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Isolato dietro un muro di pensieri

Su PASSEGGIARE DOVE SONO DI CASA di Angelo Australi

 di Teresa Paladin

Passeggiate della mente e del cuore stando “Isolato dietro un muro di pensieri”: con questo titolo inizia il primo di quattro racconti di Angelo Australi presentati in “Passeggiare dove sono di casa”, editrice SEF, febbraio 2024.
Per Spartaco, da poco giunto alla pensione, è diventata una tranquilla necessità vitale fare camminate lunghe in aperta campagna, di quelle che irrobustiscono il fisico e tranquillizzano la mente, lontano dal traffico e in luoghi silenziosi.
Il tempo del covid offre lo sfondo contestuale di queste passeggiate, le quali iniziano in sordina e sempre più si concretizzano in una visione aperta e dinamica multifattoriale. Spartaco si muove dai percorsi labirintici improvvisamente articolati davanti ai centri commerciali fino alle passeggiate lontano dal paese, mentre le quotidiane passerelle televisive dei responsabili o presunti esperti della salute pubblica e della politica cercano di convincere tutti a starsene a casa.
Passare tra elementi della natura osservandoli e ripescare nella lucidità della memoria, dove fatti e persone non muoiono mai: tra questi due confini, la natura e l’andare a ritroso nei ricordi, la ricerca di una pace interiore in queste passeggiate anima il protagonista, che per altro rimane aperto e disponibile agli eventi del tempo presente.
Dalla memoria si affaccia l’inizio della vita matrimoniale vissuta all’insegna dell’avventura. Spartaco e Ambra non avevano prenotato niente e passeranno ben diversamente dal previsto, in chiave quasi cosmicomica, la prima notte di nozze. Ma con un fondo di serenità e senso di libertà che non può non sorprendere i sostenitori di un mondo sistematicamente rispondente a esigenze di funzionale organizzazione. Si scopre così che un certo fatalismo è un compagno sicuro nella vita del protagonista.
L’atmosfera assolutamente positiva dell’imprevisto, che non limita ma arricchisce il viaggio continua infatti anche per le vacanze successive, almeno fino al nascere dei figli, nella comune accettazione condivisa di meraviglie da vedere e scomodità da affrontare. La disposizione d’animo che tutto è rimediabile e ci sia sempre un’altra possibilità guidano Spartaco, mentre la moglie Ambra è contenta di assistere a un’alba stupenda e di ritornare a casa più stanca di quando era partita. Una innocente fiducia per quello che il fato avrebbe offerto e il fascino dell’avventura denotano ottimismo e la certezza di poter contare sulle proprie forze in tutte le situazioni.
Turista improvvisato ma sempre consapevolmente in gioco, Spartaco ama soffermarsi con attenzione e guardare con piacere la macchia mediterranea, le antiche pietre, gli uomini che si ubriacano per dimenticare la loro melanconia.
Mentre osserva attentamente le abitudini della altrui vita quotidiana, la tomba di Italo Calvino a Castiglion della Pescaia e la casa “rossa” di Leonardo Ximenes, ingegnere e matematico gesuita, nella zona paludosa della riserva naturale di Diaccia Botrona sono pause culturali irrinunciabili. Sulla tomba di Calvino si respira un clima di silenzio e preghiera: in un cimitero si capisce la piccolezza umana, che non sempre noi uomini e donne ricordiamo.
L’argine del fiume è un luogo silenzioso di esplorazioni. Se la natura in tutte le sue forme- piante, rovi, laghetti, aironi e falchi pescatori, le oasi del WWF- è scenario intrigante dei racconti, fondamentali sono gli incontri con sconosciuti o amici. La costruzione di una capriata in ferro al ponte del paese, lungo l’argine del fiume che è costeggiato da terreni coltivati grazie al lavoro di bonifica di Pietro Leopoldo alla fine del Settecento, diventa l’occasione per una rimpatriata di paese. Tutti si ritrovano là, amici e compaesani di sempre, a fare commenti in cui, ovviamente, fa capolino la politica.
