di Ennio Abate
Nel mio ormai pluridecennale diario/archivio della colognosità ieri ho depositato questa nuova perla comparsa sui social di Cologno Monzese:
Continua la lettura di Verniciare di tricolore le periferie?
di Ennio Abate
Nel mio ormai pluridecennale diario/archivio della colognosità ieri ho depositato questa nuova perla comparsa sui social di Cologno Monzese:
Continua la lettura di Verniciare di tricolore le periferie?
di Paolo Di Marco
Alla tragica estinzione della lotta di classe è succeduto in questi tempi l’emergere un po’ farsesco della contraddizione fra libertà dei singoli e necessità dell’igiene pubblica.
Ma sorge il sospetto che, come negli Stati Uniti i residui della classe operaia sono diventati i più accaniti sostenitori di Trump, così qui da noi i più accesi talibani della verità scientifica contro la superstizione e difensori del patto sociale contro l’arbitrio individualista stiano sbagliando bersaglio. (n.b.: questa è un’autocritica..)
Giustificati forse dalle trappole semantiche e politiche collocate da forse non innocenti filosofi, eppure colpevoli di miopia.
Perché a sorreggere tutta la costellazione di movimenti no-vincoli e a darle forza sta una constatazione ineludibile: che il patto sociale è stato già da tempo rotto. E che lo stato non è nostro amico.
Notizia vecchia, e già alla base delle lotte comuniste, eppure dimenticata nei lunghissimi anni di ingannevoli speranze e snervanti compromessi del dopoguerra, e accantonata quando ne è morto politicamente il protagonista sociale, la classe operaia. Per aggrapparsi agli scampoli di democrazia ancora pendenti dai balconi e soprattutto al relativo benessere che li reggeva.
Ma intanto il patto sociale veniva sempre più eroso dall’interno, e la privatizzazione del sistema sanitario ne era lampante testimone. Finché la pandemia non ha presentato il conto.
Ed è un segno della residua vitalità del sistema che i portavoce dei rapinatori siano diventati i paladini dei rapinati. Con diffuso e trasversale consenso. A destra come a sinistra, fra i colti e gli ignoranti, gli intelligenti e gli stupidi, ma tutti uniti dalla convinzione che quando piove è il governo che è ladro. E che il greco (anche vestito da scienziato) è sempre nemico, anche quando porta doni.
Pesa su di noi la tradizione socialista di identificazione con lo stato nei paesi dell’est e di compromesso con esso ad ovest. E non ci hanno aperto gli occhi lo svuotamento progressivo dei diritti e beni né la crisi del 2008 né il clima che impazza. Del resto ai ciechi se mostri la luna al massimo toccano il dito. E siamo diventati ciechi per ignavia, compiacenza, pigrizia.
Ma anche perché ci hanno tolto i sogni.
In ogni grande trasformazione c’è una combinazione inestricabile di necessità e speranza, di sogno e bisogno. Che coinvolge tutti.
E allora, come ci ricorda Bodei nell’introduzione al ‘Principio Speranza’ di Bloch, “non abbiamo forse fin troppo abbassato lo sguardo confondendo, più banalmente, la caduta di alcuni idoli con la caduta degli ideali?”; e più tardi, citando Bloch (133):” la speranza è un concetto antitetico all’angoscia ma anche alla memoria”.
Aprire gli occhi altrui significa allora innanzitutto riaprirli noi. Liberandoci dal socialismo e il suo stato come peccato originale del comunismo. Riconoscendo che la sviluppo delle forze produttive ci permette oggi di compiere qualunque passo, se la sovrastruttura lo consente.
Ricostruendo dunque quell’alleanza tra anarchici e comunisti che era già stata alla base della terza Internazionale, in un percorso che Guido Viale vede svilupparsi dal basso, dai territori, poi ‘l’Intendance suivrà’, fuori dalle logiche di stato.
La polemica sui vincoli è dunque trappola, su ben altro occorre buttare la polemica, alzare il tiro al disopra di questa mischia. E ricominciare, subito, un dibattito sul futuro. Finché il futuro ce ne darà tempo.
la frase finale de 'il mistero del falco': 'questa è la sostanza di cui son fatti i sogni'
di Paolo Di Marco
La nostra coscienza, la nostra vita, il mondo che vediamo si fondano sulle nostre memorie. Se la coscienza è l’ordito le memorie sono la trama.
Non a caso molte sono le parti del cervello implicate nella memoria, dalla corteccia prefrontale all’ippocampo (v. figura), che trasforma le immagini in ricordi. Continua la lettura di memorie (uscire dal tempo 3)
Tra “assalto al cielo” e dura e terrena realtà del potere e delle armi dei dominanti.
A veloce introduzione di questa riflessione di Riolo un appunto tratto da una recensione de “il manifesto” del 2. 10. 2019 (qui): « Forse qualche rimpianto ma nessun rimorso per il tempo passato che va solo studiato e compreso; non si torna alla Comune, ma lo spirito di quell’esperienza, la pratica di condivisione e fraternità che ha animato il tempo breve della primavera parigina del 1871 può essere utile per costruire una nuova, radicale comunità dell’Europa». [E. A.]
di Giorgio Riolo
I.
