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L’Energia, i suoi equilibri e le forme sociali /1/

di Paolo Di Marco

1- L’auspicabile sparizione di Energia Oscura e Materia Oscura

L’Energia è uno dei concetti più semplici e insieme più abusati della Fisica.
Ovunque vi sia una forza se questa sposta un oggetto compie lavoro. (L≈FxS)
L’energia è la capacità di compiere lavoro, e ad ogni campo di forza quindi è associata un’energia, che si può misurare, combinare, trasformare (ad esempio da energia potenziale ad energia cinetica).
È un pò più complicato con l’uso in ambiti meno definiti, dato che è difficile stabilire una metrica e delle operazioni (controllabili e condivisibili) per l’energia morale o affettiva o mistica, per quanto uno senta di poterle descrivere e anche valutare.
Uno degli ultimi arrivati, stavolta in cosmologia, è l’Energia Oscura.
Malgrado il nome minaccioso il termine rappresenta semplicemente il fatto che l’Universo si sta espandendo, e viene quindi ipotizzata l’esistenza di un’energia (e quindi Forza) che causi questa espansione.
Ma dato che l’unico effetto visibile è proprio l’espansione (l’allontanamento delle galassie avviene come se qualcuno gonfiasse un pallone sulla cui superficie le galassie si appoggiano) e non si vedono responsabili diretti è stata chiamata oscura; e molti ricercatori basano la loro carriera su questa indagine.
Peccato che, come Rovelli si sgola a spiegare da molti anni (anche sul tubo), questa energia è così oscura che proprio non c’è: infatti l’espansione è già contenuta nell’equazione fondamentale della Relatività Generale, e specificamente in una piccola costante chiamata appunto costante cosmologica.
Va detto che il pasticcio è anche colpa di Einstein, che dopo aver scritto l’equazione vide che la costante era incompatibile con la stazionarietà dell’universo che era allora la convinzione generale. E quindi tolse la costante; solo che l’universo che risultava era sì stazionario ma instabile -come un acrobata in equilibrio su un pallone; e quindi alla fine ce la rimise. E recentemente le è anche stato attribuito un valore preciso, piccolo ma significativo. (Einstein chiamò questo pasticcio il suo più grande errore).
Solo che tutti i ricercatori che ricevono finanziamenti per studiare l’energia oscura sono ovviamente riluttanti a farsi convincere…per non parlare delle riviste dove attira molti più lettori dei leptoni o della gravità quantistica a lacci

(Arxiv, 21 Feb 2010, poi Nature,]Why all these prejudices against a constant?’, E. Bianchi, C.Rovelli)

Per la materia oscura la situazione è meno semplice; la sua esistenza serve a spiegare un’altra osservazione: che il comportamento di stelle e galassie segue traiettorie descrivibili solamente con molta più massa di quella che si vede.
Solo che la ricerca di particelle di materia esotica (talmente strana da essere invisibile) in quantità sufficienti non ha finora dato frutti, anche perchè la si vede all’opera sulle altre Galassie ma vicino a noi non appare rintracciabile. Eppure la massa in questione è tanta, più di quella visibile.
Ma forse c’è una soluzione, e proviene proprio dall’abbandonare il terreno di caccia preferito dalla gran parte dei fisici sperimentali, quello degli enormi acceleratori che vanno a combinare e scombinare tutti i tipi possibili di materia, e cominciare a ragionare su altre forme che massa ed energia possono assumere.
E su questa strada si è sviluppata un’ipotesi interessante, che non si tratti di altra materia ma di una fase diversa della materia: una fase semifluida (tipo i condensati di Bose-Einstein con cui si lavora in campo quantistico). dove gli effetti quantistici si estendono su larga scala. Questa ipotesi (Sabine Hossenfelder, Aeon, Feb 24) ha avuto molto successo a spiegare buona parte del comportamento ‘anomalo’ delle galassie, anche se rimane ancora strada da fare. L’elemento che mi sembra migliore è proprio la strada intrapresa fuori dagli schemi dei particellisti ad oltranza.
(Detto sottovoce, l’intelligenza contro la forza bruta).