La politica era stata nel passato una passione attiva per Spartaco, che l’aveva abbandonata da quando i due ruoli di amministratore comunale e di segretario del partito non erano stati più tenuti distinti dai compaesani e lui alla fine si era sentito stretto in questa situazione. Nel presente la sfera politica per come si connota invece non lo appassiona più. Resta in lui viva l’esigenza del protagonismo politico, la necessità che gli operai parlino in prima persona dei propri bisogni, siano in prima fila a difendere i propri diritti più che semplicemente affidarsi a intellettuali e politici di professione barricati nelle loro sedi. La barzelletta dei due frati e della loro disputa teologica in questo caso è nella sua comicità estremamente illuminante.
Durante una delle sue passeggiate un nuovo cartellone attira l’attenzione del protagonista. I suoi occhi, spalancati sulla realtà, registrano stupiti i cambiamenti rispetto al passato. Lo slogan “Il lusso democratico italiano” utilizzato per vendere mobili da parte di una ditta che vendeva mobili da quattro generazioni è nato in piena campagna elettorale e il fatto lo inquieta. Lo sfruttamento di un valore costitutivo e pregnante per uno scopo commerciale lo fa scadere a proprietà privata, pensa Spartaco: un ulteriore segnale della fatica di permanere nei valori del passato, ma anche della perdita di significato nella validità della politica.
Ma non solo: anche interiormente Spartaco fa i conti con sé stesso e la sua progressiva vecchiaia, tra dubbi e paure mentre il caldo dell’estate lo rende apatico. Lo rincuora il fatto che è in ogni caso un uomo d’esperienza, capace di aver fatto carriera a livello dirigenziale in una ditta pur senza essere laureato, grazie al suo prezioso impegno e alla conoscenza maturata.
Il già citato muro dei pensieri durante le passeggiate si affaccia dunque continuamente, ma in realtà è una risorsa esistenziale notevolissima. Il vero muro in realtà è rappresentato da una serie di condizioni oggettive dell’esistenza imposte dall’esterno e che mutano la normalità senza arricchirla.
Troviamo nei racconti il rifiuto di vedere il nonno con la mascherina da parte del nipotino di tre anni che è sempre pronto ad ascoltare i meravigliosi dei rumori della campagna, così come il suicidio di un amico, che al Nord aveva tentato di spezzare i confini di un paesino mal sopportato, in cerca di nuovi orizzonti.
In particolare è significativo l’ultimo incontro lungo l’argine con un ultranovantenne che coltiva l’orto e gli svela le complicanze delle ultime disposizioni perché certe leggi complicano la vita pratica senza risultato: “Oggi è tutto illegale, non si possono più raccogliere neanche le canne per infrascare le piante di pomodoro o dei piselli. Tempo fa i vigili urbani hanno multato un tale solo perché aveva preso una cassetta di terriccio da quel boschetto di acacie”.
Nel mondo di oggi tutto è organizzato e regolato da sempre nuove leggi. L’amore per il lavoro della terra, il prodotto della propria coltivazione che si mangia o regala per dare gusto alle giornate e rimanere attaccati alle radici contadine viene messo da parte dall’insensatezza di problemi e gabelle che si impongono e modificano il tradizionale rapporto di libera autoproduzione di ortaggi.
il vecchio incontrato lungo l’argine ha anche tentato di leggere Moby Dick, un libro difficile da leggere, per la storia di una balena inseguita e ritenuta un demonio dal tormentato capitano Achab. Per il vecchio il suo colore bianco era di per sé immagine di purezza e non di malvagità. Per Spartaco invece il bianco e il nero sono due colori assoluti che annullano gli altri colori. Bianco e nero si assomigliano e rappresentano due facce del male. La balena bianca per Spartaco è l’elemento cattivo che la mente di ogni essere umano contienee il viaggio della baleniera si presenta come viaggio dentro la mente, perversa, di ogni uomo.
In questi racconti si può viaggiare anche in un luogo circoscritto e conosciuto da sempre perché viaggiare è un’arte della mente che conduce a nuove osservazioni e riflessioni, a nuove dimensioni di scoperta e condivisione. Abbracciare il proprio territorio e percorrerlo quotidianamente in cerca di incontri e ricordi non significa però sprofondare in una melanconia nostalgica per Spartaco.
La cifra di questi racconti è la leggerezza lungo la direttrice di una vena pessimistica non assoluta ma ragionevolmente dimostrata, che nasce dal disincanto dello sguardo di fronte all’evidenza dei fatti della memoria come della realtà quotidiana.

