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Quartine di Omar Khayyam

traduzione di Virginia Arici

Nelle librerie si possono fare gli incontri più disparati. Fu così che molti anni fa in una libreria di libri di seconda mano a New York mi capitò fra le mani un libretto elegante per veste grafica e piacevole da vedere come da leggere; si trattava del Rubiayat di Omar Khayyam, matematico, poeta e filosofo persiano vissuto fra il 1048 e il 1131, nella versione inglese di Edward Fitzgerald che aveva reso nota la collezione al mondo anglosassone, con illustrazioni di Edmund J. Sullivan. Quell’esemplare della Old Ivory Library of Beloved Book divenne mia per pochi centesimi, e da allora mi ha fatto compagnia sugli scaffali di casa.
Molto è poi stato detto e scritto; Fitzgerald aveva adattato i versi del poeta persiano al gusto inglese, la sua traduzione dunque era men che perfetta, altre ne sono uscite più fedeli. Fitzgerald presenta un poeta vecchio e disilluso, con poche speranze sul destino dell’uomo, che invita a bere con lui e a cogliere il momento. Si dice invece che Omar avesse fatto un’opera essoterica, figlio di uno zorostraiano convertito all’Islam, o che addirittura un poeta di nome Omar Khayyam non sia mai esistito, ma tutto questo non ha molta importanza.
Non so se la mia traduzione in italiano di poche quartine possa rendere il fascino dell’originale, ma sicuramente il lettore curioso potrà proseguire la ricerca su internet e conoscere meglio questo antico maestro. [V. A.]

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Tre poesie

courbet palavas 3
G. Courbet, La spiaggia a Palavas, 1868

di Ubaldo de Robertis con una nota di Ennio Abate

(A Max Frisch)

Mare e cielo adunati in un unico sguardo,
visione maestosa, sublime. Ritta sullo scoglio
una minuscola figura, si toglie il cappello
alzandolo il più possibile per sventolarlo.
E non ci sono vele all’orizzonte, angoli ristretti, relitti,
solo stupore, a Palavas, con cui riempirsi gli occhi,
ebbrezza che in un uomo ordinario sparisce.
Non in Courbet. Fierezza, monumentalità,
unisce a quella solitudine, della sua luce
penetra il mondo che si schiude al modo di uno scrigno
e ha bisogno della luce del mondo per esistere. Continua la lettura di Tre poesie

tutti ugualmente innocenti

corsi per poesia Marcella

di Marcella Corsi

 

così sono tutti ugualmente innocenti
nell’uccidere, lui pure
che forse ti deve alla comunità da cui dipende
e ti porta, capro sacrificale che ha
forse osato
la corda intorno alle spalle – pure non fuggiresti
il deserto è un recinto chiuso dai simboli del tuo Dio –
chiusa in un abito bello che ti si fa sudario
nella tomba già scavata dove
in restituzione di ruolo ti ha trascinata quello che può
farti animale da macello
(colpevolmente forse, non so se più per te soffro
che per gli altri immaginati dietro pareti insanguinate)
da noi fanno vedere solo la prima pietra

chi la scaglia ha il volto coperto
chi guarda continua a mangiare

tutti uguali tutti terribilmente innocenti

[21 ottobre 2014]