2- Il bilancio energetico nella fisiologia umana

Progressivamente le ricerche sul funzionamento del corpo umano, o meglio del sistema corpo-mente, convergono su uno dei centri più antichi del cervello, l’ipotalamo. Il suo compito centrale è l’omeostasi, cioè il controllo del bilancio energetico. Ma per realizzarlo si deve occupare praticamente di tutti i meccanismi principali su cui la vita si basa, assumendo così un ruolo decisivo per l’organismo nel suo complesso.

Facciamo un esempio: un gruppo di raccoglitori/cacciatori che parte per una caccia all’antilope. Il modo in cui cacciano è assai diverso dalla caccia di oggi, basata sulle armi; allora la caccia era un lungo inseguimento, dove l’antilope scappava e i cacciatori correvano lentamente dietro; l’antilope li distanziava, poi doveva fermarsi a riposare, e i cacciatori la raggiungevano, e lei doveva scappare di nuovo; finchè alla fine si accasciava col cuore a pezzi e i cacciatori le davano il colpo di grazia. La resistenza dei cacciatori dipendeva da due elementi: la sudorazione, che permetteva di smaltire più velocemente il calore, e l’intelligente ripartizione dell’energia (anche tra i capofila che si davano il turno e tra loro e i cercatori di tracce  ma in ognuno nel sistema cuore-polmoni-retroazione muscolare-attenzione). Quindi il controllo omeostatico giocava su più fattori, compresi i meccanismi e le vie solo indirettamente implicati nella gestione dell’energia. E fra questi anche rigenerazione e longevità. Esaltando il ruolo delle interazioni mente-corpo che già sono responsabili dell’effetto placebo in tutte le sue varianti.
Questa potenza dell’interazione potrebbe venir sottovalutata dall’atteggiamento meccanicista che proviene da una metafora coniata da G. Gamow al tempo della scoperta del codice genetico: lo definì la ‘matrice’ (blueprint: cianografia nel suo uso tipografico) del nostro organismo; e da questo è nata un’immagine iperdeterministica del nostro sviluppo. In realtà (ci dice R. Prum su Aeon/Psyche di Gennaio) i geni sono solo la base di riferimento, con cui il nostro organismo è in dialogo continuo, in una interazione che cambia molti dei termini dello sviluppo. Prum applica questa visione dinamica in particolare al sesso, usando il linguaggio della ‘Teoria dell’eccentricità (Queer Theory)’, dove spiega la sessualità come il risultato del dialogo organismo-geni e quindi senza risultati rigidamente prefissati.
Ma questo punto di vista può venir allargato a molti altri aspetti del nostro essere, aprendo orizzonti che erno bloccati solo dal pregiudizio.

