Archivi categoria: ZIBALDONE NARRATIVA

I cantieri aperti della scrittura

Il colpo di coda

Racconto sul potere. Tre atti

di Rita Simonitto

 

I° Atto

Era da tempo che si sentiva sotto osservazione. anzi, peggio: spiato!

Di solito accadeva l’inverso, era lui che teneva sott’occhio ciò che accadeva. Faceva parte della sua natura. Continua la lettura di Il colpo di coda

Le lucciole

di Angelo Australi

Il tratto di strada tra la chiesa e il punto dove catturavo le lucciole insieme a Dario si percorreva in una manciata di minuti. Tutto si svolgeva nella campagna ai bordi del paese, e il sentiero che tagliava in due la distesa di grano terminava proprio nella piazzetta dove c’era la villa padronale e poco distante la chiesa. Il palazzo signorile era contornato da alcune case costruite molto di recente: piccole abitazioni a un piano, con il giardino sul davanti e su di un lato il garage. Dietro questa pattuglia di abitazioni spuntava un grande olmo che nascondeva in parte la facciata dell’antica pieve romanica. All’orizzonte di quel panorama celato dall’albero gigantesco e dalla facciata della chiesa spuntava l’angolo di un piccolo cimitero, ma il suo bagliore era così modesto che si confondeva all’istante nel profondo buio delle colline. Continua la lettura di Le lucciole

La medaglia

di Angelo Australi 

Quella mattina Spartaco era stato svegliato da un brano di lirica trasmesso alla radio. Intorpidito dal risveglio aveva guardato verso la finestra, dove le fessure regolari dell’avvolgibile trasmettevano il passaggio di piccoli granelli di luce in un soffitto che risplendeva di nuove costellazioni. Certi giorni si divertiva a visitare quei piccoli punti luminosi con la fantasia, perché immaginare di dare un nome alle figure astratte composte dalla natura sul soffitto ampliava l’ottimismo della giornata, era un po’ come giocare a scommettere sulle sorprese che ci sarebbero state per contrastare la noia. Però aveva ancora sonno e non riusciva a pensare perché il volume della musica era così alto che neppure un sordo avrebbe coltivato i suoi pensieri in santa pace. Non era tardi, altrimenti il frastuono del traffico sulla strada sarebbe stato più intenso e frenetico. Si ricordò che era domenica, che quindi non andava a scuola. Stropicciò gli occhi e sbadigliò piagnucolando come un lupo. Di solito nei giorni di festa sua madre lo lasciava dormire più a lungo perché non c’era scuola, ma quando alla fine si alzò sentì il pavimento vibrare per l’alto volume della musica, un po’ le stesse oscillazioni di quando passava il treno, imprevedibili ma costanti, da farti immaginare uno smottamento di terra proprio alle fondamenta della casa. Continua la lettura di La medaglia

 Una famiglia dalle doppie iniziali in O

di Angelo Australi

La prima volta che il nonno mi ha informato sul nostro cognome discendente da una famiglia originaria dell’appennino tosco-romagnolo, penso sia stato quando frequentavo la prima media. O comunque sia, è in quel periodo ristretto dei tre anni di scuola dopo le elementari, perché ogni tanto andavo a trovarlo di pomeriggio, quando aveva ancora il fiato e la forza di mantenere l’orto che aveva dietro casa. Ci andavo volentieri perché di fianco alla legnaia aveva costruito una grande gabbia dove teneva prigionieri un paio di scoiattoli che saltellavano in continuazione. Siccome gli portavo sempre qualcosa da mangiare (ghiande, noci, le bacche di cipresso raccolte per terra sul viale del cimitero), appena mi vedevano sembravano impazzire di gioia. Per me era un gioco magico osservarli saltare come delle scimmie su alcuni rami poggiati di traverso nel reticolato. Si aggrappavano alle maglie della rete facendo spuntare il musetto con la bocca spalancata, un po’ come se volessero parlarmi. Continua la lettura di  Una famiglia dalle doppie iniziali in O

L’archivista

 di Cristiana Fischer       

Il personal computer (da ora: pc) è un archivio, una rete di corridoi uniformi, con alti scaffali alle pareti. In quelli più distanti nella memoria sui palchi superiori cartelle gialle di contenuti accessibili, con titoli che si ripetono nel tempo: letteratura (in cui vecchi ebook di poesia e romanzi, le opere minori di Dante, manuali di fonologia e di metrica, analisi di figure retoriche); salute (raccoglie esami, dimissioni post-ricovero, prescrizioni e cure); conti (mese per mese le entrate e le uscite: lontani viaggi, molitura delle olive, nuova auto, bollette); cucina, cioè particolari ricette; filosofia (personaggi presenti e passati e i loro agganci a pensieri propri e a questioni per dir così eterne). E altre: politica, scienze, riviste, Marx, etc…
Invece il bene accumulato dei ricordi procede a lampi di verità, tornano volti e risate,  domande e gesti di affetto.
Scrive Franco Nova: Continua la lettura di L’archivista

Lo spettro

di Rita Simonitto

Si sentiva vecchio e stanco. Ma non era tanto la vecchiaia a turbarlo. In fondo che erano quasi ‘ducentanni’ al confronto di altri spettri più anziani? Era la stanchezza a preoccuparlo di più. Lo avevano rivoltato in lungo e in largo come un calzino (“ecco qua un buco!”, “ma questo rammendo lascia un po’ a desiderare!”, ecc. ecc.). Però ciò che lo infastidiva maggiormente era quel loro storcere il naso: puzzava… dicevano. Ebbene, sì, quando si cammina i piedi sudano e non odorano certo di verbena! E magari si calpesta qualche cosa che non si dovrebbe…! Ma che cosa avrebbe dovuto fare? Stare fermo o andare invece a cercare gli eventi la cui natura (ovviamente évènementielle) è imprevedibile così come la loro concatenazione (“perché adesso?”) e quindi bisognava andarli a scovare…! Un simile trattamento non era stato riservato nemmeno all’altro ‘cristo’ che di cammino ne faceva abbastanza. Ma si sa. Noblesse oblige. C’è chi nasce da quotati lombi e chi invece no: Beh, certo, non poteva dire che anche lui non fosse dotato di certe ascendenze… ma forse aveva sbagliato nello scegliere gli influencer giusti. Continua la lettura di Lo spettro

