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Mio figlio andrá a scuola

NOTE DI FINE ESTATE (4)

di Donato Salzarulo

1.- Sui cinque anni a Tavoletta porto spesso il toro all’abbeveratoio, vicino al pozzo. È abbastanza distante dalla stalla. Lo trascino per la cavezza e lui tranquillo mi segue. Poi lo riporto indietro e lo riaffido a mio padre.
Non faccio solo questo: nelle belle giornate lo accompagno mentre porta le mucche a pascolare verso l’Ofanto. Ho ancora nelle orecchie le sue grida di richiamo, non appena vede qualcuna allontanarsi troppo dal branco: “Neeriiii votaaa-voo!” “Biaanchiii, torna qua!”
Guardo la mia sorellina di un anno sistemata nel seggiolone di legno; vado a controllare se le galline hanno fatto le uova nel pollaio (potevano farle anche fuori!); vado a spigolare insieme a mio fratello. La mamma ha cucito due sacchetti adatti alla nostra età, ce li appende al collo e, dopo il passaggio della mietitrebbia, ci manda per i campi a raccogliere le spighe rimaste. In questo modo, un giugno-luglio raccogliamo, non ricordo bene, se tre o quattro quintali di grano…
Non vorrei esagerare. Non mi sono sentito una vittima né un bambino sfruttato. Facevo ciò che in campagna un bambino della mia età in quegli anni ordinariamente faceva.
Gioco pure tanto sull’aia con mio fratello e Franchino, il figlio del guardiano dei cavalli. Giochi di movimento (ad acchiapparsi, a nascondino, ad arrampicarsi su un albero), giochi di costruzione, giochi imitativi e simbolici…

2.- Un giorno, don Attilio, il padrone della masseria, rivolto a mio padre, dice:
«Domenico, hai un bravissimo figlio!… Sarà come te un ottimo massaro».
Non l’avesse mai detto. Alzando il dito medio, gli risponde:
«Don Attì, t’aggia sci ‘nculo!… Mio figlio andrà a scuola!».
E, infatti, di lì a qualche mese, mi affida a sua madre e a sua sorella per poter frequentare la prima elementare a Bisaccia.
Negli anni successivi tante volte mi ripete il racconto di questo breve ma intenso scambio verbale fra lui e il padrone. Me lo ripete con soddisfazione sempre più compiaciuta in relazione diretta ai miei successi, si dice così?, scolastici e professionali.
Non c’è bisogno di consultare un analista per capire che, attraverso la mia persona, realizza un suo sogno. Un sogno nutrito da molti padri contadini di quella generazione. Un sogno di emancipazione sociale, di miglioramento delle condizioni di vita dei loro figli.
Sono andato a scuola, ho insegnato, ho fatto il dirigente scolastico, e tante altre attività sociali, culturali e politiche. Tutto bene, dunque? Ho realizzato il sogno di mio padre. Ma è davvero così?

3 – Il mio compare di fede si chiama Michele. Fa per decenni l’insegnante d’italiano all’estero. Verso la fine degli anni Ottanta lavora ad Addis Abeba. In uno dei miei ritorni estivi a Bisaccia ci incontriamo e mi invita calorosamente ad andare a trovarlo per visitare quei luoghi.
Ad un pranzo insieme, glielo riferisco a mio padre. I suoi occhi grigio-azzurri si accendono.
«Oh, che bella cosa!… Dai, Donato, andiamo…Andiamo per una quindicina di giorni… Pago tutto io».
«Papà, ma come faccio?… Ho troppi impegni: la famiglia, la scuola, l’assessorato, la politica…Come faccio a lasciare tutto?… Ne riparliamo, in un momento più propizio».
Non ne riparliamo più. Il 13 giugno del 1991, mio padre muore.
Ho il rimorso per non averlo accompagnato.
Aveva trascorso là, in Etiopia, 9 anni della sua gioventù. Aveva diritto a rivedere quei luoghi.
Magari voleva ripensare e riflettere meglio su un segmento di storia della sua vita.

