Conversazioni con Miza
di Donato Salzarulo
1.– Durante l’estate sono andato spesso a Lacedonia, a casa di Michelina Di Conza (in arte MIZA). Ho imparato facilmente la strada. In questo paese ho frequentato dal 1963 al ’67 l’Istituto Magistrale e qui avevo una sorella di mio padre e una sua cugina residenti. La zona è quella che gli abitanti chiamano “del padreterno”. Per chi come me viene da Bisaccia, occorre restare sempre sulla statale 303. Attraversato il paese fin quasi alla scomparsa dell’abitato, all’apparire dell’indicazione per il cimitero (dal finestrino s’intravede il filare dei cipressi), bisogna svoltare a destra per la mesta stradina. Appena imboccata, però, la si deve abbandonare per l’altra che si origina quasi nello stesso punto e che conduce verso la collina: è quella per la contrada Carducci («I cipressi che a Bolgheri alti e schietti»). Salendo, a sinistra, spunta una schiera di villette. Sul cancello di quella di Miza e del fratello si legge in stampatello il nome dei genitori: DI CONZA GIOVANNI – PANNO ANNA.
Giovedi 19 luglio 2018 vado a trovarla di pomeriggio. Dobbiamo parlare della mostra che desidera allestire per fine mese. Mi ha spedito quasi tutte le foto dei suoi ultimi quadri e vuole che le dia una mano ad impostarla. Fermo la macchina sul piazzale antistante il pergolato, scendo e saluto Mimmo, seduto sulla porta della sua ala di casa. Chiedo della sorella e mi avvio verso il suo studio-laboratorio. Michelina è di là con le mani appoggiate sul tosaerba. L’immagine mi piace. Mi parla. Miza ha chiamato molti dei suoi ultimi quadri “Aria irpina” 1, 2, 3…ma ha i piedi ben saldi su questa collina, su questa terra che sa coltivare ed amare. Uditrice del vento, sa tenere bene insieme la nota alta e bassa della vita. Sorridendo ci salutiamo e subito ci catapultiamo nelle nostre conversazioni.
2.- Lo studio-laboratorio della pittrice irpina è al piano terra della casa. La porta d’entrata è grande come quella di un garage. Appena l’attraverso, m’imbatto in tavoli di lavoro a destra e a sinistra con quadri incorniciati e sistemati un po’ dappertutto. Di fronte ho la cappa di un camino (forse mai acceso) con una grande figura di donna in rilievo. Anche qui, quadri dappertutto. Dopo il largo corridoio d’ingresso, il laboratorio si sviluppa sulla destra con una superficie abbastanza ampia come se fosse il braccio capiente e spesso di una L capovolta. Qui si trovano: l’imbocco di una scala in legno per portarsi al piano superiore, una cucina, un divano con un tavolinetto e un grande orologio da stazione ferroviaria, impiantato su una colonna portante. L’arredamento è essenziale e prevalentemente funzionale al suo lavoro artistico. Sulla cucina un piatto con la tavolozza dei suoi colori.
In questi giorni lo studio è gremito di opere. Ve ne sono alcune per terra, appollaiate sul camino, sulle scale, sul divano, sulla cucina. Per Miza è un periodo assai fertile. Vorrebbe mietere il grano della sua più che decennale produzione. Vorrebbe mostrare il meglio dei suoi ultimi tre anni, esporlo innanzitutto nella sua comunità irpina, nel paese che le ha dato i natali.
3. – I quadri di Miza appartengono al mio orizzonte visivo da quasi mezzo secolo. Astratti, geometrici, con colori tenui, pastello e con linee nette che s’incontrano in un punto o che da questo si dipartono, ho potuto ammirarne alcuni frequentando le case abitate da Michele Panno, suo zio nonché mio amico. Persona che ha svolto un ruolo importante, come lei stessa confessa, nella sua formazione culturale generale. In verità, un quadro iper-figurativo, realistico fino al dettaglio più elementare, è appeso dal 1997 in casa della mia prima figlia e del marito. È un dono di nozze. Rappresenta un vicolo strettissimo di Bisaccia, quasi una lama di luce fra due alti muri di pietra. Questa l’esperienza, abbastanza povera, che avevo dell’opera artistica di Miza fino all’estate del 2016, quando abbiamo deciso di incontrarci per fare del lavoro insieme. Lei per continuare a produrre le sue opere, farmele conoscere e raccontarmele; io per raccogliere la sfida che rappresentano, comprenderle il più approfonditamente possibile e tradurre il tutto in scrittura. Perché scrittura?… Michelina ha apprezzato molto «Il bisogno del lupo» (qui), il mio testo composto per Pietrantonio Arminio e vorrebbe che scrivessi qualcosa di simile per lei. Cosa ovviamente impossibile. Ogni testo è figlio di atmosfere, circostanze, relazioni e situazioni irripetibili.
