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Due fiabe

di Annamaria Locatelli

NEL BOSCO ANTICO   

Anno 2050…autunno piovoso. Il bosco offre un tappeto di foglie multicolori: il sentiero ne è disseminato, ma ne restano ancora sugli alberi, piccole fragili bandierine già arrese. Alle zampe di agili o pigri animali, le foglie non scricchiolano più, la pioggia le ha rese flosce e marce, quasi una poltiglia di fango giallo-verde mescolato al terriccio. Una stradina costeggia il bosco e un’altra lo attraversa: ad un tratto, alla svolta di un’audace curva, si congiungono, quasi vanno a sbattere muso contro muso, come due animali fuggitivi e disorientati. Nessun paia di occhi a testimoniare l’incontro, solo felci e muschio.

Ma quelle due strade hanno fissato un incontro per sempre: rigide, immobili. Si toccano, si attraversano per poi divergere di nuovo. Chissà se hanno pattuito un’intesa, si sono confidate un segreto o solo sfiorate per perdersi una volta per sempre…Presenze, presenze. Gli alberi sono quelle più antiche: dominatrici possenti vite, hanno generato altre vite. Formiche, uccelli, insetti, piccoli mammiferi e poi fiori, arbusti…un mondo completo, anche se  marcescente. Il torrente, scendendo dal monte e srotolando macigni, si è affacciato alla scena ancora prima del bosco: intorno a lui tutto è germogliato…di presenza in presenza un’infinita catena a ritroso, senza poter risalire al Big Bang. Ripercorrendola in avanti, per ultimo è apparso l’uomo che ha sentito il bisogno di tracciare una o più strade nel bosco. Eppure prima di lui nessuno vi si era mai perso. Chi volava sopra, chi lo attraversava con la lentezza della lumaca, chi con la velocità della lepre, senza bussola e punti cardinali. Era sempre la propria casa: non ci si allontanava mai, non ci si perdeva mai. A volte si mangiava, a volte si veniva mangiati: sempre si andava a concimare la terra. E arrivò l’uomo! Non è riuscito ad essere con la natura, ha voluto dominarla…ma le stradine, in fondo, sono solo una tenera cosa, un bisogno di esserci, di facilitare il cammino, senza disturbare.

In quel bosco, ai piedi delle montagne, a parte le due stradine, lascito di antichi pastori che un tempo conducevano i loro greggi sulle alture e sentiero prediletto di persone solitarie e di innamorati, non c’erano tracce di opere umane.

L’autunno é avanzato e si intravedono i primi segnali dell’inverno imminente. Gli animali più pigri si preparano al lungo letargo, gli uccelli migratori hanno già spiccato il volo per terre lontane, le farfalle, dalla breve vita, sono scomparse e l’edera, cadute le foglie,  ha cessato di ricoprire i tronchi e le verzure di delicate campanelle bianche, screziate di rosa, in un abbraccio mortale.

C’è un’attesa nell’aria, nel silenzio incantato, silenzio che la sottile pioggia non riesce a turbare. La natura tutta sembra interrogarsi sul suo destino: vivrò o non vivrò? E’ struggente e spasmodica la richiesta di una risposta che tarda ad arrivare…e tutto è sospeso nell’aria, come per il primo giorno del mondo. Però allora il mondo si apriva alla speranza di un’eterna primavera, ora invece presentimenti di morte si stampano nella linfa verde e nei corpi dei piccoli insetti e degli animali del bosco. Gli alberi piangono le loro lacrime di pioggia e di freddo, le goccioline a rivoletti si inseguono sui tronchi squamosi, sui rami, sulle foglie ingiallite e vanno a penetrare nella terra scura…scoiattoli, talpe, serpentelli si acciambellano nelle loro recondite tane e rifiutano agli occhi la luce…ne hanno vista e vista e basta una volta per tutte! Lasciateci dormire in santa pace! Noi veniamo forse a disturbare il vostro sonno? Scusate, scusate. I dialoghi sommessi nel bosco…

E le due stradine che si incrociano sempre rigide a fiutare la metamorfosi – soltanto un mese prima tutt’intorno c’erano movimento, vita, musica di uccelli, colori e profumi inebrianti – pensano di essere solo loro uguali nel tempo, mentre lì tutto si trasforma. Certo sono opera dell’uomo, l’essere che pretende di incidere sulla natura “ per sempre”, l’essere che pretende di essere immortale.

