Archivi tag: Gianfranco La Grassa

Addio a Gianfranco La Grassa

di Ennio Abate

Un incontro difficile (tra sconfitti) ma ci siamo sempre rispettati. E sono contento che su Poliscritture sono numerose (dal 2010) le tracce della tua presenza. Ciao Gianfranco. Per cominciare a ripensare la sua figura parto da uno dei suoi racconti firmati come Franco Nova:

L’uomo in ansia

di Franco Nova

Da due ore ormai, ancor prima che cominciasse ad imbrunire, l’“uomo in ansia” era sotto il lampione all’angolo tra via Fontina e via Gattinara, camminando su e giù a scatti, fermandosi e ripartendo, voltandosi bruscamente non appena si allontanava troppo dal lampione. Girava l’indice tutto dentro il collo della camicia come si sentisse stringere la gola pur avendo la camicia aperta. Subito dopo si fregava freneticamente le mani; soprattutto il polpastrello dell’indice destro continuava ad incalzare il palmo dell’altra mano, rischiando di provocargli qualche lesione cutanea. Poi tentava di fermarsi mettendosi in equilibrio su un piede solo, ma resisteva due secondi, sbandava, si riprendeva e ripartiva a testa bassa come un toro infuriato in piena carica. Si slacciava la cintura, contava quanti buchi fossero rimasti nel caso fosse ingrassato, si riallacciava, ma sembrava scontento come se l’avesse troppo stretta sulla pancia un po’ pingue; allora si slacciava nuovamente, contava i buchi e riallacciava. Tentò una variazione: camminare con un piede su e l’altro giù dal marciapiedi; uno sciocco diversivo di cui presto si stancò.
Intanto sbuffava e imprecava perché si faceva buio e non venivano accesi i lampioni; “spilorci di amministratori” – ringhiò – “sono economie da morti di fame!”. Alla fine, con un bagliore improvviso, il lampione si accese e la luce cominciò a prendere vigore; nel giro di 15-20 secondi fu al suo massimo. L’“uomo in ansia” ebbe così la sua ombra che si allungava e accorciava a scatti, seguendo i movimenti nervosi del suo portatore. Un’idea, che gli apparve geniale, attraversò la mente dell’agitato passeggiatore: porsi in una posizione tale rispetto al lampione che la sua ombra sul lastricato fosse lunga quanto lui era alto. Si ricordava di essere 1,78. Iniziò così a concentrarsi sul nuovo brillante compito, spostandosi lentamente e cercando di misurare la lunghezza della sua ombra. Complicatissimo; ora gli sembrava 1,80, ora 1,76. Stralunava gli occhi, fissi sull’ombra, evitando fino al bruciore più intenso di sbattere le palpebre. Adesso forse era a 1,79; no, più facile 1,77. “Accidenti, dovrei avere con me una persona dotata di metro per risolvere questo problema”.
Lasciò perdere, inutile tentare di calmarsi in quel modo. L’attesa era sfibrante, non ne poteva più, riprese il suo deambulare a scatti, come un pollo, sempre aggirandosi sotto il lampione, attanagliato dal terrore: “e se non venisse?”. No, impossibile, nemmeno quella sera! Era quasi un mese che attendeva, che ripeteva ogni giorno a quell’ora il suo rito; non avrebbe resistito alla delusione, avrebbe commesso qualche “sciocchezza”. In quel momento, apparve un po’ traballante, il rotondo “omino dell’osteria”. Aveva finito di cenare con la sua “vecchia”, in rigoroso silenzio; adesso aveva diritto alle sue due ore all’osteria lì vicino, a metà di via Fontina, con gli altri ubriaconi suoi amici. Amici? Si fa per dire: dieci-quindici “ombre”, qualche discorso sulla “vita da cani” di tutti i giorni, una sbirciata ogni tanto alla televisione senza nulla ascoltare nel frastuono del locale, risate incomprensibili tanto per tirarsi un po’ su e poi, con la lucidità di un lobotomizzato, il ritorno dalla “sua vecchia”, che avrebbe trovato già addormentata e in assordante russare.
L’“omino dell’osteria” si accorse subito dell’“uomo in ansia”; impossibile non notarlo per il suo atteggiamento di incontenibile agitazione. Rimase titubante, perché era omino schivo e non voleva disturbare, ma alla fine la sua naturale bonomia, unità a quella certa quantità d’alcol che aveva già ingurgitato a casa, prevalse: “Ha perso qualcosa signore, ha bisogno di aiuto?”. L’“uomo in ansia” fu come colpito da una pistolettata, non si aspettava di essere apostrofato; prese comunque l’occasione al balzo per allentare la sua tensione: “No grazie, non ho perso nulla, è semplicemente un bel po’ e non arriva nessuno”. “Capisco – disse l’“omino dell’osteria” – in effetti è noioso aspettare qualcuno che ritarda, la gente non si rende mai conto di come sta uno che attende”; “Mah, veramente non potrei dire che sia in ritardo, solo che lo aspetto da troppo tempo’”. L’“omino dell’osteria” rimase un po’ perplesso di fronte alla risposta, ma non ci fece troppo caso: “Se mi dice che tipo è, com’è fatto, magari vado fin nell’altra via a vedere se qualcuno attende, può essere che abbia capito male il luogo dell’appuntamento”.
