Su PASSEGGIARE DOVE SONO DI CASA di Angelo Australi
di Teresa Paladin
Passeggiate della mente e del cuore stando “Isolato dietro un muro di pensieri”: con questo titolo inizia il primo di quattro racconti di Angelo Australi presentati in “Passeggiare dove sono di casa”, editrice SEF, febbraio 2024.
Per Spartaco, da poco giunto alla pensione, è diventata una tranquilla necessità vitale fare camminate lunghe in aperta campagna, di quelle che irrobustiscono il fisico e tranquillizzano la mente, lontano dal traffico e in luoghi silenziosi.
Il tempo del covid offre lo sfondo contestuale di queste passeggiate, le quali iniziano in sordina e sempre più si concretizzano in una visione aperta e dinamica multifattoriale. Spartaco si muove dai percorsi labirintici improvvisamente articolati davanti ai centri commerciali fino alle passeggiate lontano dal paese, mentre le quotidiane passerelle televisive dei responsabili o presunti esperti della salute pubblica e della politica cercano di convincere tutti a starsene a casa.
Passare tra elementi della natura osservandoli e ripescare nella lucidità della memoria, dove fatti e persone non muoiono mai: tra questi due confini, la natura e l’andare a ritroso nei ricordi, la ricerca di una pace interiore in queste passeggiate anima il protagonista, che per altro rimane aperto e disponibile agli eventi del tempo presente.
Dalla memoria si affaccia l’inizio della vita matrimoniale vissuta all’insegna dell’avventura. Spartaco e Ambra non avevano prenotato niente e passeranno ben diversamente dal previsto, in chiave quasi cosmicomica, la prima notte di nozze. Ma con un fondo di serenità e senso di libertà che non può non sorprendere i sostenitori di un mondo sistematicamente rispondente a esigenze di funzionale organizzazione. Si scopre così che un certo fatalismo è un compagno sicuro nella vita del protagonista.
L’atmosfera assolutamente positiva dell’imprevisto, che non limita ma arricchisce il viaggio continua infatti anche per le vacanze successive, almeno fino al nascere dei figli, nella comune accettazione condivisa di meraviglie da vedere e scomodità da affrontare. La disposizione d’animo che tutto è rimediabile e ci sia sempre un’altra possibilità guidano Spartaco, mentre la moglie Ambra è contenta di assistere a un’alba stupenda e di ritornare a casa più stanca di quando era partita. Una innocente fiducia per quello che il fato avrebbe offerto e il fascino dell’avventura denotano ottimismo e la certezza di poter contare sulle proprie forze in tutte le situazioni.
Turista improvvisato ma sempre consapevolmente in gioco, Spartaco ama soffermarsi con attenzione e guardare con piacere la macchia mediterranea, le antiche pietre, gli uomini che si ubriacano per dimenticare la loro melanconia.
Mentre osserva attentamente le abitudini della altrui vita quotidiana, la tomba di Italo Calvino a Castiglion della Pescaia e la casa “rossa” di Leonardo Ximenes, ingegnere e matematico gesuita, nella zona paludosa della riserva naturale di Diaccia Botrona sono pause culturali irrinunciabili. Sulla tomba di Calvino si respira un clima di silenzio e preghiera: in un cimitero si capisce la piccolezza umana, che non sempre noi uomini e donne ricordiamo.
L’argine del fiume è un luogo silenzioso di esplorazioni. Se la natura in tutte le sue forme- piante, rovi, laghetti, aironi e falchi pescatori, le oasi del WWF- è scenario intrigante dei racconti, fondamentali sono gli incontri con sconosciuti o amici. La costruzione di una capriata in ferro al ponte del paese, lungo l’argine del fiume che è costeggiato da terreni coltivati grazie al lavoro di bonifica di Pietro Leopoldo alla fine del Settecento, diventa l’occasione per una rimpatriata di paese. Tutti si ritrovano là, amici e compaesani di sempre, a fare commenti in cui, ovviamente, fa capolino la politica.
