20 anni in attesa di giustizia


Diario minimo di LuIgino Scricciolo, Edizioni MEMORi, Roma 2006

di Angelo Australi

Quando al mio paese è stata organizzata l’ultima conferenza sul tema, Il ’68 – fallimento di una rivoluzione, mi è venuta una gran voglia di rileggere il diario minimo di Luigino Scricciolo: “20 anni in attesa di giustizia”. Il libro è stato pubblicato a ottobre del 2006, dalla Società Cooperativa Editrice Memori di Roma. A Figline Valdarno siamo alla terza conferenza fatta nel giro di pochi mesi, ma forse è anche la quarta, che celebra il mezzo secolo trascorso da quelle prime manifestazioni studentesche. Per la verità sono stanco di sentire tutti questi sgocciolii che intendono rivisitare quel periodo, ponendosi chissà quale obiettivo, oltre a quello abbastanza modesto di partecipare ad un evento celebrativo, riempiendo degli spazi nel proprio tempo libero. In quegli anni, in un paese di provincia come il mio, i giovani, proprio gli stessi che oggi organizzano le conferenze, dopo aver studiato avevano l’abitudine d’incontrarsi il tardo pomeriggio per lo “struscio” sotto i portici, con il chiodo fisso d’imbroccare, trovarsi una ragazza. Chi, come me, ascoltava il rock progressivo, era già un emarginato. Si giocava al calcio all’oratorio dei Salesiani, si stava un po’ al bar, sempre a parlare di un sogno nel trovare la donna della propria vita, quella con cui condividere tutto e staccarsi dai genitori il prima possibile; questo era il clima generale. Al telegiornale della sera seguivo le manifestazioni degli studenti, gli scontri con la polizia, parapiglia, tafferugli, lancio di gas lacrimogeni, sparpagliamenti, corse e rincorse, e ascoltavo i commenti negativi di mio padre operaio, che votava PCI. Ero solidale con quegli studenti perché seguivo con passione una certa musica, ma tutto sembrava lontano, mi apparteneva solo per il fatto che ero giovane.

Non credo affatto che il ’68 riletto a cinquant’anni di distanza si possa considerare una rivoluzione fallita, sono gli uomini semmai che falliscono, non quelle idee che spingono al cambiamento. Davanti a noi, oggi, c’è l’esperienza di Mimmo Lucano a Riace, altrimenti basta guardare a tutte le lotte di emancipazione combattute da quegli anni, dal divorzio in poi, per riconoscere dove si è infiammata la scintilla che ha messo in moto il cambiamento di una società ancora negli anni Sessanta, nonostante il boom economico, legata a valori prettamente ottocenteschi trasferiti in una borghesia bigotta e impaurita che prima aveva legittimato la nascita del fascismo, e finita la seconda guerra mondiale, già nei primi anni Cinquanta tendeva a trasformare in degli stereotipi i valori della Resistenza. Non lo dico io, ma il gramsciano Pasolini, che nel raccontarci il boom economico non è certo stato tenero verso il movimento studentesco. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta si compie la prima vera industrializzazione del paese, cosa che in larga misura negli altri stati europei era già avvenuta nel XIX secolo, nata sulla spinta di una borghesia illuminata e ormai distante dal feudalesimo nobiliare basato sui tempi dell’agricoltura che ancora, in Italia, con la mezzadria, considerava i contadini dei servi. Pasolini tentava di recuperare la poesia di quella cultura contadina arcaica nello spirito di ribellarsi alla mentalità piccolo borghese in cui vedeva una deriva consumistica. Ne sono un modello i contadini friulani della sua giovinezza vissuta a Casarsa, il sottoproletariato delle borgate romane, poi sfociato nel bisogno di ritrovare un legame con la centralità della cultura classica nelle periferie del sud del mondo: Africa, Turchia, India.

