La medaglia

di Angelo Australi 

Quella mattina Spartaco era stato svegliato da un brano di lirica trasmesso alla radio. Intorpidito dal risveglio aveva guardato verso la finestra, dove le fessure regolari dell’avvolgibile trasmettevano il passaggio di piccoli granelli di luce in un soffitto che risplendeva di nuove costellazioni. Certi giorni si divertiva a visitare quei piccoli punti luminosi con la fantasia, perché immaginare di dare un nome alle figure astratte composte dalla natura sul soffitto ampliava l’ottimismo della giornata, era un po’ come giocare a scommettere sulle sorprese che ci sarebbero state per contrastare la noia. Però aveva ancora sonno e non riusciva a pensare perché il volume della musica era così alto che neppure un sordo avrebbe coltivato i suoi pensieri in santa pace. Non era tardi, altrimenti il frastuono del traffico sulla strada sarebbe stato più intenso e frenetico. Si ricordò che era domenica, che quindi non andava a scuola. Stropicciò gli occhi e sbadigliò piagnucolando come un lupo. Di solito nei giorni di festa sua madre lo lasciava dormire più a lungo perché non c’era scuola, ma quando alla fine si alzò sentì il pavimento vibrare per l’alto volume della musica, un po’ le stesse oscillazioni di quando passava il treno, imprevedibili ma costanti, da farti immaginare uno smottamento di terra proprio alle fondamenta della casa.

Rutilio gli chiese di mettere in bella copia ciò che aveva scritto su dei fogli, ma Spartaco in quella calligrafia non ci sapeva leggere. Il vecchio lo informò che il sindaco gli dava la medaglia perché era uno dei pochi rimasti in paese ad aver combattuto alla prima guerra mondiale. Avrebbe partecipato a una cerimonia importante, c’era ospite un generale, alcuni deputati e una manciata tra sindaci, preti, sindacalisti, politici e personalità del territorio. Spartaco doveva ricopiare quell’intervento dove ricordava alcune azioni di guerra sul Piave sostenute dal battaglione di fanteria dov’era in forza, la brutale assurdità degli assalti alla baionetta e alcune gesta di coraggio. La vita in trincea con il freddo, la neve, la pioggia, la fame, l’odio per il nemico, … tutto quanto. Quando il nonno aveva ancora la bottega di barbiere si allenava ogni giorno parlando ai clienti, ma adesso non si sentiva più sicuro delle sue capacità dialettiche, aveva il terrore di impappinarsi, per questo aveva scritto e riletto quel testo molte volte. Da quando gli tremava la mano la sua calligrafia non era più tanto chiara, se il nipote lo metteva in bella copia, in caso di difficoltà ad andare a braccio, si sarebbe aiutato con gli appunti. Spartaco propose di scrivere sotto dettato, ma il nonno doveva ancora vestirsi, aveva fretta, erano già le otto e mezzo e l’inizio della cerimonia era fissato per le nove in punto. Da casa loro al comune impiegavano almeno un quarto d’ora, camminando a passo spedito.

– Con la furia mi viene l’affanno. Non sono più un puledro come te.

Rutilio fece sparire i fogli nella tasca dei pantaloni.

– Vengo anch’io.

– Neanche se ti metti a pregare in latino.

– Ci metto un attimo a vestirmi, nonno.

Rutilio sostò alcuni secondi davanti allo specchio, spazzolati i capelli sistemò il nodo alla cravatta di uno smagliante rosso porpora.

– È tardi, dio bonino… Guarda, non c’è il tempo neanche di un caffè se voglio esserci per le nove.

Lo slancio di entusiasmo era stato frenato, tuttavia Spartaco non riusciva a portargli rancore. Mentre lo guardava farsi bello pensò che di solito era lui a chiedergli di accompagnarlo in paese, per il rifiuto di oggi avrà senz’altro avuto delle valide ragioni.

