Su Piero Del Giudice. Tre note.

 

di Paolo Di Marco

La storia è sempre il prodotto di una collettività, ma nel ‘68 Piero Del Giudice è stato uno dei fulcri di quella fase della storia: se, quando anche gli asini  volavano, l’aria li ha sostenuti, è stato anche grazie a lui. Se il sindacato è passato dalla fase insieme infantile e senile delle commissioni interne a forme di partecipazione maggiore come i consigli di fabbrica, è dovuto anche a lui. E anche se il ‘68 è stato prima sconfitto poi dileggiato, quello che è rimasto aleggiando della sostanza del sogno contiene anche il suo. Un grande cuore, una grande sete di giustizia, una grande sete di verità.

Con questo ha iniziato fondando il circolo Lenin di Sesto San Giovanni, radunando intorno a sé giovani operai intelligenti, combattivi, entusiasti. Lì ci siamo incontrati fondendo il gruppo di Sesto col circolo Lenin di Milano, poi unendoci al centro Karl Marx di Pisa; e allargandoci poi nel resto d’Italia. Un’organizzazione piccola, poco più di un migliaio di compagni, ma ognuno un’avanguardia con dietro di sé decine o centinaia di altri: la maggior influenza politica esterna nel movimento operaio (insieme ad Avanguardia Operaia).
All’Alfa Romeo, alla Marelli, all’Innocenti, alla Carlo Erba, alla Piaggio le lotte sono state il suo e nostro frutto, le tumultuose assemblee operaie che hanno imposto ai sindacati la democrazia prima assembleare e poi consiliare, il nostro e suo frutto.

Del seguito taciamo, anche se molto ancora nascosto ci sarebbe da indagare, molti tappeti da rivoltare per amor di verità. Ma l’amor di verità è anche un elemento centrale in uno dei suoi contributi importanti anche se insufficientemente valorizzati: la sua tesi di laurea sui campi di sterminio. Ne discutemmo a lungo, ché aveva raccolto molte interviste ad ex-deportati ma in nessuna di queste emergeva una consapevolezza chiara di cosa erano stati, da quale stoffa era stata tessuta l’anima nera del nazismo; e allora tornammo a Marx, alla sua lucida analisi del meccanismo del profitto, alla ripartizione della giornata lavorativa in lavoro per sé e lavoro per il padrone; e lo si collegò immediatamente al percorso dai campi di lavoro a campi di sterminio, alla ricerca insita nel meccanismo del potere di una stratificazione dove ogni strato schiacciava quello sotto e alla ricerca di uno strato finale schiacciato da tutti. Così Piero confutò anche la grande menzogna del nazismo come follia, disvelandone invece la natura di forma estrema del capitalismo.

Ma poi arriva la Jugoslavia, e non è solo il cuore a portarlo, ché Sarajevo è un altro punto focale della storia, il momento in cui la grande finanza europea e gli USA usano gli stessi meccanismi prima detti e trasformano l’armonia di una città interculturale, interreligiosa, interetnica in guerra fratricida. A Sarajevo muore pubblicamente quello che restava dell’idea socialista, sia nelle vittime sia nei carnefici che dall’Italia li bombardano con uranio impoverito. A Sarajevo non si sa ancora, ma comincia anche a morire l’Europa, ischeletrita dall’avidità dei finanzieri tedeschi e olandesi.

14 pensieri su “Su Piero Del Giudice. Tre note.

  1. Tutto vero, e detto benissimo, perché si fa capire. Ma è ricordo, passato. Saputo, e comunque facile da correggere la memoria ove occorre. E’ sull’oggi che manca una sintesi che componga le differenze antagoniste.

  2. Il passato è una cosa. Il ricordo del passato un’altra: operazione indispensabile. Non semplicemente per correggere i vuoti – non casuali ma spesso dovuti a una rimozione organizzata e/o spontanea – della memoria (individuale e collettiva). Ma per leggere diversamente (dando uno spessore storico) il presente. E, al contempo, a progettare/costruire un *possibile* futuro, che non sia la semplice ripetizione di un presente eternizzato.

    P.s.
    Per quanto riguarda la correzione dei vuoti, trascrivo qui sotto una utile precisazione di Paolo Di Marco:

    “Piero non viene da Lotta Continua, ma da noi, circoli Lenin e Karl Marx, poi Organizzazione dei Lavoratori Comunisti (sigla infelice e poco nota),e lì si forma in senso Marxista (con me e poi Gianmario Cazzaniga); in Lotta Continua andrà (portandosi dietro gli operai del gruppo) quando l’OLC si scioglie..ma la sconfitta del movimento è già chiara”.