Investigatrice a Livorno

Angela Pagnanelli, Correre dietro al sole nell’ombra, Edizioni Il Castello, 2022

 di Teresa Paladin

Una nuova investigatrice entra nel panorama della narrativa giallistica: una giovane giornalista di 35 anni di nome Gianna, una donna che non si ferma alla apparenze degli accadimenti o alla loro esecrazione, perché ritiene che di fronte alle ingiustizie e ai crimini occorra non tirarsi indietro e che, con intraprendenza e soprattutto coraggio, ci sia bisogno di testimoni di verità. E’ allieva di un altro mitico giornalista, suo mentore, Giorgio, esperto di cronaca nera del giornale “Voce popolare” di Livorno dove anche lei è inquadrata. Continua la lettura di Investigatrice a Livorno

“Il Ballo” di Irène Némirovsky


di Teresa Paladin

Ecco alcuni spunti di riflessione che Teresa Paladin ha suggerito durante l’incontro del nostro gruppo di lettura all’Associazione il Giardino di Figline Valdarno, giovedì 25 novembre, parlando di un racconto per certi versi esemplare, come può esserlo Il ballo, di Irène Némirovsky. Tra i partecipanti al gruppo si è accesa una vivace discussione, racconto e temi trattati davvero stimolavano. (A.A.)

In un salotto di “nuovi ricchi” inizia la storia, con la Signora Kampf teatrale nell’aprire la porta tanto da far tintinnare le gocce del lampadario di cristallo. La figlia di 14 anni, Antoniette, è subito aspramente rimproverata perché restia ad adeguarsi alle nuove norme comportamentali adottate dal mondo dell’alta borghesia ma molto distanti rispetto alle umili origini della famiglia.
Il conflitto madre/figlia è evidente fin dal principio, e mentre Antoniette accetta la pantomima materna impostale, una sorta di recita di buona educazione comportamentale, sente ritornare dentro di lei quell’avversione profonda verso gli adulti che a volte le occupa la mente. In ambito adolescenziale gli sbalzi umorali sono la regola, ma qui troviamo una ragazzina che in realtà ha timore, “paura” degli adulti, sentimento che ha iniziato a provare da quando era finito il tempo delle carezze e dei baci e la voce irritata della madre la brontolava frequentemente.
Una mamma scontrosa, vanitosa, “gelosa” della sua bimba in fase puberale, tutta centrata sull’aspirazione a vivere la sua nuova posizione sociale repentinamente arrivata per un colpo di fortuna speculativo.
E mentre la signora Kampf sta attendendo questo ballo che la consacrerà nell’ambito dei salotti altolocati parigini come parte dell’aristocrazia finanziaria, la figlia è costretta a una educazione rigida e priva di libertà: Antoniette si sente così trascurata mentre sta ricercando la sua quota di felicità negata dall’ intransigenza materna.
Il ballo è la storia di questa attesa dell’evento celebratore dei nuovi fasti della famiglia Kampf, in una villa dove vasellame, musicisti e domestici costituiscono una coreografia studiata nei minimi dettagli e supervisionata dall’organizzatrice dell’evento.
Ma c’è un altro significato da assegnare al titolo: il ballo vero è quello che si gioca tra madre e figlia, in un crescendo di tensione fino allo scioglimento finale.
Una madre che si rivede nella figlia: quando aveva la sua età anche lei era recalcitrante e piena di vitalità! Una figlia che a piccoli passi scoprirà la somiglianza gestuale con la madre, restandone basita ma forse anche ciò le darà sicurezza emotiva e capacità di intraprendenza.
Il rapporto madre/figlia, strutturale nell’adolescenza e che per certi versi segna la vita, è ovviamente destinato a mutare: una madre che sta invecchiando, una figlia che sta sbocciando al futuro, una gelosia che vorrebbe impedire l’esplosione della giovinezza nell’arco di una settimana imboccheranno sentieri imprevisti.
Dalle schiavitù e dalle prigioni, ingegnandosi, si può uscire, suggerisce la Némirovskj, e la notte narrata nel testo è proprio l’inizio del passaggio, della crescita di Antoniette.
Temi dominanti del racconto sono l’invidia e la paura, l’ansia e la ricerca di felicità, che legano e dividono le due figure femminili, ma anche il desiderio di emozioni erotiche.
Splendidamente cinematografica la scena della vestizione della signora Krampft che indossa di tutto: anelli, perle, bracciali, la vanità completamente soddisfatta, la vera vita cominciava… e sogno dell’amante giovane e bello a completamento della sua ascesa repentina e fortunata a livello sociale spazia con leggerezza nei suoi pensieri. Meraviglioso all’interno del testo, nello spannung dell’attesa, il parallelismo sonoro che rimbomba nella casa, splendide sonorità degli orologi e campanone della chiesa cupo, mentre anche la voce diventa umana diventa rauca… Némirovskj gioca con le atmosfere ambientali, musicali, antropologiche perché la rete delle assonanze sottolinea l’attesa di un trionfo che tarda ad arrivare.
Nell’attesa del ballo, in un climax di nervosismo si inserisce la tematica dell’ipocrisia sociale, in un confronto sulla punta di scarpette da ballo per così dire, tra la signora Kampf e Isabelle, un trionfo della competizione tra donne legata alla gelosia, mista a falsa pietà, esibita e mielosa considerazione in una commedia recitata fino in fondo.
L’allontanamento della dominanza della figura materna conduce ad ogni buon grado Antoniette a spiccare il volo e a spalancarsi in modo nuovo al mondo degli adulti, col ribaltamento finale delle prospettive: e mentre la paura scompare, appare nella ragazza la consapevolezza della fragilità di tutti gli esseri umani, adulti compresi!
Un grande affabulatrice di immagini e dettagli ripresi dalla vita quotidiana, la Némirovskj, che pare abbia in qualche modo ripreso la figura della madre reale in questo rapporto tra Rosine e Antoniette, come spesso accade in letteratura, in cui modelli e comportamenti dietro l’immaginazione letteraria nascondono spiragli di vita vissuta.

