di Donato Salzarulo
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Parrocchietta del Sud
di Ennio Abate
Oh parrocchietta del sud, teca di vetro
dove con quei loro gracili corpi
che poco e male conoscevano
se ne stavano serrati!
Oh figurine di madonna, occhi in su
col serpente – occhi chiusi – sotto i piedi!
Oh statuina di gesso – san Giorgio cavaliere –
sempre sotto teca nella stanza in campagna
di nonna Francesca, di lancia armata
contro il drago – vita informe!
Dimenticati, gracili corpi, assetati
o fanciullescamente famelici
già divisi ora da lusinghe ora da rigori di preti
già schizzati per le vie del batticuore
in pedinamenti di ragazze!
Per abbreviare così lo spasimo dello stacco:
il guizzo ansioso di un tuffo e smarrirsi.
Ma lontano e altrove. Non più nel mare
nudi o nella dolce inconcludente lussuria
che l’aria incoraggiava e il vento sperdeva.
2000 circa
Nota 2021
Questa foto, recuperata da un amico d’infanzia, dev’essere stata scattata attorno al 1949-’50 forse con qualche macchina fotografica a lampo. L’ambiente è al chiuso: lo stanzone della sala delle adunanze della parrocchia di S. Domenico a Salerno, frequentata da me e dai miei amici. Sul muro, pieno di macchie per l’umidità, il cartello del “Gruppo Audaci” (uno dei cinque o sei in cui i ragazzi – gli aspiranti dell’Azione Cattolica – venivano suddivisi per le attività di catechismo e di gioco).
Mi metto dal punto di vista di un osservatore che non riconosce nessuno dei fotografati e mi colpiscono alcune cose:
– i ragazzi e le ragazze in alto a sinistra e in piedi su sedie o panche o le quattro donne sedute formano una quinta diagonale staccata dal gruppo compatto in tonaca nera del prete e dei quattro seminaristi e dal giovane isolato e in piedi sulla destra;
– questo giovane è l’unica figura che appare quasi completa e contrasta anche per questo sia dal gruppo a sinistra che dal gruppo in tonaca nera;
– il fotografo ha sbagliato l’inquadratura: non solo ha escluso o tagliato i fotografati sul lato sinistro ma ha lasciato sulla destra uno spazio inutilmente vuoto;
– tutti i fotografati, tranne alcuni che si distraggono, sono attirati dalla macchina fotografica e la fissano; soltanto il giovane in piedi e isolato guarda in altra direzione o sembra assentarsi;
– i volti rivelano attesa, perplessità, sorpresa, curiosità, diffidenza; e solo due ragazzi in basso e in primo piano – quello dai capelli scuri sorridente e quello che dietro di lui, forse inginocchiato, lo sovrasta – sembrano davvero contenti di essere fotografati.
Confrontando la foto del ’49-’50, inviatami dall’amico solo nel 2019, e i versi che, senza conoscerla, ho scritto sulla base di ricordi miei attorno al 2000 e pubblicato nel 2011 in “Immigratorio”, mi pare che l’immagine confermi il senso di chiuso, di opaco raccoglimento in sé, di attesa indeterminata della piccola comunità parrocchiale o «parrocchietta del Sud». Dà anche evidenza ai «gracili corpi/che poco e male conoscevano/ se ne stavano serrati» tra loro (tranne il giovane sulla destra); e non solo per la necessità tecnica di farsi fotografare. Quello che manca nella foto è «lo spasimo dello stacco», che è centrale nella poesia. E’ sentimento tutto mio, individuale, desunto dai ricordi. E mi fa guardare la foto col distacco di chi sa che qualcosa s’è rotto per sempre tra lui e i fotografati della «parrocchietta del Sud»: sia quelli anonimi, che non ricordo, non riconosco e di cui ignoro tutto; e sia quelli la cui storia s’intrecciò con la mia di ragazzo e che sto ripensando e scrivendo nel mio “narratorio”. Ritornare a quel passato parrocchiale è ritornare ad un cappio e non decidersi a dichiararlo tale? O, visto il titolo dato alla poesia, vezzeggiarlo? No, è il lavoro minimo e mai definitivo per sfuggire all’inerzia del passato.
P.s.
Forse è meglio aggiungere che il giovane isolato sulla destra è Michele Buonocore, figlio del primo sindaco di Salerno nel dopoguerra, il democristiano Luigi Buonocore, assiduo frequentatore della parrocchia di San Domenico.
Fulvio Ventura: porte del paradiso
di Paolo Di Marco
Luce ben misurata, nuvole che vagano intorno a un punto di equilibrio lontano, ombre di fate, maschere in giardini incantati: un salto in un altro stato di coscienza, dove tu sei dentro la foto e insieme lei è il tuo specchio e insieme percepite altre dimensioni
in bianco e nero, prevalentemente, perchè è diretto, non immediato ma più capace di penetrare nei tuoi livelli profondi che , ancora, forse, non conoscono i colori
Continua la lettura di Fulvio Ventura: porte del paradisoL’intellettuale da asporto
di Canio Mancuso
Il riciclo secondo lo spazzino I testi sono chiari: non ti lasciano soltanto le persone; anche gli oggetti alla fine del gioco allineati lì sulla banchina per dirti un addio allegro.Continua la lettura di L’intellettuale da asporto
Via crucis stazione zero
di Luciano De Feo
Non c’è gusto ad attendere il Destino!
Un giro nelle chiese, il ticchettio che ricomincia, lento e inesorabile!
A volte penso che siano reali, quei fili invisibili dietro le schiene incurvate. Ma non c’è piacere a vestire i panni di un Pupo siciliano dell’ottocento! …
… ero seduto, come ogni sera, dietro il tavolo del salotto, a scarabocchiare alcuni fogli strappati da un blocchetto. L’aria era densa e pastosa, come di fragole e arance andate a male. Il senso più acuto, l’udito, era a caccia di suoni oltre la barriera dei vetri sporchi della finestra. Continua la lettura di Via crucis stazione zero
Vienimi in sogno spesso, amico mio, aiutami
di Donato Salzarulo
«Il mondo non c’è più, io debbo portarti».
(Paul Celan)
Ogni volta è la fine del mondo,
la fine di un mondo.
Ogni volta unica irripetibile traumatica.
Come unica irripetibile traumatica è la fine
di questo mio fraterno amico,
preziosissimo amico.
È come affacciarsi su un baratro,
un vuoto che risucchia,
una vertigine scioccante,
un enigma che si svolge in piena luce
e lascia addosso (dentro, dappertutto)
una sensazione profonda di perdita,
un silenzio gigantesco,
un’assenza incolmabile,
una mancanza insanabile. Continua la lettura di Vienimi in sogno spesso, amico mio, aiutami
IL POETA E LA SUA CITTÀ: Giuseppina Di Leo/Lisbona
Meno di 24 ore alla partenza:
ultimo giorno a Lisboa.
Una foto sul fiume autoripresa
con il tanfo di nafta e sporcizia,
ma anche questo fa parte del paesaggio. Continua la lettura di IL POETA E LA SUA CITTÀ: Giuseppina Di Leo/Lisbona