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Frammenti di un discorso geografico

di Elena Grammann

Dopo i temporali cammina col cane lungo la collina oblunga tenendosi un centinaio di metri sulla destra. Su tutta la collina il bosco è marezzato dal vento; sopra, il cielo ha un colore marcato come per un residuo di burrasca. Fino a qualche tempo fa questo la riguardava. Perché non trasferirsi su Marte si dice ora.

***

Esamina i pneumatici. Mentre venivo su ho trovato un ramo in mezzo alla strada. Dopo un tornante, in una zona d’ombra. L’ho visto all’ultimo e ho sterzato ma l’ho preso, ha fatto un gran fracasso. Non era grosso; comunque un ramo. Circa così. Arrotonda pollice e indice per mostrare il diametro e lo rivede nell’ombra della curva, spoglio, bianco-calce con delle screziature nere. Le era sembrato che avesse un’esistenza e una consistenza tutte particolari, pronunciate, come non ce ne sono più. Appunta la cosa su un foglietto poi lo butta. Ogni tanto arrotonda pollice e indice, circa il diametro. Le sembra che qualcosa dell’esistenza di quel ramo le passi nel cervello.

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Ogni volta si stupisce di quanto sono in alto; vorrebbe chiederlo, poi non ci pensa più. Però capisce che si sentano qualcosa a parte. Orgogliosi di resistere.

Orgogliosi di resistere, d’accordo; ma intanto l’esistere scricchiola. La vecchia è morta, la qualità del ristorante è scaduta, un maschio adulto è stato sostituito, una femmina giovane si è autosabotata. Nulla rimane uguale. E meno male che Salvini offre ancora una sponda; anche a Gianni, il pilastro; che oggi però non c’è; e l’Emma non si fa vedere. Ma come, se proprio l’Emma aveva detto che ci sarebbero stati tutti?

Al tavolo di famiglia fa quattro chiacchiere con la zia, nessun problema. Non la disturba neanche che la zia l’abbia correttamente scannerizzata e classificata. Mica stupida la zia. In ogni caso non ha nessun problema a mettersi fra parentesi e fare quattro chiacchiere con la zia; e nemmeno con l’altro mai visto, una new entry ma solo per lei, qui si conoscono tutti e si vogliono tutti bene. Non è che sono più felici però; a occhio tanto come in pianura. Comunque la new entry è stagionato e un po’ legnoso, leggerissimamente imbarazzato dalla sua presenza. Le piace il vino dolce? dice la zia. L’ha fatto lui. Solo due dita, grazie. Porta il bicchiere al naso: si sente il nostro vino!

Questo è sicuro.

Il vinificatore sembra preoccupato che la zia possa arrivare in ritardo al funerale del primo pomeriggio. Un paio di volte le fa notare l’ora. Quando la zia si alza balza in piedi anche lei, si sa mai che. L’altro cerca di trattenerla col fiasco, gliene versa nel bicchiere ma lei è già alla porta. Non disponibile a risolvere problemi altrui. Per di più irrisolvibili. Almeno in questo mondo.

Le vivande ingurgitate, più le due dita di vino, ruotano nello stomaco come panni sporchi in una lavatrice. Ogni vivanda sfiotta il suo tono, scalato nel registro del compostabile. Si fa strada un senso di intossicazione.

***

È piuttosto orgogliosa di riuscire a parlare – con l’Emma, con l’Amedea, persino con il vinificatore. Fino a qualche tempo fa non ne era capace – o soltanto a prezzo di sforzi visibilissimi. Ha capito l’errore: tentava di comunicarsi. Senza riflettere che comunicarsi ci si comunica soltanto in chiesa – quelli che ci credono naturalmente; per il resto si tratta di automatismi verbali. Con un minimo di allenamento si producono da sé, con un dispendio irrilevante di energia. Funziona che uno dice una frase, generalmente una frase qualsiasi, magari una delle quattro o cinque richieste dalla circostanza. A questo punto non bisogna commettere l’errore di cercare dentro di sé qualcosa di vero o di autentico – qualcosa di extralinguistico – esistenziale magari, o metafisico, da tradurre a fatica, incompiutamente, nella lingua della comunicazione. Neanche ne andasse della verità. Da questo bisogna astenersi. Che presunzione sarebbe, e che maleducazione, uscirsene fuori con l’autentico – pretendere che il prossimo si occupi di te. Astenersi! astenersi! – e la frase corretta verrà da sé: rilassata, opportuna. Lasciarsi prendere in carico dalla lingua.