“La strategia della farfalla” di Marco Belpoliti

di Teresa Paladin

Tra interruzioni, ripartenze, nuove interruzioni imposte dalla pandemia, quest’estate ci abbiamo riprovato, con il Gruppo di lettura dell’Associazione Il Giardino di Figline Valdarno, a conversare la notte intorno a dei libri. Sei incontri che si sono svolti tra luglio e agosto sotto il titolo “Notturni al giardino”. In realtà faceva un gran caldo, nonostante fossimo in un vero giardino dedicato alla memoria del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia. Un caldo umido trasudava in cielo la caligine anche di notte, una foschia così fitta nella quale potevamo scorgere appena qualche stella. D’altra parte Figline è un paese situato in una stretta pianura dove scorre l’Arno e molti suoi affluenti, qui l’afa, l’umidità è di casa estate e inverno forse più che a Firenze. Ma la nostra curiosità a conversare di libri aspettava paziente le ore più fresche, che sarebbero comunque arrivate, chiaramente sempre in rapporto alle temperature di giornate in cui si superavano i 40 gradi. Con Teresa Paladin e Giuseppe Baldassarre abbiamo conversato su di un libro fresco di stampa come il Napoleone in venti parole di Ernesto Ferrero, con Paolo Gualandi sugli ironici racconti dello scrittore americano Ring Lardner, con Lucia Bruni sul mio ricordo/racconto dedicato a Romano Bilenchi, con Federico Napoli su Firenze e la cultura dei Caffè letterari del Novecento, mentre una serata, curata da Leonello Rabatti e Augusto Taurisano, è stata interamente dedicata a letture sceniche e performance recitative di alcune poesie. Nell’ultimo degli incontri Teresa Paladin ci ha intrattenuto parlando de La strategia della Farfalla di Marco Belpoliti, così le ho chiesto di riordinare gli appunti usati nella conferenza per renderli un breve testo critico su questo spassoso libro che parla degli insetti, pubblicato da Guanda nel 2016 …Ecco il risultato…  (A. A.)

