Archivi tag: Maria Grazia Meriggi

Non solo banchieri. Ebraismo e proletariato a fine ‘800

di Salvo Leonardi

Di quel “sinistro miscuglio di semiverità e confuse superstizioni” (Arendt), che fra Otto e Novecento ha animato l’immaginario antisemita europeo, due miti – più di altri – si sono rivelati straordinariamente radicati e virulenti; l’attribuzione agli ebrei di uno abnorme potere nella sfera finanziaria da un lato, e il mito del bolscevismo giudaico dall’altro, agente internazionalista della sovversione rivoluzionaria e antinazionale. A saldarli nella loro pur eclatante contraddittorietà, il tradizionale refrain di un cosmopolitismo apolide e cospirativo, foriero – fra i cittadini di “razza ebraica” – di separatezza interna e scarsa lealtà nazionale, sino all’infamante estremo del tradimento, secondo un’insinuazione che nel successo mondiale di un colossale falso come i “Protocolli dei Savi di Sion”, e nell’affare Dreyfus, avrebbe ricevuto le sue più clamorose ed epocali testimonianze. Continua la lettura di Non solo banchieri. Ebraismo e proletariato a fine ‘800

Maria Grazia Meriggi, Danilo Montaldi: militante politico, ricercatore originale

in «Lasciare un segno nella vita. Danilo Montaldi e il Novecento»
a cura di Goffredo Fofi e Mariuccia Salvati (2)

 

di Ennio Abate

Concordo con due importanti sottolineature di questo saggio di Maria Grazia Meriggi:
1. Montaldi irriducibile alle analisi del neomarxismo anni Sessanta/Settanta (pag. 175). La sua visione più plurale della classe (qui echi della lezione di Stefano Merli) e la concretezza del legame con Cremona e i “gruppi locali” di «Unità proletaria» (1957-1966) e Karl Marx (1967- 1975) lo tennero a distanza critica dal “settarismo/patriottismo” dei gruppi “fondatori” del “nuovo” partito rivoluzionario. Gli conservarono, cioè, sguardo plurale e capacità di ricerca sul plurale della classe («più che “classe operaia”»). Fino al progetto della sua ultima ricerca «in un rapporto soprattutto personale, non con un gruppo politico ad esclusione di altri, ma con alcuni militanti di alcune organizzazioni», troncata dalla morte ( pag. 181).
2. «Livornismo» (Cortesi) di Montaldi e, perciò, leninismo “pulito” o “elementare” più che bordighismo tendente all’ortodossia e alla logica ferrea ma astratta (pag. 175). O – ben detto – «rigore del comunista di sinistra» e originale creatività del suo lavoro di ricercatore ( pag. 183). Per cui la sua innegabile tensione minoritaria (dovuta alla sua formazione giovanile a contatto coi “vecchi compagni”) è capace di espansioni feconde.
Da qui: – la differenza rispetto a Pasolini (pag. 177) del suo “ascolto” (sempre di carattere politico e mai “estetizzante”) dei “marginali”; – la sua tenacia duttile a non separare «centralità dell’individuo» e «liberazione collettiva», “io” e “noi”, centro e periferia, Marx e Simone Weil, le «figure bronzee di operai con le braccia incrociate» e gli immigrati dell’hinterland milanese di «Milano, Corea». (E fu per queste sue doti di militante “diverso” – (“comunista speciale” come Fortini?) – che ci conoscemmo, anzi che ci venne a cercare lui a Cologno Monzese nel ’69-’70) .
Mi restano alcune perplessità che spero di poter approfondire in dialogo con Maria Grazia.
Capisco il valore che lei dà all’influenza del Montaldi fondatore della storia orale sui giovani storici che lo conobbero e che hanno poi cercato di innovare il loro campo di studi «in direzione della storia sociale e soprattutto della storia del conflitto sociale» (182), ma questa “continuità settoriale” (direi, senza polemica, “accademizzata”) del discorso montaldiano non basta. E specie dopo la sconfitta di quell’«altro mondialismo» (pag. 184) che nel 2006, quando io rilessi Montaldi e feci l’«elogio di un compagno periferico», ancora sembrava respirasse. Anche se già allora insistevo sulle difficoltà : « Sono tanti i nodi, tanti gli scarti fra esperienza proletaria montaldiana o operaia e esperienza precaria dell’oggi che a volte pare che ci si debba limitare a porre onestamente solo il compito di tradurre nell’oggi quel senso alto e nobile che Danilo Montaldi ebbe della condizione proletaria.» (https://www.poliscritture.it/…/montaldi-riletto-nel-2006/).
Mi spiace, dunque, dover farmi “temere” per il mio ( non so quanto) «sempre acuto giudizio» chiedendo perché mai, dopo la morte di Danilo, i tanti da lui convocati a collaborare a quel progetto troncato dalla sua morte lo lasciarono cadere?
Nei tanti decenni successivi a me vengono in mente solo alcuni tentativi di riprendere il metodo della conricerca montaldiano: quello – sempre attorno al 2001- 2006 – della rivista «Posse» (http://www.manifestolibri.it/shopnew/category.php…); quelli di Sergio Bologna ora consolidatisi – pare – attorno alla rivista «Nuova Officina Primo maggio» (https://www.officinaprimomaggio.eu/).
Poca roba nel deserto che continua a incombere.

 

APPENDICE/STRALCIO

(DAL SAGGIO DI MARIA GRAZIA MERIGGI)

Montaldi riletto nel 2006

Elogio di un compagno periferico

di Ennio Abate

Io e Montaldi

Ho conosciuto di striscio Danilo Montaldi tra 1973 e 1975, quando ho scambiato con lui alcune lettere e l’ho in contrato in due o tre occasioni. In quegli anni ero un militante di Avanguardia Operaia  e a lui, non so come, era capitata tra le mani un ciclostilato, una “Lettera aperta ai compagni del Pci” di Cologno Monzese che avevamo distribuito  per strada. Continua la lettura di Montaldi riletto nel 2006

Socialismo e/o comunismo: storie morte, parole morte?

di Ennio Abate


La Risoluzione del Parlamento Europeo Sull’importanza della memoria per il futuro dell’Europa (qui) continua ad essere commentata e discussa. Ho riportato in POLISCRITTURE SU FB l’analisi (condivisibile per me) dello storico Claudio Vercelli (qui) e segnalo altre discussioni in corso: sulla pagina FB della storica Maria Grazia Meriggi (qui) e l’intervento di Anna Foa sul sito della Fondazione Feltrinelli (qui). Per invitare ad un ripasso di storia, riporto quattro schede che preparai per il volume sul Novecento “Di fronte alla storia” (Palumbo ed. 2009) per ribadire che quelle vicende non vanno cancellate dalla mente ma ripensate e studiate. (Come avevamo scritto nel n. zero della rivista cartacea (maggio 2005), Poliscritture  « pur memore della sconfitta delle esperienze di emancipazione o rivoluzione del Novecento e del fallimento delle dissidenze nei paesi del fu «socialismo reale», non rinuncia a costruire samizdat di critica elementare contro le menzogne dei potenti, anche quelle travestite da«senso comune» ».) Ma anche per capire – e lo dico con un po’ di sarcasmo – quali scoperte di altri documenti o riflessioni nuove abbiano messo in forse interpretazioni come queste riportate nelle mie schede, che paiono ancora oggi più chiare ed equilibrate di quelle prese da molti politici e studiosi odierni o addirittura del Parlamento Europeo [E. A.]

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