Appena fu uscito gli tornarono alla mente alcune frasi che il nonno ultimamente pronunciava sempre più spesso in sua presenza. Ti auguro di studiare fino alla laurea, gli diceva, ma questo non significa niente. Ricordalo, sarà solo un pezzo di carta per pulirci il culo se non impari a conoscere i tuoi limiti. Cerca sempre di capire dove stai e dove puoi arrivare con le tue gambe, così sarai grande anche se sbuccerai patate tutto il giorno. I giovani hanno sempre una trovata per giustificare la vita che fanno. È un’intelligenza controllata, Spartaco. Me ne frego se hanno racimolato a mozzichi e a pizzichi una conoscenza più vasta della mia, all’atto pratico, se non si realizza in qualcosa di concreto, sai dirmi a che serve? Non li invidio affatto. Neanche tuo padre, che ha il dovere di crescerti. Le buone intenzioni a volte non bastano, detesto chi passa sopra i propri errori con troppa leggerezza. Oggi il lavoro del vetraio sta per essere soppiantato dalle bottiglie di plastica, ma lui spera ancora di salvare il suo dannato sogno e di arrivarci alla pensione. Sbaglierò, ma secondo me non sta cercando con convinzione un’alternativa al lavoro in vetreria, lui chiede di avere pazienza, qualcosa da fare lo troverà senz’altro, ma ancora non è il momento di abbandonare la nave. La vita un giorno ti sputerà in faccia i suoi veleni non per dispetto, ma perché è giusto così. Ho conosciuto chi è diventato pazzo perché ha assaggiato qualcosa di bello una volta e poi non è più stato in grado di acciuffarla dalla normalità piatta e vorace che si vive ogni giorno… Guarda me, se non vuoi prendere ad esempio tuo padre, fino a quando avevo la bottega di barbiere mi sentivo la persona più dinamica del mondo e la fatica non pesava, adesso invece ciondolo per casa la maggior parte del tempo, mi sta pensiero anche solo alzare una sedia. Credici, all’atto pratico la forza di un’idea va misurata ogni giorno nel pane guadagnato per le persone che dipendono dal tuo lavoro.

A Spartaco venne in mente anche una frase di sua madre, quando per contraddire il nonno ripeteva che i vecchi non possono stare con le mani in mano, hanno sempre la fissazione di sentirsi utili ad ogni costo.

Quella mattina però lo stava invidiando perché lui non avrebbe mai partecipato a una guerra di quelle proporzioni. Alla radio e in Tv riferivano di certi conflitti che si svolgevano in Asia, Israele e America Latina, e suo padre ai pasti commentava quelle notizie dicendo di reputarsi fortunato a vivere in Italia. Grazie a dio non era mai stato in trincea, e con l’armistizio del ’43 si era nascosto in montagna con i partigiani. Per questo oggi, prima di sparare ancora alla testa di qualcuno, sarebbe andato a nascondersi anche al centro della terra. E senza provare rimorso, perché una fede non può assodarsi sulla morte di altri esseri umani. La guerra alla quale era stato costretto a partecipare veniva combattuta in nome di idee capaci di giustificare anche la morte di milioni di civili senza colpe, e lui adesso voleva guadagnarsi di che vivere senza ammazzare il nemico. Era fatica doppia, ma nel mondo fatto di bombe atomiche bisognava trovare sempre un punto di incontro con le parole. Io penso a te, caro Spartaco, gli diceva sottovoce il padre, finito quella sorta di comizio, e al tuo futuro.