 

Gli animali in Letteratura:  dal cane Argo in poi caratteristiche, vizi, virtù del mondo animale fanno parte integrante della storia letteraria, a sottolineare come non solo lo spazio e il tempo di una storia ma anche gli esseri viventi di altre specie hanno qualcosa da comunicare all’immaginario collettivo. La loro biologia è stata assunta in chiave prevalentemente antropomorfizzata, quasi come uno specchio, nel bene e nel male, di quanto lo scrittore stava   dichiarando circa le qualità, i destini  ma soprattutto le azioni del mondo degli uomini.

In La strategia della farfalla Marco Belpoliti presenta con abilità il mondo organizzato e infinitamente piccolo degli insetti con capitoli dedicati alle varie specie. Un viaggio in un universo che ci circonda e di cui raramente ci accorgiamo ma che rivela un’attrazione incredibile quando vi orientiamo la nostra attenzione.

Si tratta di una visita nel mondo degli insetti, nell’intento di Belpoliti,  per cambiare il nostro sguardo verso di loro e anche il nostro comportamento.

«Ci sono molte ragioni per cui è bene riflettere sul comportamento e sul destino di questi esseri minuscoli, di cui non ci occupiamo se non quando ci infastidiscono», sostiene lo scrittore, al quale  interessa osservare il mondo di esseri viventi infinitamente piccoli e  interrogarsi su quanto vi emerge. In tal senso ci si può domandare perché siano belle le farfalle, quale sia la percezione del tempo per una zecca, capace di resistere in immobile attesa della preda fino a diciotto anni, o stupirsi per l’elegante e variegata organizzazione sociale messa a punto dagli insetti, che richiama  aspettative e utopie mai del tutto realizzate dagli uomini.

La parte iniziale presenta una bellissima metafora di  William Osborne Wilson, padre della sociobiologia, in cui si narra che se tre milioni di anni fa un’astronave di scienziati alieni fosse atterrata sul nostro Pianeta, per saggiare le forme di vita presenti, avrebbe potuto osservare da vicino le operose api, termiti e formiche, concludendo che “gli insetti sono il culmine dell’evoluzione e gli invertebrati domineranno anche nei prossimi cento mega-anni”.

Così non è stato per la comparsa  sulla superficie terrestre dell’uomo che  si è evoluto diventando il padrone della Terra e insieme il suo possibile distruttore. Ma gli insetti sono ancora qui e costituiscono almeno i tre quarti dell’oltre milione di specie di animali viventi: nel “globo terrestre vi sarebbero un miliardo di miliardi d’insetti, duecento milioni di insetti per ogni essere umano”!

Come non restarne affascinati? Se non altro, come non cominciare a osservarli con occhi diversi?

Nel libro leggiamo in più passaggi, come affermano diversi studiosi, naturalisti, zoologi che saranno proprio gli insetti a dominare dopo l’autoestinzione del genere umano, tesi che l’autrice del presente articolo non auspica e spera non prospettarsi nel futuro.

Belpoliti ha dichiarato di aver cominciato a interessarsi degli insetti leggendo le opere di Darwin  e poi ampliando la loro conoscenza  attraverso le opere di Primo levi e Vladimir Nabokov. Pietra miliare sono stati inoltre gli studi dedicati al linguaggio delle api di Karl von Frisch e l’etologia, vera passione negli anni Settanta e Ottanta, lanciata dalle opere di Konrad Lorenz, ma anche i risultati di molti altri studiosi, tra cui  Bert Hölldobler, Celli e Fabre, sono racchiusi in queste pagine.  “La strategia della farfalla” ce ne illustra brevemente e suggestivamente le ricerche sui  mondi segreti di sedici tra insetti e altri piccoli animali intorno a noi.

Belpoliti  accompagna così i lettori in una passeggiata naturalistica tra formiche, api, vespe, farfalle, lucciole, coccinelle, scarafaggi, zanzare, mosche, pulci e via dicendo alla scoperta  della vita degli insetti e della loro organizzazione sociale, dei loro costumi alimentari e sessuali così come delle loro attività principali.