Ma ad un tratto, nel silenzio tintinnante, un garrito squarcia l’immobilità del cielo e il pesante grigiore: la macchia scura di un rondone taglia in due lo spazio, segnando nel cielo, come a specchio, la traiettoria del piccolo sentiero che attraversa il bosco, una freccia saettante.

Nello stesso tempo una farfalla vola al limitare del bosco, sulla piccola strada che costeggia il tratto boschivo. Il rondone, in una delle sue acrobazie, si abbassa nel volo, quasi radendo il suolo, e va a raccogliere tra le ali nere quelle della bianca farfalla. Forza e delicatezza si incontrano in un abbraccio improvviso e disorientante di corpi vivi nel volo. Ciascuno dei due esseri si sorprende imbarazzato e desideroso di  recuperare il suo spazio, la sua integrità, e si ritrae ma subito dopo freme dal desiderio di replicare il contatto. Farfalla e rondone sono dei sopravvissuti, i loro simili hanno già concluso la breve esistenza oppure sono migrati in terre lontane, dal clima accogliente. Solo loro sono rimasti a quelle latitudini, nel rigore dell’inverno imminente. Ma perché? Perché non seguire il comportamento dei compagni che da tempi remoti si ripete e che attiene alla conservazione della vita? Un mistero unisce le due creature in un insolito e comune destino! Forse un’amnesia dell’istinto destinata a portarli a morte certa?  Oppure un atto coraggioso di volontà, la bacchetta magica di tutti i giorni? L’incontro inaspettato ha scatenato mille dubbi e ciascuno teme sadiocosa. Lunghi e incerti sguardi…Incomincia il rondone con un timido rito di corteggiamento, vola intorno alla farfalla, ma non è abituato a volare basso e a percorrere piccoli spazi concentrici, bensì a puntare all’immenso cielo azzurro intrecciando con i compagni mille trine nere. Solo così si sentiva libero e felice, ma ora una forza irresistibile lo porta in altra direzione. Anche la piccola farfalla, del resto, lo asseconda e cerca di elevare il suo volo quasi all’altezza dei rami più bassi degli alberi, colta da ugual sentimento. Il rondone vede la farfalla tremare di gioia, allora distende le sue ali protettrici e la farfalla prontamente vi si incunea, e non più per caso, sentendosi entrambi pervadere da un senso di accoglienza. Cercano ora un rifugio  nella fessura del tronco di una vecchia quercia e a lungo si raccontano…Le stradine del bosco sbirciano in tutte le direzioni, vorrebbero divincolarsi, rincantucciarsi l’una nell’altra, ma si sono perse d’immobilità…

 

 

L’INVITO

La donna si sveglia di soprassalto, guarda l’orologio: è mattina tarda ormai! Quella notte aveva sofferto di insonnia, i soliti pensieri fissi che le disturbavano il sonno! Era sola e viveva di preoccupazioni e di ansie. Riusciva comunque a sognare in quelle poche ore di sonno dall’alba al risveglio, e non sempre erano sogni rassicuranti! Quella notte, infatti,  una invasata ipnotizzatrice le aveva letteralmente inculcato la paura folle di avere ormai poco tempo di vita e di dover portare a termine con urgenza una missione: scrivere un testo teatrale per uno spettacolo che si doveva rappresentare su un grande palco, in una regione imprecisata del mondo, in una località ancora meno definita. Nella mente della donna tutto era vago, il sogno lo era per i suoi contorni indistinti, ma nello stesso tempo il messaggio trasmessole aveva una forza assoluta e un mandato indiscutibile. Pertanto la signora si preparò un caffè molto forte e si mise subito al lavoro. Lei non era una scrittrice, tuttavia prese un foglio ed una penna e pensò: qualcosa mi verrà in mente…Dopo un’ora la pagina era ancora del tutto bianca, tra l’altro nessun suggerimento le era stato fornito sul soggetto. Sconforto e terrore cominciarono ad impadronirsi di lei. L’orologio scandiva senza tregua il trascorrere del tempo e lei non riusciva a sfornare la più piccola idea! Era una questione di vita o di morte arrivare al più presto allo scopo…ma perché, se doveva comunque morire? I sogni vai a capirli! Bisognava almeno pensare ad un nome, ad un titolo che l’avrebbe magari ispirata e poi forse tutto sarebbe stato più semplice. La donna strinse forte la penna nel pugno e scrisse di getto una sola parola: Pagnotta. Fu come accendere uno schermo: apparve il Paggio Pagnotta di dimensioni umane, pervaso da un intenso profumo di menta e avvolto da un mantello di color verde, dal bavero rubino. Incantevole ed enigmatico…la piccola stanza si allargò e prese le dimensioni di una vasta foresta profumata, attraversata da un impetuoso corso d’acqua!