Nel ’68 avevo solo quattordici anni. Sono della generazione di Claudio Piersanti, di cui ho scritto in precedenza, proprio per questa rubrica. Per la mia generazione aderire a certi valori di sinistra ha coinciso con il bisogno di riconoscerli in uno spaccato di vita quotidiana meno ideologico, forse più legato a cercare delle risposte politiche a livello individuale. Per questo mi sembra piuttosto banale giudicare un fallimento quel momento rivoluzionario che a quell’età non potevo che mitizzare a livello esistenziale, attraverso l’ascolto della musica o la lettura di certi scrittori.  Se guardo poi la vita di Luigino Scricciolo, così come la racconta nel suo libro di memorie, in tutta sincerità devo dire che il ’68, contribuendo a formare uomini del suo livello morale, è stato un evento necessario, per giudicare bisogna contestualizzarlo alla sua epoca, non farne una rilettura basata sulle tematiche dell’attualità.

Luigino era nato a Castiglion del Lago (Perugia) il 5 giugno del 1948, in una famiglia di contadini. Negli anni Cinquanta i suoi genitori si trasferirono a Roma per lavoro.

La casa colonica della Stregaia, dove in Umbria viveva la famiglia Scricciolo

E nel 1968, da ventenne, inizia la sua esperienza politica nella nuova sinistra, quando è studente di Scienze Statistiche Demografiche ed Attuariali all’Università di Roma. Dopo aver fatto parte del Movimento Studentesco e dell’Unione dei Comunisti Italiani, partecipa alla controinchiesta sulla strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano da cui, nel 1970, uscirà il volume “La strage di Stato”. Collabora a fondare la rivista “Città Futura”, e dopo aver militato in Avanguardia Operaia è tra i fondatori di Democrazia Proletaria, dove dirige il dipartimento esteri.  Lo lascerà nel 1979 per entrare nel dipartimento internazionale della Uil, di cui diventa responsabile. In Democrazia Proletaria aveva l’opportunità di andare al Parlamento Europeo come assistente di Mario Capanna, che sarà eletto proprio in quell’anno, ma lui decide di tracciarsi una sua strada.

Il 4 febbraio 1982, a Firenze, è accusato di terrorismo e di spionaggio. Tra i suoi accusatori c’è il magistrato Domenico Sica, personaggio che negli anni Ottanta creò un certo scandalo nell’opinione pubblica per le numerose polemiche che avevano circondato il suo operato nella capitale, soprattutto da quando, nel 1988, viene nominato Alto Commissario per il coordinamento contro la delinquenza mafiosa, al posto di Giovanni Falcone. Luigino sarà assolto in istruttoria da tutte le accuse a distanza di vent’anni, senza che nemmeno fosse celebrato il processo.  Dopo 7.171 giorni di calvario.

Il Diario Minimo, così Luigino Scricciolo ama definire il suo libro “20 anni in attesa di giustizia”, ripercorre le vicende di questi anni, intrecciando ai fatti di vita personale quei ricordi giovanili della campagna dove cerca, negli esempi di saggezza di alcuni familiari contadini, una paternità esistenziale che lo obblighi a non mollare, nonostante il destino sembri così avverso.

“Sono il dottor Masone, capo della Squadra mobile. Lei è il dottor Scricciolo? Le devo notificare un mandato di cattura”.

“Scusi, non ora”, rispondo distratto. “Se mi dice dove la trovo passo da lei verso l’una, dopo la conferenza”.

“Mi perdoni dottore ma lei è in stato di arresto. Non può fare altro che seguirmi”.

Il libro si apre con queste terribili parole d’accusa, in una vicenda giudiziaria che gli segnerà la vita per sempre. E’ il 4 febbraio 1982, Luigino viene arrestato nel corso dei Consigli generali Cgil-Cisl-Uil che si svolgevano nel capoluogo toscano, dopo aver terminato una riunione andava a presiedere una conferenza stampa sulla manifestazione che si sarebbe dovuta tenere a Milano, per protestare contro il golpe del generale Jaruselsky e gli arresti di Lech Walesa e di altri dirigenti di Solidarność. La scelta di quel momento secondo Luigino, non fu occasionale. Il pomeriggio del giorno successivo venne tradotto alla Questura Centrale di Roma, quindi a casa per la perquisizione dell’abitazione, poi di corsa a Rebibbia, in isolamento duro. Insieme a lui viene arrestata anche sua moglie.