Un mondo, quello degli insetti,  di cui si evidenzia ordine, bellezza, capacità organizzativa e di costruzione di super-organismi collettivi perfettamente funzionanti, ma anche con tratti assurdi e feroci, volti al mantenimento della specie,  ma mai banali. Al noto proverbio per il quale, si sa, il diavolo si nasconde nel particolare, Flaubert, si sa un po’ meno, rispondeva che è Dio, semmai, a celarsi in esso, ha osservato Belpoliti in un’intervista. Per aprirci attraverso l’estremamente piccolo a orizzonti nuovi di conoscenza dove il dettaglio non è mai trascurabile, alla ricerca di minuzie e curiosità che verosimilmente nessuno di noi è abituato a osservare e catturare.

Di modo che possiamo affermare che per Marco Belpoliti esaminare la vita degli insetti, i loro linguaggi e comportamenti sociali, i rituali di corteggiamento, le danze nuziali  e attrazioni istintuali volte alla riproduzione appare come un ottimo modo per interpretare l’universo degli uomini, esponendo in che modo differiscono o somigliano all’uomo stesso.

Guida l’esplorazione entomologica una certezza: gli insetti ci potrebbero consentire di ridimensionare  certe nostre manie – definiamole pure così – di grandezza. “Siamo da questo punto di vista straordinariamente egocentrici; giudicare gli altri esseri viventi solo in rapporto alle proprie capacità intellettuali è un atto di presunzione”: per cui se è vero  che siamo dotati di intelligenza, si può notevolmente dubitare di quanto e come la usiamo, soprattutto se osserviamo lo stato in cui stiamo riducendo il nostro Pianeta.

Gli insetti usano l’istinto e ci stupiscono con i loro comportamenti innati che guidano le loro azioni, ma sono anche capaci di apprendere l’adattamento all’ambiente: “Non si tratta di esseri inferiori, dal momento che il loro livello di organizzazione è sul medesimo piano di quello dei vertebrati”.

 L’ orizzonte narrativo  resta però quello  dell’umanista, non quello  dello scienziato. Belpoliti coniuga così, in un’operazione culturale piacevole e arricchente, osservazione etnografica e scrittura letteraria mostrando come queste due pratiche, se sinergicamente condotte, costruiscono una panoramica densa di vitalità e prospettive ermeneutiche.

In questa minuziosa esplorazione, in questo viaggio naturalistico lo scrittore si fa accompagnare da illustri compagni di viaggio. Troviamo  Pasolini con la sua magica e irresistibile attrazione per le   lucciole, Kafka e il suo scarafaggio Gregor,  Calvino e la forza delle formiche,   Nabokov con i suoi giochi sui nomi delle farfalle, Faulkner che osserva parallelamente zanzare e  uomini, Deleuze per cui le zecche sono animali bergsoniani, che dilatano il tempo a seconda delle proprie esigenze alimentari.

Su tutti troneggia Primo Levi: ai suoi occhi curiosi e capaci di sorprendersi il mondo degli animali è risorsa letteraria, fonte inesauribile per la creazione scritturale. Da Levi il nostro riprende l’idea che occorra non attribuire agli animali meccanismi mentali umani né descrivere l’uomo in termini zoologici; la cosa giusta da fare e  semmai «entrare in comunicazione» con gli animali, non tenendo presente soltanto un traguardo scientifico,  ma per simpatia e senza arroganza.

Per non dare per scontato nulla, nemmeno gli insetti più antipatici. Fino ad arrivare all’interessante e sorprendente domanda su quale utilità abbiano le  fastidiose e temute vespe.  Questi imenotteri sono strutturati in società complesse ma qui, a differenza delle amate api, non c’è da produrre per gli uomini il benefico miele. Dunque “Perché vivere insieme nel nido?”

In esso vige il polimorfismo per cui alcune vespe, sia femmine che maschi,  diventano riproduttrici, altre hanno il semplice ruolo di operaie: tutte in ogni caso rivelano uno stupefacente, e direi invidiabile, grado di solidarietà sociale   perché “i problemi dell’individuo si fondono con quelli della comunità e da essa vengono risolti”.

Da qui discenderebbero comportamenti sociali altruistici orientati ad accudire le sorelle delle operaie sterili”. Esiste così un grado di accudimento maggiore tra sorelle (i maschi non ci sono, perché muoiono dopo la fecondazione delle femmine) che non con i propri figli. Stupendo accorgersi infine, rispondendo alla domanda iniziale, che sono proprio questi imenotteri che contribuiscono a diffondere i lieviti che fanno maturare l’uva: “senza vespe, niente vino”. Più utili di così!

