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Purtroppo…


da Poliscritture su FB

di Ennio Abate

Purtroppo anche la sua, Adriano Sofri, è retorica. Perché copre una contraddizione ormai conclamata. Tra la sua convinzione/speranza che Israele sia ancora “fino a prova contraria, un paese democratico” e, perciò, “interlocutore dei pensieri e dei sentimenti della gente del mondo” e i fatti di queste settimane che dimostrano – lo scrive lei pure – che “Nethanyahu ha fatto e sta facendo di tutto, oltre ogni misura, per mostrare di non essere un interlocutore”. Continua la lettura di Purtroppo…

Aprile 1975. Corso abilitante al Cattaneo di Milano

Dal diario 1975 di prof Samizdat a cura di Ennio Abate

Abbiamo presentato una ricerca sulle 150 ore. Paola M, grazie ai suoi rapporti con il sindacato, ha fatto una relazione ricca di dati utili. Quanta ideologia sull’argomento. Lei, invece, ha parlato dei vincoli precisi posti dal Ministero della P.I. E delle gerarchie (diploma della scuola dell’obbligo come rivendicazione di base per casalinghe e disoccupati; corsi universitari soprattutto per delegati del Consigli di fabbrica) che si riproducono, E poi dello scontro feroce con i presidi delle scuole statali che, spalleggiati dal Ministero, boicottano in vari modi: aumentando le ore di studio a 500 per disincentivare la partecipazione; mantenendo gli insegnanti delle 150 ore nella condizione di precari; dilazionando l’inizio dei corsi; separando le 150 ore dai corsi del CRACIS.* I padroni hanno sempre considerato provvisoria l’esperienza. E su di essa c’è rissa anche all’interno dei sindacati. Molti temono che i corsi possano diventare luoghi di contestazione o di deviazione dalla linea dei Sindacati. Se le cose stanno così, l’idealizzazione “di parte operaia” sulle 150 ore – ho letto un articolo dello storico Stefano Merli che le esalta – è del tutto sproporzionata rispetto all’entità pratica dei corsi effettivamente attuati. E poi, anche sul piano della didattica, l’impostazione di partenza (raccogliere le storie individuali dei partecipanti, sviluppare su di esse una riflessione critica, passare solo dopo a riflessioni più politiche) si scontra con l’impreparazione degli insegnanti. Specie gli anziani. Gli stessi operai, poi, non sono ben disposti o occuparsi di storia («Quando si va indietro nel tempo, l’interesse cala»). E sono diffidenti anche verso il racconto della propria storia personale.

* Corsi di Richiamo e Aggiornamento Culturale d’Istruzione Secondaria

Riepilogo del don giovanni pezzente


di Ennio Abate

Tu, mio strabico amore assaggiato fra tempi di chiesa e di liceo; e tu, esile simulacro di sesso costruito da perfidi avventori di latteria; e tu, amore risicato in cuore battente d’impiegata.

Donne, giovanili prede, alle quali i seni belli, amaramente distratto, toccai: e alle quali impacciato esposi la mia ferita di incerta lussuria, ora che siete incorporeo fantasma di tiepida vergogna, datemi la chiave di quel mio comunissimo bisogno di congiungimenti coi corpi vostri smaniati.

Quanto seria fu, con voi, la mia non scafata giovinezza! Quanto freddi sarebbero ora gli sguardi sulle vostre polpe rugose.

Ah, maschili ardori di un’epoca d’istinti assuefatti al profitto! Da essi assediato, vi assediai. Sudando e balbettando, che amplessi dolenti, che confusione nei cuori, che fretta brigante la mia sulla funivia di sentimenti barcollanti!

Pensarvi oggi è vano? Gli energici corpi di una volta, più che mai curati, saranno flosci e, come il mio, indeboliti. I ricordi inquietanti sepolti nell’assillo di più rapidi giorni. Ma sempre vi luciderò, madamine d’oré, con devoto, assiduo riguardo all’antico fulgore.

