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La medaglia

di Angelo Australi 

Quella mattina Spartaco era stato svegliato da un brano di lirica trasmesso alla radio. Intorpidito dal risveglio aveva guardato verso la finestra, dove le fessure regolari dell’avvolgibile trasmettevano il passaggio di piccoli granelli di luce in un soffitto che risplendeva di nuove costellazioni. Certi giorni si divertiva a visitare quei piccoli punti luminosi con la fantasia, perché immaginare di dare un nome alle figure astratte composte dalla natura sul soffitto ampliava l’ottimismo della giornata, era un po’ come giocare a scommettere sulle sorprese che ci sarebbero state per contrastare la noia. Però aveva ancora sonno e non riusciva a pensare perché il volume della musica era così alto che neppure un sordo avrebbe coltivato i suoi pensieri in santa pace. Non era tardi, altrimenti il frastuono del traffico sulla strada sarebbe stato più intenso e frenetico. Si ricordò che era domenica, che quindi non andava a scuola. Stropicciò gli occhi e sbadigliò piagnucolando come un lupo. Di solito nei giorni di festa sua madre lo lasciava dormire più a lungo perché non c’era scuola, ma quando alla fine si alzò sentì il pavimento vibrare per l’alto volume della musica, un po’ le stesse oscillazioni di quando passava il treno, imprevedibili ma costanti, da farti immaginare uno smottamento di terra proprio alle fondamenta della casa. Continua la lettura di La medaglia

 Una famiglia dalle doppie iniziali in O

di Angelo Australi

La prima volta che il nonno mi ha informato sul nostro cognome discendente da una famiglia originaria dell’appennino tosco-romagnolo, penso sia stato quando frequentavo la prima media. O comunque sia, è in quel periodo ristretto dei tre anni di scuola dopo le elementari, perché ogni tanto andavo a trovarlo di pomeriggio, quando aveva ancora il fiato e la forza di mantenere l’orto che aveva dietro casa. Ci andavo volentieri perché di fianco alla legnaia aveva costruito una grande gabbia dove teneva prigionieri un paio di scoiattoli che saltellavano in continuazione. Siccome gli portavo sempre qualcosa da mangiare (ghiande, noci, le bacche di cipresso raccolte per terra sul viale del cimitero), appena mi vedevano sembravano impazzire di gioia. Per me era un gioco magico osservarli saltare come delle scimmie su alcuni rami poggiati di traverso nel reticolato. Si aggrappavano alle maglie della rete facendo spuntare il musetto con la bocca spalancata, un po’ come se volessero parlarmi. Continua la lettura di  Una famiglia dalle doppie iniziali in O