A sorpresa l’ultimo capitolo – così è suddivisa la narrazione – curiosamente è assegnato ai ragni, che non sono insetti ma loro predatori. Ma come non riprenderne le movenze e i rituali? Sono finissimi ed estetici tessitori per poter essere predatori, come hanno dimostrato recentemente le tele della Nuova Zelanda, con ragni capaci di consociarsi per un’opera incredibile di tessitura naturalistica lunga 30 metri, che ondeggia al vento e crea scenari lunari. “Il filo di seta è un capolavoro fisico-chimico”. Per non parlare dei ragni in delirio, chissà in quale esperimento scientifico, per aver assunto Lsd: “cambiano il modo di tessere la loro tela, la fanno non più geometricamente perfetta ma mostruosa, storta, deformata, come le visioni dei drogati umani”.  

L’aracnofobia, ci racconta Belpoliti, non è una paura come tutte le altre. Levi ne era perseguitato e indicava l’origine di questo suo disagio in una incisione di Dorè  vista da adolescente e raffigurante il  canto XII della Commedia. Aracne, tessitrice che aveva sfidato l’orgoglio di Atena,  viene colta nell’atto di trasformarsi in ragna, mentre spuntano dal suo corpo le sei braccia pelose transitoriamente accostate nell’immagine di Dorè a quelle umane. “Un ibrido di cui Dante, nel lavoro dell’artista francese, sembra contemplare gli inguini: mezzo disgustato e mezzo voyeur. Come dargli torto?” La metamorfosi parziale introduce  una prossimità fisiologica ai limiti della ripugnanza;  la coesistenza del genere animale col corpo umano esprime  la continuità fra i regni della natura. Il ragno è vicino a noi, sembra dirci Belpoliti, più di quanto immaginiamo.

Il respiro del libro di Marco Belpoliti, proprio passando attraverso lo sguardo minuto dell’entomologo ripreso con simpatia dallo scrittore, è insomma assai ampio.

Qualcuno potrebbe rintracciare nella forma riflessiva e non solo descrittiva del testo  un riferimento non troppo celato al declino recente della categoria dell’antropocentrismo, in vista di una nuova concezione dell’uomo ma anche del grande e in fondo ancora non chiaramente conosciuto mondo naturale. Una natura che sempre più va inserita come parte integrante del pianeta cultura: nel rapporto con l’ambiente, il clima  e gli altri esseri viventi sul pianeta si gioca e si struttura la modalità di esistenza dell’uomo, della sua dignità, del suo essere “centro” ma anche  “custode e responsabile” dell’universo.  La stessa nozione di sopravvivenza globale della specie umana non può che essere inserita in un ecosistema che ci precede e dagli equilibri preordinati. Il rapporto tra gli uomini e tra gli uomini e la natura è allo stadio attuale dell’evoluzione un nodo di riflessione ineluttabile. Se non vogliamo consegnare il futuro del pianeta alle laboriose e “intelligenti” formiche!

Superando l’opposizione, dunque,  tra natura e cultura possiamo sperare di godere ancora per tanto tempo della bellezza strepitosa delle farfalle. E qual è la loro strategia?

Il vero miracolo delle farfalle è nella simmetria, nelle ali. La simmetria è il  risultato di uno sviluppo non perturbato”  e il colore delle membrane alari è un effetto chimico e fisico. Deriva da pigmenti e dalla luce riflessa dalle minuscole strutture lamellari che compongono le scaglie: una miriade di scaglie – disposte come tegole di un tetto – che rifrangono e deviano la luce. Il gioco della superficie e l’inferenza delle onde luminose viene costantemente modificato dall’angolazione di osservazione. Si generano così colori intensi, iridescenti, cangianti a partire dal punto di vista dell’osservatore, secondo una prospettiva che possiamo definire quantistica. Come dire che per ciascuno esiste la propria farfalla, un angolo esclusivo e personale di contemplazione della bellezza!