Nota del 24 novembre 2023
In questi giorni ho preso appunti su vari commenti letti dopo l’uccisione della giovane  Giulia Cecchettin da parte del suo fidanzato. Molti – anche di femministe che in passato ho stimato – mi hanno lasciato insoddisfatto: sollevano polveroni sui fatti e offrono ricette ottimistiche che respingono per la loro astrattezza. Non concordo, ad esempio, con l’enfasi  movimentista e progressista di Lea Melandri (qui). Perché trascura il fatto che le proteste contro i femminicidi sono diventate un rito che arriva sempre dopo e ripara soltanto l’angoscia che il ripetersi delle uccisioni fa calare  sulle nostre menti. Trascura pure quanto tali proteste siano manipolate dai mass media. (Come si fa a considerare quasi un buon risultato che i mass media nominino il femminicidio – “già il fatto di nominarlo”- mentre i femminicidi continuano?). Sono, infine, molto scettico sul rimedio da più parti proposto: «Serve una educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso». Concordo, invece, con quel che ha scritto Tiziana Villani sulla sua pagina FB (qui) : «l’evocazione del patriarcato come origine di tutti i mali non mi è sufficiente, non mi aiuta a cogliere i molti modi della sopraffazione che certo sono culturali, ma non solo». Tornerò sulla questione partendo da quanto avevo scritto nel 2010:

Alla vulgata sia della fine della storia che del postfemminismo o della femminilizzazione trionfante nel lavoro delle società post-fordiste, ho preferito una riconsiderazione storica sia del comunismo che delfemminismo: entrambi per me rovine di un fine Novecento da interrogare e reinterpretare per leggere nelle trasformazioni in corso - non certo benefiche per i molti uomini e donne del pianeta - qualcosa d’ altro.
Non credo che il mio narratorio sia misogino o antifemminista, ma più monologante che dialogante di quanto desideravo, sì. Per costrizioni esterne e per scelta meditata e consapevole poi. Da qui l'attestarmi in una pacata difesa del vissuto che sta alla base di Donne seni petrosi. E anche della forma – amara, smorzata, cupa, “cruda” - di certi testi e dello stesso titolo.
Considero tali aspetti da vecchio, quale sono in effetti diventato, una faticosa conquista compiuta soprattutto attraverso la scrittura. E voglio conservarli, discuterli pure, ma non scioglierli con disincanto in una tardiva, impossibile, astorica, artificiosa nuova armonia tra uomo
e donna, tra “maschile” e “femminile”.

12 maggio 2010   (Da Ennio Abate, Donne seni petrosi, Farepoesia 2010) - 
  • Carboncino di Tabea Nineo

Su tristezza, civiltà, vita

di Franco Nova

E’ TRISTE MA VERO

Ogni prato è cosparso di fiori,
uccelli e uomini lontani cantano,
la serenità sembra ricoprire
ogni lembo di quella pianura.
Natura e animali sono così,
tutto è sincero e abituale, ma
è solo superficie, piacevole,
senza profondità nell’anima.
Non c’è alcun bisogno simile,
solo una donna capace di capire
chi sei e i tuoi bisogni interiori.
Nulla di simile esiste per me,
solo disattente parole gentili,
poi corro al fiume a lavarmi
d’ogni speranza d’emozioni.
M’attende solo una compagnia
incapace di dare vera amicizia,
accontentiamoci d’un seguito
di sorrisi e allegre gentilezze.
Concentriamoci sull’esser soli,
si provi a pensare a qualcosa
di soltanto utile per un giorno,
non siamo considerati individui,
solo un generico essere umano.
Si rinunci alla vera amicizia
con tristezza priva d’illusione.
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Acrobati

di Gigi Degli Abbati

Per entrare dentro il mondo pittorico dell’amico Gigi Degli Abbati, che vive a Genova,  scrisse  su Poliscritture nel maggio 2020 Donato Salzarulo (qui).  La pubblicazione di questi due suoi quadri –  il primo in lavorazione per un’iniziativa che si terrà nei prossimi mesi, sulla quale  riferiremo;  il secondo del 1998 – è un semplice omaggio al suo lavoro che prosegue. [E. A.] Continua la lettura di Acrobati