Nei primi mesi di carcere Luigino è preso in un vortice, le accuse e gli interrogatori si susseguono a mitraglia. Quella che poteva presentarsi come una carriera politica d’innegabile successo personale, improvvisamente sembra trascinarlo in un abisso che non ha vie d’uscita: l’ente Scau (Servizio contributi agricoli unificati) dal quale dipende, lo sospende cautelativamente dal lavoro attribuendogli un assegno alimentare; il Pubblico Ministero di Verona, Papalia, gli contesta nuovamente il reato associativo e il concorso esterno nel rapimento del generale statunitense James Lee Dozier (da quest’accusa verrà poi prosciolto nel 1991). Nuove accuse e nuovi mandati di cattura gli vengono notificati in carcere: corruzione del cittadino da parte dello straniero, tentativo di spionaggio politico o militare, attentati contro l’integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato, appartenenza alle Brigate Rosse. Recluso al G7 di Rebibbia, gli agenti lo salvano da un tentativo di suicidio in cella, come conseguenza di questo atto viene ricoverato nel reparto pre-osservazione, dove erano detenuti i criminali in attesa di essere trasferiti al manicomio giudiziario.  Da Rebibbia viene poi tradotto al Reparto medicina di Regina Coeli; è in isolamento permanente, guardato a vista. A maggio la moglie, con la quale si era sposato il 13 agosto del 1979, chiede il divorzio. L’iter giudiziario della fine del matrimonio si conclude un anno dopo, quando è ancora in carcere.

Colui che aveva una visione del mondo fondata sulla solidarietà, il ripudio della violenza e la difesa dei diritti umani, in pochi mesi perde tutto: lavoro, moglie, casa, libri, dignità sociale. Così inizia uno sciopero della fame che durerà oltre un anno, e che lo vedrà costretto ad essere ricoverato periodicamente in ospedale. Durante il periodo dello sciopero berrà molta acqua e mangerà una mela a giorni alterni. Arriva a pesare 46 chili, con una pressione arteriosa ai limiti del collasso.

                       Luigino disegnato da un compagno di carcere.

Finalmente, a giugno del 1984, nonostante il P. M. Domenico Sica si opponga all’istanza, i giudici istruttori accolgono la sua richiesta di arresti domiciliari, dove vivrà per un anno coltivando fiori e piante, leggendo e studiando.

Nei quattro anni successivi, grazie ad un amico di suo padre, trasforma l’hobby per le piante in lavoro, costituisce una ditta autonoma di giardinaggio, potatura e impianto di giardini. “Lavoro duro”, scrive Luigino: “la terra è bassa”. Cerca anche di restituire un corso normale alla sua vita partecipando alle attività di un Circolo ricreativo del quartiere, che in poco tempo si trasforma in punto di riferimento per le forze di sinistra del IV Municipio di Roma. Nel 1990 sarà riammesso alla Scau, che quando verrà sciolto, passerà personale e funzioni all’Inps.

Solo il 6 settembre del 2001, il Giudice Istruttore, dottor Otello Lupacchini, deposita in cancelleria la sentenza di chiusura dell’istruttoria, dichiarando di non dover procedere relativamente ai vari reati di cui era stato accusato.

Il proscioglimento in istruttoria chiudeva il “caso Scricciolo” ma nessuno allora ne diede notizia. Il suo arresto era finito nelle pagine di tutti i quotidiani, mentre al proscioglimento in istruttoria la stampa sembrava rimasta del tutto indifferente. Nonostante la parola fine su tutte le imputazioni, getta scandalo che l’Inps, il 19 luglio del 2002, lo sospenda dal lavoro intentando una causa di licenziamento, perché “l’essere stato coinvolto in un procedimento penale di notevole rilievo per reati gravissimi contro lo stato non consente la prosecuzione del rapporto di impiego con Scricciolo”. Ci vorrà ancora un anno, prima che il giudice del lavoro elimini del tutto la sospensione. Scrive Luigino a commentare la conclusione positiva di quest’ennesima ingiustizia: “Da buon cristiano, ho atteso che Dio paghi il sabato”.

Il Diario è stato scritto per ricordare questa vicenda e la sua positiva conclusione, e per rivendicare una verità a lungo negata.

Luigino Scricciolo è morto improvvisamente a Roma il 24 marzo del 2009, a soli 61 anni, e chissà quanto questa triste vicenda di malagiustizia abbia influito sul suo fisico. Comunque anche per la sua morte, sono stati pochi i giornalisti che lo hanno ricordato. Su di lui c’è stato davvero un silenzio assordante.