  3. Segnalazione
    DA FACEBOOK A POLISCRITTURE SITO

    Claudio Accio Di Scalzo
    5 h ·
    ACCIO
    STORIE LONTANE DI LOTTA DI CLASSE A PISA E IN GARFAGNANA-LUCCHESIA. CON LA MIA LOTTA CONTINUA DI ORA – Lunga traccia sul sito POLISCRITTURE di Ennio Abate, articolo per il compagno PIERO DEL GIUDICE.

    Rispetto e simpatia per l’articolista e la figura di Piero Del Giudice che saluto a pugno chiuso. Però non risponde a verità che il centro KARL MARX avesse “la maggior influenza politica esterna nel movimento operaio (insieme ad Avanguardia Operaia)” come scrive Paolo di Marco. All’interno di un articolo che trovo necessario e forte sulla figura di Del Giudice.

    Non intendo rinnovare diatriba tra “gruppi extraparlamentari”. Anche se meritorio è ricordane la storia, le militanze, i compagni, chi diede la vita e patì la galera per il COMUNISMO. Oggi convinto che solo il Comunismo da reinventare custodendo la NOSTRA tradizione sia l’unica via possibile contro la fase attuale politica del capitalismo nel mondo.

    Avevo 16 anni ero a Pisa. Nelle lotte dal 1968 in avanti. Il Centro Karl Marx era composto da dotti universitari e intellettuali ma gli operai li vedevano col binocolo. Al massimo elementi dell’aristocrazia operaia critica verso il PCI e la CGIL. Per Avanguardia Operaia il discorso è in parte diverso, accogliendo anche elementi di area Trotskista, critica verso la tradizione sindacale italiana. In ogni caso anche questa organizzazione prima preparava la teoria e poi sperava che le “masse” in lotta vi si adeguassero.

    Lotta Continua, spontaneista, situazionista, eterodossa, non teorica, ebbe maggior presa sulla nuova classe operaia e sugli studenti. Decretandone lo sviluppo, il successo anche sui media, e rimarcandone i limiti, del proprio “operaismo”, nel 1976 quando si sciolse organizzativamente. Ma di ciò ora è inutile scrivere.

    A Pisa-Pontedera la classe operaia della Piaggio della Saint-Gobain, in Lucchesia alla KME rame, una parte di essa, e così in Italia, la classe operaia più dequalificata e sfruttata, figlia dell’immigrazione dal Sud e delle nuove forme di sfruttamento alla catena di montaggio, guardò… verso IL POTERE OPERAIO pisano e poi verso LOTTA CONTINUA.

    Io c’ero davanti ai cancelli delle fabbriche. A Pisa e Pontedera eravamo anche pronti a rintuzzare le provocazioni dei portieri e mazzieri. In Garfagnana-Lucchesia, meno.

    I mazzieri della KME rame mi rincorsero ed accerchiarono coi volantini in mano, e loro i bastoni, per picchiarmi. E fui salvato dagli abitanti di Fornace di Barga. Che li misero in fuga.

    Chi dirigeva la rivista di estetica della Multinazionale, decantando la bellezza del rame, e i prodigi della SpA per la cultura nel mondo, tal Steven Griego-Rathgeb, adesso è una delle menti teoriche della rivista “L’OMBRA DELLE PAROLE” assieme a Giorgio Linguaglossa che dirigeva carceri speciali per detenuti politici. Sulle pagine della rivista questi “teorici” in missione per riformare la poesia e l’estetica mondiale, perché quanto scritto dagli anni Sessanta in avanti non ha alcun valore, presentano, anche, (con che faccia tosta mi chiedo dato il loro passato!) Fortini, Adorno, Deleuze e tanti altri comunisti. Quando si dice l’alienazione rovesciata? Neh!

    Per me la lotta di classe vale ancora oggi se… anche on line, vincendo il bon ton tra addetti ai lavori (sorta di non belligeranza e spesso d’intese sottobanco per quieto vivere poetico), minoranza della minoranza del web, si fanno nomi e cognomi dei colti poeti che vengono a pretendere di dirigere l’estetica on line e su carta stampata. Ridicoli certo. Ma quando avranno scritto una, dico una! almeno, di poesia (delle centinaia che scrivono e si decantano tra di loro, dei saggi chilometrici ermeneutici e ontologici) sui detenuti politici massacrati nelle carceri e sugli operai morti di sfruttamento, allora per me saranno soggetti adatti alla poesia.

