di Ennio Abate
Questa è la versione definitiva dell’Introduzione al mio libro “Nei dintorni di Franco Fortini” che dovrebbe uscire prossimamente. La pubblico qui su Poliscritture in questo 1° gennaio 2025 non tanto per pubblicizzare il mio lavoro ma come augurio a me stesso e a quanti come me non hanno voluto mai metterci una pietra sopra alle speranze del ’68-’69. Buon anno.
«Ma scrivi sulle orme del nostro antico e logico disegno. Evidenziale, anneriscile, se hai solo il nero. Preziose sono anche le residue ombre» (Ultimo dialogo tra il Vecchio Scriba e il Giovane Giardiniere)
Questo libro è un resoconto dal 1978 al 2024 del mio rapporto con Franco Fortini – reale per alcuni anni, di lettura dei suoi scritti e ripensamento della sua figura poi. È suddiviso in sette sezioni: – Un filo tra Milano e Cologno Monzese, cronaca degli incontri con lui, da solo o con altri, nell’ultimo decennio della sua vita; –Per rubare bene le ciliege, appunti su scritti fortiniani di poesia e di letteratura; – In dialogo e in polemica, annotazioni su intellettuali interlocutori o antagonisti di Fortini o studiosi della sua opera; – La polis che non c’è, ripresa di alcune delle sue «questioni di frontiera»: guerra e pace, conflitti sociali e politici degli anni ‘70 in Italia, comunismo; – Poesia moltinpoesia esodo, stralci su una mia proposta (non del tutto fortiniana) di poesia in esodo; – Poeterie per FF, versi miei a lui dedicati; – Ruth e Franco, due recenti riflessioni su Ruth Leiser, sua compagna di vita, e su Fortini insegnante.
Avverto il lettore che il titolo, «Nei dintorni di Franco Fortini»,1 vorrebbe indicare l’importanza e la particolarità della collocazione periferica in cui ero e sono rimasto 2 – io a Cologno Monzese, lui a Milano; io ai margini della vita politica in modo in parte simile e in parte diversa dal suo essere finito “emigrato interno” -, perché ha modellato e a volte complicato quel nostro rapporto, quando Fortini era in vita,3 e anche la mia successiva riflessione sui suoi scritti.
Ho suddiviso in sezioni tematiche un percorso che è partito dalla lettura di «Questioni di frontiera» nel 1977, quando fui colpito da diverse somiglianze tra il suo e il mio modo di essere intellettuale e militante politico; e proseguito con l’approfondimento dei suoi scritti – gli articoli sui giornali innanzitutto negli anni della mia militanza politica e della successiva crisi, poi i saggi letterari e le poesie – che mi hanno portato a riannodare il filo spezzato tra la generazione dei padri (Fortini stesso, mio padre, altri) e la mia e a capire meglio sia la tragedia del fascismo, che aveva costretto al mutismo gli adulti con cui ero cresciuto al Sud (mio padre, meridionale, contadino e militare in due Guerre Mondiali, mia madre, ricamatrice e casalinga, i parenti, i miei stessi professori di liceo) e sia quella del comunismo sovietico, sottovalutata dai compagni con cui mi ero messo nel ‘68-’69. E nei trent’anni dopo la scomparsa di Fortini ho anche confrontato le immagini sue – del poeta, dell’ospite ingrato, dell’intellettuale del ‘68, del comunista senza partito, dell’uomo con «una fragilità di fondo nell’ambito degli affetti» e, più recentemente, del pedagogista gramsciano – delineate da altri, suoi amici o studiosi della sua opera, con quelle – del «maestro» sia pur «a distanza»,4 di un Fortini “quasi in esodo” o del Vecchio Scriba – che sono andato costruendomi io, ora concordando ora discordando con le interpretazioni altrui.5
A chi mi chiedesse perché, tra tanti scrittori importanti, proprio Fortini abbia ricevuto – malgrado le complicazioni a cui ho accennato – stima e attenzione così prolungate nel tempo da parte mia,6 rispondo così: perché più e meglio di altri ha, secondo me, difeso una idea di poesia, di letteratura, di politica, di visione critica e comunista del mondo, che fu condivisa da una parte dei giovani del ‘68 ed è diventata poi anche mia. Inoltre, gli va riconosciuto il coraggio di averla sostenuta sia nel biennio politicamente esaltante del ‘68-’69 e sia dopo, durante la crisi degli anni Settanta (compromesso storico, uccisione di Moro, scioglimento del PCI) e fino alla morte avvenuta agli inizi delle attuali guerre “democratiche” o “permanenti”.
Progettato fin dal 1991, il libro esce solo oggi. Credo anche per la fatica7 che mi ha richiesto riflettere sul vuoto lasciato dalla sconfitta delle speranze di libertà riapparse nel ‘68-’69.
Su quelle speranze e «verità», che allora confusamente in tanti intravvedemmo e facemmo «nostre», non ho voluto metterci mai una pietra sopra. E in tutti questi decenni, proprio restandomene nei dintorni di Franco Fortini, ho proseguito una contesa, di cui qui ci sono varie tracce, con quanti hanno scelto di accomodarle o svalutarle o cancellarle dal dibattito pubblico.
Tante cose sono cambiate in peggio nel frattempo. Guerre, massacri, impoverimento, smarrimento politico e morale, impotenza degli individui ridotti a spettatori hanno reso più arduo e forse quasi impossibile il «combattimento per il comunismo» auspicato da Fortini e da una parte dei movimenti del ‘68 e del ‘77.
