Archivi tag: ragione

La natura delle cose

di Cristiana Fischer

Per qualche ragione che non so più ho preso in mano il poema “De rerum natura” di Lucrezio (vivente all’epoca in cui nacque la nostra era cristiana) restando profondamente stupita dal suo splendido naturalismo, da un lato, e dal suo sereno materialismo, dall’altro. Lucrezio ammette l’esistenza degli dei (e non di un Dio unico) ma li colloca – sereni e beati, indifferenti agli umani – negli intermundia (uno “spazio sottile come i loro corpi”) epicurei, inaccessibili a noi che viviamo nel/nei mondi popolati di atomi materiali. Tuttavia il suo materialismo introduce, nella caduta meccanica dei fondamentali elementi naturali, la possibilità di impercettibili variazioni, che giustificano, per noi umani, che possiamo avere libertà e piacere.
Questa visione filosofica, semplice e razionale, mi è parsa rispondere all’angoscia di cieche interrogazioni su cui mi affannavo, nello stesso tempo, circa l’aspirazione alla trascendenza che fa parte della nostra cultura.
Ho scritto questo poemetto per ripercorrere il percorso che ho sopra descritto, intrecciando versi di Lucrezio alle poesie in cui esprimevo l’angoscia del forse impossibile senso che cercavo per la nostra esistenza sulla Terra. Continua la lettura di La natura delle cose

I memoricidi della memoria selettiva

di Lorenzo Galbiati

Nella logica della critica dialogante che Poliscritture ha sempre praticato pubblico questo intervento di Lorenzo Galbiati, pur avendo delle riserve in parte già espresse in un mio precedente confronto con lui (qui). Le approfondirò nel corso della discussione che spero si apra e sia a più voci. [E. A.]

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Un abc per i moltinpoesia (2)

a cura di E. A. da Che cos’è la poesia? di Franco Fortini (Rai Educational 1993)

Ho pensato di dare continuità a questo “abc per i moltinpoesia” (qui la prima pagina). La rubrica accoglierà riflessioni sulla poesia in forma di brevi citazioni da articoli che man mano rileggerò o che altri vorranno propormi o segnalarmi. [E. A.]

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Si può dire che nel linguaggio umano c’è una funzione che tende a mettere in evidenza soprattutto, o almeno in modo particolare, il linguaggio stesso, ad attirare l’attenzione sulla forma della comunicazione. Ebbene questa è la funzione poetica.

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Antonio Sagredo, La gorgiera e il delirio

Schena editore

In questo libro (170 pagine) appena pubblicato dall’editore Schena di Fasano (Brindisi), Antonio Sagredo ha raccolto sue poesie scritte tra 2003 e 2018. Alcune comparse in questi anni anche su Poliscritture. Ne segnalo volentieri l’uscita, proponendo tre testi da Legioni, presenti ne La Gorgiera e il delirio; e in Appendice la Prefazione di Donato Di Stasi. Su questa per ora mi soffermo con brevi appunti. Per continuare la mia precedente riflessione sui componimenti di Sagredo e confrontarla con un altro punto di vista, rispettabile ma antitetico al mio. Perché? Di Stasi, invece di tenere le giuste distanze critiche dal poeta, incita i lettori ad accogliere senza riserve la ricchezza teatrale e folleggiante di questa poesia, che diventa tout court la Poesia: «Ai poeti bisogna chiedere di essere inquietanti e eccessivi, di seminare disordine e illimitatezza, di suscitare perplessità e di affilare costantemente il crinale del dubbio». Eppure proprio i suoi tratti fondamentali e specifici (la “mercurialità” delle composizioni, che a Di Stasi «appaiono oscure e lampanti»; la drammaticità elisabettiana del poeta alle prese con i suoi numerosi alter ego; la sua volontà di addentrarsi nell’«orrore» pur di esplorare un «Oltre che reclama di venire alla luce e di farsi materia vivente e corruttibile») andrebbero interrogati e approfonditi. Cosa implica l’adesione – ingenua o raffinata – alle mitologie dell’io poetico sagrediano: il «poeta-rospo» che si tramuta in «minotauro »? O al suo vitalismo: «si toglie le gramaglie del lutto e inneggia alla vita sfolgorante dei sensi e ai salti mortali della ragione»? Oppure a un indeterminato «Oltre che reclama di venire alla luce» e che, non ricondotto alla sua dimensione storica, parrebbe offrirci una «vita sfolgorante dei sensi», mentre più che mai la cronaca quotidiana ci mette di fronte a una sempre più preoccupante «vita offesa» (Adorno)? La “meraviglia” per la mostruosità del Presente può, appunto, pietrificare e annichilire. E, dunque, non di altri «salti mortali della ragione» avremmo bisogno. Semmai di una uscita dalla sua sonnolenza, che – come si dice – genera mostri. E di quel suo camminare con passo lento e misurato. Anche in poesia. [E. A.]

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Dieci poesie da “Una stagione nascosta”

edizioni NEM srl

di Vincenzo Di Maro

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 Non fu attraverso me
 che desiderò esistere? 
 Nel suo sguardo giustifico
 mano e postura.
 Né scrivo che la forma necessaria:
 soltanto Suo il gesto che rivela.
 Verità, farti e attingerti
 se mi fronteggi e guidi
 se spingi e mi sei allato
 io non sono che il luogo
 che non ospita niente.
 Ma chi scava 
 l’oggetto o la ragione?
 O impassibile
 negligenza del tempo.
  