    POLISCRITTURE.IT
    Su Piero Del Giudice. Tre note.
    di Paolo Di Marco La storia è sempre il prodotto di una collettività, ma nel ‘68 Piero Del Giudice è stato uno dei fulcri di quella fase della storia: se, quando anche gli asini volavano, l…

    Ennio Abate

    Grazie delle precisazioni. Finché siamo vivi vale sempre farle, anche se si dovessero rinnovare le “diatribe” di una volta. Credo, però, che quando Paolo Di Marco sostiene che “che il centro KARL MARX avesse “la maggior influenza politica esterna nel movimento operaio (insieme ad Avanguardia Operaia)” si riferisca alla situazione milanese. Un saluto.

  4. “Il ricordo del passato è indispensabile … per leggere diversamente (dando uno spessore storico) il presente. E, al contempo, a progettare/costruire un *possibile* futuro”. Invece no, altrimenti albeggerebbe un progetto o costruzione… invece il bianco vuoto. Il “ricordo del passato” è allora speranza che ci sia ripetizione, che non si debba improvvisare, ragionare fuori dai binari usati. Chi guarda il mondo intanto diventato altro?

  5. E già, figurati se spuntasse «un progetto o costruzione»! Accontentiamoci del «bianco [fiore, ormai]vuoto» e della «speranza che ci sia ripetizione».
    Ah, quanti ripetono che «il mondo intanto [è] diventato altro» e ci sanno dire solo questo e non in cosa consista la sua “diversità” e a vantaggio di chi va! (Sempre se ho compreso il linguaggio criptico della signora).

  6. Invece hai capito benissimo, no? ma non c’è peggior sordo di chi non vuol capire, si dice. La ripetizione conforta. Il mondo sarebbe davvero nuovo, se non esistessero progetti o costruzioni possibili. Non è naturalmente così, solo che non “ripetono”.
    (Certo, si ripresenta la riduzione a zero di potenziale, alle invettive morali o alle rassegnazioni depressive. Forse dipende dall’età media del paese – la mia per prima, beninteso.)

  7. Hanno capito gli altri? Questo conta. Un mondo “nuovo” mediante abolizione di “progetti o costruzioni possibili” è un’utopia regressiva. Anche in un Paese di vecchi si può *pensare da giovani*.

  8. Riassumo: memoria e storia servono poco, perché sono legate al fatto che qualcosa di essenziale si ripeterebbe. Invece da parte degli “storici” non si avanzano progetti o costruzioni possibili e intanto le cose vanno avanti, non pensate dagli appassionati del passato. Progetti e costruzioni possibili li stanno facendo quelli che non rimasticano fascismo sì fascismo no, per esempio.
    Certo si può anche uniformare oggi e ieri in ampie e inutili considerazioni morali, anzi si fa pure spesso. Fedeltà alla storia e/o moralismo servono poco a capire il presente, sono eredità dello storicismo pci e del cattolicesimo dc. Quanto scritto su Del Giudice nonostante lo pretenda non ha in realtà un carattere storico, la persona diventa esemplare, il tono è quasi eroico. Non serve per dipanare la materia conflittuale dell’oggi. Lui stesso del resto nella lettera a Fortini parlava della libertà di meditare la sconfitta, vado a memoria. Ma il ricordo dei fatti che lo hanno coinvolto non serve per produrre progetti e costruzioni adeguate all’oggi.

  9. “memoria e storia servono poco” (Fischer)

    Perciò il femminismo che è andato persino a rivangare il patriarcato… serve a poco e fa a meno di “progetti e costruzioni possibili”…
    Ahi, noi!

  10. è una forma avanzata (verso dove?) di costruzioni possibili, se siamo nel cammino di cui stanno parlando dei consapevoli, ma anche intricati

  11. Di palo (“memoria e storia servono poco”) in frasca (“è una forma avanzata (verso dove?) di costruzioni possibili “).
    Attenzione alle buche sul “cammino di cui stanno parlando dei consapevoli, ma anche intricati”. Io qui mi stoppo.

    1. Ti sei fermato molto prima, in effetti gli uccellini volano, a fare passin passetto non si svoltano neanche gli angoli.

      1. p.s. rivangare? forse non hai seguito fino in fondo la conversazione tra me e Visalli: della fine del patriarcato avevamo scritto in Libreria fin dal gennaio ’96