A questo punto, l’“uomo in ansia” lo guardò con vera sorpresa e sconcerto: “Ma io non so come sia fatto, non so chi sia, nemmeno se è uomo o donna. Scusi, ma se sapessi chi deve arrivare, le pare che sarei così agitato solo per un banale ritardo? Non so chi deve arrivare e quando; è proprio questo che mi sconvolge”. Fu l’altro ad essere ora sconcertato, più precisamente a restare di sasso. Ebbe la netta sensazione che l’uomo nevrotico non dovesse essere proprio in sensi; forse aveva bevuto anche lui. Comunque, era educato e non si permise alcuna osservazione; solo disse: “Potrebbe forse farmi compagnia, vado all’osteria laggiù, dove passo un paio d’ore con amici. Lei potrebbe prendere quello che vuole, ad esempio una tisana, una camomilla, si riscalderebbe un po’ e poi vedrebbe se continuare l’attesa”. L’altro, a questo punto lo guardò proprio con commiserazione: “Scusi, ma se venissi con lei e poi l’altro arrivasse, per una tisana o qualsiasi altra cosa avrei perso l’incontro che attendo da quasi un mese. Ogni sera sono venuto qui e mi sono fermato finché non hanno spento i lampioni. Adesso, per qualche minuto di rilassamento, potrei dovermi pentire”.
L’“omino dell’osteria” era sconvolto, ma non lo diede a vedere, solo balbettò: “Come noterà, dall’osteria si vede questo lampione; starebbe sulla porta, ma dentro al caldo e anche seduto, così vedrebbe se arriva stando comodo”. L’“uomo in ansia” fu veramente scoraggiato: “Le ho detto che non so chi sia, come sia fatto; ovviamente nemmeno lui (o lei) mi conosce, se passa tira dritto e se ne va; da lontano non saprei se è quello giusto. Se sono qui ho qualche probabilità in più, potrei sentire che ha un odore speciale, una camminata assai diversa dalle solite, mi darebbe magari un’occhiata dalle quali si intuisce il destino; insomma, una qualsiasi cosa che denotasse che è esattamente chi attendo”.
L’“omino dell’osteria” capì che non era aria per lui, meglio filare al più presto, quel tipo non era decisamente normale; non aveva nemmeno bevuto, ne era più che convinto, era proprio uno che non avrebbe dovuto trovarsi in quel posto. Salutò con gentilezza, ma anche un po’ freddamente, e si diresse alla “sua” osteria dove ormai, ne era sicuro, gli amici di bevuta si stavano spazientendo. L’“uomo in ansia” ricambiò appena il saluto e, per un momento, stette fermo a osservarlo mentre si avviava nel luogo fatale del suo serale rimbambimento. Scosse la testa e borbottò fra sé e sé: “Si può essere sicuri che mi avrà preso per matto e racconterà il suo bizzarro incontro, sollevando grasse risate tra quei semialcolizzati”.
Riprese il suo andirivieni a scatti sconnessi e la rabbia montò in lui: “Quel tanghero, come tutti gli altri tangheri che circolano normalmente per le strade. Non attendono nulla, non un incontro che apra loro nuove prospettive, non una persona che aspettano ma senza sapere chi sia e da dove possa arrivargli tra capo e collo. Hanno sempre bisogno dell’usuale, del sempre eguale, senza scosse, senza tumulti del cuore e della mente. Tutto è inscritto in loro come lo fosse da millenni in una specie animale primitiva. Hanno l’anima fissata a binari lunghi come tutta la loro vita, sui quali il loro treno corre senza che vi si aggiunga né si stacchi un solo vagone. Sempre gli stessi vagoni, con gli stessi passeggeri, con gli stessi controllori, con sguardi, discorsi, sollecitudini e svenevolezze sempre identici. Le fermate sono quelle ogni giorno, ogni giorno scendono e salgono quelle persone, viaggiano insieme annoiati, distratti, senza mai aspettarsi nulla che li emozioni, nulla che li coinvolga e magari stravolga”.