4.- Sia chiaro. Se ho reso pubblica la “Cronologia essenziale della vita di mio padre” è perché non lo ritengo soltanto un fatto privato. O, meglio, è una storia di famiglia, una storia di generazioni, di rapporti tra di noi, ma i suoi risvolti sono sociali, culturali, politici. La sua storia non è quella di un magnate dell’industria o quella ultra propagandata di un miliardario creativo come Steve Jobs. Non è neanche quella di uno scrittore, filosofo, pedagogista o altro.
Nello stenderla mi sono limitato a mutuarne la forma dai manuali letterari o filosofici, anche se mio padre, a parte una decina di “cartoline dal carcere”, non ha scritto niente. La Cronologia, infatti, registra prevalentemente la data, il luogo in cui si trova e l’attività lavorativa.
Per parlare di lui, però, ho notato che sono stato spesso costretto a parlare di altri. Così ad esempio, ho dovuto scrivere che il nonno emigra in America per dire che trascorre l’infanzia in simbiosi con la madre. Un dato importante. Così importante che, nel 1950, quando mio padre viene incarcerato per aver occupato terre incolte, le lettere al figlio sono firmate unicamente da sua madre. Il padre Donato è come se non esistesse. Ovviamente nessuno dei due sa scrivere. Per l’occasione la scrivana è la loro figlia Francesca, che ha frequentato la terza elementare (anche l’istruzione di mia madre si ferma a questa classe) e che evidentemente riceve l’ordine di firmare così. O le viene da firmare spontaneamente così. Come se in famiglia si sapesse che tra padre e figlio la relazione sia corrosa, arrugginita. E ci credo! Mandare un figlio sotto padrone a nove anni è sorte quasi peggiore di quella accaduta a Gavino Ledda, che impara a fare il pastore del gregge di famiglia e non il bovaro delle mucche degli altri.
Ma non è di questo che voglio parlare. Non invidio Ledda. Mi interessa soltanto sottolineare che, quando si scrive la Cronologia della vita di una persona, si è costretti, comunque, a vederla in relazione. Una relazione doppia: con noi stessi e con gli altri. Nel caso di chi scrive o di chi pensa per professione, la relazione con sé stessi si traduce in opere. E la relazione con gli altri diventa occasione di incontri, confronti, scontri, dissensi, ecc.
Non è che mio padre non abbia vissuto le due facce di questa medaglia relazionale. Non avendo, però, scritto niente, tutto rimane affidato alla tradizione orale: ad esempio, l’aneddoto del suo scontro verbale con don Attilio; un aneddoto, comunque, importante per capire i suoi pensieri, i suoi valori, le sue scelte e i suoi atteggiamenti in quel preciso momento storico.
Sempre per esemplificare, in quegli anni, oltre ad essere iscritto al PCI, e aver vissuto l’esperienza dell’occupazione delle terre incolte e del carcere, è sicuramente un iscritto alla sezione Federbraccianti della CGIL. Il rappresentante di Cerignola V. Pasculli gli scrive su un foglietto timbrato tutto ciò che gli spetta come massaro di bovini (12.329 Lire al mese, 25 Kg di grano sempre al mese, olio, sale, provolone, ricotta, indennità caro pane, ferie, ecc.); un foglietto che sicuramente lui portò al suo padrone…

Insomma, a scrivere una Cronologia c’è di che riflettere. È una scrittura-soglia che apre diverse piste. Per il momento mi limiterò ai seguenti punti:

  1. Il rapporto con mio padre
  2. Fascismo e consenso
  3. La mitologia dell’individuo
  4. Il privilegio della scrittura
  5. La biografia di molti giovani oggi.