  12. SEGNALAZIONE

    Un ricordo di Lanfranco Caminiti su Piero Del Giudice

    Lanfranco Caminiti
    28 gennaio 2o22

    piero aveva un maglione di cachemere bellissimo, blu, ampio, con il collo a barchetta – una cosa che solo lo guardavi e ti sentivi al caldo, protetto. elegante. io non avevo mai avuto un maglione di cachemere, troppo costosi. e quanto all’eleganza – tutt’al più adesso avrei potuto sfoggiarlo nell’ora d’aria al cortile di rebibbia. non che non ci tenessi – io quelli che stavano sempre in tuta non mi piacevano. era una roba da carcerati, la divisa dei carcerati. quando fiora mi mandò, non ricordo dove, una tuta adidas – che immaginava che forse mi erano rimaste giusto le braghe in quegli spostamenti improvvisi e punitivi – era azzurra, con le sue tre belle bande laterali in blu. ma non avrei mai potuto indossarla – la diedi a valerio, quando arrivò che lo avevano appena catturato e stava davvero senza niente: ne fu felice e la indossò per anni.
    mica solo al guardaroba ci tenevamo. eravamo terroristi nei carceri speciali, mica frati trappisti. quand’era giorno dei colloqui era tutto un prestarsi le cose – la giacca, le scarpe, la camicia. l’ultima cosa al mondo che potevamo volere era sembrare dei barboni.
    io non chiesi mai a piero di prestarmi il suo maglione di cachemere – io gli chiesi di regalarmelo. aveva anche un bel giubbotto di montone, ma mi interessava meno. così, iniziai a fargli la corte. lui non se lo toglieva mai – per cui ce l’avevo quasi sempre negli occhi. ora che esci – gli dicevo – me lo lasci. ero convinto che piero sarebbe uscito – non c’era nessun “elemento probatorio” che lo legasse a prima linea. era anche partita una campagna di opinione a sua difesa – un poeta, un intellettuale. scriveva poesie bellissime, piero del giudice.
    è un regalo – mi diceva, non posso dartelo. doveva essere un argomento definitivo, secondo lui – ma non secondo me. beh, ma proprio per quello – insistevo io. così, si perpetua il dono – è l’oggetto del dono, dei desideri e del dono, il segno della nostra generosità. una volta la buttò in politica – ah, voi meridionali, sempre a chiedere, sempre a far le vittime. figurarsi se poteva smontarmi.
    poi, a piero arrivò davvero la scarcerazione. e mentre faceva lo zaino per andarsene e si metteva dentro tutte le sue cose – ecco, mi regalò il suo bellissimo maglione di cachemere, magari aveva pensato che gli avevo portato fortuna e dovevo essere compensato. ero davvero contento – lo abbracciai, senza riuscire a dire nulla, buona fortuna, piero.
    così, sfoggiai il “mio” maglione di cachemere blu, con il collo a barchetta, al passeggio di rebibbia. lo portai per mesi. poi, bestia come sono, lo bucai con la sigaretta. era un buco piccolo, ma per me un’ossessione. ne parlavo con tutti – guarda, gli ho fatto un buco. un giorno, teodoro, uno dei brigatisti “minori” mi disse – ma te lo riparo io. ma sei sicuro? ma certo, sono bravo con l’ago, te lo rifaccio come nuovo, non si vedrà niente. non so perché mi fidai – non mi ero mai fidato dei brigatisti. quando stavo a badu ‘e carros mi avevano lasciato senza lenzuola e ognibene, uno dei brigatisti “maggiori”, da sotto mi disse – non preoccuparti, te ne presto uno io. me lo passò dalle sbarre. giorni dopo mi disse che aveva i funghi – ma gran testadicazzo, e mi dai il lenzuolo tuo? comunque, a teodoro consegnai il maglione di piero come una reliquia – d’altronde si stava allontanando dalle br, forse potevo fidarmi. il giorno dopo me lo riconsegnò tutto contento, sfidandomi – trova il buco. beh il buco non c’era ma aveva fatto uno gnommero di filo, un’escrescenza che si vedeva peggio del buco. ma checazzo hai fatto? lo disfeci subito – ma ora il buco si era persino allargato. non mi importava – snob come sono portavo con fierezza il mio buco.
    passò qualche tempo e ci fu il compleanno di paolo. ci facevamo piccoli regali, in cella, un libro che si era finito di leggere, per dire. o magari ci si regalava un turno dei piatti o si cucinava qualcosa di ”speciale”. non avevo nulla da dare a paolo – che era tutto preso da aristotele in quel periodo. la cosa più preziosa che avevo era il maglione di cachemere. a paolo volevo tanto bene, e gliene volli ancora dopo, quando venne a trovarmi in calabria appena uscito, e quando poi facemmo la rivista “luogo comune”. gliene voglio ancora.
    così, gli regalai il maglione di cachemere di piero, che gli avevano regalato e che lui aveva regalato a me, che io avevo bucato e che io avevo passato a teodoro per riparare. buon compleanno, virno, fratello mio.

    ( Dalla sua pagina FB: https://www.facebook.com/lanfranco.caminiti/posts/3265257417042761

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