3-L’omeostasi nella società

Partiamo ancora dalla fisiologia, e dall’ipotesi atavistica del cancro:
Davies ci racconta che occorre risalire all’origine degli organismi multicellulari, quando esseri unicellulari si fusero insieme per ottenere vantaggi competitivi, arrivando progressivamente al livello di complessità degli animali moderni. Ma nel momento in cui una cellula si trova sottoposta ad uno sforzo eccessivo (stress) o a elementi nocivi (chimici, radioattivi, termici) indebolisce il proprio legame col resto dell’organismo e tende a tornare allo stato isolato; crea così un’isola individuale dove riprende le abitudini isolate (anche di rirpoduzione) comprese le difese nei confronti dei suoi vicini. E l’organismo infatti ogni giorno scatena scaglia attacchi contro le cellule che si ritirano dalla cooperazione e si sviluppano per contro proprio. (i tumori).
Una società che funziona in questo modo, fondata sulla cooperazione e insieme la divisione dei ruoli, e con una repressione feroce di ogni individualismo, è spesso stata invocata come esempio ottimale, anche dai nemici di quella dittatura socialista cui più assomiglia. A suo favore si potrebbe invocare un argomento apparentemente inoppugnabile: che in fondo questo è stato il risultato di un’evoluzione verso l’ottimo durato milioni di anni, e sarebbe quindi difficile fare meglio. Ma, come tutte le analogie, anche in questa si nascondono fallacie; e l’energia è il punto cruciale: mentre il passaggio dagli organismi unicellulari a multicellulari è spinto e guidato dall’omeostasi -l’efficienza nell’uso dell’energia, la società umana (sappiamo poco come si sia evoluta quella dei dinosauri) ha seguito questo criterio solo nella sua prima fase (circa trentamila anni, se parliamo dell’uomo moderno e progredito); poi se ne è progressivamente liberata trovando e creando energia (cibo incluso) abbondante.
E non conta che se guardiamo alla media degli uomini nelle varie epoche c’è sempre stata una minoranza che si prendeva la quota maggiore delle risorse, e quindi forse nella media non ci fosse sovrabbondanza: quello che conta, per il nostro paragone, è che a un certo punto l’equilibrio energetico non è più stato il criterio dominante per la formazione sociale nel suo complesso.
Da quello che ci raccontano gli archeoantropologi (Graeber) il bello delle prime forme sociali basate sull’omeostasi era che non c’era bisogno di strutture apicali che facessero rispettare le regole: queste erano autoevidenti, e così i comportamenti individuali erano legati ad abitudini le cui necessità erano palesi; ancora nel ‘700 nelle tribù irochesi i capi erano quelli con più capacità oratoria e di convinzione, e non c’erano punizioni per chi non rispettava le regole. La città ucraina di 10000 anni fa di 500000 abitanti senza neppure capi era anche un monumento all’efficienza di questo principio.

4- Un libro, due acrobazie, e ancora l’omeostasi

Le arti marziali vengono raramente studiate dal punto di vista della Fisica, e il caso meglio studiato è quello del Judo (A. Sacripanti). Però le complicazioni biomeccaniche che intervengono rendono assai difficile ottenere risultati generali. Negli altri casi si usano generalmente concetti tanto semplici da essere semplicistici e anche sbagliati.
L’Aikido invece fa categoria a sé: dal lato marziale non c’è la lotta fra due avversari, ma solo un attaccante che perde sempre e un attaccato che devia la forza dell’attaccante e nel caso la rivolge su di lui. Dal lato filosofico si rifà a buddhismo e taosmo e ha come maestro quello stesso Nagarjuna che usa Rovelli in Helgoland.
Ne prende a base la vacuità, cioè l’esistenza di qualcosa mai in isolamento ma solo rispetto a qualcos’altro e la usa come cardine del rapporto tra i due protagonisti, uniti anche nel respito.
E questo permette la prima acrobazia: l’analisi delle tecniche con la fisica diventa immediato, usando la relatività primigenia di Mach, e se ne ricavano leggi generali; di cui la sostanza è che vale sempre il principio di conservazione dell’energia.
La seconda acrobazia nasce passando all’aspetto biologico, dove gli anziani che praticano si trovano davanti tutti i problemi dell’età. E scoprono o riscoprono la profonda unità mente-corpo e le capacità del corpo di autorigenerarsi,se opportunamente convinto; attraverso vie che la moderna neurofisiologia sta riscoprendo ma che appartengono anche ad un bagaglio atavico.
Tutto questo in un libro testè uscito (in inglese) sia in forma cartacea sia come ebook con Amazon ed Apple:

Paolo G. Di Marco/The Physics of Aikido and the Body-Mind Unity

Ma implicito nel discorso del libro c’è anche un elemento centrale: che le tecniche dell’Aikido rispettino il principio di conservazione dell’energia significa che è stato introdotto nelle arti marziali un meccanismo di omeostasi; e riflettendo su come molte tecniche possano venir descritte come un ‘respirare insieme’ vediamo la competitività trasformarsi in cooperazione.. Il che significa non solo che l’aggressività non è elemento di base della natura umana (come ci spiega anche Graeber ne ‘L’alba del tutto’,) ma anche che quando si presenta può venir trasformata nel suo opposto. Bisogna solo trovare la tecnica giusta.

