In margine a “Viviamo senza sognare” di F. Nova (qui)
di Rita Simonitto
Visto che le poesie non sono soltanto ‘pezzi ‘e core’ ma trasmettono anche dei messaggi volevo soffermarmi su due punti.
S. Freud in “Ricordare, ripetere, rielaborare” sosteneva che il ‘ricordare’ senza una opportuna elaborazione ai fini di capire il posto che NOI abbiamo avuto in determinate scelte (ma non attivando sensi di colpa bensì il senso di responsabilità onde metterci in contatto con le nostre problematiche consce e inconsce di cui pure dobbiamo farci carico), in molti casi rappresenta una specie di ‘assoluzione narcisistica’. E questo non solo fa sì che continuiamo a ripetere gli stessi errori (vedi l’inutilità dei “giorni del ricordo” quando i massacri continuano dappertutto!) ma rovesciamo su altri (o su altro) le negatività che riscontriamo e i drammi che ci sgomentano. Certamente, a nessuno fa piacere “scoprire l’Hitler che c’è in noi”, come si affermava nel film “Er ist wieder da – Lui è tornato”, del 2015 diretto da David Wnendt e basato sull’omonimo bestseller di Timur Vermes. E, ovviamente, nessuno ce lo può imporre. Ma almeno asteniamoci dai gratuiti e pelosi giudizi. Complice di tutto questo è stato l’incistarsi di una verità parziale in un modello generale e che ha prodotto i malefici effetti di quando una parte condiziona il tutto. La verità di cui si tratta è che indubbiamente siamo ‘determinati dai rapporti di produzione vigenti’. Ma non può essere una ‘determinazione’ che, come il DNA organico, comprometta la nostra responsabilità singola, che rimane sempre individuale. Oggi non si riesce a trovare un responsabile cui si possa imputare qualche cosa perché c’è tutto uno scarica barili. Anche in guerra: la responsabilità significa esporsi in prima persona. Ma oggi la responsabilità è a carico del drone o di qualche ‘fantoccio’ che è stato inviato allo sbaraglio!
Così in questo modo il problema sarebbe rappresentato dal sistema, o ‘casta’ che dir si voglia, o di un partito ecc. ecc. Che vanno cambiati, sì, certo vanno cambiati quei maledetti! E in tale attesa ognuno si fa gli affaracci suoi ovviamente invitando ad abbattere le ingiustizie, le diseguaglianze, ecc, ecc. Molte persone in buona fede ci sono cascate (e ci cascano ancora) e, naturalmente, ci perdono mentre le faine trovano sempre polli da poter spennare! A volte, anche le faine si arrabbiano, perché gli recintano i pollai oppure perché destinano i pollai ad altro migliore predatore (non dimentichiamoci di Saddam, di Bin Laden, di Gheddafi… e adesso Sleepy Joe, rassicurato dalle elezioni del ‘mid term’ incomincia a dire che Zelenskji ‘dovrebbe darsi una calmata’, che non si deve allargare troppo!).
Sul sogno
Il ‘sognare’, ovvero l’attività onirica sia diurna che notturna, è una funzione fondamentale della nostra mente perché la predispone alla rappresentazione, all’incrocio fra ipotesi e realtà ed è ciò che dà origine alla ricerca di un senso delle cose anche quando ci appaiono inspiegabili. E su questo c’è tutta una produzione letteraria che ci viene in ausilio fino al sublime “siamo della stessa materia di cui sono fatti i sogni”.
A volte, trovare quel ‘senso’, come scriveva E. L. Masters, “può portare a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio”.
Purtroppo nel processo di appiattimento del linguaggio e del livellamento orientato ad eliminare le differenze temute come portatrici di diversità che possono creare diseguaglianze, il ‘sognare’, nella accezione di cui sopra, viene equiparato alla illusione la quale, a differenza dell’attività onirica che è sempre in contatto con la realtà, rappresenta una fuga dai limiti della realtà stessa verso l’Assoluto della “eterna vita”, verso l’illimite dell’insaziabilità. Ciò che pur si è raggiunto, non basta mai: “Quante speranze ormai vane,/mentre le molte già realizzate/ protestano contro questa vita/ che sempre avanza e declina”.
Se non si fa tesoro di ciò che si è ottenuto perché è poca cosa rispetto all’illusione del tutto, non ci potrà essere alcun processo di crescita!
Ne consegue che la delusione – a fronte della ‘illusione’ – comporti il precipitarsi verso la ‘materialità’, verso il ‘fare’, verso l’agire-senza-pensare. Ed ecco l’iper investimento corporeo, l’immagine del corpo che veicola convinzioni di invincibilità (vi ricordate il messaggio sottotraccia “il vaccino vi renderà liberi dal contagiare e dall’essere contagiati! Fatelo per voi e per salvare la comunità!”). Oppure puntare verso quelle attività lavorative che non producono ‘ricchezza’ ma espressione di ‘potere’. Il prototipo è rappresentato dal ”partecipo alle iniziative pubbliche” e dunque ‘sono’; “scrivo sui social” e dunque ‘sono’. Ma a fronte di tutto ciò non c’è una crescita di ‘valore aggiunto’, anzi, c’è solo dispersione. “Ma lavorate, datevi impegni,/pensate che ancor ci siete”, scrive F. Nova.