Spartaco girò per casa in cerca di sua madre o della nonna. Sperava di darle in anteprima la notizia della medaglia di Rutilio, invece a quell’ora le due donne erano andate a messa. Sapeva che gli avrebbero portato due grossi bignè alla crema per farci colazione. Li compravano in una pasticceria del corso. Quella pasticceria faceva delle paste dal gusto inconfondibile, se sua madre o la nonna si servivano altrove, lui lo capiva. Era tornato in salotto, aveva preso un fumetto e lo stava sfogliando senza dimostrare granché interesse per la storia. A fare colazione aspettava sua madre, quindi adesso aveva un certo appetito. Manipolò lo stereo di suo padre, sintonizzando la radio su di un programma che trasmetteva musica leggera. Lasciò il volume dove lo aveva portato Rutilio, sicché come l’appartamento al suo risveglio gli era sembrato la Scala, ora stava vibrando nei suoni di una discoteca delle più sfrenate. Provò a ballare guardandosi allo specchio, divincolandosi e molleggiando come immaginava facessero i ragazzi per il gusto di piacere a una donna. Copiò metodicamente i gesti dei ballerini visti in Tv al sabato sera, che si snodavano da veri contorsionisti per poi incollarsi a quelle donne mozzafiato che sembravano uscite dalla nuvola dei sogni come esseri incandescenti. Spartaco ammirava il nonno, questa non era una novità, però non digeriva la lirica, anche se si imponeva di capirla con tanta buona volontà. Su quello che diceva Rutilio era propenso a crederci, tranne la musica leggera. La musica leggera a lui non sembrava stupida, metteva vitalità addosso, si divertiva.

Ritornò in cucina, la fame era cresciuta. Nei giorni che andava a scuola faceva colazione subito sceso il letto, dopo si lavava e vestiva di corsa. Rutilio aveva scombussolato le sue abitudini domenicali, era stato costretto ad alzarsi più o meno alla stessa ora dei giorni in cui andava a scuola, però non c’era la colazione pronta e il suo stomaco ormai reclamava con insistenza. La cucina era fredda e inospitale come nel resto della settimana, quando la nonna rifiutava i pranzi ricchi di calorie perché si era fissata che stare a dieta fosse la miglior medicina della vecchiaia. La madre di Spartaco nei giorni di festa si rilassava dal lavoro di magliettaia preparando dei cibi complicati che le occupavano il tempo. Indaffarata ai fornelli aveva l’arte di rendere la cucina una stanza dove si dovevano alzare i piedi e stare attenti anche a respirare, altrimenti il precario equilibrio di quella confusione creativa si sarebbe infranto. A Spartaco piaceva da morire l’odore del soffritto di cipolle, annusare nel tegame del coniglio in umido, e sua madre a questo punto della domenica diventava un genio. Per lui quegli odori erano profumi, non capiva perché lei si disperasse così tanto quando lasciava aperta la porta della cucina. A volte, per farlo contento, gli spalmava del sugo sopra una fetta di pane. Lui lo prendeva volentieri, pur avendo mangiato i bignè. Naturalmente all’ora di pranzo non aveva più fame.

Le due donne rientrarono. La madre di Spartaco dopo essersi cambiata si mise a cucinare, la nonna diede aria alle camere, spazzò e rifece i letti. Si erano meravigliate di trovarlo già alzato, visto che nei giorni di scuola dovevano strappargli le coperte di dosso. Spartaco disse che il nonno lo aveva svegliato perché aveva bisogno che ricopiasse dei fogli per lui. La radio, a tutto volume, stava sintonizzata su un programma di musica lirica.

– Quando ascolta l’opera si può anche morire, non esiste più nessuno – disse la nonna ridendo.

– È andato in comune a ritirare una medaglia. Una medaglia d’oro – disse Spartaco. – I fogli che dovevo copiare sono il discorso che terrà davanti a tanta gente importante.

– Non è perfetto – disse sua madre, facendo capire che era al corrente. – Di tutte le volte ha fatto domanda per la pensione di guerra, al nostro eroe dei due mondi affibbiano solo una medaglia.

– Ma è d’oro, mamma!

– Oro o no, un po’ di soldi ci facevano più comodo.

– No, è molto meglio la medaglia!!!

– Come se tuo nonno non fosse già abbastanza pavone di suo.