42, rivisitato/sulla vita, l’universo..e tutto

Premessa

Nella imprescindibile Guida Galattica per Autostoppisti com’è noto si trova anche la risposta alla domanda fondamentale sul mondo e sulla vita, ed è 42.
Ma dato il tempo trascorso dall’ultima edizione (anche se cambiata da quella originale del ’78) sentiamo il bisogno di un aggiornamento su alcuni temi che ci stanno a cuore.

1- Cos’è la vita

Schrœdinger, uno dei fondatori della meccanica quantistica, nel 1943 tenne delle conferenze su questo tema a Dublino, poi tradotte in libro nel ’44. Da qui nasce il dibattito moderno sul tema.
Purtroppo viziato da un presupposto implicito, cioè che si tratta della nostra vita. L’obiettivo è quindi assai importante ma limitato, e inficia in modo quasi automatico tutti i dibattiti sugli alieni. Così come ingenera, sempre in automatico, una gabbia concettuale che racchiude le analisi delle ragioni di quello che è successo ma non considera quello che avrebbe potuto essere.
Anche l’ultimo libro sull’argomento, quello di Paul Davies, fisico e divulgatore (nonchè portavoce ufficiale del comitato di ricevimento degli alieni, PPSDTG@SETI), non sfugge a questo limite, anche se i risultati cui arriva possono aiutare ad allargare gli orizzonti.
Ma conviene precisare subito com’è fatta la gabbia: anche perché altrimenti la nostra capacità di riconoscere un alieno verrebbe pericolosamente compromessa (in umile ma netto dissenso con Jim al Khalili e tutti gli scienziati che intervista nel suo libro).

Se eliminiamo il requisito che la vita sia del tipo della nostra, quindi protoplasmatica, intelligente (e auspicabilmente di bell’aspetto) dobbiamo riformulare i caratteri base evitando ogni presupposto nascosto; un possibile elenco sarebbe:
1- ha uno scambio di energia/materia con l’esterno
2- ha una propria dinamica interna che la fa evolvere
3- scambia informazione con l’esterno
4- si riproduce
Mentre 1 e 2 appaiono essenziali, 3 lo è un po’ meno, e 4 altrettanto.
Una domanda interessante che aiuta a chiarire il problema è: una stella è viva?
Non possiamo usare una risposta a priori, che sarebbe assai utile a delimitare il campo, in quanto non possiamo avere una certezza sufficiente ad orientarci e quindi inficieremmo tutto il discorso: mentre possiamo escludere che un sasso sia vivo per una stella la questione è più complicata di come potrebbe apparire a prima vista: infatti soddisfa certamente le prime due condizioni, per la terza emette informazioni (e non sappiamo bene se ne assorba) e per la quarta in certi casi (supernova) con la morte manda in giro frammenti di sé che fecondano altri elementi (i metalli pesanti dei pianeti).
Questo però dà una prima idea del tipo di percorso necessario a definire la vita una volta abbandonato il requisito nascosto protoplasmatico se non antropomorfico.
Un elemento interessante è che mantiene una caratteristica di base: è un sistema aperto.
E quindi possiamo accorgerci se un alieno si sta avvicinando perché scambia energia con l’esterno (almeno quasi sempre: anche da noi un batterio in difficoltà si incistida in spora per tempi anche lunghissimi…ne hanno scoperti recentemente alcuni sotto il ghiaccio da milioni di anni..).
Ma l’entrata in scena dei batteri ha un significato più vasto nel discorso: per Davies i tumori sono il risultato di uno scontro fra l’origine monocellulare degli organismi e quella multicellulare che ci vede partecipi. Quello che succede è che quando una cellula si trova in difficoltà/ambiente ostile/aggressione esterna tende a ritornare alla condizione primitiva unicellulare, che ha due caratteristiche base: è immortale (continua a riprodursi), e si difende dall’esterno (che in questo caso è il resto dell’organismo). Quindi il problema non è distruggere le cellule in guerra con l’organismo ma eliminare l’ambiente aggressivo e in qualche modo (…) convincerle a cooperare di nuovo.                                                                          (La somiglianza coi problemi delle guerre civili è evidente).