Scene di famiglia dall’interno

di Marga

Correva l’anno… e certo che correva. Così come fanno tutti gli anni: è nelle loro corde. Ma quell’anno correva in modo troppo disordinato. D’altronde anche gli stessi movimenti degli umani erano caotici, c’erano tumulti, si vociferava di aspettative di cambiamento, dell’avvento di un Salvatore che avrebbe aperto una nuova Via (e da lì se ne sarebbero generate delle altre) e tutto ciò creava un grande polverone che si mescolava a quello sabbioso che veniva dal deserto. E davvero non c’era pace tra gli ulivi. Quindi quell’anno correva così vertiginosamente da avvolgersi su se stesso creando un vortice dentro il cui imbuto venne risucchiata una ignara coppia nonché l’asinello su cui la donna, in avanzato stato di gravidanza, stava caracollando. Continua la lettura di Scene di famiglia dall’interno

Due racconti

di Marcella Corsi

Tamponi (e d’affezione tampinamenti)

        Amo la capacità che hanno alcuni di scherzare su tutto senza farlo sulla pelle degli altri. Ieri Sara mi ha chiamato in video e la sua faccia era serena, affettuosa, mentre reggeva la piccola e mi parlava. Un’icona preraffaellita in movimento. Emiliano è comparso da dietro reggendo un cartello: !OTUIA vi si leggeva. Che sarebbe stato AIUTO! ma in videochiamata lo si vedeva all’incontrario. Scherza sempre, ci fa sorridere.
Non credo stessero pensando che avessi bisogno di aiuto… Sara, certo, aveva cominciato la videochiamata con un “come stai?” non di maniera… Continua la lettura di Due racconti

Un brano da “La scrittrice obesa”

La scrittrice obesa, seconda parte, capitolo 1

di Marisa Salabelle

Susanna Rosso alzò la cornetta del telefono. Aveva ancora un fisso con tastiera, bianco e grigio, che risaliva ai tempi dei suoi genitori. Cellulare non ne aveva, prima di tutto non usciva quasi  mai di casa, secondo, non le saltava neanche per la mente di rendersi rintracciabile da chiunque in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Delle volte, quando le giravano particolarmente le scatole, staccava anche il fisso e così nessuno le rompeva i coglioni. Non che le arrivassero spesso telefonate, questo no. E quando chiamava lei, come in quel momento, era semplicemente per farsi mandare a casa del cibo da asporto. Il quartiere in cui viveva era diventato multietnico, negli ultimi anni, da un lato e dall’altro della strada era tutto un seguito di insegne in caratteri cinesi o giapponesi o arabi e tutto un proporre roba da mangiare di ogni genere, involtini primavera, kebab e zighinì, ravioli e noodles, tortillas, chili, hot dog, ali di pollo piccanti, hamburger, pizza, con una mescolanza di odori che a qualcuno dava la nausea ma a lei piaceva da morire. Quella sera scelse la rosticceria indiana e ordinò diverse porzioni di pollo, agnello e maiale più o meno speziati, con diverse salse e naturalmente molte varietà di pane. Aveva lavorato tutto il pomeriggio al suo ultimo romanzo e non era molto soddisfatta di come stava procedendo. La protagonista, una giovane donna che somigliava moltissimo alla commessa del supermercato dove faceva sporadiche incursioni quando proprio non poteva fare a meno di carta igienica o di detersivo per i piatti, si era impelagata in una storia con un uomo sposato, sempre le stesse queste ragazze giovani, e a questo punto della storia lei non sapeva più che cosa farle fare. Tutte le soluzioni le sembravano banali, viste e riviste, lette e rilette fino alla nausea. Forse aveva sbagliato a cimentarsi con un tema così trito… Salvò il file al punto in cui era arrivata, lo chiuse e cominciò ad aprirne altri a caso, scorrendo le cartelle Racconti, Romanzi, Storie e Altrestorie: ce n’aveva di materiale, e alcune cose non erano proprio malvage, ma in certi momenti non sapeva cosa farsene, se non aprirle e chiuderle una dopo l’altra, leggiucchiare una pagina, aggiungere un paragrafo qua e là, oppure eliminare interi capitoli dopo averli selezionati col mouse. Cancella, taglia, annulla, cestina, ammazza. La memoria del suo portatile era piena di opere abortite. Creature che non avevano mai visto la luce e mai l’avrebbero vista, roba che non si era nemmeno più curata di stampare, almeno negli ultimi tempi, tanto si sarebbe trattato solo di un immane spreco di carta.

Suonarono il campanello, Susanna si alzò faticosamente dalla poltrona da ufficio, con rotelle e schienale imbottito, che aveva piazzato davanti alla scrivania, la schiena le faceva un male boia, le gambe si erano informicolite, gli occhi le pizzicavano, ma soprattutto era la sua mole quella che le dava dei problemi. A poco più di cinquant’anni era uno sfascio, doveva aver raggiunto e superato il quintale di peso, era grossa, informe, si muoveva con difficoltà, e continuava a mangiare come una sfondata. Aprì la porta dell’appartamento: era il ragazzo della rosticceria.

Nota
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