La sofferenza dell’attesa si era fatta insopportabile, i muscoli delle gambe rigidi, ma strinse i denti: “Che mi pensino pazzo, ma non farò la loro stessa fine. Che arrivi qualcuno oppure no, sarò sempre in attesa, pronto ad accogliere la sorpresa, a rimanere esaltato o annichilito dal nuovo incontro, a cadere nella delusione e amarezza ad ogni nuovo giorno che passa senza novità, ma rimettendomi in marcia ad ogni calar del Sole per accogliere il notturno visitatore, che mi si preannuncia ognora invano eppure con la tacita promessa che infine giungerà improvviso, mi sorriderà e dirà: ‘sono qui, adesso rinnovo la tua vita’. Questo è vivere, non lo scorrere dei giorni senza data, nel flusso indistinto che rende la vita un blocco compatto, da buttare tutto insieme nella fossa con una sola palata”.
Era comunque meno frenetico, la convinzione d’essere diverso lo rendeva appena meno ansioso, perfino un barlume di speranza si riaccendeva, non più per quella notte, ma per le future. Dopo un paio d’ore, l’“omino dell’osteria” uscì barcollando; per quanto ubriaco fradicio, prese le sue precauzioni per rifare la strada del ritorno con un giro più largo onde evitare d’incontrare il personaggio che vedeva aggirarsi ancora sotto il lampione. Si diresse a casa; e non ha alcuna rilevanza seguirlo nel suo normale rincasare, nel suo sbrigativo spogliarsi e buttarsi nel letto della moglie ronfante per sprofondare nel rauco russare di una notte come ogni altra, di ogni altro omino del suo genere sempre eguale.
Anche l’“uomo in ansia” fu sollevato nel vedere che l’omino aveva seguito una direzione diversa per non incontrarlo; due volte la stessa ottusa ovvietà in così breve tempo sarebbero state sfibranti. Doveva essere ormai notte inoltrata, fra non molto avrebbe cominciato ad albeggiare e poteva tornarsene verso il luogo da dove era venuto. Gli venne però subitanea in testa una considerazione fastidiosa: “E’ da quasi un mese che aspetto qui tutte le sere. Criticavo l’omino di prima per la sua ovvietà e la vita uniforme e piatta. Se aspetto tutte le sere l’incontro decisivo nello stesso posto, divento anch’io usuale, ripetitivo, un conformista. Divento l’‘uomo in attesa’ ma di un’attesa sempre la stessa, sempre nello stesso luogo. Rifaccio anch’io ogni sera la medesima strada da casa mia al lampione di questo incrocio e viceversa. Inutile allora criticare gli altri, i tangheri la cui vita scorre lungo vie obbligate dalla consuetudine dei mediocri. Da domani sera mi sposto nella via del Rigoglio, e lì attenderò per non più di una settimana e poi cambierò ancora”.
Si sentì sollevato, finalmente sarebbe stato diverso dagli uomini qualunque, dai beoni dell’osteria, da quelli che erano a casa a ronfare davanti alla TV. Si incamminò lungo la via del ritorno. Dopo sì e no dieci metri fece un nuovo gesto di scoramento: “Pur se anche cambio ogni settimana il luogo dell’attesa, sarò comunque l’‘uomo che muta ogni dato periodo il posto dell’attesa’. Sempre lo stesso compiersi del perpetuo finto rinnovamento, che è in realtà un’estenuante ripetizione. Devo rassegnarmi: non mai fermarmi in nessun posto fisso, tutta la notte a girare per ogni strada di questa insipida cittadina, e rigorosamente a casaccio senza nessun percorso prefissato”. Si immaginava la fatica della realizzazione di questo progetto, ma si sentì sollevato dalla soluzione. “Macché soluzione” – disse dopo qualche altro passo – “se quello o quella che attendo non arriva, sarò semplicemente l’‘uomo errante in perpetuo’, sempre eguale a se stesso, sempre in fremebonda attesa del ‘non arrivo’; solo se finalmente irrompesse questo ‘arrivo’, potrei essere diverso dagli altri, sarei autorizzato a sentirmi superiore ai ‘normali’ che infestano e imbruttiscono il mondo. Chi mi può garantire un tale arrivo, un incontro finalmente diverso? Nessuno, tutto è affidato al caso, alla cosiddetta fortuna, mai benigna verso chi è in consapevole attesa della sorprendente novità”.
Era scoraggiato, l’impossibilità di sfuggire all’immersione e annegamento nel flusso degli uomini medi, di coloro che s’incamminano lungo percorsi ad un certo punto ripetitivi, malgrado il tentativo di alcuni, come lui, di rompere i soliti ritmi, gli era ormai evidente; non vi era da nutrire alcuna speranza di reale rinnovamento se nessuno fosse arrivato, se l’attesa si fosse prolungata oltre ogni limite dell’umana resistenza. Era ormai sul “ponte dei Sospesi”, sotto scorreva un’acqua tranquilla, che sapeva profonda. Un lampo: “Ecco un atto unico che non si può ripetere, che mi renderà veramente diverso, non più mediocre”. Scavalcò il parapetto e si gettò di sotto.

