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Co-identita’ e differenza sessuale

di Cristiana Fischer

Gli ultimi due libri pubblicati da Elvio Fachinelli sono Claustrofilia, Adelphi, 1983 e La mente estatica, Adelphi, 1989, poco prima della morte. L’ultima parte de La mente estatica, è un capitolo intitolato Essi temevano la gioia eccessiva, in cui Fachinelli individua, a livello biografico e teorico, il punto cieco che ha impedito a Freud e Lacan di avvicinarsi alla zona perinatale su cui Fachinelli sta riflettendo.
Egli sa che i suoi studi riguardano “territori antropologici finora ai margini della psicanalisi”, nei quali si annida la gioia smisurata del “desiderio preistorico” di compenetrazione col corpo materno.
Se per Freud quella gioia è prossima alla pulsione di morte (in quanto “cessazione di ogni tensione, cioè della vita stessa”), per Lacan l’esperienza mistica, di cui Fachinelli si occupa nel suo libro, è un aspetto antropologico -o rifiutato o assimilato all’impostazione religiosa- per cui “la gioia eccessiva, che è al cuore dell’esperienza estatica, viene trascurata” (p. 195).
Il libro La mente estatica racconta che l’estasi si raggiunge in campi diversi, in quanto “si trova ciò che in noi qualcuno, al di là dell’io, cercava: Dio, l’arte, la scienza; o anche, immediatamente, semplicemente, la sospensione del tempo della caducità” (p. 30).
A cosa si riferisce con “qualcuno al di là dell’io”? In un altro capitolo intitolato AREA PERINATALE egli afferma la continuità tra gli ultimi mesi di stato fetale e i primi mesi dopo la nascita, quando si configura il Sé emergente del bambino ma permane attiva la co-identità con la madre. Questo ambito rimane sempre attivo o attivabile, e “si avrà in ogni momento coesistenza dell’uno e dell’altro” (p. 119). Un doppio che si presenta nelle situazioni estatiche della vita adulta, quando si verificano stati di abolizione dell’io cosciente insieme al senso di un inglobamento in uno stato più grande, bello e vero dell’io stesso, accompagnati da angoscia e poi da gioia indicibile. In queste situazioni, se l’io cosciente viene attenuato o addirittura represso, emerge comunque un soggetto altro, cui si deve il resoconto –per quanto inadeguato- dell’esperienza avvenuta. D’altra parte lo stesso linguaggio comune dà conto di situazioni in cui, letteralmente,  il soggetto si dichiara “fuori di sé”.
In Claustrofilia Fachinelli ne scrive a lungo, facendo della particolare comunicazione del feto-bambino con la madre il modello per successive consonanze telepatiche. Nella vita adulta i processi di individuazione stabiliscono una barriera tra il prima dell’unità duale e il dopo di unità separate, ma Fachinelli si è reso consapevole che, da quando ha sviluppato una acuta attenzione per i sogni e le fantasie perinatali, egli stesso è coinvolto nella relazione analitica in stati di allargamento percettivo, dove avvengono fenomeni di anticipazione temporale in cui il futuro è già accaduto e diventa ricordo, e di penetrazione nello spazio mentale altrui, di persone terze sconosciute.
Nei casi raccontati in Claustrofilia ho osservato che nei pazienti emerge l’istanza di realizzarsi come soggetto sessuato adulto, maschio o femmina, con un corpo che è sessuato e non neutro. Judith Butler non aveva ancora pubblicato “Gender trouble. Feminism and the Subversion of Identity“, Routledge, 1990 (edizione italiana Questioni di genere, Laterza, 2013). Fachinelli neppure immagina quella scissione tra sesso e genere su cui l’autrice ha scritto il libro. Non per questo privilegia il soggetto cisgender, ossia “chi percepisce in modo positivo la corrispondenza fra la propria identità di genere e il proprio sesso biologico”[1],  colei o colui la cui identità di “genere” implica anche il desiderio sessuale rivolto al sesso opposto. Nei casi che egli racconta l’omosessualità sta accanto alla differenza sessuale.
Proprio grazie alla riflessione sull’area perinatale Fachinelli può offrire una teoria che stringe la differenza sessuale a un naturale binarismo. Se la situazione di co-identità ha come meta l’identità con la madre, questa posizione entra in tensione con l’esistenza di un terzo, il padre, con cui la madre partecipa all’atto sessuale “si coglie così che la situazione di co-identità è contigua all’intensa e ambigua scena primaria”, il bambino è insieme escluso e partecipe, “tutto questo prima che -dal punto di vista logico- s’instauri un’identificazione col padre” (Claustrofilia, p.159-160), e siamo fuori dall’Edipo.
Ma questo non può che concernere il bambino maschio!

