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L’Energia, i suoi equilibri e le forme sociali /1/

di Paolo Di Marco

1- L’auspicabile sparizione di Energia Oscura e Materia Oscura

L’Energia è uno dei concetti più semplici e insieme più abusati della Fisica.
Ovunque vi sia una forza se questa sposta un oggetto compie lavoro. (L≈FxS)
L’energia è la capacità di compiere lavoro, e ad ogni campo di forza quindi è associata un’energia, che si può misurare, combinare, trasformare (ad esempio da energia potenziale ad energia cinetica).
È un pò più complicato con l’uso in ambiti meno definiti, dato che è difficile stabilire una metrica e delle operazioni (controllabili e condivisibili) per l’energia morale o affettiva o mistica, per quanto uno senta di poterle descrivere e anche valutare.
Uno degli ultimi arrivati, stavolta in cosmologia, è l’Energia Oscura.
Malgrado il nome minaccioso il termine rappresenta semplicemente il fatto che l’Universo si sta espandendo, e viene quindi ipotizzata l’esistenza di un’energia (e quindi Forza) che causi questa espansione.
Ma dato che l’unico effetto visibile è proprio l’espansione (l’allontanamento delle galassie avviene come se qualcuno gonfiasse un pallone sulla cui superficie le galassie si appoggiano) e non si vedono responsabili diretti è stata chiamata oscura; e molti ricercatori basano la loro carriera su questa indagine.
Peccato che, come Rovelli si sgola a spiegare da molti anni (anche sul tubo), questa energia è così oscura che proprio non c’è: infatti l’espansione è già contenuta nell’equazione fondamentale della Relatività Generale, e specificamente in una piccola costante chiamata appunto costante cosmologica.
Va detto che il pasticcio è anche colpa di Einstein, che dopo aver scritto l’equazione vide che la costante era incompatibile con la stazionarietà dell’universo che era allora la convinzione generale. E quindi tolse la costante; solo che l’universo che risultava era sì stazionario ma instabile -come un acrobata in equilibrio su un pallone; e quindi alla fine ce la rimise. E recentemente le è anche stato attribuito un valore preciso, piccolo ma significativo. (Einstein chiamò questo pasticcio il suo più grande errore).
Solo che tutti i ricercatori che ricevono finanziamenti per studiare l’energia oscura sono ovviamente riluttanti a farsi convincere…per non parlare delle riviste dove attira molti più lettori dei leptoni o della gravità quantistica a lacci

(Arxiv, 21 Feb 2010, poi Nature,]Why all these prejudices against a constant?’, E. Bianchi, C.Rovelli)

Per la materia oscura la situazione è meno semplice; la sua esistenza serve a spiegare un’altra osservazione: che il comportamento di stelle e galassie segue traiettorie descrivibili solamente con molta più massa di quella che si vede.
Solo che la ricerca di particelle di materia esotica (talmente strana da essere invisibile) in quantità sufficienti non ha finora dato frutti, anche perchè la si vede all’opera sulle altre Galassie ma vicino a noi non appare rintracciabile. Eppure la massa in questione è tanta, più di quella visibile.
Ma forse c’è una soluzione, e proviene proprio dall’abbandonare il terreno di caccia preferito dalla gran parte dei fisici sperimentali, quello degli enormi acceleratori che vanno a combinare e scombinare tutti i tipi possibili di materia, e cominciare a ragionare su altre forme che massa ed energia possono assumere.
E su questa strada si è sviluppata un’ipotesi interessante, che non si tratti di altra materia ma di una fase diversa della materia: una fase semifluida (tipo i condensati di Bose-Einstein con cui si lavora in campo quantistico). dove gli effetti quantistici si estendono su larga scala. Questa ipotesi (Sabine Hossenfelder, Aeon, Feb 24) ha avuto molto successo a spiegare buona parte del comportamento ‘anomalo’ delle galassie, anche se rimane ancora strada da fare. L’elemento che mi sembra migliore è proprio la strada intrapresa fuori dagli schemi dei particellisti ad oltranza.
(Detto sottovoce, l’intelligenza contro la forza bruta).

2- Il bilancio energetico nella fisiologia umana

Progressivamente le ricerche sul funzionamento del corpo umano, o meglio del sistema corpo-mente, convergono su uno dei centri più antichi del cervello, l’ipotalamo. Il suo compito centrale è l’omeostasi, cioè il controllo del bilancio energetico. Ma per realizzarlo si deve occupare praticamente di tutti i meccanismi principali su cui la vita si basa, assumendo così un ruolo decisivo per l’organismo nel suo complesso.

