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insomma l’inverno

di Donato Salzarulo

insomma l’inverno è morte apparente
attraversamento del dolore 
nuovo inizio avvio tempo adatto 
a scrutare i segni della prossima stagione 
cova la vedo sugli alberi scheletriti 
sulle foglie secche delle querce 
sgretolate sui marciapiedi ammucchiate 
sui prati ingialliti e inariditi vicino alle reti 
metalliche che recingono i parcheggi 
foglie che volano al primo vento 
come granelli di polvere o si raccolgono 
e marciscono come concime 
nei campi arati della cascina 
di fronte la colonia di colombi
becchetta non so che sementi
mentre i cespugli di rosa potati
assorbono silenziose energie 
dalla brina mattutina
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un paesaggio di nuvole

 di Angelo Australi

Anche se fosse stato possibile tornare indietro si sarebbe comportato alla stessa maniera, ogni gesto o parola di quel giorno li sentiva così vivi da averli appena espressi. Questo pensiero da alcuni minuti gli procurava una forte malinconia. Si era fermato in un bar per comprare le sigarette, sulla strada del ritorno a casa dal lavoro. E poi gli andava di bere una birra. Aveva parcheggiato lasciando accesi i lampeggianti e la radio perché pensava di sbrigarsi. Il bar alimentari si trovava nel punto in cui la strada si stringeva, da un lato c’erano le case allineate come dei soldati in parata, dall’altro si alzava un muro in pietra di sostegno alla terra dei campi coltivati a viti e olivi. Oltre i campi la collina che mandava a dormire il sole ogni giorno nascondeva la città.
Forse si trattava dello stesso paesaggio che anche lei stava guardando dalla finestra. Ormai si avvicinava il tramonto, il cielo si colorava di rosso e le curve morbide dei colli erano di un rosa vivace. Le viti erano scosse da un leggero tremito di vento in ogni filare, un soffio caldo che smuoveva l’aria impercettibilmente. Aveva messo il cellulare bene in vista sul tavolo, per prenderlo subito nel caso avesse squillato. A quell’ora lo squillo non poteva essere che il suo, gli altri colleghi usciti dal lavoro non era mai successo lo chiamassero.  Lei invece lo chiamava sempre nel tardo pomeriggio, dal suo cellulare o dal telefono di casa. Se era lei sul display appariva un nome che si era inventato e avrebbe fatto il possibile per richiamarla, a volte si assentava anche da riunioni importanti solo per riuscire a dirle ciao. Se non era possibile le inviava un messaggio, ma preferiva trovare una scusa per lasciare la riunione e richiamarla.
Stava fissando intensamente le foglie di quelle viti che si spostavano con la leggerezza delle ballerine di danza classica. Era dolce e triste tutto questo. Dolce e triste. Per tutti i desideri che ancora riusciva a sentire quelle foglie danzanti gli facevano immaginare la sua camminata così leggera. Sulla strada del ritorno a casa il volto di lei era una visione che non lo abbandonava per un istante. La vedeva sospirare in un sorriso, ci parlava, catturava la sincerità di chiedere racchiusa nei suoi sguardi. Stranamente quando le stava vicino anziché sentirsi giovane aveva l’impressione di avere più dei suoi anni. Ma stava bene e questo era importante.
La loro storia andava avanti ormai da alcuni mesi, nessuno dei colleghi di lavoro pensava a qualcosa di più che un’amicizia, da come erano discreti. Non sapeva spiegarsi come fosse avvenuto quel lento avvicinamento, certi giorni le parole di entrambi avevano riempito lo spazio dell’ufficio, in quella sorta di prigione uscivano in un flusso continuo, come forme irrinunciabili di piacere. Ne avevano bisogno entrambi di parlarsi, quando per una ragione lavoravano in uffici diversi lei lo chiamava per andare a prendere il caffé e per fumare insieme una sigaretta. Cinque minuti, non di più, che davano sapore alla giornata.
    Eppure se fosse possibile tornare indietro mi comporterei alla stessa maniera davanti alla sua richiesta di una carezza. Correrei dietro alla sua timidezza, le stringerei ancora la mano mentre sta per entrare in auto, la fisserei negli occhi e l’accarezzerei.
Era perso, lo sentiva, se non poteva raggiungere in ogni minuto il senso di quel volto, e lui avrebbe fatto di tutto pur di annullare il distacco.
