Dieci poesie e quattro disegni
di Giuseppina Di Leo
*
Nell’invadenza delle ore d’ombra
senza suono, unita al silenzio della sera
nessuna alba finge. Interiore
davanti alla notte volge lieve il passo.
Il mondo ritorna un pensiero convesso
il senso di colpa smerlato nel trabiccolo
nella lucida follia. Cuprea voglia.
*
La maschera del tempo mi mostra qualcosa.
Guardo. E ricordo.
In una stanza, donne sedute parlano sottovoce.
Entra una bambina
sgattaiola sotto il letto: è una ladra di pesche.
Da un cesto ne prende così tante
da non poterle trattenere.
Ma guardala! dice una, mentre l’altra
cerca di afferrarla. Ma la più anziana
ferma le donne
e a quella in alto trattiene il braccio.
Siediti! Lasciala andare! le dice…
…E continua a ragionare.
*
Siamo al punto in cui la poesia è tale se parla di naufragi
esordisce il presentatore della serata.
Difatti, replicherei, alla poesia non si può addossare tutto
se non fosse che la stessa letteratura è un naufragio.
Ma forse anche questo è stato già detto.
Non si vede nulla, le luci tra gli alberi
mandano deboli bagliori luminosi, ma va bene così.
Una donna, assorta nell’ascolto, poco fa
ha disfatto una rosa. Voleva solo toccarla, ma
una rosa è una rosa
c’è poco da toccare, anzi, è vietato. La rosa bianca
ha ceduto nella ricerca di un motivo
nella pressione di due sole dita:
una pressione leggera, un tocco appena.
Una rosa bianca sfatta rimane per terra.
Inutile tentare di riposizionare le unghie nel ricettacolo.
*
Il figlio di Crono ti donò il sonno di Zefiro
e il sonno ti portò il sogno del ritorno
e tu vedesti gli uomini lavorare i campi
le donne nelle arti affaccendate
e le vecchie agli usci silenziose ad aspettare.
Sul mare il vento dondolava il sogno
si apriva la strada
ma ti tormentava l’impazienza del giorno
il suo tafano ti pungeva.
Furono gli uomini della tua nave i pensieri.
D’un tratto passarono dal letto alla stanza
e quando si squarciò l’otre
di colpo, dai mille cavalli in fuga
la furia ti sconvolse la ragione.
* Circe
Circe affloscia le vele mentre scruta i fili del miele.
Lontana da chi colleziona collane o incastona
pendagli in fili di zinco e conchiglie allineate
Circe non ha nessuno che l’ami.
Questo lei lo sa, perciò di giorno ogni uomo
alla pari tratta trasformandolo in animale.
La risposta ad ogni sua domanda nel grugnito
per sé ella trae, la voce più profonda ciascuno svela
quando ogni traccia umana si traduce in istinto bestiale.
Una domanda tiene in serbo per sé sola nella notte.
Nell’alcova la ripete nel suo delirio ancestrale
e senza difendersi si concede all’uomo che l’attrae.
Ma al mattino ogni cosa torna eguale.
Come? Lo sappiamo. Circe affloscia le vele
e non mente. Ma, soprattutto, detesta il mare.
*
Nell’ambientazione domestica
nell’individualismo
si consuma un dramma psichico
qualcosa di intimo
s’affonda nella normalità del gesto quotidiano.
Negandolo il problema non si pone. Mai.
Siamo sicuri che sia proprio così come pensiamo.
L’individualismo sfrenato che ci contraddistingue.
Negando si annega il sole nella sera.
Allora, come mai
non ci risulta di essercelo meritato
questo mondo disabitato?
*All’inferno
Cerco di mettere ordine nella mia testa
penso ai libri ancora da leggere;
occorre fare una cernita, né, purtroppo,
si può leggere tutto nella vita.
Ad un certo punto accade
che perfino i libri annoiano
e restano lettera morta:
non ci parlano più.
Me lo spiegava un amico. Diceva che i libri
che sono cosa viva
andavano bene quando non c’era Internet
e il mondo era in bianco e nero, ci aggiungerei io.
Cultura da internet allora e via libri!
Spazio all’immaginazione in pillole
pilotata a più non posso. Come il suono amplificato
di questo strazio che vorrei cessasse…
All’inferno!
*
Come “mare docile al freno”*
remare contro il dolore.
Poesia porta la parola
per difenderci
dall’orrore della violenza
così da poterne fare scudo
scafandro-poesia immergo.