Facciamo un esempio: un gruppo di raccoglitori/cacciatori che parte per una caccia all’antilope. Il modo in cui cacciano è assai diverso dalla caccia di oggi, basata sulle armi; allora la caccia era un lungo inseguimento, dove l’antilope scappava e i cacciatori correvano lentamente dietro; l’antilope li distanziava, poi doveva fermarsi a riposare, e i cacciatori la raggiungevano, e lei doveva scappare di nuovo; finchè alla fine si accasciava col cuore a pezzi e i cacciatori le davano il colpo di grazia. La resistenza dei cacciatori dipendeva da due elementi: la sudorazione, che permetteva di smaltire più velocemente il calore, e l’intelligente ripartizione dell’energia (anche tra i capofila che si davano il turno e tra loro e i cercatori di tracce  ma in ognuno nel sistema cuore-polmoni-retroazione muscolare-attenzione). Quindi il controllo omeostatico giocava su più fattori, compresi i meccanismi e le vie solo indirettamente implicati nella gestione dell’energia. E fra questi anche rigenerazione e longevità. Esaltando il ruolo delle interazioni mente-corpo che già sono responsabili dell’effetto placebo in tutte le sue varianti.
Questa potenza dell’interazione potrebbe venir sottovalutata dall’atteggiamento meccanicista che proviene da una metafora coniata da G. Gamow al tempo della scoperta del codice genetico: lo definì la ‘matrice’ (blueprint: cianografia nel suo uso tipografico) del nostro organismo; e da questo è nata un’immagine iperdeterministica del nostro sviluppo. In realtà (ci dice R. Prum su Aeon/Psyche di Gennaio) i geni sono solo la base di riferimento, con cui il nostro organismo è in dialogo continuo, in una interazione che cambia molti dei termini dello sviluppo. Prum applica questa visione dinamica in particolare al sesso, usando il linguaggio della ‘Teoria dell’eccentricità (Queer Theory)’, dove spiega la sessualità come il risultato del dialogo organismo-geni e quindi senza risultati rigidamente prefissati.
Ma questo punto di vista può venir allargato a molti altri aspetti del nostro essere, aprendo orizzonti che erno bloccati solo dal pregiudizio.

3-L’omeostasi nella società

Partiamo ancora dalla fisiologia, e dall’ipotesi atavistica del cancro:
Davies ci racconta che occorre risalire all’origine degli organismi multicellulari, quando esseri unicellulari si fusero insieme per ottenere vantaggi competitivi, arrivando progressivamente al livello di complessità degli animali moderni. Ma nel momento in cui una cellula si trova sottoposta ad uno sforzo eccessivo (stress) o a elementi nocivi (chimici, radioattivi, termici) indebolisce il proprio legame col resto dell’organismo e tende a tornare allo stato isolato; crea così un’isola individuale dove riprende le abitudini isolate (anche di rirpoduzione) comprese le difese nei confronti dei suoi vicini. E l’organismo infatti ogni giorno scatena scaglia attacchi contro le cellule che si ritirano dalla cooperazione e si sviluppano per contro proprio. (i tumori).
Una società che funziona in questo modo, fondata sulla cooperazione e insieme la divisione dei ruoli, e con una repressione feroce di ogni individualismo, è spesso stata invocata come esempio ottimale, anche dai nemici di quella dittatura socialista cui più assomiglia. A suo favore si potrebbe invocare un argomento apparentemente inoppugnabile: che in fondo questo è stato il risultato di un’evoluzione verso l’ottimo durato milioni di anni, e sarebbe quindi difficile fare meglio. Ma, come tutte le analogie, anche in questa si nascondono fallacie; e l’energia è il punto cruciale: mentre il passaggio dagli organismi unicellulari a multicellulari è spinto e guidato dall’omeostasi -l’efficienza nell’uso dell’energia, la società umana (sappiamo poco come si sia evoluta quella dei dinosauri) ha seguito questo criterio solo nella sua prima fase (circa trentamila anni, se parliamo dell’uomo moderno e progredito); poi se ne è progressivamente liberata trovando e creando energia (cibo incluso) abbondante.
E non conta che se guardiamo alla media degli uomini nelle varie epoche c’è sempre stata una minoranza che si prendeva la quota maggiore delle risorse, e quindi forse nella media non ci fosse sovrabbondanza: quello che conta, per il nostro paragone, è che a un certo punto l’equilibrio energetico non è più stato il criterio dominante per la formazione sociale nel suo complesso.
Da quello che ci raccontano gli archeoantropologi (Graeber) il bello delle prime forme sociali basate sull’omeostasi era che non c’era bisogno di strutture apicali che facessero rispettare le regole: queste erano autoevidenti, e così i comportamenti individuali erano legati ad abitudini le cui necessità erano palesi; ancora nel ‘700 nelle tribù irochesi i capi erano quelli con più capacità oratoria e di convinzione, e non c’erano punizioni per chi non rispettava le regole. La città ucraina di 10000 anni fa di 500000 abitanti senza neppure capi era anche un monumento all’efficienza di questo principio.