4. – Dal nostro primo incontro (fine agosto 2016) ad oggi mi sto sforzando di passare da un’esperienza superficiale e generica di Miza e delle sue opere ad una conoscenza più ricca e dettagliata, accurata e concreta. Mi interessa l’universalità, ma anche la molteplicità, la singolarità. Nelle nostre conversazioni continuo a pormi e a porle domande sulla sua personalità artistica; cerco di capire a quali tendenze del nostro tempo si sente più vicina o dichiara di appartenere… In breve, vorrei capire qualcosa del suo rapporto con la tradizione, vorrei che mi rivelasse il nome degli artisti che ammira e di cui, per così dire, eredita i problemi oppure quelli da cui si sente più distante… Le ho chiesto di raccontarmi gli episodi più influenti e significativi della sua vita, quelli che hanno dato ali e direzione alla sua vocazione. E lei me ne ha indicato alcuni. Siccome dipinge da decenni, l’ho sollecitata a riflettere sul percorso compiuto, individuando gli eventuali periodi, classificando i temi o i soggetti dei suoi dipinti, le caratteristiche dei materiali, del segno e della linea, l’uso del colore, ecc…. Sulla questione dei contenuti e dello stile, il mio obiettivo è andare un po’ al di là di ciò che qualsiasi osservatore (anche distratto) può notare di primo acchito: i quadri di Miza si differenziano in due grandi gruppi: quelli con una figurazione riconoscibile (paesaggi, ritratti, ecc.) e quelli in cui l’astrazione è prevalente (si tratta spesso di rappresentazioni informali da cui, certe volte, non è assente un intento di geometrizzazione). Insomma da uno stile “iper-figurativo” (quasi da realismo ottocentesco) ad uno astratto, informale, consapevole del lavoro svolto dalle avanguardie novecentesche. Come mai?…Che rapporto c’è fra i due sistemi di rappresentazione? Quale funzione viene loro assegnata?… Ritengo importante rispondere alla domanda sul contenuto rappresentativo delle opere (cosa significano?…) perché spesso è legato ad eventi vissuti o accaduti all’artista, alle sue tendenze culturali, alla sua visione del mondo, al suo rapporto con la “committenza”. Beninteso, so bene che Miza non dipinge per ragioni economiche o di mercato. In lei predominano motivazioni espressive. Ma capita che non siano soltanto motivazioni interiori a mettere, per così dire, “al lavoro” l’artista. I quadri in cui omaggia Vinicio Capossela, ad esempio, sono stati prodotti anche per illustrare un libro. Mentre quelli per Vanessa fronteggiano un inconsolabile dolore familiare: la tragedia della morte di una nipote per un malattia incurabile. Una sofferenza, un dolore privatissimo che, in qualche modo, viene reso pubblico. Un po’ come succede oggi in tanti ambiti sociali. Alcuni hanno giustamente parlato di “estetizzazione del male”. Con questo voglio dire che tutti partecipiamo in maniera conscia e/o inconscia ad un determinato clima culturale, sociale ed economico. E può capitare che sia questo clima o la voglia di prendere le distanze da esso o di ribellarsi ad esso il nostro “committente” nascosto. Da qui la necessità di comprendere quanta autonomia, indipendenza, energia creativa, originalità, potenza si sprigionano da un determinato “sistema rappresentativo”. Uso consapevolmente questo sintagma pensando alla famosa pipa di Magritte. Il quadro è noto. È un dipinto ad olio su tela. Sopra vi è raffigurato una pipa e sotto si può leggere: «Ceci n’est pas une pipe». È, infatti, l’immagine di una pipa, la sua rappresentazione. Con la pipa raffigurata da Magritte non si può fumare. I due ordini (quello del reale e quello della rappresentazione) hanno proprietà e funzioni chiaramente diverse. Da qui la domanda: quale sistema di rappresentazione caratterizza l’opera di Miza?…Il che significa interrogarsi: a) sulle caratteristiche dei materiali -supporti (carte, tele, ecc.) -mezzi (matite, acquerelli, acrilici, ecc.) -procedimenti (modi di stendere il colore, collage, assemblaggi, ecc.) b) sulle caratteristiche del segno e della linea c) dello spazio d) della forma e) del colore f) della luce
