Punti di vista

di Giorgio Mannacio                                     

Il titolo – deliberatamente modesto – vuole sottolineare come ciascuno di noi manifesti, quale che sia il suo campo di osservazione, atteggiamenti e opinioni largamente influenzate dalla propria storia. Anche quest’ultimo vocabolo viene qui utilizzato in una versione modesta. Con esso non si allude alla catena degli avvenimenti  importanti ai quali ha assistito o ai quali ha partecipato ma a tutti quegli elementi della sua esperienza . Questa può consistere sia in avvenimenti visti o vissuti.

Sia in tracce culturali sia infine in superstizioni fossilizzate come verità. Questo percorso di esplorazione ci porta a spiegare i comportamenti e le opinioni . Altro è il problema della loro giustificazione in base a “ valori “  .

25 APRILE E 2 GIUGNO.

I.

Il 2 giugno ci siamo riuniti, le mie figlie, i loro compagni e i loro figli per una cena familiare. Il primo di giugno è nato il mio secondo nipote e il 2 giugno sono nato io. Siamo soliti festeggiare unendo in un unico giorno  i due avvenimenti. Dopo cena mio nipote Luigi pose a suo padre e a me la seguente domanda. “ Perché alcuni festeggiano le due date e alcuni no? Non sono due feste egualmente nazionali ? “ Aggiunse poi che “ almeno “ il 2 giugno – festa della Repubblica italiana –

non avrebbe dovuto determinare divisioni.

La domanda mi stupì un po’. Mio nipote è una ragazzo sveglio, simpatico, pieno di amicizie ma portatore di una visione del mondo in cui c’è poco spazio per lo studio   sui libri e molto invece per le relazioni sociali. Nello stesso tempo però fui contento perché mi mostrava un lato sconosciuto del suo carattere e una certa attenzione alla storia del nostro paese. Suo padre ed io

Descrivemmo in parole semplici ma chiare i termini del problema che ci aveva posto. Mostrò di aver capito ma la sua osservazione finale fu che il 2 giugno avrebbe dovuto in ogni caso essere festeggiato da tutti. Questa affermazione mi è sembrata molto significativa e mi ha spinto ad una mia meditazione di portata generale.

II.

Ponendo la mia esperienza personale a confronto con la sua mi sono reso conto che la mia  e la sua  propongono  un problema di “ distanze “ non solo temporali ( io sono nato nel 1932 e lui nel 1999 ) ma anche culturali. Nel 1942  avevo 10 anni e la guerra era  già iniziata  (il primo bombardamento di Milano del 20 ottobre del 1942  sorprese mio padre e me in via Verziere e ci costrinse a rifugiarci in una cantina). Fui mandato per sfollamento presso i nonni materni in uno sperduto paesino della Calabria. Mio padre aveva intuito –  e continuava a ripeterlo a parenti ed amici – che la guerra avrebbe  colpito pesantemente le città . Era un ammiratore di Benedetto Croce e antifascista. Ricordo vagamente alcuni sui discorsi con un suo amico e il senso di essi. Feci a tempo – finita la guerra – a sentire da lui qualche notizia sui moti partigiani di Milano ( lui e mia madre erano rimasti al Nord ). Seppi che – pur essendo uomo mitissimo – era andato in piazzale  Loreto a vedere Benito Mussolini da lui additato come responsabile della guerra e di altre atrocità.

La mia “ infarinatura antifascista “ per il momento non ebbe altro nutrimento. Durante il mio sfollamento si parlava solo di guerra in generale; si manifestava il desiderio che terminasse; il fascismo si presentava negli slogan scritti sui muri; due comunisti vivevano non perseguitati ma solo guardati a vista in mezzo a tutti gli altri; si osservavamo a distanza i fuochi dei bombardamenti sul mare; vedemmo una colonna di Tedeschi in rotta. In famiglia non c’era una vera e propria coscienza antifascista ma una disapprovazione  “ di massima “ per lo stato delle cose. Per moltissimi, forse la maggioranza  degli abitanti dell’intera Regione  “ l’Italia era stata liberata dagli Alleati “ associati a quei pochi soldati italiani che si erano ribellati in qualche modo al Fascismo ponendosi sotto la direzione degli anglo-americani. Anche negli anni successivi – tornato in Calabria per rivedere i parenti e trascorrere con loro giorni di vacanza –  non ebbi mai la sensazione di una esatta conoscenza e valutazione della lotta di liberazione ad opera dei “ partigiani “. Il seguito della mia vita dopo lo sfollamento si svolse a Milano e qui la diversa collocazione  territoriale mi aprì prospettive diverse e più complesse. Non tanto per il corso degli studi ( i miei professori non ci parlarono mai delle vicende storiche precedenti; il nostro Preside, un umanissimo ebreo ex rabbino sospeso dall’insegnamento  e poi ad esso ritornato non ci parlò mai delle sue personali vicende ) quanto per piccoli particolari e la mia curiosità di lettore onnivoro. Un giorno, uscendo dal Liceo alcuni miei  compagni ed io stesso fummo aggrediti da un gruppo di nostri coetanei al grido “ Viva il Fascismo “. Mi ruppero gli occhiali e mi fecero conoscere il padre di un mio compagno, sospeso dal suo impiego perché comunista. Le letture fecero il resto e così la mia giovinezza si riallacciò  all’infanzia e ai brevi ammonimenti di mio padre che nel frattempo mi aveva lasciato ( morì giovane nel 1946) . Ricordo infine un mio amico comunista che portò a termine . prima di morire giovanissimo – un libro ( Giacomo Vietti: L’alta Val di Taro nella resistenza, ed. ANPI Parma 1980) che nella sue particolarità territoriali mi schiuse   un panorama di lotte giuste nel loro scopo  più ampio di quello immaginato. 