– Una medaglia, … d’oro?

Vedendo il figlio entusiasmarsi per questa novità, Giulia considerò opportuno non guastargli la festa.

– D’accordo, quand’è così sempre meglio una medaglia di niente. Sei contento? … Prendi le tue paste alla crema e dopo sbrigati a fare il bagno, altrimenti torna tuo padre e urla che ha fame. Mi tocca sempre fare le corse per rientrarci.

Dopo aver fatto il bagno Spartaco decise di andare in piazza. Sapeva di trovarci Rutilio con la sua medaglia d’oro bene in vista, tra tanta gente che si congratulava. Se lo stanno festeggiando è perché ha vinto la guerra, le medaglie non si distribuiscono tanto per fare l’elemosina. Non aveva dubbi al riguardo, per lui il nonno andava difeso fino all’estremo. Un pomeriggio della settimana appena trascorsa si erano presentati in casa alcuni studenti di un liceo classico che volevano una testimonianza da Rutilio sul come si viveva in paese quando lui era giovane. Mentre stava raccontando un po’ di storie della sua giovinezza uno studente registrava la sua voce su di un piccolo registratore portatile, che poi avrebbero trascritto e pubblicato sul giornalino dell’istituto. Spartaco si era messo a fianco di Rutilio per guardare in faccia quei ragazzi un po’ più grandi di lui, sentendo le parole del nonno una certa eccitazione gli dava l’idea del movimento e non nascondeva il suo entusiasmo a quei giovani che lo guardavano con simpatia. Intravedeva il nonno solo di spalle, riflesso nello specchio del salotto come un’immagine fuggevole, abissale quanto i suoi esempi rapportati al presente. I movimenti scattanti di Rutilio davano a Spartaco l’idea di essere delle felici intuizioni che finivano per arricchire la sua testimonianza. Alla fine il vecchio recitò alcune poesie. Non avendo più nastro, gli studenti promisero di tornare. Non state molto, gli aveva detto Rutilio, sono un vecchio rincoglionito e a questo mondo ci starò ancora per poco. Gli studenti risero. Voi non credeteci, siete giovani e ne avete il sacrosanto diritto, ma alla mia età ci si annoia facilmente della vita. Si ha paura della morte, ma anche la vita non è più niente di speciale, se non si riesce ad immaginare cosa diventeranno un giorno le persone alle quali vuoi bene. Gli dissero che si spiegava meglio di alcuni loro professori.

In piazza con gli amici fissò dove andare nel pomeriggio, e quando si salutarono preferì restare perché sperava di trovare il nonno. Visitò le piazzette meno frequentate del paese, le strade, i vicoli, si affacciò in qualche bar più affollato nella speranza di scorgerlo a parlare con la gente. Desiderava tornare a casa con lui, fargli tante domande sull’esito della cerimonia prima degli altri familiari. Sulla porta del palazzo comunale vide una bandiera tricolore penzolare grande come un lenzuolo, c’era movimento di persone ma di Rutilio nessuna traccia. Spartaco si vergognava a salire da solo nel salone dove si svolgevano le cerimonie pubbliche e le sedute del consiglio comunale. Prima di allontanarsi cercò di immaginare la forza del nonno nel parlare a quella folta assemblea, immaginò tutti quei gesti che faceva svolazzando con le mani davanti a se mentre argomentava il suo discorso, gli erano familiari perché quando c’era il negozio di barbiere li aveva visti ripetere un’infinità di volte in faccia ai clienti, smanettava come un direttore d’orchestra ispirato, dandosi un ritmo mai convenzionale ma pieno di sorprese, di scatti in avanti e di brusche frenate.

Rutilio rientrò molto tardi, stavano aspettando lui per mettersi a tavola. La madre di Spartaco aveva apparecchiato in salotto perché le dava fastidio mangiare la domenica dove ristagnavano gli odori del cibo.

Rutilio posò il cappotto sopra il divano. Si sedette svogliatamente.