Al massimo, negli individui predisposti, può indurre fenomeni di sdoppiamento che tendono a regredire spontaneamente nelle ventiquattro ore.

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La lingua d’uso non è mai in imbarazzo di nomi. Ha un nome per ogni cosa e ogni cosa ha il suo nome. Bisogna stare attenti alle deviazioni: non imbroccare il binario verso la Lingua Maior e i nomi sconosciuti.

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Nella zona ci sono molti castelli. Quindi molte rievocazioni storiche. Le rievocazioni sono il romanzo storico dei poveri.

I castelli migliori sono parallelepipedi squadrati. Angoli affilati, muri a piombo. Poiché nella zona non c’è quasi turismo, visti da lontano si comportano come se fossero depositari di qualcosa.

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Il suo passato continua ad apparirle favoloso. Non ha accesso al suo passato se non nel modo favoloso. Quindi: ha o non ha accesso?

Il grande romanzo favoloso dell’io.

Il grande romanzo psicologico dell’io.

E pensare che c’è gente che si occupa d’altro.

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Mentre il Paese sprofonda nell’insignificanza, c’è gente che si occupa dei paesi. Piccoli. Dei piccoli paesi. Conservazione delle tradizioni, arti e mestieri, presepi viventi. Associazioni di sbandieratori.

4 pensieri di F.F. sulla comunicazione

Da Poliscritture 3 FB/Nei dintorni di Franco Fortini

a cura di Ennio Abate
1.

Nei confronti della comunicazione e del discorso di massa occorre aumentare il grado di consapevolezza che ogni comunicazione (e tanto più quanto più è di massa) non è né immediata né spontanea né naturale, ma sempre non naturale, non spontanea, mediata, storicamente determinata.

2.

…nel nostro paese, come in tutte le nazioni cosiddette avanzate, è stata seguita la via [della] distruzione dell’efficacia dei messaggi mediante la loro liberalizzazione, la loro moltiplicazione…

3.

… una cosa ripetuta tutti i giorni entra probabilmente nella testa e nei riflessi di chi l’ascolta. Il mito della spontaneità e dell’autenticità ha impedito a sinistra qualsiasi organizzazione in […] senso sistematico di una educazione o di una resistenza […] Ad esempio la stampa ed anche i mezzi radio-televisivi di sinistra non si pongono mai il problema della ripetizione ma solo quello della variatio: hanno scelto questa, tra le possibilità retoriche, perché credono che promuoverebbe al massimo l’autenticità, mentre la ripetizione sarebbe autoritaria, dittatoriale e deprimente

4.


In via di principio non posso essere contrario a dilatare l’accesso alla comunicazione; a condizione che non si abbia inutile rispetto “democratico” per la imbecillità. Non abbiamo forse ascoltato, in riunioni e trasmissioni, il periodico richiamo a “lasciar parlare tutti”? Ci siamo accordi che non sappiamo, in nome della democrazia, come fare per togliere la parola agli idioti e ai provocatori?

 

(Da Franco Fortini, "Il mito dell'immediatezza" in "Un dialogo ininterrotto. Interviste 1952- 1994", pagg. 206-215, Bollati Boringhieri, Torino 2003)

Notizie dalla cittá: le elezioni comunali a Cologno

 di Donato Salzarulo

«Pertanto, a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia              e l’uomo.» (N. Machiavelli, Il principe, cap. XVIII)                                                                                       

1.-Sono tornato in questa città il 13 settembre. Sono tornato per votare il 20 o il 21. Dovevo far sentire forte il mio NO alla “riforma costituzionale” stracolma di antipolitica e dovevo votare per il candidato Sindaco e il rinnovo del Consiglio Comunale.

