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La distruzione del sapere

di Ezio Partesana con una nota di Ennio Abate

Riprendo da Etica e politica questo saggio di Ezio Partesana e aggiungo alcune mie considerazione in appendice. [E. A.]

Si può odiare con tutto il cuore una verità anche quando non c’è nulla da fare. La sentenza di una grave malattia, le distruzioni causate da un terremoto o la somma degli anni vissuti quando si arriva alla fine, non hanno un nemico contro il quale ci si possa scagliare; si bestemmia contro il fato o la vita, ma è un modo di fare, non una risposta. Quel che è accaduto non è colpa di nessuno, non c’è rimedio e si muore comunque.
Qualche volta usciamo da noi stessi e il male subìto si trasforma, si vorrebbe trasformato, in buona azione: In nome del padre o della figlia ci diamo da fare affinché la stessa sorte non tocchi a altri o almeno ci si prepari a renderla più lieve. Non c’è motivo di sorridere di questo conforto, anche la rivolta contro l’inevitabile è un principio di speranza: sotto i terremoti ci sono le case e gli anni non sono tutti uguali, ma non basta.

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Insulti e offese

di Ezio Partesana

Segnalo il blog di Ezio Partesana, che ha anche collaborato in passato con Poliscritture, pubblicando questo suo recente testo filosofico. L’ho letto attentamente. Mi ha colpito la sottile distinzione che Ezio fa tra i due concetti e l’importanza che attribuisce ai meccanismi psichici ben più complessi dell’offesa rispetto al “semplice” insulto. Scrive: “l’offesa ammette il riconoscimento di uno stato comune, la pietà e il perdono”, perché in essa non solo affiora (forse si potrebbe dire: si costruisce…) un legame tra offensore e vittima (“qualcosa nella volontà dell’altro ci ha sorpreso e a quello siamo appesi come al cordone ombelicale la prima volta che fummo lasciati soli”) ma pure un legame col passato (e quindi con una storia): “tutte le offese vengono dal passato e sono state apparecchiate prima che fossimo in grado di sopportarle, e in fondo non sono dirette a noi, ma a quello che eravamo prima”. Abituato come sono a rendermi conto dei concetti solo quando riesco ad associarli a personaggi o fatti storici, ho pensato almeno a Primo Levi e a Toni Morrison, che nelle loro opere hanno appunto meditato sulle “offese” della Shoah e della schiavitù degli afroamericani. Non so se riesco a seguire Ezio quando dal piano dei rapporti tra gli umani sembra passare al piano del rapporto umano/divino (“Si può, insomma, insultare Dio perché ha fatto degli errori o bestemmiare che sarebbe stato meglio non fosse mai esistito nulla”) ma altri – spero – lo faranno e io cercherò di capire di più. [E. A.]

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