– Il cappello non lo togli? – gli chiese sua moglie.

Rutilio lo lanciò sul divano che stava alle sue spalle. Il cappello fece un giro su se stesso e poi cadde in terra.

– Nonno – disse Spartaco, – quando me la mostri la tua medaglia?

– Quando hai mangiato.

– È vero che è d’oro?

– Solo placcata – disse Rutilio ridendo.

Gli altri già mangiavano, invece Spartaco indugiava, gli sembrava che il nonno parlasse alla sua porzione di tagliatelle. Era a capo chino, le annodava alla forchetta e poi le lasciava ricadere sul piatto. Si passava la lingua sulle labbra come una femmina scontenta del suo rossetto.

– Che ti succede? – gli chiese sua moglie. – Ti ha punto una vespa?

– Macché!

– E il discorso com’è andato?

– Sì, … ci racconti qualcosa, Rutilio – disse la madre di Spartaco.

– Il discorso? – Rutilio fece un giro a incrociare gli sguardi di tutti.

– Certo. Facci sapere… Ti sei impegnato così tanto a scriverlo – disse sua moglie.

– A schifio è andato, il discorso – disse Rutilio.

– Forse c’era troppa gente che doveva parlare?

– Ginetta, la gente era davvero tanta – disse Rutilio rivolto a sua moglie.

– Lo avrai fatto lungo – disse il padre di Spartaco. – Si sono impressionati e ti hanno tappato la bocca.

– Erano tutti dietro un tavolo, pronti a prendere la parola, mentre io stavo mescolato con il pubblico. Neanche un posto in prima fila mi hanno riservato. Poi c’è stato un bischero di stratega che addirittura si è messo a illustrare su di un grafico come si era svolta la battaglia del Piave. Come se fosse stato quello il senso di una gioventù mandata a morire.

– Potevi tentare di leggerlo in chiusura, se ti premeva tanto.

Rutilio fissò intensamente suo figlio.

– Ho provato in chiusura, nel mezzo, dopo i rappresentanti di ogni partito. Mi veniva chiesto di aspettare, di avere pazienza, … se capitava una tregua avrei letto il mio discorso.

– E non hanno trovato un vuoto da ficcarci anche te?

– Neanche aperto bocca per dire ahi.

– Almeno una buona accoglienza?

– Niente, … come sbrigare una pratica.

 

NOTA
Il disegno è di Nilo Australi, tratto dalle illustrazioni fatte per il romanzo “Mafarka le Futuriste” di F. T. Marinetti

 

10 pensieri su “La medaglia

  1. Ciao Angelo,
    ricordavo qualcosa di questo bel racconto ma rileggerlo è stato come riaprire con piacere una pagina di storia. Sottile e graffiante la “tirata d’orecchi” a chi dovrebbe avere maggiore umiltà e rispetto in certe circostanze.
    Grazie di insistere a ricordarlo.
    Un abbraccio.
    Lucia

    1. Cara Lucia,
      lo ripubblico con brevi variazioni (per esempio: “”Sbadigliò piagnucolando come un lupo, che ricorda sopra Filippo Nibbi), e fai bene a ricordarti del racconto, era nella raccolta “Magalodiare”, uscita con le edizioni del Circolo letterario Semmelweis, che presentammo nel 1989 al Perseo Centro Arti Visive.
      Davvero altri tempi …

  2. …un bel racconto, concentrato sul rapporto nonno Rutilio e nipote Spartaco…Intorno una comunità di provincia che ha imparato negli anni ad apprezzare il nonno barbiere, oratore carismatico e depositario di memorie passate…Il nipote, senza doverlo dire, ne è molto orgoglioso e, come del resto il nonno, conta molto sul riconoscimento da parte delle autorità ufficiali, che promette il conferimento di una medaglia d’oro in una pubblica cerimonia, come combattente durante la prima guerra mondiale…Aimeh! la delusione non tarda a manifestarsi, ignorato dai capi partito, il vecchio infine resta senza la possibilità di riferire un discorso a lungo preparatoe. Senza parole…meglio cosi’ perchè recupera la sua saggezza: “…Poi c’è stato un bischero di stratega che addirittura si è messo a illustrare su di un grafico come si era svolta la battaglia del Piave. Come se fosse stato quello il senso di una gioventu’ mandata a morire.” Lui non c’entrava proprio niente in quel consesso di nullità