Lo strano essere, mangereccio e fluviale, si rivolse direttamente alla donna molto sorpresa (aveva, nonostante l’aspetto, la voce severa):

– Ero qua ad osservarti da molto tempo, tu non mi vedevi, ma poi mi hai invocato, eccomi qua:  hai bisogno di aiuto e l’avrai, ma devi anche farti guidare…le cose non vanno mai o quasi mai secondo i piani degli uomini! Ma sbrigati, hai già perso troppo tempo in cose ingannevoli. Ti suggerirò le informazioni esatte che da tempo cercavi. Prendi la mappa della Terra, c’è un luogo, piccolo punto del nostro pianeta, dove sei attesa. E’ situato in prossimità del mare e verdi colline lo incorniciano. Là si erge un palco costruito dalla natura: uno spiazzo elevato e protetto da antichissimi lecci e querce. Vai e saprai: ti aspetta un velivolo e il pilota è già pronto a condurti!-

La donna si sente confusa e smarrita: dovrebbe partire subito, lasciare tutto per una destinazione ignota e per una missione ancora più ignota? Ha un momento di esitazione, ma sa di non avere alternative, il suo cuore batte forte, ha molta paura ma deve. All’ultimo momento afferra una borsettina con qualche soldo e una carta d’identità, non poteva sapere di qualche controllo di frontiera. Intanto l’autorevole e appetibile Paggio si rende di nuovo invisibile e la donna spaventata si precipita all’esterno dove una cornacchia dalle ali spiegate la incoraggia impaziente a salirle sul dorso. Solo un fugace pensiero: ma quanto scomoda sarò? Si vola! Si vola! La signora prova a rilassarsi perché deve pur affrontare la situazione con calma; le penne del capo, a cui è aggrappata, sono alquanto ruvide! Intanto ha il tempo di riflettere con apprensione che, se ci doveva essere una rappresentazione, di essa esisteva solo il titolo: Pagnotta, ma senza  testo, ovvero molto conciso. Qualcuno avrebbe provveduto a tutto, spera, l’importante ora era restare calmi e farsi trasportare! Non si può scegliere il mezzo di trasporto come è inutile opporsi al destino. Tira un profondo respiro, ma è troppo presto per prendere fiato, l’uccello è investito da tremende scariche elettriche e una formidabile tempesta si abbatte sul piccolo velivolo. Fortunatamente il pilota – quanto lo stava rivalutando il suo uccello trasportatore!- sa tenere la rotta e passa indenne tra bagliori sinistri e sconquassi…Il cielo ora si rischiara e appare molto in basso la Terra, tra bianchi vapori; la cornacchia si appresta ad atterrare e la donna vede avvicinarsi la meta. Si tiene stretta, trema, ma l’atterraggio è abbastanza indolore, solo un divertente ruzzolone alla fine. Quando sbarca, si aggiusta i capelli, raccoglie la borsettina e vorrebbe ringraziare il volatile ma non ne ha il tempo, subito un gran rumoreggiare di mare e di genti la travolge: vede molte persone, centinaia, migliaia, sedute in cerchio intorno a un grande palco naturale. Dal colore della pelle, dagli abbigliamenti e dal risuonare delle più svariate lingue, capisce che provengono da ogni angolo del pianeta. Anche lei si ritrova seduta tra loro, è una di loro: una donna bianca del vecchio continente…Tutti giunti lì dalle regioni più lontane e, viene a sapere – le barriere linguistiche azzerate – con un invito particolare tutti sollecitati a scrivere il testo per una rappresentazione. Nessuno, si capiva dai volti preoccupati, era riuscito a portare a termine la consegna. Il mare ai piedi della grande collina occhieggiava tra scintillii di luce e sembrava divertito. Tra i mille interrogativi dei presenti, all’improvviso si fa silenzio e una quasi certezza: era quello l’incantevole spettacolo promesso, si presentava ai loro occhi: genti e mare da amare… Già scritto il copione, a caratteri di liquide onde increspate, un gigante a tracciarne la trama? Lor solo chiamati a rifletterlo: insieme autori, attori e pubblico? Ormai era lì e non le dispiaceva; sciogliere l’intero enigma era impossibile, pensa la donna. Quanto era lontano il suo piccolo mondo! Poteva anche sbarazzarsi della borsettina, nessuno lì chiedeva documenti, si sentiva a casa e si rifletteva in tutto ciò che vedeva, non distingueva più onde occhi mani…e infine: ”Pagnotta per tutti!”

