di Ennio Abate
1958 – 1963
DA RELIQUARIO DI GIOVENTÙ
IL PASSERO
Sul prato
un passero si libra
a mezz’aria
danzando, beccando
un po’ qua, un po’ là
gli insetti, affar suoi.
[Ncopp’a l’erbbe
nu passere zumpanne
nu poche cca`
nu poche lla`
s’acchiappe e muschille
pe fatte suoie.]
[1961]
2003
DA SALERNITUDINE
TENEBREIA
Ah, cumm’è triste sta notte.
O ciele è tinte e morte.
Manchen’e stelle.
A lune s’è accuvate.
Nisciune mett’a cape fore da porte.
Mo vene na tempeste.
O mare s’è agitate.
O vviente sfrie pe ddint’e foglie.
E da muntagne cigulanne
sule nu carre scenne.
Ncoppe all’albere, la!
No, ncoppe e tufe
mamme sent’a disgrazie ro gufe:
a morte ca vene, a morte ca va.
Mitigà, mitigà!
Bbasce a spiaggie, chi ò ssà
n’ombre strisce, s’accosta, maronne!
Miezz’a vie a chest’ora chi passe?
Nu lampe fosse? Forse.
SI FA SCURO Ah, che triste questa notte. | Il cielo s’è tinto di morte. |Non ci sono le stelle. | La luna s’è nascosta.. Nessuno s’affaccia fuori dalla porta. / Arriva un temporale. | Il mare è agitato. | Il vento sfrigola nei mucchi di foglie. |E dalla montagna cigolando | scende solitario un carro. / Su quell’albero, là!| |No, sopra i tufi | mamma sente il malaugurio del gufo: |la morte che viene, la morte che va. | Guarda, guarda! / Giù alla spiaggia, chi lo sa | un’ombra striscia, s’avvicina, madonna| Per strada a quest’ora chi passa? |Che sia un lampo? Forse.
2006
DA PROF SAMIZDAT
IN BILICO SUL MURO
Soffiarono, risoffiarono ancora
nello stratosferico pallone.
Mongolfiera austera sarà.
Volerà! Volerà?
Anime belle! – sghignazzarono
i cinici, tastandone la floscezza
e alitando fiato dietro le vetrate
per celarsi.
Solo un bimbo amico, in bilico sul muro
continuò a incitare.
Non cadde nello stagno, non si distrasse
e quando, Samizdat, timoroso, riapristi gli occhi
ti era accanto. Ma eravate soli.
GUIZZI DORATI
Arrivò così, urlante
slogan sanguinari
la folla dei sanculotti
e lo trovò ancora vicino all’altare
nell’ombra della sera
inginocchiato davanti alla croce.
Riconosce subito i Giuda
i giacobini gli anarchici del Poum
i katanga della Statale.
Ancora così prete? – gli dissero –
e femmineo?
Intimarono di offrire al partito
gli orecchini d’oro che portava ai lobi.
Cos’è una rivoluzione
senza guizzi dorati?
Voleva fare il martire
farseli, nobilmente offeso, strappare.
Reagì invece come belva
morsicando le mani che l’agguantano.
(2010)
DA DONNE SENI PETROSI
Va su e giù, si tiene a mezza strada, stabilisce il passo, guida donne danzanti sul Sagro Monte di Granada. Quanto sono allegre! Come tornano bimbette, vispe e saltellanti!
A volte le rimprovera. Vorrebbe proteggerle. Ma bisbigliano strette fra loro. La forza che a lui rimane serve ormai solo se lontana. Più non accettano quel suo patriarcale succhiare i loro gesti e odori lievi.
Hanno giocato come sorelle fino alla selva dei morti. Da lì si sono ritratte dopo il grido furioso che testardo ancora ha lanciato, indicando la mobile fune che divide alto e basso, ricchezza e povertà.
A tempo perso vigila ancora. Che, danzando, non la oltrepassino. Ma sa che, stringendosi assieme e incoraggiandosi, scenderanno in pozzi d’amore, dove l’alta minaccia non è percepita.
Sgridarle ancora? Sembrano le uniche a ricordare i luoghi dove scorre sotterraneo il fiume che, liberato dell’umana penuria e dalle loro incomprensibili azioni, correrebbe nel solco dritto della morte o inaridito si piegherebbe all’alta Legge che avvampa l’ardente roveto.
TU STA’
Piccola donna forte e allarmata
di cui ho baciato le pieghe di carne più segrete
fatti in là ti dico
lascia stare le domande
e se ti amo, e se sempre alle dolci gabbie ritorno.
Tu sta’
oltre i conti crudi da servo che t’impongo.
Addolcisci il richiamo dei morenti coetanei
e anni miei.
2013
DA IMMIGRATORIO
MILANO, COREA
a Danilo Montaldi
Qui ammutoliti
la sterpaglia, i cantieri, guardando.
Corpi sfibrati di fatica.
Sopraccoperte a fiorami sulle brande.
