where they entertained movie stars and statesmen. 
 Pilar, his fishing boat, stands weathered,
 high and dry, alongside the swimming pool 
 where Ava Gardner is said to have stroked 
 lengths, adorned with that famous sultry smile, 
 and so the rumour goes, nothing else.
  
  
 Everywhere in Havana that Hemingway
 ate or drank, worked or played, is remembered 
 by fresh generations of those he lived among 
 and loved with a fierce tenderness, people
 who loved him back and love him still – 
 an American hero in a nation blockaded
 by his own people -- this place he came to live in, 
 where he will never die, but be forever Papa,
 a giant among the people who welcomed him,
 who took him into their hearts,
 not the man who also lived in Idaho
 and hunted pheasants, who one day 
 took his shotgun out and wrote the end
 to the story he spent a lifetime telling.
  
  
Continua la lettura di “Dancing Birches. Part 5” (5) + tre nuove poesie di Glen Sorestad

“Dancing Birches. Part 5” (4) di Glen Sorestad

traduzione di Angela D’Ambra

Quarta poesia di Glen Sorestad dedicata a Ernest Hemingway. Le precedenti qui, qui e qui . [E. A.]

Two Old Boys of Cojimar [1]
 
  
   When the two old fellows saw us approaching 
   they snapped to like wind-gusted flags. 
   The little fishing village just east of Havana 
   is best known as home of Santiago, 
   Hemingway’s heroic protagonist,who 
   spent two days and two nights adrift 
   far out on the Gulf, bound, will to will, 
   to a magnificent and gigantic marlin[2], 
   until he subdued the great fish, only to lose it 
   to marauding sharks before he could 
   bring his once-in-a-lifetime catch
   home to the village as tangible proof. 
  
Continua la lettura di “Dancing Birches. Part 5” (4) di Glen Sorestad

“Dancing Birches. Part 5” (2) di Glen Sorestad

traduzione di Angela D’Ambra

Questa è la seconda poesia della sequenza che il poeta Glen Sorestad ha dedicato ad Ernest Hemingway. La prima la leggete qui. [E. A].

Continua la lettura di “Dancing Birches. Part 5” (2) di Glen Sorestad

Poesie di Margaret O’ Driscoll

Traduzioni di Angela D’Ambra

Pubblico queste poesie che definirei “ecologiste” e di disarmante candore in segno di accoglienza verso una sensibilità poetica molto diversa da quelle più disincantate o addirittura ciniche che oggi danno il segno dominante alla cultura italiana in crisi. [E. A.]

1.
 
Dewdrops
 
Breakfast time May morning
Sun shines bright outside
Glittering jewels hang in a row
All along the slide
Glistening dewdrops on the grass
Crystals sparkle on the swing
The daisy chain made yesterday
Shines like diamonds on a string
 
 
 
Gocce di rugiada

Mattina di maggio ora di colazione
Il sole fuori splende sfavillante
Gioielli brillanti pendono in fila
Lungo l’intero scivolo
Sull’erba gocce di rugiada luccicanti
Cristalli scintillanti sull’altalena
Le ghirlanda di margherite fatta ieri
Splende come diamanti sopra un filo.
 
Continua la lettura di Poesie di Margaret O’ Driscoll