 “20 anni in attesa di giustizia” è un libro di memorie che si legge come un romanzo, perché coniuga bene i ricordi personali alla vicenda pubblica. La storia, intrecciando passato e presente di un uomo che cerca di vivere nel suo tempo, si fa emblematica di un’Italia, fino almeno a tutti gli anni Ottanta, immobilizzata da una classe dirigente corrotta, bacchettona, al servizio di un potere politico buono a depistare, a trovare capri espiatori, pur di mascherarne gli intenti di conservazione. Il frutto di questo sfacelo in politica è oggi un orizzonte desertificato che sta sotto gli occhi di tutti.

Non sarà facile da trovare in libreria, ma consiglio vivamente di leggerlo. Se non altro questa è una testimonianza che può ampliare il dibattito sull’ultimo ventennio del secolo scorso. Anche in nome del ’68.

 

 

 

( Nota. Le immagini sono tratte dal libro “diario minimo di Luigino Scricciolo – 20 anni in attesa di giustizia ” Edizioni Memori)

 

 

 

5 pensieri su “20 anni in attesa di giustizia

  1. …che vicenda tristissima questa di Luigino Scricciolo, certo una delle vittime di quel periodo segnato in Italia da avvenimenti gravissimi in cui forse anche potenze straniere nell’apice della guerra fredda( o calda per alcuni) hanno messo lo zampino…Un periodo oscuro che proprio i più coraggiosi hanno pagato sulla loro pelle… Merita davvero di essere letta l’ autobiografia di L. S. intorno a quegli anni.
    Sto leggendo il romanzo “La forza di gravità” di Claudio Piersanti, presentato precedentemente – lo trovo molto molto bello e sotto diversi aspetti- e mi viene naturale associare la storia di L. S., perseguitato dalla giustizia, con quella del Professore che arriva a realizzare nel salotto di casa una macchina infernale, anche se solo simbolicamente pericolosa, per tenere lontani i suoi persecutori…Ovviamente il personaggio finisce temporaneamente in un ospedale psichiatrico, proprio come ha rischiato Luigino dopo il tentato suicidio…Ringrazio Angelo Australi

    1. E’ vero Annamaria,
      possono esserci delle analogie tra il professore di Claudio Piersanti e Luigino, se non altro per l’età anagrafica.
      Entrambi hanno provato sulla pelle una forte delusione, che li ha costretti a reagire: il professore è sostenuto da una cinica rabbia contro tutti, ma agisce sulla ragazza in modo tale che lei possa crescere cercando una sua strada nello studio e poi nella vita.
      In realtà Luigino ha sofferto e combattuto la sua battaglia in modo positivo, tanti amici gli sono stati vicino, e la famiglia. Era un carattere solare, scherzoso, con un’idea del fare politica come servizio, che non si è mai spenta, neanche nei periodi più difficili.

      angelo australi

  2. Gli anni Settanta, che culminarono con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, sono un buco nero della storia dell’Italia repubblicana. Ed è stato indagato da pochissimi. In giro per il Web (e su You Tube in particolare) ci sono testimonianze di protagonisti di quegli anni o di studiosi che mettono in luce gli aspetti più inquietanti e preoccupanti di quelle vicende.
    Purtroppo non esiste più un’area politica capace di *proporre politicamente* un ribaltamento della *verità di Stato* suglianni Settanta. Come accadde, invece, dopo lo scoppio della bomba di Piazza Fontana a Milano e l’accusa contro l’anarchico Pietro Valpreda. ( Mi riferisco al libretto ” La strage di Stato”…).
    Prevale perciò nell’opinione pubblica più vasta l’idea che la “notte della repubblica” ( titolo di una imponente inchiesta sul periodo che va dal ’69 alla fine degli anni ’80 condotta da Sergio Zavoli: https://www.raiplay.it/programmi/lanottedellarepubblica/) sia dovuta esclusivamente alle Brigate Rosse e al loro folle sogno di “assalto al cuore dello Stato”.
    Il calvario giudiziario di compagni come Luigino Scricciolo ( e di tanti altri che come lui hanno pagato e sofferto) resterà oggetto di pietose e fraterne ricostruzioni, ma ad esse mancherà qualcosa di essenziale: la verità occultata col cosiddetto “segreto di Stato” che uomini politici, pur su sponde diverse, come Giulio Andreotti e Enrico Berlinguer, hanno fino agli ultimi giorni della loro vita rispettato.