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Dediche. A Leopardi

di Antonio Sagredo

 
 

Io devo dire a Silvia il tuo rancore 

Ho barato con l’ignoto e la veggenza, 
l’urna e la clessidra si sono rivoltate
per un vomito di versi e di visioni -
il gallo ha beccato la rugginosa banderuola
  
L’Apocalisse se n’è venuta come una troia
turrita di merletti, anatemi e nastri funebri.
Non ha gradito la tragedia come una finzione
ché nello specchio la sventura non ha valore di rovina.
  
Io so che i sogni di quel borgo ti hanno tradito,
sapevi che la luce bovina non aveva spazi per te,
che erano meno finti del tuo infinito come gli zibaldoni,
che l’immensità era una vana e spietata farsa libertina.
  
E quando una marionetta abiurò i fili dinoccolati
per una stecca della Storia ma non del tuo pensiero
ferrigno io devo dire a Silvia il tuo rancore, la grazia 
di quel Nulla che mutò la tua ragione in fatale canto.
  
  
  
 Maruggio-Campomarino, 22-23 agosto 2016
  
  
  
  
   

Natalizie 2017

L’anno scorso a Natale pubblicammo tre testi di Pasquale Balestriere, Giorgio Mannacio e Armando Tagliavento (qui). Quest’anno è la volta di Virginia Arici, che propone una riflessione su una tregua natalizia   decisa da inglesi e tedeschi nelle trincee del fronte occidentale  durante la Grande Guerra attraverso la memoria di Robert Graves; e di Giulio Toffoli, che ci presenta il suo Tonto affascinato, malgrado il dichiarato agnosticismo, dal silenzio musicale di un’antica chiesa e dal presepio, in cui vede una aurorale affermarsi del blochiano Principio Speranza. Tenace resta anche a Natale la sua grinta polemica  che si volge contro il  (soave) filisteismo di un intrattenitore televisivo e contro il capitalismo  (« il nemico mortale dei valori di cui il natale è espressione archetipica è il capitale»). Sbilanciandosi però, a me pare, verso una difesa troppo rigida del concetto di identità. [E. A.] Continua la lettura di Natalizie 2017

Una “iskra” di periferia contro la miseria della politica d’oggi

DIALOGO TRA TONTO E SAMIZDAT

Non sapremo se avremo avuto ragione.
 Ma guarda come già stendono le loro stuoie
 attraverso la tua stanza.

Come distribuiscono le loro masserizie,
 come spartiscono il loro bene, come
 fra poco mangeranno la nostra verità!
 Di noi spiriti curiosi in ascolto
 prima del sonno parleranno.

(Franco Fortini, Gli ospiti,  da "Versi ad un destinatario" in "Una volta per sempre", pag. 309)

di Ennio Abate

Tonto – Ma allora hai letto su CARPE DIEM COLOGNO? Dice che l’Amministrazione del sindaco Rocchi zitta zitta è arrivata a metà legislatura e che le va riconosciuto il merito di  «aver fatto ritornare a vivere, nel bene o nel male, la nostra città». E tu, invece, a dare Continua la lettura di Una “iskra” di periferia contro la miseria della politica d’oggi

Il conflitto con l’ISIS ovvero uno scacco alla razionalità (almeno alla mia)

di Giorgio Mannacio

Per l’affinità col tema del post di Ezio Partesana (qui)  e alcune incursioni anche sul tema delle migrazioni (qui) anticipo la pubblicazione dell’articolo di Giorgio Mannacio, segnalato in un commento da Annamaria Locatelli e che uscirà con molto ritardo – è bene precisare che la sua stesura risale al dicembre 2015 –  nel n. 12  cartaceo di Poliscritture ora in stampa. [E. A.]

1. Non ho alcuna difficoltà a confessare – e dunque lo confesso – di avere scritto almeno quattro versioni, del testo che qui propongo, dal giorno degli attentati terroristici a Parigi (13 novembre 2015) ad oggi. Nessuno mi ha soddisfatto e li ho via via abbandonati incompiuti. Probabilmente tale esito infelice si fonda sull’errato convincimento che la ragione possa spiegare tutto quanto sta succedendo e dare a tale tragica catena di eventi una sistemazione razionale che possa volgerla ad esiti desiderabili di pacificazione. Forse la linea diritta della razionalità non riesce a mettere insieme i pezzi – così disparati e in perenne contraddizione – che costituiscono la trame degli attuali eventi. Ma, abbandonata la razionalità, si apre una domanda drammatica: cosa resta ? Raccolgo i cocci del passato lavoro che ho cercato di svolgere documentandomi sul nuovo che avanza e utilizzando le vecchie convinzioni rimastemi come criterio di orientamento. Sono rimaste, alla fine, indicazioni specifiche, magari scollegate tra loro ed ecco, dunque, il mio percorso nei suoi frazionamenti. Continua la lettura di Il conflitto con l’ISIS ovvero uno scacco alla razionalità (almeno alla mia)

Due idee di spazio

accampamento-pigmei

di Giorgio Mannacio

I.
La vastità del mare aperto, che non pone neppure un ostacolo fisso allo sguardo, sembra attuare pienamente quella riflessione circa la successione degli spazi in una serie infinita che è il fuoco centrale di una delle meditazioni leopardiane. Di quest’ultima resta irrisolto però, in una pluralità di significati , il verso finale che suona così: e naufragar mi è dolce in questo mare.
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