Per la bambina la questione della co-identità con la madre e il raggiungimento di una identità sessuata adulta si è posta nella riflessione femminista, diventando insieme questione politica. Due articoli nell’ultimo numero della rivista della comunità filosofica femminile Diotima[2] affrontano il significato di dirsi donna. Essere donna è la posizione simbolica dalla quale lei parla, che non ha scelto, posizione relazionale che ha a che fare, fin dall’inizio, con la relazione con la madre: non siamo solo corpo biologico, come se potessimo guardarci dall’esterno, non solo nasciamo in relazione ma siamo corpo vivente in relazione politica con alcune altre. “Non appartiene per niente al nostro percorso di pensiero che la dimensione della sessualità sia riducibile al sesso biologico, anatomico, al sex oggettivo, ‘naturale’, ‘visibile’ empiricamente. Calcolabile nei cromosomi. Né che il genere sia solo una costruzione linguistica culturale storica, del tutto impermeabile alla nostra esperienza soggettiva del nostro corpo” scrive Chiara Zamboni nel suo articolo intitolato Identità di genere e differenza.
Le pratiche politiche di relazione, disparità e partire da sé, ci consentono di intraprendere un viaggio “sperimentale, non identitario, in fieri, sottraendoci alle definizioni e ai significati”. Nessuna o nessuno può dirci che cosa debba essere o non debba essere una donna, ma possiamo leggere il senso della nostra soggettività nella relazione con altre donne.
La visione politica di Annarosa Buttarelli implica la necessità di assumere tutta la storia che il nome donna contiene “che siate genericamente queer, che siate trans, che siate femmine, che siate maschi […] vi dovete assumere il fatto che noi donne siamo ancora uccise in quanto donne, vi dovete assumere il fatto che il corpo della donna è un luogo pubblico da millenni  […] che io sento profondamente di avere conquistato come una genealogia che mi segue, che voglio onorare e rispettare e che mi permette di dire tranquillamente ‘io sono una donna'”, articolo Perché il nome donna oggi causa aspri conflitti e turbamenti.
Donna è un concetto politico, che va contro il dominio che assoggetta le donne, ma anche contro ogni dominio che opprime. “Per molte femmine, l’istanza-donna si congiunge al fatto biologico e non si può separare più, essendo la vicenda delle donne quella di avere visto il proprio corpo usato sempre come luogo pubblico. Da questo ne consegue che anche il mio stesso corpo è politico […] Il femminismo radicale della differenza ha già così bene decostruito le perversioni concettuali, al punto che io so di essere una donna, sono psicofisicamente tale perché considero anche il mio corpo trattato politicamente da parte del dominio, e quindi so che il mio corpo è politico, e quindi so di essere un’unità psicofisica”.
Una trans può avere accesso ad alcune esperienze fisiologiche e ad alcune esperienze relazionali, ma non ad altre che avvengono solo a chi è una unità psicofisica, come soggettivamente io mi rappresento in quanto donna. E’ questa la mia stessa posizione, che riconosce la differenza sessuale e respinge l’idea di genere come costruzione linguistica, culturale e storica, da cui l’esperienza soggettiva -e politica- femminile viene esclusa.

Note

[1] https://www.treccani.it/vocabolario/cisessuale_res-5a925816-8996-11e8-a7cb-00271042e8d9_%28Neologismi%29/

[2] https://www.diotimafilosofe.it/per-amore-del-mondo/il-mondo-stringe-2022/
Si può vedere anche l’articolo di Benvenuto “Transessuale, Transgender immaginario, Travestito” http://www.psychiatryonline.it/node/7778, per le questioni di disforia di genere e identità sessuale.

Sulle prode di “Domani”

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di Velio Abati

Bisogna riportare l’attenzione critica su “Domani” di Velio Abati. Nel maggio 2014 ne parlai qui ed altri lo fecero sul blog dello stesso autore (qui). Ma il silenzio è caduto su quest’opera difficile, volutamente fuori moda rispetto alla narrativa italiana contemporanea  e sul suo autore, che non ha ceduto né ai pentimenti politici né a quelli letterari. A questo primo rendiconto sull’accoglienza ricevuta dal romanzo, scritto dallo stesso Abati,  seguiranno  alcuni interventi di lettori di “Domani” ai quali ho richiesto una rilettura meditata e critica dell’opera. L’immagine pittorica di Toti Scialoia che accompagna questo post mi è stata fornita dallo stesso Velio.  Ho preferito collocare i brani del romanzo, da lui citati nel resoconto, in una “Appendice” per permetterne una lettura autonoma  ma anche facilmente  riconducibile al suo bilancio. [E. A.] Continua la lettura di Sulle prode di “Domani”