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A proposito di scuola

di Gualtiero Via

[A proposito soprattutto di scuola (e anche di comunicazione e cultura, più in generale). Pubblico una mia considerazione di poco meno di due anni fa. Temo che sia più attuale ancora oggi, e che sarà meno facile porre argine alle derive di banalizzazione (o peggio) in atto. Spero di essere smentito]

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Su “La disciplina dell’attenzione”di Roberto Bugliani (3)

di Velio Abati

Buono l’argomento della Disciplina dell’attenzione, difficile la posizione dell’autore. Come sappiamo l’argomento, in ispecie per la narrazione, non è elemento secondario per il valore dell’opera. Naturalmente l’argomento non è dato in assoluto, lo si misura nel suo contesto. E che cosa è più urgente, oggi, parlando degli uomini, della spaventosa spoliazione – crescente eppure nascosta, riversata nei nostri mari e terre eppure invisibile – del mondo che conta di cui portiamo bandiera ai danni della rimanente umanità? Invisibile, dicevo, ma non muta, tanto che anche nella nostra lingua hanno preso da tempo parola altri sguardi e linfe e colori che hanno finalmente attraversato i confini dell’orto letterario fecondandolo di nuovi semi, per chi vuol vedere. A questa urgenza, esplicitamente didattico, rinvia il titolo: l’attenzione è una necessità che richiede disciplina.

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Ricordando Eugenio Grandinetti

di Giorgio Mannacio

Ho chiesto a varie persone che hanno conosciuto Eugenio Grandinetti un ricordo o una riflessione sulla sua figura o sulla sua poesia. Ecco il primo contributo arrivato. [E. A.]

1.

Ho conosciuto Eugenio Grandinetti, recentemente scomparso attraverso la rivista Poliscritture ma ci siamo visti solo un paio di volte, credo. Nacque tra di noi una simpatia fondata su elementi poco significativi: seppi che era calabrese (come me) e, successivamente, che era cugino di un mio collega di lavoro. Nel contesto della rivista che ho ricordato ebbi modo di leggere alcune sue poesie che suscitarono un certo dibattito intorno all’argomento nichilismo/pessimismo. Ad esso ho partecipato anch’io. Posto che non posso e non devo ostentare una amicizia in senso stretto ma certamente una comunanza di esperienze poetiche e una partecipazione ad una sorte che accomuna tutti noi uomini, ho creduto di ricordarlo intitolando al suo nome le osservazioni sul tema che quella sua esperienza ha suscitato in me.

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Divagazioni sul telefono cellulare

di Giorgio Mannacio
1.
Sulle innovazioni tecnologiche si esprimono opinioni contrapposte. Di esse alcuni dicono che  rappresentino un progresso. Altri invece sostengono che segnalino una sconfitta del miglioramento del pensiero umano. La questione è indecidibile perché non si sa cosa sia il termine di paragone cioè il PROGRESSO.
Di certo esse costringono a meditare su alcune categorie che riteniamo insite nel nostro sistema di ragionamento. Continua la lettura di Divagazioni sul telefono cellulare

La società della comunicazione

PARTESANA LIBRO

Su “Il gioco delle parti. Ideologia e propaganda” di Ezio Partesana, Sensibili alle foglie 2016

di Donato Salzarulo

1.- “Propaganda” non è termine da dizionario filosofico. Neanche sociologico. Mi riferisco ai dizionari che ho in casa. Quello psicologico si limita a definire in poche righe l’attività (procedimento sistematico di persuasione di massa), indicare i canali di comunicazione che Continua la lettura di La società della comunicazione