    1. Grazie Annamaria, è vero, in sostanza l’ho pensato, ormai tanti anni fa, come un racconto contro tutte le guerre.

  3. Mi ha colpito la ricostruzione dell’ambiente: gli odori, i rumori, i sapori, i colori, e le ruvidezze di generazioni dalle mani grosse che però sotto i calli tenevano nascosta grande tenerezza. Generazioni (mi riferisco a quelle che hanno fatto le due guerre mondiali) che, forse senza saperlo e nemmeno volerlo, erano anche intellettuali, nel loro stare insieme, partecipare, discutere e anche litigare, convinti che ogni loro atto e parola appartenessero comunque a tutti e, come tali, fossero un pezzettino di storia. Da loro ho imparato molto e questo racconto, Angelo, me lo ha ricordato, anzi, come avrebbe detto mio nonno, “rimentovato”.

    1. Caro Daniele, almeno nella mia infanzia la storia era qualcosa che visitavi ogni giorno. Avevo un nonno, classe 1881, barbiere, sarto, attore e poeta, che mi raccontava di aver conosciuto dei Garibaldini. Stava, la storia, tra il piatto di minestra e l’immaginazione che viaggiava ovunque, dilatando il tempo nei fatti temporali del bisogno di giocare, di vincere in qualche modo la noia.

  4. Caro Angelo,
    la ricostruzione dell’ambiente sociale, riferito al suo periodo storico, è, come tuo solito, efficace.
    Il percorso di formazione di Spartaco si nutre della saggezza del nonno: “Credici, all’atto pratico la forza di un’idea va misurata ogni giorno nel pane guadagnato per le persone che dipendono dal tuo lavoro”. Una saggezza scaturita soprattutto dalla pratica lavorativa, piuttosto che dall’inutile accumulo di conoscenze, come avviene per i giovani: “Me ne frego se hanno accumulato a mozzichi e a spizzichi una conoscenza più vasta della mia, all’atto pratico, se non si realizza in qualcosa di concreto, sai dirmi a che serve?”.
    L’episodio del mancato discorso, andato “a schifìo”, forse sarà per Spartaco un ulteriore passaggio di quel processo di progressiva presa di coscienza della realtà della vita. La figura del nonno, realistica e vivida nelle sue componenti caratteriali, ma tendenzialmente “mitizzata” dal giovane nipote, si ridimensiona nell’esperienza negativa, nell’umana delusione. L’episodio è al contempo anche denuncia contro “i rappresentanti di ogni partito”, la cui vuota smania di protagonismo impedisce al nonno di esprimere la verità e la forza del suo vissuto personale.

    “Si ha paura della morte, ma anche la vita non è più niente di speciale, se non si riesce ad immaginare cosa diventeranno un giorno le persone alle quali vuoi bene”. Queste “perle” di saggezza sono porte in un linguaggio semplice e chiaro, ma che mantiene tuttavia un’eco di quel parlato popolare che favorisce ulteriormente l’immersione in quella dimensione sociale così ben delineata nel racconto. E ciò conferma la qualità del lavoro che hai svolto sui tuoi strumenti narrativi.
    Un caro saluto,
    Leonello

    1. Grazie Leonello, oltre a quello che dici e che condivido in pieno, nella mia testa La medaglia è nato come un racconto contro la guerra, contro tutte le guerre. Un sentimento riconosciuto dal basso, da chi le subisce o le ha subite.

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