5.- Nel nostro primo incontro di fine agosto 2016 mi meravigliò la scoperta di Miza autodidatta. Chissà perché pensavo che avesse frequentato accademie, licei o istituti artistici. Forse per la maturità dei suoi lavori, per la precisione del segno e della linea. In realtà la pittrice ha frequentato le aule del mio stesso Istituto Magistrale, successivamente l’Isef ed è stata per decenni una prof. di educazione fisica, attenta, quindi, al corpo e allo sviluppo psico-motorio. Interessante. Confesso tuttavia di aver vissuto qualche attimo di disorientamento. Mi aspettavo di veder saldate in lei “vocazione artistica” e “professione sociale”. Invece, le due traiettorie non erano coincidenti. Nulla di male. Quanti scrittori sono stati ingegneri, assicuratori, chimici?…Fare professione del proprio talento o della propria passione è indubbiamente un ottimo ideale, ciò non toglie che il continuare a dipingere per tutta la vita senza aver frequentato istituti artistici e/o accademie, rimanendo “fuori dal giro”, può essere il risultato di una grande disposizione e forza d’animo, di un bisogno incomprimibile, di un’urgenza espressiva non rinviabile. La non coincidenza tra “vocazione” e “professione” può rivelare un percorso singolare, caratterizzato, ad esempio, da una minore “angoscia dell’influenza”, da un’energia che in certi casi può tradursi in un grande desiderio di rinnovamento. A volte, l’arte per rinnovarsi ha, infatti, anche bisogno di disorientarsi. Quando Miza mi disse di essere un autodidatta per un po’ mi venne spontaneo accostarla agli artisti naïf o a quelli dell’art brut. Questo per l’urgenza interiore della propria vocazione, per il talento naturale mostrato nelle opere, per la bravura nell’arte del disegno: quanti quadri iper-figurativi potrebbero rispondere a questo desiderio più o meno inconscio di riconoscimento del proprio valore?….
6. – In una lettera Miza mi ha raccontato quelli che ritiene gli episodi più influenti e significativi alla base della sua vocazione:
- L’opera d’arte in miniatura realizzata dal padre un giorno d’inverno. Disegnò con una matita Fila N° 3 un vaso con dentro una piantina. Sopra c’era un nido ed un uccellino di fronte, fra dedali di rametti e foglioline. «Quando sarò grande, farò un quadro come questo» promise con ammirazione la bambina.
- Crescendo, si descrive come «sempre alla ricerca di qualche pagina colorata…in una scuola di campagna in cui era tutto in bianco e nero». Una volta riuscì a strappare una matita rosa a suo fratello più grande, dietro compenso patteggiato di 75 £.
- In terza media il supplente di disegno le assegnò un compito a casa: squadratura del foglio, disegno di tutti gli angoli (acuto, retto, ottuso, piatto, giro) e costruzione del pentagono. Svolto in condizioni precarie, il prof. le diede un due. Da qui una sfida che sta durando tutta la vita, una sfida soprattutto con se stessa.
- Il rapporto affettivo con lo zio materno Michele Panno, un rapporto di sostegno culturale e di sensibilizzazione socio-politica su molti temi: da quelli del riscatto degli ultimi a quelli dell’emancipazione e liberazione delle donne.
- La sua «seconda nascita» grazie al sodalizio con Francesco Paolo Fiorentino. «Questo connubio – sostiene Miza – ha scompaginato le mie categorie mentali di Spazio, Tempo, Fisicità, Energia…». Francesco Paolo Fiorentino, diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, nella sua parabola artistica di oltre 30 anni si era espresso soprattutto nel campo della pittura e del teatro. Su Google si legge che come pittore «dopo i primi inevitabili influssi impressionistici, sviluppa tematiche personali che egli stesso definisce “Metamorfosi” ed “Espressionismo cosmico”, corrente artistica da lui fondata».