4- Un libro, due acrobazie, e ancora l’omeostasi

Le arti marziali vengono raramente studiate dal punto di vista della Fisica, e il caso meglio studiato è quello del Judo (A. Sacripanti). Però le complicazioni biomeccaniche che intervengono rendono assai difficile ottenere risultati generali. Negli altri casi si usano generalmente concetti tanto semplici da essere semplicistici e anche sbagliati.
L’Aikido invece fa categoria a sé: dal lato marziale non c’è la lotta fra due avversari, ma solo un attaccante che perde sempre e un attaccato che devia la forza dell’attaccante e nel caso la rivolge su di lui. Dal lato filosofico si rifà a buddhismo e taosmo e ha come maestro quello stesso Nagarjuna che usa Rovelli in Helgoland.
Ne prende a base la vacuità, cioè l’esistenza di qualcosa mai in isolamento ma solo rispetto a qualcos’altro e la usa come cardine del rapporto tra i due protagonisti, uniti anche nel respito.
E questo permette la prima acrobazia: l’analisi delle tecniche con la fisica diventa immediato, usando la relatività primigenia di Mach, e se ne ricavano leggi generali; di cui la sostanza è che vale sempre il principio di conservazione dell’energia.
La seconda acrobazia nasce passando all’aspetto biologico, dove gli anziani che praticano si trovano davanti tutti i problemi dell’età. E scoprono o riscoprono la profonda unità mente-corpo e le capacità del corpo di autorigenerarsi,se opportunamente convinto; attraverso vie che la moderna neurofisiologia sta riscoprendo ma che appartengono anche ad un bagaglio atavico.
Tutto questo in un libro testè uscito (in inglese) sia in forma cartacea sia come ebook con Amazon ed Apple:

Paolo G. Di Marco/The Physics of Aikido and the Body-Mind Unity

Ma implicito nel discorso del libro c’è anche un elemento centrale: che le tecniche dell’Aikido rispettino il principio di conservazione dell’energia significa che è stato introdotto nelle arti marziali un meccanismo di omeostasi; e riflettendo su come molte tecniche possano venir descritte come un ‘respirare insieme’ vediamo la competitività trasformarsi in cooperazione.. Il che significa non solo che l’aggressività non è elemento di base della natura umana (come ci spiega anche Graeber ne ‘L’alba del tutto’,) ma anche che quando si presenta può venir trasformata nel suo opposto. Bisogna solo trovare la tecnica giusta.

Oppenheimer e dintorni: i ricorsi di caso e necessità

di Paolo Di Marco

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un ultimo carnevale

di Paolo Di Marco

30000 anni fa eravamo ancora liberi.
Sceglievamo la forma di rapporti sociali che più ci aggradava, in genere senza padroni nè sacerdoti nè stati.
Ma proprio la libertà ogni tanto portava anche a rinunciarvi e a proclamare re, per necessità del momento o costretti con la forza.
Questo ci racconta con Graeber l’antropologia moderna.
Ma ci racconta anche come dopo un poco i re facevano una brutta fine, e il ricordo veniva immortalato in una festa dai ruoli rovesciati: il Carnevale. Personaggi grotteschi e improbabili, nani, storpi, acromegalici sfilavano come re..e come tali venivano poi seppelliti, dando luogo al primo culto dei morti.
Di quei tempi e di quella libertà sembra persa anche la memoria.
Ma siamo anche squassati da sussulti periodici che in forme diverse cercano di ricordarci chi potremmo essere.
Nel frattempo l’impressione che abbiamo è che la famosa frase del 18 Brumaio debba venir coniugata diversamente: a la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa, dovremmo aggiungere: poi nella terza le due si mescolano e abbiamo un tragico carnevale. Continua la lettura di un ultimo carnevale