Il dramma è che questa fuga taglia fuori il pensiero/sogno che ci permette il dubbio, la critica, il dissenso e quindi le trasformazioni. Ci trasformiamo in tanti robot, tutti che ripetono gli stessi slogan di frasi fatte il cui processo contenutistico si è andato perso, ma è stata conservata la sonorità evocativa che, pavlovianamente, sollecita risposte automatiche di “pro” o “contro”. Siamo diventati dei piccoli avatar, efficienti, con i corpi prestanti, abili parlatori del niente e intanto ancora una volta il cosiddetto sistema cerca di modificarsi perfino nelle sue viscere più profonde onde mantenersi in vita. “Lui” sì che può dire “Whatever it takes” (costi quello che costi), altro che il Super Mario Draghi! E in questo scenario di grande confusione emergono, senza più alcun controllo, tutti gli aspetti regressivi che finora, sia pure a stento, si sono tenuti sotto controllo. Ognuno cerca di sopraffare l’altro.
E, nel mentre “Stiamo seduti a testa china/ed eventi e visi e paesaggi/sfilano e si disperdono laggiù,” (sempre F, Nova), una altra “classe” si profila all’orizzonte. Quella che il mainstream ha incoronato alla prima della Scala: la ‘classe’ della Ursula von der Leyen messa a confronto con le rustiche “spalle da boscaiola” del nostro Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Ma, al di là di questi “rigurgiti da parvenu”, sarebbe da chiedere alla Presidente della Commissione Europea, con altrettanta ‘classe’, se e quali conflitti di interesse intercorrono tra lei stessa, nel suo ruolo pubblico, e suo marito, Heiko von der Leyen, medico, già direttore scientifico della società biotech statunitense Orgenesis, specializzata in terapie cellulari e geniche (che sembrerebbero essere di proprietà della stessa Pfizer), il quale, a seguito di indiscrezioni cronachistiche, giorni fa si è dimesso senza dare spiegazioni dalla Fondazione creata l’8 giugno scorso dall’Università di Padova e che ha come obiettivo quello di gestire un importante progetto-ricerca su terapia genica e farmaci a Rna finanziato con i soldi dell’Unione europea. Inoltre, sempre nei giorni scorsi, la Procura europea (Eppo) ha dichiarato ufficialmente di aver avviato un’indagine sull’acquisto dei vaccini anti-Covid nell’Unione europea. Com’è che si è negoziato l’acquisto di un volume enorme di vaccini Pfizer (da ipotesi di pandemia continua!) attraverso contatti con il manager della suddetta azienda farmaceutica Albert Bourla. (36 miliardi di dollari) negoziato dal capo dell’Unione Europea in modo totalmente non trasparente? Fake news? Chissà.
E chissà se anche tutto ciò sarà blindato dietro la formula “segreti di Stato” oppure “scelte politiche e in quanto tali insindacabili” così come da noi è avvenuto con l’inchiesta volta ad accertare la verità sui fatti tragici di Alzano e Nembro?
Inganni La luna giace nei cortili aperta e discontinua greve il lento passo della notte smarrite luci nell’aprirsi di un sogno. E noi dicemmo “lunga vita a chi aspetta l’alba dietro l’uscio socchiuso e invita il dubbio alla sua mensa!” Invece poi, le mani a palma, con altri io contammo solo materia e concretezza in notti solide e attente con vigili elefantini d’ebano alle porte. Senza malinconie d’ombra o pensieri che vanno come aquiloni o piccoli sussulti per suono di passi disordinati e poi fermi fuori la porta. E pur novantanove gesti vennero fatti, cavalcammo cavalli sulle dune d’agosto, tenuto la testa in cinture di donna, ah l’odore acuto del giacinto sull’amaro del verde! Realtà, realtà e solo realtà. Perché se Crono scuote le ore dai campanili questa è pur cosa reale. O se batto di punta e tacco nell’opaco cristallo violato dal rosso colore di veste che stringe la musica in un delirio. Pure l’enigma è cosa reale! Che importa se tutto rimane qui come la corda alla gola dell’impiccato? Perchè alcuni vennero dai pulpiti a gridare “non aprite le porte!” solo perché le agonie della notte non sedessero alle loro sedie, non bevessero nei loro bicchieri o guardassero nei loro occhi da ciglia capovolte. Ahi luna, ahi sogni! Traditi da uomini dal cuore doppio, da sorrisi di fiori marci senza acqua! Spiumate le ali i nostri docili pensieri ora becchettano sull’aia. Istupiditi. 1970 De Profundis E di che dunque si doveva avere paura? Dopotutto non eravamo che noi allo specchio di noi stessi. E se il seme moriva sfumando all’aria le radici che pur promettemmo di piantare era solo affare nostro. O se ci ferivano stupiti occhi di civetta spalancati e gialli al fior della notte “sei proprio tu?” – chiedevano – una lieve spina di colpa sarebbe stata certo comprensibile. Ma perché angosciarsi? No, non si trattava di questo. E’ che avevamo sorpreso noi con le dita sugli orologi perché oltrepassassero il tempo senza avvertire nessuno. C’era che avevamo tradito per paura di restare ciechi paura di restare sordi paura di restare muti. Avevamo avuto paura di restare soli senza traccia di chi trascinare con noi nelle nostre dannate solitudini. E oggi abbiamo paura dello specchio dove vediamo ancora noi, veri figli di puttana, ad aspettare che tutto si compia che tutto sia troppo tardi. Che ci siano solo fiori da portare o preti da chiamare o litanie da recitare o altre esteriorità da fare per quel morto di ogni ora che si presenta alla porta e col cappello in mano ci grida “buonasera!”. E la nostra coscienza è un vortice di foglie secche mosse dal vento. Gennaio 2001