La politica era stata nel passato una passione attiva per Spartaco, che l’aveva abbandonata da quando i due ruoli di amministratore comunale e di segretario del partito non erano stati più tenuti distinti dai compaesani e lui alla fine si era sentito stretto in questa situazione. Nel presente la sfera politica per come si connota invece non lo appassiona più. Resta in lui viva l’esigenza del protagonismo politico, la necessità che gli operai parlino in prima persona dei propri bisogni, siano in prima fila a difendere i propri diritti più che semplicemente affidarsi a intellettuali e politici di professione barricati nelle loro sedi. La barzelletta dei due frati e della loro disputa teologica in questo caso è nella sua comicità estremamente illuminante.
Durante una delle sue passeggiate un nuovo cartellone attira l’attenzione del protagonista. I suoi occhi, spalancati sulla realtà, registrano stupiti i cambiamenti rispetto al passato. Lo slogan “Il lusso democratico italiano” utilizzato per vendere mobili da parte di una ditta che vendeva mobili da quattro generazioni è nato in piena campagna elettorale e il fatto lo inquieta. Lo sfruttamento di un valore costitutivo e pregnante per uno scopo commerciale lo fa scadere a proprietà privata, pensa Spartaco: un ulteriore segnale della fatica di permanere nei valori del passato, ma anche della perdita di significato nella validità della politica.
Ma non solo: anche interiormente Spartaco fa i conti con sé stesso e la sua progressiva vecchiaia, tra dubbi e paure mentre il caldo dell’estate lo rende apatico. Lo rincuora il fatto che è in ogni caso un uomo d’esperienza, capace di aver fatto carriera a livello dirigenziale in una ditta pur senza essere laureato, grazie al suo prezioso impegno e alla conoscenza maturata.
Il già citato muro dei pensieri durante le passeggiate si affaccia dunque continuamente, ma in realtà è una risorsa esistenziale notevolissima. Il vero muro in realtà è rappresentato da una serie di condizioni oggettive dell’esistenza imposte dall’esterno e che mutano la normalità senza arricchirla.
Troviamo nei racconti il rifiuto di vedere il nonno con la mascherina da parte del nipotino di tre anni che è sempre pronto ad ascoltare i meravigliosi dei rumori della campagna, così come il suicidio di un amico, che al Nord aveva tentato di spezzare i confini di un paesino mal sopportato, in cerca di nuovi orizzonti.
In particolare è significativo l’ultimo incontro lungo l’argine con un ultranovantenne che coltiva l’orto e gli svela le complicanze delle ultime disposizioni perché certe leggi complicano la vita pratica senza risultato: “Oggi è tutto illegale, non si possono più raccogliere neanche le canne per infrascare le piante di pomodoro o dei piselli. Tempo fa i vigili urbani hanno multato un tale solo perché aveva preso una cassetta di terriccio da quel boschetto di acacie”.
Nel mondo di oggi tutto è organizzato e regolato da sempre nuove leggi. L’amore per il lavoro della terra, il prodotto della propria coltivazione che si mangia o regala per dare gusto alle giornate e rimanere attaccati alle radici contadine viene messo da parte dall’insensatezza di problemi e gabelle che si impongono e modificano il tradizionale rapporto di libera autoproduzione di ortaggi.
il vecchio incontrato lungo l’argine ha anche tentato di leggere Moby Dick, un libro difficile da leggere, per la storia di una balena inseguita e ritenuta un demonio dal tormentato capitano Achab. Per il vecchio il suo colore bianco era di per sé immagine di purezza e non di malvagità. Per Spartaco invece il bianco e il nero sono due colori assoluti che annullano gli altri colori. Bianco e nero si assomigliano e rappresentano due facce del male. La balena bianca per Spartaco è l’elemento cattivo che la mente di ogni essere umano contienee il viaggio della baleniera si presenta come viaggio dentro la mente, perversa, di ogni uomo.
In questi racconti si può viaggiare anche in un luogo circoscritto e conosciuto da sempre perché viaggiare è un’arte della mente che conduce a nuove osservazioni e riflessioni, a nuove dimensioni di scoperta e condivisione. Abbracciare il proprio territorio e percorrerlo quotidianamente in cerca di incontri e ricordi non significa però sprofondare in una melanconia nostalgica per Spartaco.
La cifra di questi racconti è la leggerezza lungo la direttrice di una vena pessimistica non assoluta ma ragionevolmente dimostrata, che nasce dal disincanto dello sguardo di fronte all’evidenza dei fatti della memoria come della realtà quotidiana.