“La strategia della farfalla” di Marco Belpoliti

di Teresa Paladin

Tra interruzioni, ripartenze, nuove interruzioni imposte dalla pandemia, quest’estate ci abbiamo riprovato, con il Gruppo di lettura dell’Associazione Il Giardino di Figline Valdarno, a conversare la notte intorno a dei libri. Sei incontri che si sono svolti tra luglio e agosto sotto il titolo “Notturni al giardino”. In realtà faceva un gran caldo, nonostante fossimo in un vero giardino dedicato alla memoria del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia. Un caldo umido trasudava in cielo la caligine anche di notte, una foschia così fitta nella quale potevamo scorgere appena qualche stella. D’altra parte Figline è un paese situato in una stretta pianura dove scorre l’Arno e molti suoi affluenti, qui l’afa, l’umidità è di casa estate e inverno forse più che a Firenze. Ma la nostra curiosità a conversare di libri aspettava paziente le ore più fresche, che sarebbero comunque arrivate, chiaramente sempre in rapporto alle temperature di giornate in cui si superavano i 40 gradi. Con Teresa Paladin e Giuseppe Baldassarre abbiamo conversato su di un libro fresco di stampa come il Napoleone in venti parole di Ernesto Ferrero, con Paolo Gualandi sugli ironici racconti dello scrittore americano Ring Lardner, con Lucia Bruni sul mio ricordo/racconto dedicato a Romano Bilenchi, con Federico Napoli su Firenze e la cultura dei Caffè letterari del Novecento, mentre una serata, curata da Leonello Rabatti e Augusto Taurisano, è stata interamente dedicata a letture sceniche e performance recitative di alcune poesie. Nell’ultimo degli incontri Teresa Paladin ci ha intrattenuto parlando de La strategia della Farfalla di Marco Belpoliti, così le ho chiesto di riordinare gli appunti usati nella conferenza per renderli un breve testo critico su questo spassoso libro che parla degli insetti, pubblicato da Guanda nel 2016 …Ecco il risultato…  (A. A.)

 

Gli animali in Letteratura:  dal cane Argo in poi caratteristiche, vizi, virtù del mondo animale fanno parte integrante della storia letteraria, a sottolineare come non solo lo spazio e il tempo di una storia ma anche gli esseri viventi di altre specie hanno qualcosa da comunicare all’immaginario collettivo. La loro biologia è stata assunta in chiave prevalentemente antropomorfizzata, quasi come uno specchio, nel bene e nel male, di quanto lo scrittore stava   dichiarando circa le qualità, i destini  ma soprattutto le azioni del mondo degli uomini.

In La strategia della farfalla Marco Belpoliti presenta con abilità il mondo organizzato e infinitamente piccolo degli insetti con capitoli dedicati alle varie specie. Un viaggio in un universo che ci circonda e di cui raramente ci accorgiamo ma che rivela un’attrazione incredibile quando vi orientiamo la nostra attenzione.