Noi siamo i grandi occhi, le vele sul mare,
i nodi delle gomene, noi, fulcro di noi stessi
dal nostro castello circondato dal fossato
altro non desideriamo che sentirci
i soli padroni del mondo
e tutti gli altri avvertiamo come zavorre.
In realtà, avanziamo incerti, rovinosamente.
*(Emistichio della poesia «Il Mare» di Simone Weil)
*
Qui c’è un ordine voluto
di spontaneo
in questo angolo di giardino
soltanto insetti molesti
i vermi della terra simili a minuscoli armadilli
pronti a chiudersi a palla al minimo tocco
e un cane zoppo, disteso accanto.
Manca pure il silenzio.
Vi sono variegati generi di silenzio
un po’ come i neri di un pittore
differenti sono i neri in poesia:
spaziano dal foglio nel tempo
il loro un apparente addio.
Così sarà al ritorno l’Itaca dello sguardo
il rosso divenuto maturo
con l’altro si ricongiungerà
nel nero atteso a lungo agognato
il suo oro svelerà.
Nei silenzi diversi
di ritorno all’Itaca dell’abbraccio
il canto ammaliatore sfiderà le tempeste.
Con noi porteremo
la conoscenza degli anziani
il pudore dei savi, l’innocenza dei condannati
l’ambiguità dell’amore.
Tutto si placherà
nel verdetto di un sorriso iniziatico.
Sorride il cane zoppo.
Mostra occhi color nocciola.
Sdraiato, osserva. Sorride.
E non vuole andare via.
* Mine sulle rovine.
Nascosti segreti di menti lacere
nel disegno mostruoso
riecheggia, pari a un’esplosione,
il tanfo orribile della bassezza umana.
Acidi odi senza nessun dio
oltraggiano a turno una ragazza sola
in gruppo la picchiano
ne fanno scomparire il corpo
la gettano dal grattacielo
o nel profondo del mare.
Una tempesta vedeva Benjamin
impigliarsi tra le ali ferme sul passato.
Ora l’angelo della storia
ci mostra il suo grido
straziate le orecchie, storpia la bocca
abbandona la scena, si strappa le ali.
E noialtri sordi o, ancor più, sordidi,
non ce ne avvediamo.




Giuseppina Di Leo
Ha pubblicato vari libri di poesie: Slowfeet. Percorsi dell’anima (Gelsorosso, 2010); Con l’inchiostro rosso (Sentieri Meridiani Edizioni, 2012); Navigo nelle parole (Libreria Editrice Urso, 2018); Nessuna alba finge (La Vita Felice, 2025). E le sue poesie, oltre a racconti e varie recensioni sono comparse su numerose riviste, antologie e blog.
Ha curato la biobibliografia Pompeo Sarnelli (1649-1730): tra edificazione religiosa e letteratura (2007;) e, nel n. 20 del 2009 della rivista «Incroci. Semestrale di letteratura e altre scritture», diretta da Raffaele Nigro e Lino Angiuli, uno scritto dedicato al poeta dialettale santarcangiolese Nino Pedretti: “Di voce in voce: la musa dialettale di Nino Pedretti”, che, riveduto e ampliato nel 2012, è stato poi pubblicato in “Voci dal Novecento - vol. 3”, a cura di Ivan Pozzoni, Editore Limina Mentis (MB). Alcune sue poesie sono state musicate dal M° Giovanni Castro per la rassegna “Notti Sacre” - Bari, settembre 2015. In qualità di artista, ha partecipato a varie collettive di pittura.

trovo molto belle le poesie di Giuseppina Di Leo…a tratti descrivono una gestualità semplice, a indicare una solidarietà umana verso i più bisognosi, la piccola ladra, ma anche il gesto distratto che può disfare la fragile rosa…I due versanti opposti dell’essere un umano sono ben rappresentati nelle due ultime poesie:’ …Nei silenzi diversi/ il ritorno all’Itaca dell’abbraccio…/Sorride il cane zoppo…’ Ulisse nell’isola ritrovata, come tutti noi, cerca e trova persone, valori comuni e pace. in ‘Mine sulle rovine’ prevale invece ‘…Il tanfo orribile della bassezza umana…Ora l’angelo della storia…si strappa le ali…’
I colori e i chiaroscuri sono presenti nelle poesie come nei dipinti di animali e paesaggi esotici, di una primitività forse agognata