Nella primavera del 1971, centenario della Comune di Parigi, molti di noi, giovani e giovanissimi, cominciammo a conoscere, meglio e profondamente, questo passaggio decisivo nella storia dei movimenti di emancipazione, del movimento operaio in particolare. Avevamo comunque alle spalle il biennio 1968-1969 e la scuola e la pedagogia e l’autoapprendimento della ondata trasformativa di quella particolare fase storica. In Italia e in Occidente e nel resto del mondo. Continua la lettura di La Comune di Parigi (18 marzo-28 maggio 1871)
Letture in quarantena (5)
di Donato Salzarulo
Questa “Lettura d’autore”, annunciatami da tempo dall’amico Salzarulo che la stava completando, capita nel pieno dell’acceso dibattito scaturito dagli interventi di Luciano Aguzzi e dalle repliche ad essi (qui e qui). E’, però, una riflessione autonoma e approfondita di un libro; e come tale va considerata. Al di là delle prese di posizione implicite o esplicite che indirettamente dà ai dilemmi, agli aut-aut, alle ambivalenze con cui stiamo facendo i conti. Anche se, come suol dirsi, aggiunge altra (o troppa) carne al fuoco già acceso, mi parrebbe immotivato rinviarne la pubblicazione [E. A.] Continua la lettura di «Viva la sinistra» di Alessandro Dal Lago
Rileggere Ranchetti (1).
Appunti del 2004 su Non c’è più religione di Michele Ranchetti
di Ennio Abate
Pubblico solo oggi questi appunti, presi dopo la lettura del libro di Ranchetti e della recensione di Massimo Cappitti. Li trovo un po’ schematici e soprattutto ignari della ricca e complessa discussione che Ranchetti già conduceva da decenni con amici e studiosi di alta levatura. Eppure in essi ponevo un problema non irrilevante per chi veniva come me da una militanza comunista (ma non del PCI) degli anni Settanta: c’era qualcosa da imparare da quel libro? Tra l’altro, dopo la morte di Fortini, speravo di poter discutere su quel tema del comunismo, anche per lui fondamentale, con i partecipanti (compreso lo stesso Ranchetti) del Centro Studi dedicatogli dall’Università di Siena. La sensazione di una loro sordità – vi accenno negli appunti – e il carattere approssimativo delle mie riflessioni mi suggerirono di tenermele per me. L’anno dopo, però, le ripresi nelle domande che feci a Ranchetti stesso in una intervista (qui) [E. A.]
La mia prima reazione alla lettura di Non c’è più religione di Michele Ranchetti è stata istintivamente questa: bisognerebbe scrivere, a completamento, un Non c’è più comunismo altrettanto rigoroso e appassionato. Continua la lettura di Riordinadiario sul finire del 2020
di Giorgio Riolo
Ogni morte d’uomo ci diminuisce, lo diceva il poeta e lo ripetiamo a ogni pie’ sospinto. Aggiungendo: di ogni essere umano in generale, e quindi anche di donna.
Remo Bodei era grande filosofo e grande intellettuale in senso lato, ma anche persona di grande valore. Le due cose insieme nel soggetto scomparso ci diminuiscono, ci rendono più poveri. Chiunque l’abbia conosciuto personalmente non può che confermare ciò.
Più poveri, ancor più nel panorama, per più versi desolante, del nostro mondo intellettuale. E allora vorrei solo ricordare il ruolo importante che Bodei ha svolto nella sua prima fase di attività. Molti di noi hanno avuto il suo aiuto nel percorrere certe strade culturali invece di altre. In più, essendo impegnati politicamente e socialmente.
Continua la lettura di Ancora in ricordo di Remo Bodeidi Giorgio Riolo
Periodicamente, nella vita quotidiana personale e nella vita collettiva, occorrerebbe procedere a una sana pulizia mentale e a un sano rifarsi i fondamentali. È piuttosto un’autoprescrizione, non un consiglio destinato ad altri. È “catartico”. I greci usavano questo termine propriamente per indicare la purificazione, il purgarsi.
Continua la lettura di Identità, appartenenza, sovranismo e populismoCon una Risposta di Angelo Australi
di Ennio Abate
Caro Angelo [Australi],
il ritratto che ci hai dato di Davide Lazzaretti (qui) recensendo il romanzo di Simone Cristicchi, “Il secondo figlio di Dio” e i commenti al seguito hanno suscitato in me dubbi, inquietudini e una certa stizza per l’apprezzamento speranzoso verso i movimenti dal basso legati a precisi luoghi che tu, Aguzzi e Locatelli avete espresso. Non sono certo che, a partire dalla figura di Lazzaretti, tu abbia voluto delineare una proposta culturale e politica per l’oggi. Alcune tue affermazioni[1] e un successivo commento[2] me l’hanno fatto pensare. Ma, così non fosse, sento una proposta del genere aleggia nell’aria di questo nostro tempo. Ed allora ho voluto approfondire, riprendendo in mano vecchi libri, per chiarire innanzitutto a me stesso le ragioni della mia reazione. Che avevo del resto già anticipato in una replica ad Aguzzi (qui) dichiarando al contempo simpatia e riserve. Ora, con questo riepilogo delle mie peripezie di lettore le preciserò analiticamente.
Continua la lettura di Peripezie di una letturadi Giorgio Riolo
Quella che segue è la relazione tenuta a Vigevano il 5 maggio 2018 nell’incontro pubblico dedicato a Marx a 200 anni dalla nascita. L’incontro si è tenuto nell’ambito del ciclo di conferenze dal titolo “Scuola di cultura e politica”, a cura del Collettivo Culturale Rosa Luxemburg di Vigevano.
Il pubblico di queste conferenze era formato da attivisti politici e da persone interessate al tema, ma senza preparazione specifica. Pertanto il discorso ha voluto essere intenzionalmente non troppo approfondito, senza però, almeno negli intendimenti, perdere in rigore. Continua la lettura di Marx nostro contemporaneo