5.- Se nella Cronologia si calcola lo spazio dedicato al periodo 1914-1953 e 1953-1991, si nota che il primo è molto più ampio del secondo. In breve, dedico meno parole e pensieri al tempo vissuto insieme. So di più e scrivo di meno, so di meno e scrivo di più.
È vero che una persona è sempre una montagna da scalare e in certe zone proprio non si riesce a salire. Ma quasi quarant’anni sono sufficienti per poter dire qualcosa di sensato su una persona. Io non ho avuto problemi sostanziali con mio padre perché ho accettato (e accetto) fino in fondo alcuni suoi valori sostenuti nel tempo vissuto insieme: l’importanza dell’istruzione, il lavoro svolto bene e onestamente, l’eguaglianza tra le persone, la lotta per il comunismo e per una società migliore, ecc.
Penso di non aver dedicato molto tempo alla conoscenza della storia della sua vita prima del matrimonio con mia madre (dicembre 1947) per una serie di ragioni elencate in una recensione al libro di Giuseppe Antolino, un mio compagno di scuola (qui), che, invece, sapeva tutto o quasi tutto di suo padre.
Scrissi: «Insomma, leggendo il libro del mio compagno, ho scoperto di conoscere pochissimo quel periodo di vita di mio padre. Perché? Bella domanda. Forse perché, educato alla politica con le manifestazioni antimperialiste della guerra Usa nel Vietnam, non amavo (e non amo) questo passato colonialista del nostro Paese. “Italiani brava gente”?… Smettiamola! Poi proprio in quegli anni si scopriva che i nostri avieri avevano ripetutamente irrorato d’iprite (e altri gas) quelle popolazioni. Forse perché preferivo il padre ribelle, comunista e occupatore di terre irpine del dopoguerra a quello “civilizzatore”, fascista e a caccia del “posto al sole” nelle terre etiopi. Fra le mie scelte e quelle sue degli anni Cinquanta coglievo maggiori elementi di continuità. O forse perché abbandonare una donna e un figlio, anche se si è costretti, non mi sembrava un motivo d’orgoglio. O forse perché la perdita della primogenitura rappresentava una ferita inconscia da rimuovere. O perché mio padre non era un grande narratore ed io ero un distratto e pessimo uditore…».
Diciamo pure che ho operato una rimozione. Ho fatto male, perché proprio la sua storia di vita evidenzia a chiare lettere la politica fallimentare del regime fascista.

6.- Recentemente un intellettuale liberale del calibro di Ernesto Galli della Loggia in un editoriale apparso sul Corriere della Sera (1/11/2021, difende la vulgata del Mussolini che “ha fatto qualcosa di buono”. L’elenco è il solito e non voglio neanche ripeterlo. «Ma cosa vale tutto ciò di fronte all’altro lato della medaglia? Di fronte al non potere senza permesso stampare un volantino o convocare una riunione pubblica per discutere di una qualunque questione, al non potere abbonarsi a un giornale straniero di proprio gusto o organizzare un sindacato? Che cosa vale di fronte all’essere guardati con sospetto se invece di un buon cattolico si è per caso un valdese, alla possibilità di essere fermati e arrestati a discrezione di qualunque poliziotto, di dover restare sempre zitti e buoni, pena un pestaggio o un litro di olio di ricino, di fronte al primo idiota che indossi una camicia nera? all’obbligo di dover essere sempre d’accordo in pubblico con quello che pensa o decide Lui? E che cosa valgono oggi, retrospettivamente, tutte le “cose buone” di cui si è detto sopra di fronte alle leggi razziali, alla decisione di allearsi con le belve per fare una guerra, per giunta senza neppure curarsi di disporre dei mezzi necessari, di fronte alle distruzioni senza pari abbattutesi di conseguenza sulla penisola?» (Corsera, pag.28)
Ecco, secondo Galli della Loggia, il piatto positivo della bilancia. Rileggo. E poi rileggo ancora. Alla terza volta penso a mio padre. Nel 1923-35 è apprendista vaccaro a Montella. Stampare un volantino? Convocare una riunione? Abbonarsi a un giornale straniero?… Sì, in effetti, ne ha un gran voglia e gli scoccia non poterlo fare.
Cattolico?…Valdese?…Si, in effetti, recentemente, studiando a fondo i movimenti pauperistici del cristianesimo,  ha deciso che, essendo un povero, si sente più in sintonia con i valdesi e, quindi…
Scherzi, a parte.  Ecco come ragionano gli intellettuali liberali. Non guardano neanche il mondo dalla loro finestrella. Semplicemente lo identificano con il loro mondo: libertà di stampa, di riunione, di religione, di parola…Tutte esigenze giustissime e da difendere a spada tratta.
Ma della Loggia, che considera positiva la riforma Gentile, sa quanti erano gli analfabeti durante il fascismo? Quasi uno su tre (il 27%). Esattamente quanti ne contava l’Italia liberale.
La storia di vita di mio padre e di tutta la sua famiglia fa capire che il fascismo ha lasciato in tutta la penisola milioni di contadini (e non solo) in uno stato sostanziale di analfabetismo. Salvo che non si voglia considerare alfabetizzato e istruito una persona che sa fare la sua firma e che ha frequentato la scuola fino alla terza elementare.
Quando si dice che il regime aveva il consenso della stragrande maggioranza di italiani, cosa si intende per “consenso”?…Quello espresso da mio padre nel momento in cui, dopo l’assolvimento dell’obbligo militare, nel 1937 firma volontariamente e parte per l’Africa orientale?…Ma che alternative ha?  Relegarsi in campagna a pulire una stalla, a tirar via paglia e merda da sotto le mucche, a riempire di fieno la mangiatoia, a mungerle, ecc. ecc.
La libertà non è solo quella di parola, di stampa, di riunione, di religione…Libertà è anche il pacchetto più o meno ampio di possibilità che una persona ha.
È chiaro che un giovane bovaro nelle sue condizioni è una persona ideale per la propaganda del regime: l’Etiopia come eldorado, terra, lavoro e donne, un posto al sole altro che i muggiti delle vacche di Montella…
Io non interrogo, non chiedo, non domando. Ma mio padre sorvola. Su questo periodo è abbastanza reticente. E non solo per via della donna e del figlio su cui preferisce tacere. Anche perché, essendo inquadrato nell’esercito, sicuramente partecipa ad operazioni militari non sempre confessabili.
Per quanto mi riguarda, non ho dubbi. Alla fine condivide la filastrocca popolare bisaccese:
“Duce e duce che ngiai fatt’a riduce / lu jorne senza pane e la notte senza luce” (Duce, duce come ci hai ridotti / il giorno senza pane, la notte senza luce).
L’analfabetismo era una piaga così diffusa nelle campagne che, durante tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, l’UNLA aveva a Bisaccia un suo edificio e organizzava i corsi serali di educazione degli adulti.