Si tratta di una visita nel mondo degli insetti, nell’intento di Belpoliti,  per cambiare il nostro sguardo verso di loro e anche il nostro comportamento.

«Ci sono molte ragioni per cui è bene riflettere sul comportamento e sul destino di questi esseri minuscoli, di cui non ci occupiamo se non quando ci infastidiscono», sostiene lo scrittore, al quale  interessa osservare il mondo di esseri viventi infinitamente piccoli e  interrogarsi su quanto vi emerge. In tal senso ci si può domandare perché siano belle le farfalle, quale sia la percezione del tempo per una zecca, capace di resistere in immobile attesa della preda fino a diciotto anni, o stupirsi per l’elegante e variegata organizzazione sociale messa a punto dagli insetti, che richiama  aspettative e utopie mai del tutto realizzate dagli uomini.

La parte iniziale presenta una bellissima metafora di  William Osborne Wilson, padre della sociobiologia, in cui si narra che se tre milioni di anni fa un’astronave di scienziati alieni fosse atterrata sul nostro Pianeta, per saggiare le forme di vita presenti, avrebbe potuto osservare da vicino le operose api, termiti e formiche, concludendo che “gli insetti sono il culmine dell’evoluzione e gli invertebrati domineranno anche nei prossimi cento mega-anni”.

Così non è stato per la comparsa  sulla superficie terrestre dell’uomo che  si è evoluto diventando il padrone della Terra e insieme il suo possibile distruttore. Ma gli insetti sono ancora qui e costituiscono almeno i tre quarti dell’oltre milione di specie di animali viventi: nel “globo terrestre vi sarebbero un miliardo di miliardi d’insetti, duecento milioni di insetti per ogni essere umano”!

Come non restarne affascinati? Se non altro, come non cominciare a osservarli con occhi diversi?

Nel libro leggiamo in più passaggi, come affermano diversi studiosi, naturalisti, zoologi che saranno proprio gli insetti a dominare dopo l’autoestinzione del genere umano, tesi che l’autrice del presente articolo non auspica e spera non prospettarsi nel futuro.

Belpoliti ha dichiarato di aver cominciato a interessarsi degli insetti leggendo le opere di Darwin  e poi ampliando la loro conoscenza  attraverso le opere di Primo levi e Vladimir Nabokov. Pietra miliare sono stati inoltre gli studi dedicati al linguaggio delle api di Karl von Frisch e l’etologia, vera passione negli anni Settanta e Ottanta, lanciata dalle opere di Konrad Lorenz, ma anche i risultati di molti altri studiosi, tra cui  Bert Hölldobler, Celli e Fabre, sono racchiusi in queste pagine.  “La strategia della farfalla” ce ne illustra brevemente e suggestivamente le ricerche sui  mondi segreti di sedici tra insetti e altri piccoli animali intorno a noi.

Belpoliti  accompagna così i lettori in una passeggiata naturalistica tra formiche, api, vespe, farfalle, lucciole, coccinelle, scarafaggi, zanzare, mosche, pulci e via dicendo alla scoperta  della vita degli insetti e della loro organizzazione sociale, dei loro costumi alimentari e sessuali così come delle loro attività principali.

Un mondo, quello degli insetti,  di cui si evidenzia ordine, bellezza, capacità organizzativa e di costruzione di super-organismi collettivi perfettamente funzionanti, ma anche con tratti assurdi e feroci, volti al mantenimento della specie,  ma mai banali. Al noto proverbio per il quale, si sa, il diavolo si nasconde nel particolare, Flaubert, si sa un po’ meno, rispondeva che è Dio, semmai, a celarsi in esso, ha osservato Belpoliti in un’intervista. Per aprirci attraverso l’estremamente piccolo a orizzonti nuovi di conoscenza dove il dettaglio non è mai trascurabile, alla ricerca di minuzie e curiosità che verosimilmente nessuno di noi è abituato a osservare e catturare.