Nelle credenze a vetri
collezioni di tiepide bamboline.
All’improvviso restringersi del mondo
spegnemmo occhi cuori e voleri
e nuotatori sprofondanti
trattenemmo in un unico spasimo
l’azzurro respirato dai padri.
LA SIGNORA FUM
E se dall’involucro a motore noto il traballio delle sue gambe
(una volta cadde e poi dopo giorni ricadde;
e mai si capì dove fosse fragile,
per dimenticare così i gradini dei marciapiedi;
e perché tanto facilmente si distraesse dal mondo,
col quale pur s’intratteneva, però
quasi sempre urlando ad alta voce
– perché da tutti inascoltata?
perché tutta palese fosse la sua disperata
voglia di comandarlo? -)
e la vedo avanzare tra le pozzanghere della stradina,
impregnatasi di storie malate destinate ad oscurarsi,
quanto e più di quella di un vulisse
precipitato in basso a osservare rasoterra il mondo,
cauto mi faccio col manubrio dell’auto,
cauto deposito un dubbio sui freni;
e sento, dolente, lo stridore del mio intelletto
contro lo sguardo suo: sfuggente, stanco,
solo in apparenza poco ostile.
ESODO
Dove andare? e correre ancora?
o ubriacarsi dondolandosi sulla soglia?
I troppo lucidati intelletti
hanno esaminato da vicino i corpi senza amore
e tramortiti ambiscono, in latino e in rancore
solo a quelli gloriosi.
Ma alla femminetta, all’animosa
guizza la capriola dell’esodo
quel dolce affanno che si brucia
nell’altro della contingenza.
E va, si consuma in sorriso
già più non oscilla.
Smesso l’assillo
al chiarore d’altra luna e altro sole
è sbucato accanto a lei
il muso dell’antica, buona bestia.
Nell’esodo, dunque.
La tana di sempre sfondata.
La gabbia approntata da secoli
aperta, finalmente deserta…
2013
DA LA POLIS CHE NON C’È
CIELO SCURO PESANTISSIMO NUVOLONE
Pioggia sulla città.
E se durasse mesi
ininterrottamente?
E non volesse più andar via.
E fulminassero tutte le lampadine
accese per rischiarare il buio funesto.
E noi chiudessimo gli occhi per non vederlo.
E i cani abbaiassero senza più sentire i pericoli.
E le porte sbattessero in continuazione per un cieco vento.
E le piante, non più nostre perché ne dimenticheremmo presto le forme,
continuassero a crescere fin nel buio delle case.
(17 giugno 1978)
CHERNOBYL
Il cavallo soffiò nell’aria.
Il bambino
vide immane la tempesta pulviscolare.
Si girò. Aveva già osservato il movimento
che il suo sternuto aveva impresso al placido viavai
del polverio luccicante nel cono di luce di una stanza
in ombra.
Il cavallo aveva solo sbruffato.
Uno sternuto – dissero all’unisono i giornali,
rassicurando i bambini di tutto il mondo.
(13 febbraio 1986)
OHI, AMICI-COMETE DI MANOCOMETE![1]
Indaffarati in collaborazioni
traduzioni altre redazioni
vogliono fare una rivista, ma non pagarsela,
vogliono scrivere, non sottoscrivere.
E a Manocomete silenziosi stanno
o vagabondi vengono, vanno.
Non mano mettono al portafoglio.
Non commettono errori.
Non hanno in mano mete.
Amici sono – come te? – comete.
(27 novembre 1995)
[1] Manocomete è stata una rivista diretta da Giancarlo Majorino assieme ad altri intellettuali come Felice Accame e Luciano Amodio. I suoi quattro numeri uscirono tra 1994 e 1995.
A UN’AMICA CON LA BRONCHITE PRESA SUL MONTE ANALOGO [1]
Cara Mariella,
approfitto della tua bronchitella
per dir che la tua lettera è quella
che avrei scritto io – oh bella! –
contro la vischiosa comunella
che venerdì nel cenacolo di Quella
o, in altro dì, di Quello, in una cella
fa del Monte Analogo una stella
variabile troppo nevrotichella
o una eterea, dolciastra caramella.
Ed io che volevo di poesia una cittadella
a moltitudini aperta; e poeti che della
guerra e della polis e d’esodi, nella
Berlusco-nana inciviltà porcella,
scrivessero o parlassero! Che iella
insalottirsi così, cara Mariella!
(gennaio 2005)
[1] È stata una rivista di poesia redatta a Milano tra 2004 e 2011
Le poesie di di Ennio Abate…di roccia nel linguaggio scabro delle radici, che sia il dialetto delle origini o quello, mai scostato, delle lunghe lotte di una vita…Opere d’arte dove i messaggi di tenerezza, di spavento, di fughe in esodo, di dissenso feroce o sarcastico, filtrano attraverso parole e immagini intrecciate, scolpite in antichi graffiti o incastonate in lucenti vetrate…