da https://www.poliscritture.it/2015/05/27/luomo-in-ansia/

Conversazione 1 con Gianfranco La Grassa

Le poesie del divenire


https://www.edizionitabulafati.it/poesiedeldivenire.htm

Stretti Perigliosi

di Paolo Di Marco

1- Qualche nota a partire dal dibattito Rovelli-Sofri

L’intervento di Rovelli sulla pagina FB di Sofri (qui) ha un tono molto pacato ed anche accorato, esprime concetti e riflessioni che potremmo dire di grande buonsenso e largamente condivisibili anche da chi ha sensibilità diverse.
D’altro tono la risposta di Sofri (qui),  assai elaborata, studiata ad arte direi. Continua la lettura di Stretti Perigliosi

Recupero di due ricordi di Franco Pisano

a cura di Ennio Abate

Il caso.  Una nuova amica di FB  ha  pubblicato sulla sua pagina una mia  poesia, che avevo dimenticato. La scrissi in occasione della morte di Franco Pisano sul vecchio blog Moltinpoesia (qui). Controllando l’assenza sull’attuale sito di Poliscritture  anche del ricordo  di Pisano scritto da Roberto Bugliani il 23 gennaio 2013,  ripubblico entrambi i testi. Per onorare ancora la figura di un militante dei nostri tragici anni ’70. [E. A.] Continua la lettura di Recupero di due ricordi di Franco Pisano

Gianfranco La Grassa

Gianfranco La Grassa prosegue, con quest’ultimo saggio, il suo percorso di revisione e innovazione teorica al fine di individuare e interpretare le principali direttrici sociali che operano nel mutamento della fase presente e che gettano nuova luce anche sul passato. Come diceva Marx: è sempre l’uomo la chiave per l’autonomia della scimmia e oggi, agli esiti a cui sono giunti avvenimenti e fenomeni sociali, risulta necessaria un’opera di palingenesi scientifica per orientarsi nel mondo in piena riconfigurazione.