Energia edipica, carenze e disagi da compensare e sublimare, sfida a se stessa, voglia di mostrare il proprio valore e di accrescere la propria autostima, desiderio di allargamento delle proprie conoscenze ed esplorazione di mondi diversi da quelli già visti e frequentati, pulsione erotica ed esperienza amorosa vissuta come “seconda nascita”, questi sono i vettori che alimentano e nutrono il lavoro artistico di Miza. «A volte, sento di avere un caos dentro», mi dice, «un caos che preme, che domanda di essere ordinato, rappresentato». I suoi quadri nascono da urgenze espressive, dal desiderio di non perdere ciò che si è vissuto, da un improvviso affiorare di situazione e ricordi. La sua pittura cerca il bello, l’estetico, ma non si nega alla dimensione sociale, al desiderio di denuncia del cattivo andamento dello stato del mondo. «Nel mare oggi si pescano uomini, donne, bambini naufragati…» ecco perché vorrebbe intitolare uno dei suoi ultimi quadri “Naufragio”.
7. – Il pomeriggio del 19 luglio lo passiamo a discutere del titolo da dare alla mostra e del modo in cui distribuire la gran quantità di quadri che intende esporre nelle quattro sale del Museo di Lacedonia. Non basterà un pomeriggio. Prima dell’inaugurazione ci incontreremo altre volte. Alla fine, il titolo della mostra sarà: «ARIE D’IRPINIA. IL VENTO NELLE COSE» e gli 83 quadri saranno così distribuiti nelle quattro sale-sezioni: I) ARIE IRPINE (N°20); II) VANESSA E ALTRE DONNE (N°15), III) VOLTI, SPAVENTAPASSERI E ALTRO (N°27), IV) NON SOLO ACRILICI E PASTELLI (N°21).
Le prime tre titolazioni fanno riferimento ai contenuti delle opere, l’ultima ai mezzi utilizzati. In questa sezione, infatti, sono esposte opere prodotte con il computer, indice di una volontà di sperimentazione. La stragrande maggioranza delle opere da esporre sono state prodotte negli ultimi 3 anni: 27 nel 2018, 25 nel 2017, 11 nel 2016. Il resto copre un arco di tempo che va dal 1979 al 2015. L’intento non è quello di realizzare una retrospettiva, ma soltanto di documentare l’evoluzione di un percorso che sul piano dei contenuti ha elementi di continuità. Comunque, stando ai dati, ben 63 opere su 83 sono state prodotte nel periodo 2016-2018. Indubbiamente per Miza un periodo di fervore, di slancio, di scatto, di fioritura.
8. – Torno sul titolo della mostra: «ARIE D’IRPINIA. IL VENTO NELLE COSE». Inizialmente Miza aveva intitolato i venti quadri della sezione prima “Aria irpina” e aveva aggiunto un numero ad ognuno di essi: “Aria irpina 1”, “Aria irpina 2”, “Aria irpina 3”, ecc. Alla ricerca probabilmente dell’essenzialità di un elemento e di un luogo che hanno dato anima e vita al suo corpo e alla sua mente, il sostantivo singolare risultava più che soddisfacente. Anche la numerazione progressiva appariva sufficiente ad indicare le variazioni. L’uno e i molti. Poi ci ripensa. Alla fine si orienta decisamente per i molti e l’”aria irpina” diventa “arie irpine”; ognuna di esse, a questo punto, reclama un titolo: “Aria sedimenti”, “Aria ascensione”, ecc. In ogni caso, data la loro importanza, le Arie migrano nel titolo della mostra, dove rimane l’essenzialità (plurale) dell’elemento e l’indicazione specificazione del luogo dell’anima. L’aria continua ad essere elemento archetipico, miscuglio di ossigeno e azoto indispensabile alla vita, ma si fa strada l’aria come clima, come vento che anima le cose, che dà loro movimento, dinamismo, metamorfosi. Nella titolazione della sezione prima e dell’intera mostra lo spettro semantico si allarga fino a diventare espressione di un carattere e di un atteggiamento, momento culminante di una musica di forme, campiture, linee, colori tipici di Miza. Così da poter dire: l’aria irpina è quella di Miza. Sentimento panico di un luogo. Chiarezza, trasparenza, definizione di composizioni, spazio di incontro-allontanamento di linee; ma anche incantamenti, oscurità, magie, misteri.
Non si possono comprendere le opere di un artista limitandosi ad entrare in rapporto con loro in modo immediato e diretto. Immediatezza e rapporto diretto sono importanti, ma non bastano, non producono di per sé comprensione. Le opere di Miza sono radicate in un’esperienza vissuta con gli occhi e con le mani, ma anche col cervello e col cuore, coi pensieri e i sentimenti. Ecco perché sono interessato a stabilire e a verificare collegamenti, a comprendere le ragioni del suo sistema rappresentativo, a tentare un’interpretazione, una valutazione complessiva, anche se so che qualcosa di lei e dei suoi quadri mi rimarrà oscuro per sempre.
