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18 Brumaio e dintorni

di Paolo Di Marco

Alla tragica estinzione della lotta di classe è succeduto in questi tempi l’emergere un po’ farsesco della contraddizione fra libertà dei singoli e necessità dell’igiene pubblica.

Ma sorge il sospetto che, come negli Stati Uniti i residui della classe operaia sono diventati i più accaniti sostenitori di Trump, così qui da noi i più accesi talibani della verità scientifica contro la superstizione e difensori del patto sociale contro l’arbitrio individualista stiano sbagliando bersaglio. (n.b.: questa è un’autocritica..)

Giustificati forse dalle trappole semantiche e politiche collocate da forse non innocenti filosofi, eppure colpevoli di miopia.

Perché a sorreggere tutta la costellazione di movimenti no-vincoli e a darle forza sta una constatazione ineludibile: che il patto sociale è stato già da tempo rotto. E che lo stato non è nostro amico.

Notizia vecchia, e già alla base delle lotte comuniste, eppure dimenticata nei lunghissimi anni di ingannevoli speranze e snervanti compromessi del dopoguerra, e accantonata quando ne è morto politicamente il protagonista sociale, la classe operaia. Per aggrapparsi agli scampoli di democrazia ancora pendenti dai balconi e soprattutto al relativo benessere che li reggeva.

Ma intanto il patto sociale veniva sempre più eroso dall’interno, e la privatizzazione del sistema sanitario ne era lampante testimone. Finché la pandemia non ha presentato il conto.

Ed è un segno della residua vitalità del sistema che i portavoce dei rapinatori siano diventati i paladini dei rapinati. Con diffuso e trasversale consenso. A destra come a sinistra, fra i colti e gli ignoranti, gli intelligenti e gli stupidi, ma tutti uniti dalla convinzione che quando piove è il governo che è ladro. E che il greco (anche vestito da scienziato) è sempre nemico, anche quando porta doni.

Pesa su di noi la tradizione socialista di identificazione con lo stato nei paesi dell’est e di compromesso con esso ad ovest. E non ci hanno aperto gli occhi lo svuotamento progressivo dei diritti e beni né la crisi del 2008 né il clima che impazza. Del resto ai ciechi se mostri la luna al massimo toccano il dito. E siamo diventati ciechi per ignavia, compiacenza, pigrizia.

Ma anche perché ci hanno tolto i sogni.

In ogni grande trasformazione c’è una combinazione inestricabile di necessità e speranza, di sogno e bisogno. Che coinvolge tutti.

E allora, come ci ricorda Bodei nell’introduzione al ‘Principio Speranza’ di Bloch, “non abbiamo forse fin troppo abbassato lo sguardo confondendo, più banalmente, la caduta di alcuni idoli con la caduta degli ideali?”; e più tardi, citando Bloch (133):” la speranza è un concetto antitetico all’angoscia ma anche alla memoria”.

Aprire gli occhi altrui significa allora innanzitutto riaprirli noi. Liberandoci dal socialismo e il suo stato come peccato originale del comunismo. Riconoscendo che la sviluppo delle forze produttive ci permette oggi di compiere qualunque passo, se la sovrastruttura lo consente.

Ricostruendo dunque quell’alleanza tra anarchici e comunisti che era già stata alla base della terza Internazionale, in un percorso che Guido Viale vede svilupparsi dal basso, dai territori, poi  ‘l’Intendance suivrà’, fuori dalle logiche di stato.

La polemica sui vincoli è dunque trappola, su ben altro occorre buttare la polemica, alzare il tiro al disopra di questa mischia. E ricominciare, subito, un dibattito sul futuro. Finché il futuro ce ne darà tempo.

Le alternative possibili

di Giorgio Riolo
 
Questa è la seconda parte, dedicata alle “alternative possibili”, di un lungo articolo su sistema-mondo, crisi globali e pandemia. Scritto nei primi di maggio 2020, è stato aggiornato al febbraio 2021 e ampliato. Questo aggiornamento anche a misura di quello che sta succedendo nel mondo. Sul fronte lavoro, sulla perdita di posti di lavoro su scala mondiale, sulla condizione del lavoro femminile (le donne sono le più colpite, tanto per cambiare) anche su quello che potrebbe accadere per l’occupazione femminile per esempio nel tessile nel sudest asiatico e in generale sulle produzioni dove l’innovazione sta cambiando tutto a proposito di “catena del valore” (incluse “catena della produzione” e di “catena delle merci”) su scala mondiale. Sul rapporto Oxfam 2021 sulle ineguaglianze. Sul fronte dei vaccini e sulle mutazioni del virus (come se fosse una scoperta di adesso…). Sulla disoccupazione da innovazione nei processi produttivi (nuove macchine, robots ecc.) e nell’informatica avanzata ecc. con i vari algoritmi, intelligenza artificiale, Big Data ecc. (il famoso “labour saving”, a risparmio di “lavoro vivo”, di lavoratrici e lavoratori, tipico del sistema capitalistico). Ancora una volta, e ancor più, oltre alla proposta di un cambiamento complessivo del sistema, la proposta di alternative possibili, credibili, attuabili qui e ora, è questione importante. Draghi e non Draghi… “Nel capitalismo tutto si tiene”. Per chi avesse voglia e tempo, la prima parte dell’articolo, nella quale viene trattato lo stato delle cose a proposito di crisi economico sociale, di crisi ecologico-climatica e di crisi epidemiologica, si può leggere nel pdf complessivo pubblicato qui. [G. R.]
 

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