La visione concettuale di La Grassa, pur riveniente dalla sua formazione marxista, è definitivamente uscita dalla prospettiva di Marx e si è incanalata nell’analisi di elementi politici e sociali che il pensatore tedesco non avrebbe mai potuto considerare fino in fondo, in quanto figlio di un’altra epoca – in cui parevano essere preponderanti altri fattori (vedi quello economico-produttivo) – ormai definitivamente tramontata.

Nel pensiero di La Grassa, è la Politica, intesa in senso ampio come serie di mosse strategiche per la supremazia che avvolge e penetra ogni sfera sociale, il principale motore della Storia. Quest’ultima è scontro acerrimo tra élite dominanti, in ambito economico-finanziario, politico-militare e ideologico-culturale. L’ordine è volutamente sparso e non gerarchico perché non ci sono punti di riferimento saldi, se non la Politica stessa così significata. La Politica, in questo ripensamento, è condizione unificante dell’intero spazio sociale, laddove per unificazione non si intende semplificazione ma espansione ed approfondimento di scenario, considerata la capillarità dei conflitti, visibili o meno (di solito quelli nascosti sono sempre più essenziali), che scuotono costantemente la vita sociale degli esseri umani.

In questo quadro concettuale in cui vengono a riprofilarsi i gangli primari delle varie formazioni sociali, o meglio la nostra lettura degli stessi, è lo scontro tra dominanti, per il potere e l’egemonia, quel che caratterizza meglio il mondo, e non, come invece si era troppo a lungo creduto, la lotta di classe tra “liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi”. Certamente anche le lotte di classe sussistono ancora ma il posto loro assegnato, “nella trasformazione rivoluzionaria o… nella comune rovina” sociale è stato derubricato. Non da La Grassa, ma dai fatti

Segnalazione


Gli scritti proposti in questo libro rappresentano un tentativo di aggiornare il dibattito intorno alla formazione sociale capitalistica (o dei nuovi capitalismi), partendo da Marx ma per giungere a comprendere le trasformazioni, in larga parte inesplorate, dei nostri tempi. Si tratta di fornire una teoria e una prassi, anche attraverso riflessioni e rivisitazioni storiche, che possano sostituire marxismo e comunismo del passato nella lotta contro i sempre più pericolosi predominanti odierni. Come evidenziato nell’introduzione al volume, ri-cominciare da Marx […] è sempre utile per indicare gli sbocchi non previsti dal suo pensiero, le sue ipotesi saltate per aria, e fondare, su rinnovate basi scientifiche, l’analisi della società in cui viviamo. Un lavoro che l’autore porta avanti da lungo tempo facendo storcere il naso a chi, per convinzioni personali, snobismo o convenienza, rifiuta il minimo disallineamento rispetto a quell’ortodossia marxista che La Grassa indica invece come uno dei maggiori ostacoli alla comprensione di un mondo in marcia verso il multipolarismo.

Guerra in Ucraina. Prese di posizione (6)

a cura di E. A.

L’articolo di Alberto Negri, L’Europa torna il Continente selvaggio, pubblicato il 25 febbraio 2022 su “il manifesto” (qui)  coglie bene alcuni punti decisivi degli eventi in corso:

1. L’ambigua vittoria di Putin.

È una vittoria ma solo nel breve periodo. (E anzi forse si sta rivelando controproducente). Essa potrebbe essere pagata ad un costo molto alto dalla Russia. Perché  quando Putin parla di «denazificazione» dell’Ucraina sembra di tornare al 1945, ad una Europa «sepolta sotto le macerie del più devastante conflitto della storia». Si tratta, dunque, di un regresso al Novecento dai cui orrori molti credevano di essere usciti definitivamente. Putin, invadendo l’Ucraina,  ci ha fatto «rientrare nel secolo dei massacri europei, visto che quelli più recenti, nella ex Jugoslavia, li aveva[mo] dimenticati».

