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Un lavoro insolito

 

di Daniele Barni

“Col culo bisogna lavorare per fare i soldi, non col cervello o colle mani. Altroché.”

“Il solito volgare.”

“E che! C’ho ragione io, eccome. Guarda, guarda lì se non c’ho ragione io!” Continua la lettura di Un lavoro insolito

In morte del liceo classico

di Ennio Abate

I

(da Salierne, Frammenti, 1981 circa)

La mattina, al liceo Torquato Tasso di Salerno, suonava la campanella e i professori sfilavano solerti per i corridoi lucidati. Avevano un pacco in una mano e il registro nell’altra. Quelli del ginnasio portavano pacchi piccoli. I grossi li portavano i professori della terza liceo.

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Esercizi di poesia nelle pieghe della quotidianità

saba e quotiadanità

Non è svalutativo il titolo sotto il quale raccolgo alcuni dei testi inviatimi negli ultimi tempi da amici/che del giro di “Poliscritture”. Da una parte mi pare ancora necessario rendere conto almeno di tanto in tanto su questo sito, come feci in passato ai tempi del “Laboratorio Moltinpoesia” (2006-2012), delle tante e disperse ricerche individuali che testardamente insistono a oltrepassare, spostare o allargare i “confini della poesia”. Dall’altra, pur simpatizzando con questo  caotico “contrabbando” tra i territori della poesia e della non poesia, sempre instabili e di difficile definizione, mi pare che continui a mancare o è del tutto insufficiente l’indispensabile lavoro critico sui tantissimi testi prodotti e pubblicati (in cartaceo e ora soprattutto sul Web) e letti (distrattamente) da un pubblico di bocca buona che, non avendo più criteri validi per distinguere, ragionando e faticando, tra poesia e non poesia, consuma di tutto e tutti per qualche minuto applaude. Secondo me non resta,  per ora, che mantenere la porta aperta al “contrabbando” senza però mai rinunciare al lavoro critico, fosse pure quello minimo che si può e si deve fare  negli spazi commenti di questo sito. [E. A.] Continua la lettura di Esercizi di poesia nelle pieghe della quotidianità

Clorinda

cologno 2

di Ennio Abate (da Samizdat Colognom n.1, dicembre 1999)

[Un resoconto di un incontro a Cologno Monzese con una giovane immigrata cilena. Un semplice, impotente  sguardo sulla vita condotta da gente come noi in uno spazio minimo e in una condizione di precarietà. Siamo negli stessi  precisi luoghi dove altri immigrati, provenienti dal Sud Italia o dal Veneto povero,  avevano provato negli anni ’50 e ’60 ansie e sofferenze simili.]

Piove. Io e la signora Onofria entriamo da uno stretto cancelletto. Lasciamo gli ombrelli all’esterno su uno stendipanni al riparo carico di indumenti stesi ad asciugare. Nella parete di sinistra della stanza c’è una cucina di quelle componibili. In fondo uno stretto ripiano e alcune sedie da bar. A destra una porta chiusa. Sarà forse la stanza da letto. Poi c’è uno stanzino. Vedo sacchi ripieni di abiti e, mi pare, un lettino. Di là c’è un’amica ecuadoregna di Clorinda, che s’affaccerà per salutarci solo alla fine del colloquio. I bambini sono a scuola. Continua la lettura di Clorinda