Tornando ai quanti potremmo chiederci (e qualche venditore di olio di serpente ha già le ricette pronte..) se esistono una biologia quantistica e una medicina quantistica. Per la prima la risposta è sì, ma: ci sono molti fenomeni quantistici, come la fotosintesi clorofilliana, ma nessuno di quelli ‘strani’ che comportano delocalizzazione, sdoppiamento, intrecciamento. Quindi per la seconda la risposta è no: quelli che ci possono essere a livello di chimica fine sono nascosti da effetti macroscopici e fluttuazioni termiche di dimensioni assai maggiori, quindi sarebbero in ogni caso invisibii e inutilizzabili.

2- Cosè la coscienza

Nel libro di Davies il discorso sulla coscienza parte dai lavori di Tononi (nel nostro recente articolo su ‘Uscire dal tempo’ c’eravamo più appoggiati sull’altro pilastro, Damasio).
Ma con un accento nuovo: la coscienza come informazione strutturata. È un concetto che viene dalla teoria dell’informazione, ancora dai lavori di Turing e Shannon e von Neumann, e passa nei calcolatori e nell’intelligenza artificiale. Sembra un ossimoro, dato che ciò che caratterizza un insieme strutturato rispetto ad uno casuale è proprio l’informazione, e soprattutto Davies non va molto più in là.

Per farlo conviene fare un passo indietro: per costruire un cavolo romano (che ha una struttura frattale, con forme semplici che si ripetono a varie scale) la natura usa pochissime informazioni, che quindi si chiamano informazioni ‘potenti’; a queste accompagna uno schema di controlli (tanto più sofisticato quanto più le informazioni sono semplici) che avvia, dirige e ferma il processo. La combinazione dei due è un’informazione strutturata.
Lo stesso avviene col DNA: tutta l’informazione per costruire una donna (l’uomo è solo un accessorio) è contenuta lì. La gestione prima e il controllo poi di questa informazione è affidata agli ormoni: è l’insieme dei due che la rende informazione strutturata.
In altri termini significa aggiungere una dimensione (o più) all’informazione in sé. E così la coscienza è legata alla connessione tra i diversi sistemi informativi del corpo. C’è anche un indice, φ, che specifica il grado di interconnettività e di informazione strutturata collegata a questo. Continuando a dare i numeri, il cervello umano ha 100 miliardi di neuroni, e le sue interconnessioni sono 1000 triliardi (con una velocità superiore a qualsiasi supercomputer: 10000000000000000-10 elevato alla 15- operazioni/secondo).
Ma è necessario fare una distinzione spesso trascurata sui tipi di coscienza, che possiamo dividere in tre: l’autocoscienza, l’attenzione cosciente all’esterno, il ragionamento (che anche se a volte avviene anche nel sonno o sotto la soglia di attenzione è un processo autonomo rispetto alla gestione delle informazioni: teniamo conto che la coscienza è assai più della mera consapevolezza: il nostro cervello è una macchina per simulazioni potentissima, che crea e modifica continuamente scenari e mondi virtuali (tutto per prevedere l’evoluzione dell’ambiente esterno, essenziale quando eravamo cacciatori e prede); e anche il ragionamento è assai più di una catena di proposizioni: anch’esso lavora su più piani e coinvolge molti sottosistemi, costruendo varianti di realtà virtuale ).
Il rapporto tra coscienza ed emozioni su cui insiste Damasio è un esempio chiave del numero di dimensioni (di parametri) che la caratterizzano.