7.- Il liberalismo è un’ideologia. Sostiene notoriamente l’assunto che una società è composta da una somma di individui autonomi e sovrani. “Ogni uomo è dio / il testo pensiero povero /stantio” ho scritto una trentina d’anni fa. Per carità! Non ho nessuna voglia di metterla in discussione in questa occasione. Ma un individuo non cresce in una famiglia? Non ha bisogno di risorse, relazioni, stimoli?…Nessuno di noi nasce “individuo autonomo e sovrano” e, magari, pure col “pensiero critico”. Lo si diventa. Questo processo si chiama “individuazione”. Ma per “individuarsi” occorre “socializzarsi”, così come per parlare una lingua occorre esporsi alla conversazione con gli altri.
Se questa “socializzazione” non ha lo scopo di formare “individui autonomi e sovrani”, si modella una massa di gregari, obbedienti alla voce e alle parole del Capo. Credere-obbedire-combattere. Se poi questi individui non sanno né leggere né scrivere (o lo sanno fare pochissimo) si indebolisce il processo di individuazione.
Imparare a trasferire sulla carta i propri pensieri (magari, non soltanto per comunicare alla propria moglie come si sta in carcere) attiva processi fondamentali per dirigersi verso quella meta dell’”individuo autonomo e sovrano”. Ammesso che sia raggiungibile. Perché neanche un re è completamente autonomo e sovrano. “Il re è nudo”, racconta Andersen nella sua fiaba…
Comunque, che individui poteva formare il regime fascista?…
Quella di mio padre, secondo me, è la storia di una persona che subisce direttamente e/o indirettamente una catena di violenze sociali e culturali. A partire da quella di finire sotto padrone a nove anni. È la storia di una persona che introietta una visione violenta e autoritaria dei rapporti sociali.
Ecco perché per lui mandare i figli a scuola diventa un dovere fondamentale: perché ha subito molte umiliazioni.
Quando insiste a ripetermi l’episodio del dito medio alzato contro don Attilio, forse non vuole soltanto dirmi che si è comportato da ottimo allevatore di cuccioli, sacrificandosi per mandarci a scuola. Forse vuole dire che dobbiamo ascoltare la sua storia di violenze subite, scriverla, rifletterci sopra. Lo chiede soprattutto a me che per decenni scrivo centinaia di volantini e articoli con lo scopo di denunciare le condizioni di bisogno di persone umili come lui e la mia famiglia. Come?!… Si fa raccontare tutto sulle condizioni di lavoro in questa o quella fabbrica e non mi domanda nulla su come vivevo quando facevo l’apprendista bovaro?…