Di modo che possiamo affermare che per Marco Belpoliti esaminare la vita degli insetti, i loro linguaggi e comportamenti sociali, i rituali di corteggiamento, le danze nuziali  e attrazioni istintuali volte alla riproduzione appare come un ottimo modo per interpretare l’universo degli uomini, esponendo in che modo differiscono o somigliano all’uomo stesso.

Guida l’esplorazione entomologica una certezza: gli insetti ci potrebbero consentire di ridimensionare  certe nostre manie – definiamole pure così – di grandezza. “Siamo da questo punto di vista straordinariamente egocentrici; giudicare gli altri esseri viventi solo in rapporto alle proprie capacità intellettuali è un atto di presunzione”: per cui se è vero  che siamo dotati di intelligenza, si può notevolmente dubitare di quanto e come la usiamo, soprattutto se osserviamo lo stato in cui stiamo riducendo il nostro Pianeta.

Gli insetti usano l’istinto e ci stupiscono con i loro comportamenti innati che guidano le loro azioni, ma sono anche capaci di apprendere l’adattamento all’ambiente: “Non si tratta di esseri inferiori, dal momento che il loro livello di organizzazione è sul medesimo piano di quello dei vertebrati”.

 L’ orizzonte narrativo  resta però quello  dell’umanista, non quello  dello scienziato. Belpoliti coniuga così, in un’operazione culturale piacevole e arricchente, osservazione etnografica e scrittura letteraria mostrando come queste due pratiche, se sinergicamente condotte, costruiscono una panoramica densa di vitalità e prospettive ermeneutiche.

In questa minuziosa esplorazione, in questo viaggio naturalistico lo scrittore si fa accompagnare da illustri compagni di viaggio. Troviamo  Pasolini con la sua magica e irresistibile attrazione per le   lucciole, Kafka e il suo scarafaggio Gregor,  Calvino e la forza delle formiche,   Nabokov con i suoi giochi sui nomi delle farfalle, Faulkner che osserva parallelamente zanzare e  uomini, Deleuze per cui le zecche sono animali bergsoniani, che dilatano il tempo a seconda delle proprie esigenze alimentari.

Su tutti troneggia Primo Levi: ai suoi occhi curiosi e capaci di sorprendersi il mondo degli animali è risorsa letteraria, fonte inesauribile per la creazione scritturale. Da Levi il nostro riprende l’idea che occorra non attribuire agli animali meccanismi mentali umani né descrivere l’uomo in termini zoologici; la cosa giusta da fare e  semmai «entrare in comunicazione» con gli animali, non tenendo presente soltanto un traguardo scientifico,  ma per simpatia e senza arroganza.

Per non dare per scontato nulla, nemmeno gli insetti più antipatici. Fino ad arrivare all’interessante e sorprendente domanda su quale utilità abbiano le  fastidiose e temute vespe.  Questi imenotteri sono strutturati in società complesse ma qui, a differenza delle amate api, non c’è da produrre per gli uomini il benefico miele. Dunque “Perché vivere insieme nel nido?”

In esso vige il polimorfismo per cui alcune vespe, sia femmine che maschi,  diventano riproduttrici, altre hanno il semplice ruolo di operaie: tutte in ogni caso rivelano uno stupefacente, e direi invidiabile, grado di solidarietà sociale   perché “i problemi dell’individuo si fondono con quelli della comunità e da essa vengono risolti”.

Da qui discenderebbero comportamenti sociali altruistici orientati ad accudire le sorelle delle operaie sterili”. Esiste così un grado di accudimento maggiore tra sorelle (i maschi non ci sono, perché muoiono dopo la fecondazione delle femmine) che non con i propri figli. Stupendo accorgersi infine, rispondendo alla domanda iniziale, che sono proprio questi imenotteri che contribuiscono a diffondere i lieviti che fanno maturare l’uva: “senza vespe, niente vino”. Più utili di così!