9. – Soffermarsi sul titolo dato dall’artista alla propria opera è operazione preliminare, importante. Può aiutarci a comprenderla. E, comunque, pensando in prima approssimazione alle opere come macchie di Rorschach, l’insieme dei titoli può certamente aiutarci a definire l’area cognitiva, linguistico-simbolica ritenuta degna di attenzione, se non fondamentale, da parte di Miza.
Nel caso delle opere della prima sala, tutte accomunate, come si diceva, dal sostantivo femminile “Aria”, soggetto mentale dei quadri, i titoli evidenziano questi possibili collegamenti:
- L’Aria associata a un altro sostantivo singolare o plurale come “Aria – capitombolo”, “Aria – giravolte flessuose”, “Aria – acrobazie”. Tre titoli diversi che, però, a pensarci bene, si muovono all’interno di un’area semantica affine. Un capitombolo è un ruzzolone, una caduta a testa in giù; mentre una giravolta può essere una capriola, una piroetta. In certi casi, vere e proprie “acrobazie” che muovendosi con “aria – ali al vento” possono dar luogo a picchiate, spirali, decolli in diagonale, voli rovesciati. Parole che raffigurano movimenti di linee, gesti dell’acrilico sul foglio e che possono indicare, in senso metaforico, crolli, rovine, mutamenti improvvisi di situazioni e di idee che, per quanto sinuosi, flessibili, elastici (“giravolte flessuose”) possono farsi tortuosi, serpentini. Come a dire che vi sono occasioni dell’esistenza in cui quando l’aria (come clima e vento) si associa a capitombolo e giravolte, occorrono abilità acrobatiche non indifferenti per restare sulla retta via. Vorrei far notare che parole simili, oltre a nominare andamenti delle linee di alcuni quadri, non sono estranee al campo dell’educazione fisica e psico-motoria. Oltre a capitombolo, acrobazie e giravolte, sempre restando nel campo dell’associazione di Aria con un altro sostantivo singolare o plurale, abbiamo: “Aria – Sedimenti”, “Aria – Ascensione”, “Aria – Infiorescenze”, “Aria – Vele”, “Aria – Trasposizione”. Sedimenti e Infiorescenze sono due termini che indicano dei risultati di processi naturali: il primo è relativo a deposito e accumuli che si originano per l’azione di fenomeni e processi vari (sospensione, sedimentazione, ecc.). In senso metaforico il patrimonio attivo e vitale di valori, idee, temi, sentimenti, che ognuno di noi manifesta rappresenta i nostri sedimenti…Sicuramente le opere sono per Miza i suoi “sedimenti” per eccellenza. Ma anche le sue “infiorescenze” che ora più figurative, ora meno, attirano i nostri sguardi e si offrono a ricevere il polline dei nostri pensieri e delle nostre osservazioni. Che i quadri siano “trasposizione” in un altro ordine (dal reale al simbolico-rappresentativo) di cose, persone, figure, eventi, sentimenti, ecc. ci è stato già detto dalla pipa di Magritte; è indubbio che siano anche “vele” capaci di trasportare in primo luogo l’artista e poi chi sceglie di salire sul suo veliero dipinto in un’“Aria – sguardo oltre”, raccogliendo la minore o maggiore forza del vento. Infine, c’è l’Ascensione, il cui significato per chi vive come noi in un paese a maggioranza cattolica è ben chiaro. L’”Aria-Ascensione” non allude soltanto alla salita al cielo di Gesù (Miza non si preclude l’esperienza del sentimento religioso, presente in varie sue opere), ma anche al processo di elevazione, al cammino verso l’alto che la pratica artistica spesso suscita.
- Aria associata a un attributo qualificativo: “Aria azzurra”, “Aria nuda”, “Aria ripiegata”, “Aria impennata”. L’azzurro è il colore del cielo e del mare, dello sguardo in alto, idealistico e dell’”alba all’orizzonte”, della riflessione e della comunicazione creativa, della profondità dei legami interpersonali e della lealtà. La verità è nuda come l’aria e, per quanto, ripiegata sa farsi strada, che sia provvista di penne come quelle forse dell’uccellino di fronte al nido nel mitico disegno del padre dell’artista o inalberato come un cavallo che tira in alto le zampe anteriori.