8.- Chi scrive è un privilegiato. Non solo perché fin dall’origine questa attività viene esercitata da un ceto sociale privilegiato. Ma perché potenzia enormemente il processo di individuazione. Scrivere è come costruirsi una stanza tutta per sé. È vero che può trasformarsi in una prigione. Ma spesso è uno spazio di conoscenza del Sé nel proprio rapporto con gli altri. E così si cresce. È lo spazio della coscienza morale e dell’immaginazione, della responsabilità e della finzione.

Quando ti ho riconosciuto,
eri già passato, già consegnato
alle falde acquifere della morte.
Nel sottosuolo poroso della memoria,
non c’è volo di rondine che possa
salvarti, né grido di gabbiano
che possa riportarti alla lieve
carezza del mare.
                        Non posso nulla contro
questo continuo mancare.

So che mio padre non avrebbe potuto scrivere tali versi. Non avrebbe potuto ricavare, ad esempio, dai suoi cinque anni di prigionia versi simili a quelli del “Diario di Algeria” di Vittorio Sereni; ma un quaderno in cui s’appuntava con la sua grafia non proprio da prima elementare, perché capiva che non poteva continuare a tracciare le parole come un bambino di sei anni, gli avvenimenti più importanti che gli capitavano, poteva scriverlo. Chissenefrega se sarebbero state pagine infarcite di errori d’ogni tipo e se certe volte sarebbero apparse indecifrabili. Hanno decifrato i geroglifici. Avrei decifrato anche i suoi.
Francamente non capisco quelle persone che vorrebbero avere a che fare soltanto con opere di grande letteratura. La scrittura non è stata inventata per far esprimere esclusivamente i campioni e i premi Nobel. Sereni, un poeta che amo, non sarebbe stato defraudato di nulla se mio padre avesse raccontato la sua esperienza della prigionia, a suo modo e con i suoi scarsi mezzi a disposizione.
Il fatto, secondo me, è che non aveva una grande pulsione a narrare né a documentare. Non si sentiva né testimone né protagonista. Viveva la sua vita di prigioniero e la cosa finiva là. Aveva già introiettato la scarsissima importanza della sua vita confrontata a quella di una “grande personalità”. Peccato. Anche questo suo atteggiamento andrebbe addebitato probabilmente ad un’educazione fascista, di destra. Si fosse imposto di scrivere almeno un’ora alla settimana cosa gli era successo, oggi avrei un diario da leggere e non starei qui a lambiccarmi. O forse starei ancora qui a lambiccarmi per cercare di decifrare i suoi racconti e i suoi pensieri, ma avrei qualcosa tra le mani. Serviva solo a me o, al massimo, ai miei familiari? Può darsi. Non ci sarebbe stato nulla di male.
Ma la vita, si sa, è ricca d’imprevisti.

9 – Spero di no, ma ho l’impressione che la carriera lavorativa di molti giovani d’oggi stia diventando molto simile a quella di mio padre: precaria e flessibile. Oggi qui, domani là. E con salari o stipendi tutt’altro che appetibili. Le condizioni economiche, sociali e culturali sono indubbiamente mutate, ma molte sono le attività in cui chi lavora si trova da solo a fronteggiare padroni e padroncini sempre più sfuggenti e tutt’altro che socialmente responsabili.
Ovvio: la stragrande maggioranza dei nostri giovani non pascola più mucche o ara terre. Questo lo fanno gli stranieri contro cui si scaglia Salvini e, purtroppo, una buona parte della nostra società. In conclusione, il clima sociale, culturale e politico non mi sembra entusiasmante.
Forse riflettere sulle storie di vita dei nostri padri e dei nostri nonni può servire ad elaborare o rielaborare frammenti di “coscienza storica” utili ad affrontare il nostro presente.
Per questo ho scritto la “Cronologia essenziale della vita di mio padre”. Principalmente per questo.