Arriverà, dunque, questo libro fuori stagione tra le mani di qualcuno dei tanti che resistono al caos del presente e non sopportano di vivere alla giornata o – chi ancora ce l’ha – di ritirarsi a coltivare il proprio giardino? E, ammesso che arrivi, gli diranno qualcosa i temi qui trattati? Non lo so. Sarei contento se chi sfogliasse queste pagine, non si fermasse alla testimonianza di un lettore sullo scrittore Franco Fortini ma s’incuriosisse alle «nostre verità» conservate oggi in lingua morta, che si può però sempre imparare e tradurre.
Note
1 Lo stesso di una rubrica del sito «Poliscritture», dove dal 2006 raccolgo anche testimonianze e contributi di altri su Fortini.
2 Mi ha fatto piacere trovare in un intellettuale «universale» come Lukács un apprezzamento della “perifericità”: «La vita quotidiana degli uomini ha un’estrema importanza nella riproduzione della totalità proprio perché, da un lato, si hanno continue correnti che arrivano fino alle periferie, le coinvolgono nei tentativi di risolvere i grandi problemi della società, vi suscitano reazioni; dall’altro lato, tali reazioni non soltanto rifluiscono verso il centro, verso l’intera società, ma al medesimo tempo rendono operanti, per questa via, “verso l’alto“ quei particolari problemi che occupano le comunità locali minori, esigendo delle prese di posizione nei loro confronti… tale corrente reciproca di prese di posizione a noi sembra il complesso problematico più importante della vita quotidiana. Intorno all’incidenza del centro sulle periferie si hanno qua e là talune ricerche (vi sono molte ricerche sul modo in cui taluni beni di consumo “scendono“, cioè sul modo in cui operano dall’”alto” verso il “basso“). Del tutto inesplorato, per contro, è rimasto il movimento opposto, perché l’aristocraticismo dottorale della gente coltivata inclina a considerare irrilevanti tali effetti, a ritenere che tutto quanto viene pensato, sentito, vissuto, ecc. in “basso“ può essere solamente un prodotto di impulsi provenienti dall’alto» (G. Lukács, Ontologia dell’essere sociale, Roma, Editori Riuniti, 1981
3 Si veda Un “filo” tra Milano e Cologno Monzese.
4 Questa definizione allude alla distanza reale – geografica, sociale, professionale, culturale – tra me e Fortini e ha elementi di ambivalenza su cui è bene soffermarsi. Psicologicamente segnala rispetto e sospetto, reazioni di molti, credo in condizioni simili alle mie nei confronti di Fortini o verso l’autorità in genere. Certo, ho provato grande rispetto per lui. L’ho sentito un consapevole magister. E mai ho dubitato dell’ampiezza della sua cultura o della sua forza morale (cristiana e comunista) nel partecipare alla vita pubblica. Il sospetto, nel mio caso, nasceva dal volermi far carico pienamente, e a volte persino con orgoglio, della mia condizione di «intellettuale di massa» o di «periferico». Col rischio di contrappormi – da nano di fronte a un gigante, mettiamola pure così – alla reale o supposta centralità di Fortini e del suo ambiente universitario. E non ho mai voluto sorvolare su tale diversità o differenza. Anche prima d’incontrarlo mi era chiaro che pensavo e agivo rasoterra, in periferia E definitivamente, per tutta la mia vita. Tanto che avevo fatto mio un detto di Bertolt Brecht: «Diverse dalle lotte sulle cime sono le lotte sul fondo!». (Dal frammento La bottega del fornaio)
5 Anche questo confronto – va detto – è stato complicato dallo scarto esistente tra la mia condizione di periferico e quella dei docenti universitari o studiosi, che hanno gestito o gestiscono l’immagine di Fortini e il suo lascito letterario e che hanno avuto reazioni ora più aperte ora fredde rispetto a quanto andavo scrivendo su Fortini.
6 Ci tengo a far sapere che chi scrive qui di Fortini e anche della sua cerchia di amici, discepoli o studiosi è nato e si è formato in Sud Italia, abita dal 1964 in periferia – a Cologno Monzese nell’hinterland di Milano – e nella vita ha fatto l’insegnante di italiano e storia nelle superiori. É uno, cioè, che Fortini poteva anche non incontrarlo mai, tante erano le differenze di generazione, di geografia, di collocazione sociale e di formazione che lo separavano da lui e dal suo mondo.
7 «Laboratorio Samizdat» (1986-1989), una rivista “fatta in casa” e diffusa a mano. «Associazione culturale Ipsilon di Cologno Monzese» (1989-1999). Centro Studi Franco Fortini di Siena (19952010 circa). «Inoltre» (1996-2003 circa). «Manocomete» (1994-1995), rivista fondata e curata da Giancarlo Majorino. «Il Monte Analogo» (2003-2006), rivista di poesia sotto l’egida di Giampiero Neri. «Laboratorio Moltinpoesia» (2006-2013 circa). «Poliscritture» (2005-2015 in cartaceo e ora on line). Bene, li ho elencato tutti i gruppi culturali postpolitici e precari, animati da intellettuali massa, seguiti da un pubblico vario (dalla casalinga al professore universitario) e con un confronto interno spesso difficile, che ho messo su o a cui ho collaborato. Tante tappe delle mie inquiete peregrinazioni tra fortinismo marxista e ipotesi di esodo (dalla Sinistra in disfacimento – oh, la casa che brucia! – , da un passato improvvisamente oscurato dalla sconfitta del ‘68’69). Tracce ne restano in articoli su Poliscritture e altri blog da me curati e in alcuni bilanci personali.