L’attivazione delle connessioni prodotta dagli allucinogeni, evidenziata in questa magneto/termografia, che coinvolge un numero impressionante di sottosistemi del cervello, dà un’idea per quanto semplificata e apparentemente uniforme del numero di dimensioni in più coinvolte.
(Ancora qualche numero: fra due sottosistemi c’è una sola connessione, fra 3 ce ne sono 3. Fra 4 ce ne sono 6….; regolare la coscienza in presenza di più connessioni è come un giocoliere che fa roteare delle palle colorate aggiungendone man mano una: per riuscirci -e non è detto che ci riesca sempre- deve salire di livello/dimensione).

L’elemento da non dimenticare è che anche per la coscienza vale il principio che la regolazione è essenziale.
Un esempio dalla produzione di massa può aiutare: per costruire un oggetto, ad esempio un’automobile, possiamo seguire due metodi: combinare tanti elementi semplici, il che permette di semplificare l’acquisizione dei pezzi base, o produrre direttamente parti finite. Questo secondo ha il vantaggio che siamo sicuri della funzionalità (per esempio resistenza strutturale) mentre nel primo dobbiamo controllare attentamente l’assemblaggio perché un piccolo errore potrebbe compromettere tutto. In compenso il primo è più elastico e permette di produrre una versione modificata con un piccolo cambiamento del processo.
Anche il nostro cervello ogni tanto si riposa e utilizza sistemi concettuali già organizzati come stampi base. Coi vantaggi e gli svantaggi dell’esempio.
E anche per lui vale che quando ha utilizzato un sistema concettuale come stampo base ha difficoltà a liberarsene, perché fa anche da attrattore per concetti vicini.                           Questo è uno dei meccanismi della tribalizzazione del nostro comportamento e delle coalescenze ‘ideologiche’ sui social.

3- Un calcolatore quantistico ad acqua*

Agli albori dell’era dei calcolatori c’era la distinzione tra calcolatori analogici e calcolatori numerici (oggi digitali, in omaggio all’inglese digit=cifra, numero). I primi imitavano/simulavano il processo che si voleva studiare, ed era un percorso logicamente rischioso (ne uccide più l’analogia della spada) ma anche intellettualmente affascinante. E per entrambe i motivi è morto prematuramente (anche se in parte risuscitato, forse, nei prossimi calcolatori quantistici).
Quelli numerici si sono semplificati a funzionare con operazioni logiche, realizzati mediante circuitini (porte logiche) che realizzano le principali operazioni : passa corrente, non passa; passa in uno e nell’altro; passa nell’uno o nell’altro….
Ma tutte le porte logiche fatte con la corrente elettrica si possono fare anche coll’acqua e una combinazione di rubinetti/valvole.

calcolatore analogico idraulico russo del '36 (Lukyanov): il primo a risolvere equazioni differenziali alle derivate parziali. Un suo parente postbellico, il MONIAC dell'australiano Phillips, simulava l'economia inglese.

L’unico difetto è che l’acqua è più lenta della corrente. Ma ha anche dei vantaggi: ne possiamo regolare il volume (anche se questo varrebbe anche per l’elettricità ma non viene usato per paura del riscaldamento conseguente), possiamo regolarne il tipo (calda e fredda, o di colori diversi, moltiplicando così il numero dei bit/unità di informazione e il tipo di porte logiche). Se poi utilizziamo l’inclinazione dei condotti e la pressione per modificare le velocità relative, aggiungiamo qualche turbolenza..abbiamo un calcolatore analogico e digitale insieme che compie simulazioni che i supercalcolatori hanno difficoltà a gestire.
Un caso limite è quando le gocce d’acqua sono di volume comparabile al diametro del rubinetto (è un caso studiato in un famoso frattale di Henon): allora il numero di parametri del sistema acqua-rubinetto sale di colpo (prima era regolato solo dalla quantità di acqua, ora anche dal tipo di pareti, dalla forma della goccia…) e il comportamento (rappresentato dalla frequenza delle gocce) diventa imprevedibile (caotico).
È l’equivalente del calcolatore quantistico.
Ed è molto più economico anche se più lento. Però può fare quello che i calcolatori quantistici sanno fare meglio: decrittare le chiavi di sicurezza dei sistemi informatici di banche e Pentagono….(in quanto tempo non ho ancora calcolato).
Chi scrive non si assume responsabilità delle eventuali conseguenze..allagamenti di prova compresi.