Essere un giovane di Azione Cattolica

di Dario Borso

Cinque giorni dopo la caduta del fascismo, dal Giornale di Vicenza del 30 luglio 1943 l’azionista Mario Dal Pra rivolgeva un invito accorato “ai giovani che hanno fino a ieri nelle nostre scuole dato testimonianza a questa nostra idealità; con quella fede che ci ha guidati nel formare le loro coscienze oggi ritorniamo a loro e diciamo: per la salvezza della nostra Patria, per non venir meno al nostro preciso dovere, facciamoci apostoli di quest’ordine nella libertà, in cui è divenuta lieta, anche ieri, la nostra giovinezza”. Continua la lettura di Essere un giovane di Azione Cattolica

Rosa Luxemburg a 150 anni dalla nascita

Alla ricerca di un fondamento sensato del socialismo.

di Giorgio Riolo

I.

Con una personalità come quella di Rosa Luxemburg non ce la si può sbrigare con un semplice articolo. Occorre farlo tuttavia. Con il fermo proposito che gli esseri umani, donne e uomini di ogni generazione, che non si accontentano di subire passivamente le malefatte del proprio mondo non possono fare a meno di conoscerla e di studiarla. Anche solo attraverso il gran bel film di Margarethe Von Trotta “Rosa L.” e le celebri biografie di Paul Frölich e di Peter Nettl. Anche solo, rimanendo in Italia, attraverso i lavori pionieristici di Lelio Basso e di Luciano Amodio. Continua la lettura di Rosa Luxemburg a 150 anni dalla nascita

La spinta eversiva di “Fughe”

 

di Ilaria Verdi

Un altro intervento su Fughe di Velio Abati. [E. A.]

Victa iacet pietas, et Virgo caede madentes,
ultima caelestum, terras Astraea reliquit.

(Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 149-150).

Se nel mito di Astrea, l’avidità e i crimini caratterizzanti l’età del ferro, avevano causato la fuga degli Dei, nelle Fughe di Velio Abati la ritirata non è concepita: le “fughe” piuttosto si pongono come una spinta al cambiamento con lo scopo di combattere quella “ostinata immobilità che germina la disperazione” (La cartella, p.83). Continua la lettura di La spinta eversiva di “Fughe”

In morte di Alfredo De Palchi. Memento per i vivi

di Ennio Abate

Della morte di questo poeta da tempo vivente negli USA ha dato notizia il 10 agosto scorso il blog L’OMBRA DELLA PAROLA (qui), che molto si è speso da anni per far conoscere la sua produzione. Sulla sua qualità e originalità per ora non mi pronuncio. Voglio invece sottolineare il mio dissenso, anche in questo momento di lutto, per la rimozione non innocente dei nodi politici e storici più ardui non solo dalla riflessione su De Palchi ma da quasi tutte le attuali discussioni sui poeti e la poesia. E lo faccio – ancora una volta polemicamente, purtroppo – pubblicando alcune mail del 2015 tra me e un amico, che lascio anonimo; e ripubblicando un commento, ovviamente ignorato, che lasciai nel 2016 su L’OMBRA DELLA PAROLA a proposito dei rapporti tra Alfredo De Palchi e Franco Fortini, che a quei nodi politici (del secondo dopoguerra) rimandava. [E. A.]