- Aria coniugata con un sintagma come “Sguardo oltre”, “Alba all’orizzonte”, “Profili tra albe e pentagrammi”, “Ali al vento”. Mi pare che in questi sintagmi il desiderio di volo, di trascendenza, di nuova nascita sia più che evidente. C’è anche un richiamo alla musica, un richiamo che si fa più esplicito in un’opera come “Geometrie del Tempo”. Tra noi due abbiamo parlato a lungo di quest’opera. Il titolo sottolinea sia la sua attenzione alla geometria – anzi alle “geometrie” (quindi non soltanto a quella euclidea) – che quella verso il Tempo (pensa ad Einstein). Miza sa – probabilmente attraverso Fiorentino – che le avanguardie novecentesche si posero il problema della quarta dimensione, oltre a lunghezza-larghezza-profondità che stanno alla base della geometria euclidea. Come si configura questo nuovo spazio?… Secondo MIza questo spazio è anche musica, intervallo, pausa, nota alta e bassa. E cita George Gershwin, pianista, compositore e direttore d’orchestra statunitense. Questo nuovo spazio potrebbe essere anche quello dell’inconscio. La pittrice è consapevole quanto questa dimensione potrebbe essere presente nel suo lavoro.
- Aria insieme ad un condizionale “Se leggerai nel vento” (quadro 1, 2, 3). L’invito è ad andare oltre gli alfabeti, oltre la pagina dei libri per leggere il vento, vederlo, udirlo, sentirlo in tutto il corpo, comprenderlo. C’è in quest’invito una forte sottolineatura verso il divenire, la trasformazione, il cambiamento. Da un lato cogliere i sedimenti, dall’altro i cambiamenti. Da un lato legarsi a ciò che non varia nel mutare, dall’altro star dietro al mutare per sfuggire all’ossificazione, all’imbalsamazione, alla paralisi mentale delle verità dogmatiche. «L’universo ha bisogno di fede, di norme», continua a ripetermi continuando ad osservare le sue “Geometrie del Tempo, «ma è pur vero che questa scala disegnata si perde nell’infinito, nel caos…».
- Infine, “Studio per colori per ‘aria’”. L’arte ha bisogno di sentimento, d’emozione, di sogno, di visioni, ma anche di studio, di ragione, d’intelligenza individuale e collettiva. Nelle sue opere, oltre alle geometrie variabili della linea, ai suoi andamenti frattali, Miza assegna una funzione fondamentale al colore; al colore che si fa forma, che ha una sua propria bellezza e freschezza, Come scriveva Matisse, «quel che più conta nei colori sono i rapporti». I colori di Miza sono spesso mischiati, mescolati, sovrapposti, graffiati, stesi in modo non uniforme, sfumati sulla grana della carta. Sono colori che vibrano grazie proprio a queste mescolanze.
10. – Durante le nostre conversazioni Miza parla quasi a ruota libera, indica la linea leggera ma decisa di un quadro, il modo in cui ha ottenuto un effetto coloristico o ha accompagnato con sfumature azzurre una curva; parla e si sposta da un quadro all’altro come se inseguisse stati d’animo, emozioni, compulsioni, eventi interiori da anni sedimentati nella mente e ora finalmente trasformatisi in rappresentazioni: aria uno, due, tre…Alcuni quadri che qualche mese fa ha indicato con un numero progressivo, ora prova a dare loro un titolo indicativo di esperienze emotive, tensioni, conflitti. Miza è viva e vivace come le linee e i colori dei suoi quadri ed è mobile come l’aria che rappresenta, come il vento che sente nelle cose prossime a trasformarsi, a subire improvvise metamorfosi. Forse sta qui la sua cifra segreta, il suo continuo andirivieni tra il figurativo e l’astratto. Forse per lei – ed avrebbe certamente ragione – non vi è contrapposizione. Come la pipa di Magritte non è una pipa, così un vicolo, uno spaventapasseri, una scala diroccata non sono che figurazioni di frammenti di realtà, rappresentazioni che, comunque, richiedono un processo mentale di astrazione. Solo perché riconoscibili sembrano più reali. In verità, sono astratti e simbolici alla stessa stregua delle arie d’Irpinia evocate nelle sue opere e così tanto amate.
Ogni grande artista ci rimane impresso per la rappresentazione quasi ossessiva di un contenuto o di un dettaglio: le bottiglie di Morandi, i colli lunghi di Modigliani, i sacchi di Burri… Miza quasi certamente ci rimarrà nella mente per le sue Arie irpine, con la mobilità e molteplicità delle sue linee, l’incandescenza e vivacità dei suoi colori, i capitomboli, le giravolte e le acrobazie dei suoi vissuti interiori.
Ottobre 2018