Come indica il titolo del libro di Belpoliti, le farfalle sono dotate di un’ottima strategia di sopravvivenza, fatto sottolineato dalle loro due nascite e due morti nel ciclo da pupa a insetto adulto. Paradossalmente viste da vicino le farfalle presentano un “volto” alquanto mostruoso con un boccale esagerato, grandi occhi senza pupille e antenne simili a corna. Potremmo asserire che hanno una parte frontale che ingrandita ci appare da film horror. Per la loro conformazione fisica, però, la testa non la notiamo, le ali sì.

Offrire il lato migliore, stupire e meravigliare volando in spazi dove siano perfettamente visibili, avere una struttura lamellare di alta ingegneria naturalistica non è forse un’ottima strategia per presentare al mondo ciò che di bello le connota, oscurando il loro limite?

Mostrare la propria bellezza, qui da intendersi come sensibilità, intelligenza, capacità di relazione e cura sociale, creatività e quant’altro,  minimizzando i lati brutti o che semplicemente non ci piacciono   è sicuramente un’ottima strada anche per noi esseri umani.  Dare visibilità a ciò che possediamo come punto di forza, donare il meglio di noi sapendo che siamo creature meravigliosamente organizzate, pensanti e cariche ogni giorno di nuova vitalità – per quanto breve possa essere il nostro cammino – non potrebbe ampliare la prospettiva della nostra percezione interiore? La strategia della farfalla  non offre forse spunti di nuova contezza in rapporto al nostro modo di percepirci e relazionarci nell’ambito sociale?

Relazionarci con le farfalle ci invita a esprimere intensamente la nostra “personale bellezza”, ovunque noi siamo.

“Non luogo a procedere” di Claudio Magris

       

di Angelo Australi

Dopo l’apertura, fatta ad ottobre 2019 con la presentazione del romanzo di Claudio Piersanti La forza di gravità, questo ciclo d’incontri che insieme all’almanacco di racconti compongono il progetto La casa degli Strani – ideato dalle associazioni figlinesi il Giardino e Circolo Letterario Semmelweis e realizzato con il contributo dell’Amministrazione comunale di Figline e Incisa Valdarno -si è concluso con un altro importante romanzo scritto nella nostra contemporaneità: Non luogo a procedere di Claudio Magris. Ne abbiamo parlato al Centro Sociale il Giardino venerdì 23 ottobre 2020 Continua la lettura di “Non luogo a procedere” di Claudio Magris

Nikolaj Leskov,”Il viaggiatore incantato”

Biblioteca Marsilio Ficino, Figline Valdarno , venerdì 28 febbraio 2020

conversazione di Angelo Australi, Giuseppe Baldassare, Teresa Paladin

In apertura lettura del capitolo II.

ANGELO AUSTRALI

Ecco, questo è il nostro viaggiatore incantato: Ivan Sever’janic Fljagin. Detto Testone.

Un monaco novizio di 50 anni, che viaggia, imbarcato in un battello, sul lago Ladoga, insieme ad un filosofo e un mercante, ai quali, per far passare il tempo, inizia a raccontare la storia della sua vita.

Continua la lettura di Nikolaj Leskov,”Il viaggiatore incantato”

Presentazione dell’almanacco “La casa degli Strani”

Resoconto a cura di Angelo Australi

Si può resistere al degrado culturale dell’Italia puntando sul «bisogno di parlare, di discutere dei libri che leggiamo» e intessendo relazioni tra Letteratura e lettori? Questa è la scommessa coraggiosa che hanno fatto il Circolo letterario Semmelweis e l’Associazione il Giardino di Figline Valdarno appoggiate – cosa rara di questi tempi – dal Comune. Il progetto, che è stato già presentato su Poliscritture (qui), ha mosso i primi passi e qui se ne dà un resoconto dettagliato. L’intento è rivalutare la narrazione; e in particolare il racconto, che a differenza del romanzo, in un mondo in cui tutto continua a cambiare a velocità impensabili, parrebbe avere per la sua brevità, sufficiente elasticità per adattarsi ai ritmi più convulsi d’oggi e sfuggire alle trappole del Mercato e dell’informazione usa e getta. [E. A.]

Continua la lettura di Presentazione dell’almanacco “La casa degli Strani”