III.

Nel corso degli anni si è consolidata in me la convinzione che quasi metà dell’Italia non abbia avuto conoscenza della Resistenza . Ho scorto questa dimenticanza o sottovalutazione anche nel confronto tra due splendidi films. L’afflato resistenziale e la “ dimensione politica “ che permea Roma città aperta di Roberto Rossellini non si riscontra , a mio giudizio.  nell’altrettanto coinvolgente Le quattro giornate di Napoli in cui è accentuato il carattere individuale della  rivolta e alla fine ci si commuove più per la morte del piccolo Capuozzo che per i ritrovati destini dell’Italia come nazione liberata dal Fascismo. Forse sbaglio e cerco forse  conferma su una opinione che può essere argomentata con ragioni più solide e meno evanescenti. Ma io la vedo così.

IV.

Mio nipote è carente di tutto ciò. A scuola – per quel poco che trapela dalla sua  giovanile reticenza – nessuno ha parlato di Storia, tantomeno della nostra. La scuola non gli ha trasmesso alcun entusiasmo per la lettura dei libri dei quali la  sua casa è ben fornita. I suoi compagni sono nella sua stessa condizione e- dunque – di nessun aiuto. I suoi genitori – dopo le delusioni per l’esperienza della Sinistra (nella sue variopinte versioni) si sono orientati verso la prassi di una rigorosa morale pubblica (e di questo sono ovviamente orgoglioso) , prassi che li pone in quasi perenne contrasto con i Pubblici poteri.

Mio nipote non può neppure far riferimento a forti elementi simbolici, le manifestazioni della Resistenza essendo mal concepite e mal governate. Persiste – a spiegazione parziale di queste lacune – il fatto cui ho accennato in precedenza: quasi metà dell’ Italia ignora la storia della Resistenza (i suoi motivi, i suoi svolgimenti, le sue particolarità).

E’ dunque significativo che il nipote si riconosca “ di  più“ nel 2 giugno: nella Repubblica – che è un dato formalmente  indiscutibile .  Ne trova conferma  nelle parate militari solenni che – a parte ogni deriva militaristica che non gli appartiene  – rappresentano per lui l’unità della popolazione che ha la sua stessa lingua , unità avvalorata da segni sensibili e ufficiali. Sotto questo aspetto non gli manca totalmente il senso della Storia e l’importanza della frattura con il passato reale e imperiale. La sua conoscenza è incompleta e giustamente si meraviglia che anche questa conoscenza incompleta sia trascurata “ da quasi metà dell’Italia “.

2 pensieri su “Punti di vista

  1. Triste verità.
    Giorgio Mannacio come al solito ci mette davanti ad un presente che pare si voglia dimenticare ad ogni costo del passato. Interessi politici? Indifferenza ?….Ma qualcuno si porge ancora domande….per fortuna.

  2. …e sì è vero quanto dice Giorgio Mannacio, anche se il nostro, rispetto ai giovani, essere più sensibili alla Storia e aver conservato un debito di riconoscenza per chi ci ha permesso di uscire dalla sottomissione alla-e dittatura-e per via che in qualche modo siamo stati testimoni della guerra e delle sue conseguenze…d’altra parte, di fatto non siamo stati capaci di difendere quei valori su cui si basò la ribellione, poichè sembra che siamo giunti ad un’altra esperienza politica simile. A parte la disinformazione, di cui non credo di poter incolpare la scuola o i genitori, se mai l’ondata nera del lavaggio capitalistico-tecnologico dei cervelli, a quali convinzioni possono essere arrivati i giovani oggi? Eppure continuo ad avere una grande fiducia in loro, perchè tutto non può la forza distruttiva in atto, anzi attiva prima o poi meccanismi di difesa, quindi sono d’accordo con Giorgio Mannacio sul fatto che i giovani ci possono ancora sorprendere e, magari, darci una mano un giorno…Solo che, penso, il loro cammino può solo essere tortuoso e difficile, ma sorprendente infine…Posso aggiungere la mia esperienza personale con un nipote di 14, quasi 15 anni…anche lui in apparenza distratto da varie mode, quando quest’anno si svolsero due manifestazioni contro ” i mutamenti del clima”, lui vi partecipò con convinzione…non senza diversi disagi, abitando piuttosto lontano dalla città, Losanna, dove si svolgevano. Insomma non voglio cadere nel “complesso di Biancaneve”, cioè riconosco e dichiaro che “loro” sono più “belli” di me, forse ci apriranno a un futuro migliore…tempo al tempo

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