Si sentiva osservato da quella donna grassa che stava dietro il banco, per celare l’imbarazzo aveva preso il giornale fingendo di leggere. Ordinò un’altra birra, mentre il sole ormai era diventato rosso fuoco e già accarezzava i colli cospargendo i colori a ventaglio fino alle estremità del cielo percepibile con lo sguardo, da dietro la vetrata del negozio. Nell’ultimo sorso di birra aveva sentito il sapore dei suoi baci. Dio, non ho proprio voglia di tornare a casa, si era detto. Ora il cellulare doveva dar segni di vita, non pensava che a questo, immaginando quello di cui avrebbero potuto parlare per annullare le distanze.
Ciao
Oh, sei bella, le avrebbe detto.
Dove sei?
Sulla strada di casa, se me lo chiedi torno indietro.
E poi dove andiamo?
Ci fermiamo per qualche anno in un villaggio paludoso della foresta amazzonica. Prendiamo una jeep e ci fermiamo in un posto dimenticato da Dio.
Sei pazzo!
Sì!
Ti amo.
E’ così bello sentire la tua voce.
Sto immaginando di baciarti. Chiudi gli occhi.
Non posso chiudere gli occhi, altrimenti con l’auto vado a sbattere.
Pensa a me qualche volta, mi raccomando.
Nel bar un vecchio entrato a bere del vin santo aveva preso a scherzare con la grassona su cose di sesso. Le loro risate erano piene e allusive. Lui aveva finito di bere la birra ed era uscito un attimo. Il sole oramai scompariva del tutto dietro le insenature dei colli, e quell’aria rossa irrorava di luce soffusa tutto il paesaggio specchiandosi nel vermiglio di alcune nuvole. Le nuvole sembravano congiungersi e formare delle figure. Lui fu attratto da quei giochi che si svolgevano in cielo, rimase incantato a guardarli, mentre alcune auto di passaggio dalla strada gli facevano il pelo lasciando una scia di vento caldo che lo colpiva in faccia. Sorrise soddisfatto nel guardare quelle forme scomporsi in figure concrete per il suo sogno ad occhi aperti. Restò a fissare le loro lente trasformazioni, alla fine ne rimasero solo tre che si spostavano verso il punto più alto del cielo, dove i colori del tramonto ormai si stavano attenuando nell’oscurità. Il vermiglio delle nuvole così sembrava più cangiante nello sfumare sul grigio, quasi una finzione rispetto alla notte. Solo una finzione partorita dalla sua immaginazione. Sorrise come un bambino. Sulla fronte gli si erano formate quattro rughe che sembravano allestire lo scenario di un solo desiderio.
In quello stesso istante il cellulare squillò e lui si riscosse. Era il segnale che poteva chiamarla. Pagò le due birre che aveva bevuto e il pacchetto di sigarette. Poi salì di corsa in auto.
– Hei?!
– Ciao.
– Hai visto il tramonto?
– Sì.
– Ci sono tre nuvole adesso… una a forma di scoiattolo.
– Le vedo con i tuoi occhi, … continua a parlarmi.
– Sì, sembra proprio uno scoiattolo che si allunga prima di scattare per il salto, sulla coda la nuvola si allarga e si accende di rosso.
Anche lui stava guardando la forma di quelle nuvole, ma voleva sentire la sua voce.
– Nell’altra ci sono due macchie che somigliano a delle ali pronte a spiccare in volo. Ci sono due punti neri al centro delle macchie rosse …  Stai fumando?
– Adesso no.
– Non fumare!
– Non sto fumando.
– La forma della terza nuvola sembra quella di un ombrello, il manico sottile è fatto dalla scia di un aereo che poi si perde nel cielo, …in lontananza.
– E io dove mi sto perdendo?
– Ti sto mandando un bacio.
– Torno indietro, voglio stare con te.
– Oh, non è possibile.
– Voglio portarti nel finale di un film.
– Smetti, per favore… lo sai che non è possibile.
– Ci costruiamo una casa sugli alberi.
– Ti voglio bene, lo sai, ma non siamo due bambini.
– Per il cibo ci arrangeremo con quello che offre la natura.
– Certo, è sempre così nei sogni.
– Non sono sogni, mi piace immaginarti anche quando non ci sei.
Si mosse con una lentezza ponderata, cercando di far pesare il senso delle parole appena pronunciate al cellulare.
– Adesso, devo lasciarti.
– Aspetta, … ancora un minuto.
– Non posso più restare al telefono, nell’altra stanza ci sono delle persone che mi stanno aspettando.
– Che aspettino!
– Per piacere, mi sento imbarazzata.
– Sì, scusa… è vero.
– A domani.
– Ciao…
Caduta la linea, dopo il primo impulso di fare retromarcia aveva finito per lasciarsi guidare dall’auto. Adesso aveva una guida leggera, prendeva ogni curva dolcemente perché gli piaceva osservare il paesaggio nel momento in cui si stava eclissando nella notte.
In cielo era apparsa la luna, appena un accenno, ma rossa e così invitante da smontare tutta quella quiete, da sembrare quasi un altro sole, che saliva da dietro l’orizzonte sbagliato.