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Ricordando Gianfranco Fiameni

di Ennio Abate

Con Gianfranco Fiameni ebbi alcuni incontri e scambi attorno al 2002 e negli anni seguenti fino al convegno del 2006 a Cremona su Danilo Montaldi a cui partecipai (qui). Poi ci perdemmo di vista. Pochi giorni fa pensavo a lui, alla sua amicizia con Danilo; e, controllando sul Web, ho saputo che è morto nel 2016.  Lo voglio ricordare nella cerchia di Poliscritture con una sua testimonianza sul gruppo cremonese di Unità Proletaria e due appunti del mio diario del 2002. E’ un modo minimo per rendergli omaggio in un tempo così ingrato verso quanti a ragione poterono chiamarsi compagni fino agli anni Settanta del Novecento. Faccio presente che ho ripreso dal Web (qui) la testimonianza di Fiameni. E’ in una edizione un po’ approssimativa (mancano le indicazioni della data e del luogo dell’intervento e non sono venuto a capo di alcuni nomi citati) e me ne scuso. [E. A.]

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Theodor W. Adorno: «Aspetti del nuovo radicalismo di destra»

LETTURE IN QUARANTENA (4)

di Donato Salzarulo

1.-Un dono giusto al momento giusto

Per il mio compleanno Elisa, la nipote dott.ssa in filosofia, mi ha regalato un libretto di Theodor W. Adorno. Titolo: «Aspetti del nuovo radicalismo di destra» (Marsilio, 2020, pp.90).

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Toh, ottuso e cieco Parlamento Europeo!

Michele Turi, Taranto 1.3.1914 – Cologno Monzese 23.6.1986

Di questo operaio immigrato e anarchico-comunista che appare nella foto ho scritto in un inedito “Proletari a Colognom” narrando della nascita nel 1969 del Gruppo Operai e studenti:

 Mio suocero, Michele Turi, era operaio in non so più quale fabbrichetta. Ci aveva lavorato all’inizio anche Rosa, sua figlia, e ancora, di tanto in tanto, portava del lavoro da fare a casa. Togliere la sbavatura dai tappi di plastica. Ci si metteva attorno al tavolo grandi e piccoli e si faceva, gareggiando, qualche oretta di lavoro prima di apparecchiare per la cena. Un giorno Michele aveva voluto farmi conoscere alcuni operai della Siae. Erano giovani.Avevano sentito parlare del movimento degli studenti dell’anno prima. Volevano sapere perché gli studenti occupavano le università, beffeggiavano i professori, si scontravano con la polizia e parlavano di rivoluzione.[...]

Qui sotto, invece, pubblico il discorso (non è una poesia, gli a capo mi servirono per dare le pause alla voce) che lessi il 24 giugno 1986 al suo funerale. E’ questa vita operaia semplice, amara e coraggiosa, simile a quella di migliaia di altri operai che hanno partecipato alle lotte sociali e politiche di questo Paese con la speranza di mutarlo e migliorarlo, che vorrei sventolare indignato – da qui il titolo polemico – sotto il muso dei cancellatori della memoria (tra cui persino l’ex sindaco di centrosinistra di Milano Giuliano Pisapia), che il 19 settembre 2019 hanno approvato al Parlamento Europeo di Bruxelles una risoluzione subdola e infame. Essa non solo liquida qualsiasi differenza tra fascismo/nazismo e comunismo ma pretende una “memoria condivisa” tra oppressori e oppressi; ed occulta e azzera proprio esperienze di vita come questa. E ce ne sono tante altre, di cui per stanchezza o disperazione, in questi anni di stordimento, ci siamo dimenticati. Esse contengono ancora quegli spunti di comunismo, che i dominatori di oggi hanno seppellito sotto montagne di menzogne e malefatte. Anche – è bene ricordarlo – con la complicità di chi a sinistra gli ha arato il terreno. [E. A.]

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Punti di vista

di Giorgio Mannacio                                     

Il titolo – deliberatamente modesto – vuole sottolineare come ciascuno di noi manifesti, quale che sia il suo campo di osservazione, atteggiamenti e opinioni largamente influenzate dalla propria storia. Anche quest’ultimo vocabolo viene qui utilizzato in una versione modesta. Con esso non si allude alla catena degli avvenimenti  importanti ai quali ha assistito o ai quali ha partecipato ma a tutti quegli elementi della sua esperienza . Questa può consistere sia in avvenimenti visti o vissuti.

Sia in tracce culturali sia infine in superstizioni fossilizzate come verità. Questo percorso di esplorazione ci porta a spiegare i comportamenti e le opinioni . Altro è il problema della loro giustificazione in base a “ valori “  .

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