Va anche osservato che in caso di mancanza d’acqua, per esempio in un paese desertico, si può anche utilizzare la sabbia, purchè di granulometria controllata.

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Paul Davies, the Demon in the Machine, Penguin 2020
Erwin Schrœdinger, What is Life, Cambridge U. Press, 1944
Giulio Tononi et al, Integrated information theory: from consciousness to its physical substrate, Perspectives, 17, 450, 2016

Jim al Khalili, a cura, Alieni, c’è qualcuno là fuori? Bollati Boringhieri, 2017                                   Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti (The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy), 1978/2005

Paolo Di Marco, An Hydraulic Quantum Computer, Academia.edu/2021

*questa parte è coperta da diritto d’autore, privo di oneri: chiunque può utilizzarla purchè ne citi l’autore; ogni uso improprio comporta una penale da stabilirsi a insindacabile arbitrio dell’autore stesso, cui spetta anche la definizione di uso improprio.

Arie d’Irpinia. Il vento nelle cose.

Conversazioni con Miza

di Donato Salzarulo

1.– Durante l’estate sono andato spesso a Lacedonia, a casa di Michelina Di Conza (in arte MIZA). Ho imparato facilmente la strada. In questo paese ho frequentato dal 1963 al ’67 l’Istituto Magistrale e qui avevo una sorella di mio padre e una sua cugina residenti. La zona è quella che gli abitanti chiamano “del padreterno”. Per chi come me viene da Bisaccia, occorre restare sempre sulla statale 303. Attraversato il paese fin quasi alla scomparsa dell’abitato, all’apparire dell’indicazione per il cimitero (dal finestrino s’intravede il filare dei cipressi), bisogna svoltare a destra per la mesta stradina. Appena imboccata, però, la si deve abbandonare per l’altra che si origina quasi nello stesso punto e che conduce verso la collina: è quella per la contrada Carducci («I cipressi che a Bolgheri alti e schietti»). Salendo, a sinistra, spunta una schiera di villette. Sul cancello di quella di Miza e del fratello si legge in stampatello il nome dei genitori: DI CONZA GIOVANNI – PANNO ANNA.

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Modelli energetici e conflitti internazionali

 Una analisi ecologista oltre i luoghi comuni del mediatico quotidiano

di Luca Chiarei e Mario Agostinelli

Questa mia intervista a Mario Agostinelli, dal 2011, presidente dell’Associazione Energia Felice (http://www.energiafelice.it/) associata all’ARCI  al servizio della conversione ecologica, è stata  raccolta nel febbraio 2016. Non può perciò tener conto degli ultimi sviluppi della storia contemporanea: da una parte l’elezione di Trump e la sua dichiarata volontà di  rovesciare gli accordi di Parigi sul clima, sottoscritti dalla precedente amministrazione Obama; dall’altra l’acuirsi delle tensioni internazionali con il ventilato ricorso all’arma nucleare nel confronto tra Corea del Nord  e gli USA. Tuttavia  una serie di questioni di fondo vi sono lucidamente affrontate e le idee espresse sono senz’altro meritevoli di discussione. [L. C.]  Continua la lettura di Modelli energetici e conflitti internazionali

Loop

MATTONELLE FISCHER

di Franci La Media

 

Mi sento sola e sono disperata
uno mi dice combattiamo
ma non indica un luogo e tutto intorno
è pieno di nemici
un altro imbroglia con gli ambasciatori
il territorio di conquista trattative
illudono seducono
col pregio degli scambi i territori. Continua la lettura di Loop

L’acqua dei morti

cipresso ombra

di Donato Salzarulo

 

I

Luci della vetrata
che corteggiate l’ombra…

Posso anche immaginarti
flusso d’energia,
aggregato d’atomi
destinato a sciogliersi,
molecole d’acqua ritornanti
in ciclo, azoto, ferro, Continua la lettura di L’acqua dei morti