A sorpresa l’ultimo capitolo – così è suddivisa la narrazione – curiosamente è assegnato ai ragni, che non sono insetti ma loro predatori. Ma come non riprenderne le movenze e i rituali? Sono finissimi ed estetici tessitori per poter essere predatori, come hanno dimostrato recentemente le tele della Nuova Zelanda, con ragni capaci di consociarsi per un’opera incredibile di tessitura naturalistica lunga 30 metri, che ondeggia al vento e crea scenari lunari. “Il filo di seta è un capolavoro fisico-chimico”. Per non parlare dei ragni in delirio, chissà in quale esperimento scientifico, per aver assunto Lsd: “cambiano il modo di tessere la loro tela, la fanno non più geometricamente perfetta ma mostruosa, storta, deformata, come le visioni dei drogati umani”.  

L’aracnofobia, ci racconta Belpoliti, non è una paura come tutte le altre. Levi ne era perseguitato e indicava l’origine di questo suo disagio in una incisione di Dorè  vista da adolescente e raffigurante il  canto XII della Commedia. Aracne, tessitrice che aveva sfidato l’orgoglio di Atena,  viene colta nell’atto di trasformarsi in ragna, mentre spuntano dal suo corpo le sei braccia pelose transitoriamente accostate nell’immagine di Dorè a quelle umane. “Un ibrido di cui Dante, nel lavoro dell’artista francese, sembra contemplare gli inguini: mezzo disgustato e mezzo voyeur. Come dargli torto?” La metamorfosi parziale introduce  una prossimità fisiologica ai limiti della ripugnanza;  la coesistenza del genere animale col corpo umano esprime  la continuità fra i regni della natura. Il ragno è vicino a noi, sembra dirci Belpoliti, più di quanto immaginiamo.

Il respiro del libro di Marco Belpoliti, proprio passando attraverso lo sguardo minuto dell’entomologo ripreso con simpatia dallo scrittore, è insomma assai ampio.

Qualcuno potrebbe rintracciare nella forma riflessiva e non solo descrittiva del testo  un riferimento non troppo celato al declino recente della categoria dell’antropocentrismo, in vista di una nuova concezione dell’uomo ma anche del grande e in fondo ancora non chiaramente conosciuto mondo naturale. Una natura che sempre più va inserita come parte integrante del pianeta cultura: nel rapporto con l’ambiente, il clima  e gli altri esseri viventi sul pianeta si gioca e si struttura la modalità di esistenza dell’uomo, della sua dignità, del suo essere “centro” ma anche  “custode e responsabile” dell’universo.  La stessa nozione di sopravvivenza globale della specie umana non può che essere inserita in un ecosistema che ci precede e dagli equilibri preordinati. Il rapporto tra gli uomini e tra gli uomini e la natura è allo stadio attuale dell’evoluzione un nodo di riflessione ineluttabile. Se non vogliamo consegnare il futuro del pianeta alle laboriose e “intelligenti” formiche!

Superando l’opposizione, dunque,  tra natura e cultura possiamo sperare di godere ancora per tanto tempo della bellezza strepitosa delle farfalle. E qual è la loro strategia?

Il vero miracolo delle farfalle è nella simmetria, nelle ali. La simmetria è il  risultato di uno sviluppo non perturbato”  e il colore delle membrane alari è un effetto chimico e fisico. Deriva da pigmenti e dalla luce riflessa dalle minuscole strutture lamellari che compongono le scaglie: una miriade di scaglie – disposte come tegole di un tetto – che rifrangono e deviano la luce. Il gioco della superficie e l’inferenza delle onde luminose viene costantemente modificato dall’angolazione di osservazione. Si generano così colori intensi, iridescenti, cangianti a partire dal punto di vista dell’osservatore, secondo una prospettiva che possiamo definire quantistica. Come dire che per ciascuno esiste la propria farfalla, un angolo esclusivo e personale di contemplazione della bellezza!

Come indica il titolo del libro di Belpoliti, le farfalle sono dotate di un’ottima strategia di sopravvivenza, fatto sottolineato dalle loro due nascite e due morti nel ciclo da pupa a insetto adulto. Paradossalmente viste da vicino le farfalle presentano un “volto” alquanto mostruoso con un boccale esagerato, grandi occhi senza pupille e antenne simili a corna. Potremmo asserire che hanno una parte frontale che ingrandita ci appare da film horror. Per la loro conformazione fisica, però, la testa non la notiamo, le ali sì.