 5 novembre 2023

  • Disegno di Nilo Australi, tratto dalle illustrazioni fatte per il romanzo “Mafarka le futuriste” di F. T. Marinetti

Due poesie

di Annamaria Locatelli

A me temeraria

Il tempo mi tampina
pesa sulla gobba
strattona
rampogna
-Stai un passo in là   
non puoi starmi appresso
fai mille passi in là,
piccola umana!
La mia misura non sei tu
ma il movimento dei pianeti
i flussi delle maree
le mutazioni climatiche...
Quando tu ti fermarai
io continuero’ a percorrere
spazi infiniti,
saltelli tra le siepi...
Se proprio vuoi con me misurarti
fissa un raggio di sole
e segui il suo cammino
dall’alba al tramonto
e di notte accompagna
ogni battito del tuo cuore
e conta, se ti riesce, le stelle in cielo
sino alla piu’ remota...
Esausta e smarrita
non avrai sfiorato 
che un mio piccolissimo frammento...-
ll tempo sberleffa noi umani 
e siamo già vinti!
E chi cavalco’
temerariamente 
il tempo?
Gengis Kan Napoleone Hitler...
Inseguendo la superba vittoria
con armi ed eserciti?
In un pugno di mosche
e di cenere
si risolse la loro impresa
nel cono d’ombra.
Personalmene... 
sono arrivata a 
sentirne la presenza
rumoreggiante
quale quella 
di un fanciullo monello
che a volte mi cammina appresso
ma poi corre corre via...
Percorso l’universo
amico com’è del mistero, 
il tempo ritorna da me
per pochi passi
volando di nuovo via...
Se fosse aquilone 
lo terrei stretto per lo spago
e via con lui nel vento... 

Senza tormento

Non ebbe bisogno di riti
di lacrime e di sospiri
un giorno qualsiasi capito’...
Meno di una brezza di vento
e il risveglio
meno d un saluto distratto
e la vita finita continuo’
senza tormento

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Balù

di Marcella Corsi

In continuità con articolo precedente, ancora un gatto. [E. A.]

non amano essere toccati gli animali dell'aria
il loro corpo leggero non sopporta d’essere stretto
nemmeno di buone intenzioni, per amare le carezze
bisogna si siano convinti a lasciare per un poco il volo
fermarsi a terra accoccolarsi come fossero
coperti di pelo socchiudere gli occhi ritrarre le zampe
 
Balù è così
un gatto
che vola 
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Viaggio eleusino

di Antonio Sagredo

I cembali dei presentimenti a te, Eleusina, incantata
che muori nella neve imminente e risorgi al primo fiore
e il mito ti è fedele ancora, e le tue labbra ora
sono spente da cingolati che radono l’Oriente – svegliati! Continua la lettura di Viaggio eleusino