    P. s.
    Un mio tentativo di riflessione su quei problemi si legge qui: https://www.poliscritture.it/vecchio_sito/index.php?option=com_content&view=article&id=203:anticipazioni-poliscritture-n8-ennio-abate-gli-anni-settanta-nel-lpanorama-storicor-di-g-la-grass&catid=1:fare-polis&Itemid=13

    1. Sì Ennio, siamo d’accordo.
      La cosa oggi che a me lascia perplesso, se ripenso, principalmente agli anni Ottanta, è questo depistaggio continuo sulla verità occultata, che da sinistra con il PCI, poi non ha capito dove andava a sbattere la società che si incanalava nel disimpegno edonistico di una ricerca individuale, dove molti non volevano più sentir parlare di certi argomenti. La paura di prendere una posizione chiara con il rischio di perdere elettori nei ceti popolari, ha messo in moto un meccanismo di appiattimento che poi non si è più fermato.

      angelo australi

  3. SEGNALAZIONE

    *Per chi volesse approfondire segnalo un recente libro ( che non ho letto) di uno studioso affidabile:

    Il mio nuovo libro: “La strategia della tensione”
    Scritto da Aldo Giannuli.

    Giovedì prossimo comparirà in libreria il mio ultimo libro “La strategia della tensione” ed. Ponte alle Grazie. Questo volume conclude la mia ricerca trentennale sul tema in decine di archivi – anche per conto di diverse Procure della Repubblica, della Commissione di inchiesta parlamentare sulle stragi oltre quelle abituali per uno storico- nelle quali ho consultato decine di migliaia di documenti, fra i quali ho scelto i circa settecento che sorreggono questo lavoro.

    Emergono molte novità su singoli casi e sulle dinamiche del tempo: dalla vicenda del commissario Calabresi al ruolo del Sid parallelo –quello vero: il Noto servizio- nel golpe Borghese, le strane morti di personaggi come Nardi, Borghese, finalmente è identificato con nome e cognome il misterioso “Antelope Cobbler” che ricevette la tangente del caso Lockhehed, ed i nessi di tutto questo con la strategia della tensione.

    Ma chi pensasse di trovare lunghi elenchi di testimonianza, perizie, foto, verbali di polizia, registrazioni eccetera, probabilmente resterebbe deluso. In quanto perito in diversi processi per strage non potevo certo ignorare le risultanze processuali dell’ultimo ventennio, ma ne ho fatto un uso molto sobrio: mi interessava più ricostruire la cornice storica di quegli avvenimenti e rendere conto delle loro ragioni profonde.

    Mi interessava dimostrare che la strategia della tensione non è stata solo una sequela di delitti e non è stata solo un affare italiano: è stata la fase più acuta della guerra fredda, ha investino molti paesi come l’Argentina, la Grecia, il Brasile, l’Indonesia, la Bolivia, il Cile eccetera.

    E questa ricostruzione delle vicende internazionali e nazionali consente una lettura complessivamente nuova di quel periodo, sottratta ad una interpretazione meramente complottistica e restituita alla sua dimensione politica. Una lettura che spiega il perché di molte patologie del presente (come il dilagare della grande criminalità organizzata, l’esplodere della corruzione politica, l’indebolimento della nostra democrazia) affondino le loro radici in quel quindicennio e nell’impunità dei grandi delitti di quel periodo.

    Si forniscono documenti sin qui sconosciuti sulle teorie ufficiali della Nato sulla “guerra rivoluzionaria” e sul rapporto di esse con la strategia della tensione, si scoprono aspetti sin qui non considerati della politica internazionale, come il ruolo dell’Ambasciata Cinese di Berna ed i suoi rapporti con l’estrema destra europea.

    Una lettura che indaga nella complessità di quegli anni che spero non vi annoi e su cui discuteremo in questo blog. Come sempre, vi prego di aiutarmi a far conoscere il libro. Buona lettura!

    Aldo Giannuli

    ( da http://www.aldogiannuli.it/category/italia-repubblicana/)

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