Offrire il lato migliore, stupire e meravigliare volando in spazi dove siano perfettamente visibili, avere una struttura lamellare di alta ingegneria naturalistica non è forse un’ottima strategia per presentare al mondo ciò che di bello le connota, oscurando il loro limite?

Mostrare la propria bellezza, qui da intendersi come sensibilità, intelligenza, capacità di relazione e cura sociale, creatività e quant’altro,  minimizzando i lati brutti o che semplicemente non ci piacciono   è sicuramente un’ottima strada anche per noi esseri umani.  Dare visibilità a ciò che possediamo come punto di forza, donare il meglio di noi sapendo che siamo creature meravigliosamente organizzate, pensanti e cariche ogni giorno di nuova vitalità – per quanto breve possa essere il nostro cammino – non potrebbe ampliare la prospettiva della nostra percezione interiore? La strategia della farfalla  non offre forse spunti di nuova contezza in rapporto al nostro modo di percepirci e relazionarci nell’ambito sociale?

Relazionarci con le farfalle ci invita a esprimere intensamente la nostra “personale bellezza”, ovunque noi siamo.

Scrivere

di Arnaldo Éderle

Non concordo con la spiegazione  che  Éderle dà  in  questi versi del perché si scrive. Anche se continuassimo a scrivere su un “bianco foglio” di carta, “di sera di mattina e di pomeriggio”, tutto è mutato attorno a noi dal tempo degli amanuensi e dei poeti in attesa della “nera farfalla” che li illumini. Forse è il caso di discuterne. [ E. A.] 

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Capricci

capricci ederle

di Arnaldo Éderle

 

Come due arance

Ora faremo il resto, poeti generosi.
Quando s’avvia la macchina dei sogni
potrebbe sembrare la mia. Continua la lettura di Capricci

Poesie inedite

Scimmia e bimba per poesie Locatelli

di Annamaria Locatelli

Questa pubblicazione di alcune poesie inedite di Annamaria Locatelli non è solo un omaggio ad una delle commentatrici più assidue e cordiali di Poliscritture, ma un invito a riflettere, a partire dal suo caso concreto, sulla tenacia con la quale una donna, senza lasciarsi intimidire dai tanti e contraddittori e quasi sempre inconcludenti discorsi che si fanno sulla poesia d’oggi, continua – schiva ma decisa – a coltivarla per suo conto. Annamaria cerca la sua poesia nel fiabesco, dove i fiumi che scorrono non possono essere che pigri e le pecore bianche non possono che brucare. E lì però non dimentica la paura dell’animale selvatico (la piccola volpe smarrita) costretta a nascondersi «in anfratti solitari». Domina nella sua ricerca la nostalgia di un mondo primitivo (quasi di una Rousseau al femminile invaghita di «Lucy l’antenata»?). La spinta  più sentita è quella di sfuggire al mondo delle merci per rinascere, cancellando il presente abitato da uomini ammaliati e ammalati di nuove tecnologie, e ritrovarsi all’unisono con una natura intatta e rassicurante. Si può o si deve recuperare il gesto antico e semplice dell’impastare il pane e tornare pronti a spartirlo con i bisognosi? Non si finirà malcapitati a imprecare cercando «un appiglio/ in coda all’ultimo tram»? Eppure questo è il sogno che la poesia di Annamaria cura e alimenta. E che ai più scettici pone una domanda ineludibile: perché esso persiste in tanti/e? [E. A.] Continua la lettura di Poesie inedite

Gico il lombrico: verme solo di fatto

lombrico

di Franco Nova

Gico il lombrico si aggirava triste triste su un terreno argilloso reso tutto melma per la troppa pioggia caduta in mattinata. Adesso spuntava un timido sole autunnale, c’era un po’ di caldo ma il fango era tutt’altro che rappreso e solidificato. Gico strisciava con grande difficoltà. Pensava sospirando a quegli animali che avevano almeno due zampe, non rendendosi tuttavia conto che anch’essi non camminavano affatto agevolmente su quel terreno così viscido e in cui dunque si sprofondava. Lui almeno era leggero e andava perciò incontro a brevi momenti di minimo affondamento. Continua la lettura di Gico il lombrico: verme solo di fatto