2. La conferma dell’indebolimento della politica imperiale degli USA di Biden.

«Dopo il disastro del ritiro nell’agosto scorso dall’Afghanistan, [Biden] incassa uno schiaffo sonoro da Mosca. Prima i talebani, adesso i russi». E «in termini più ampi di geopolitica vede Mosca scivolare sempre di più nelle braccia di Pechino, che mantiene comunque una linea prudente: la Cina, maggiore partner commerciale di Kiev, non ha riconosciuto l’annessione russa della Crimea e nonostante i grandi accordi economici e sul gas con Putin invita «le parti a esercitare moderazione e a evitare che la situazione vada fuori controllo». Inoltre, la Turchia, «membro della Nato», che ha espresso il suo appoggio all’integrità territoriale dell’Ucraina, resta saldamente «legata alla Russia di Putin da cui riceve la maggior parte del gas, con cui ha in costruzione centrali nucleari e dalla quale ha persino acquistato le batterie anti-missile S-400».

3. Ridimensionamento politico e militare dell’Europa.

Alberto Negri sottolinea la rottura tra Russia ed Europa: « la Russia si allontana dall’Europa in una deriva tragica per gli europei e per gli stessi cittadini russi»; ma anche il fatto che «la Germania conta nulla e rischia di perdere la centralità che aveva con Merkel»; la teatralità del presidente francese («Macron è un gesticolatore») e la sudditanza opaca degli altri statisti europei («gli altri non esistono, se non quelli dell’Est, in prima linea come i polacchi»). L’evidenza di questa subordinazione degli europei Negri la  ravvisava – ricordare che l’articolo è del 25 febbraio – nelle  misure «paralizzanti» annunciate dagli Usa (e negli ultimi giorni ormai scandalosamente confermate [1]), che «investono il sistema finanziario» e colpiranno anche «il settore energetico». E prevedeva tempi duri: «L’Italia e l’Europa importano oltre il 40% dei loro consumi di gas dalla Russia e il 25% del petrolio, in pratica la guerra di Putin contro l’Ucraina finora l’abbiamo finanziata anche noi. Così siamo al punto che non ci restano altre alternative che sopportare le conseguenze di un conflitto che arriva diritto dentro le nostre case colpendo il portafoglio e le speranze di pace».

[1] 27 febbraio 2022

Continua la lettura di Guerra in Ucraina. Prese di posizione (6)

Al volo. Afghanistan (1-6)

Scrap-book da Facebook

a cura di Ennio Abate

1. Damiano Aliprandi

Hanno fatto la guerra, sconfitto apparentemente i talebani, ma senza ragionare a lungo termine. Per essere pragmatici, la sola soluzione per l’Afghanistan era di lavorare con le tribù e i leader provinciali per creare una reazione ai talebani. Invece hanno creato un esercito nazionale del tutto innaturale, talmente innaturale che è evaporato all’istante appena i talebani hanno fatto “Buh”! E ora gli occidentali scappano , per gli Usa non vale più la pena rimanere lì. Trionfa il cinismo. Ma essere cinici davanti a queste donne, penso a quelle giovani che sono nate in questo ventennio, ci vuole davvero uno stomaco forte.

(Damiano Aliprandi, commento a
Lanfranco Caminitihttps://www.facebook.com/lanfranco…/posts/3143256582576179)

2. Roberto Buffagni

E’ andata male – che sia andata male lo prova il fatto che non vi sono né vi saranno basi americane in Afghanistan – per le ragioni che Andrea [Zhock] riassume e probabilmente anche per quelle che spingono invece te a dire che “gli americani non hanno perso”, ossia perché evidentemente il “complesso militare industriale” americano non ha testa, non ha un centro direttivo strategico coerente come lo ebbe l’Impero britannico, ma agisce in modo acefalo secondo imperativi endogeni, cristallizzazioni di interessi e spinte istituzionali che i centri direttivi strategici imperiali non riescono a influenzare e guidare in modo sufficiente. Perché le cose stiano così non lo so. Forse perché il ceto dirigente USA non si raccoglie più intorno a una egemonia WASP e anglofila, molto coesa, come un tempo. Fatto sta che le cose stanno così, e che quindi gli americani hanno perso ( = se non raggiungi l’obiettivo strategico della guerra hai perso). Sono settant’anni che gli USA non vincono una guerra.

(da https://www.facebook.com/roberto.buffagni.35…)

3. Stefano Azzarà

Più realista del re e incapace di apprendere, la Sinistra Imperiale italiana – indifferente alla tragedia di un popolo ritenuto incapace di intendere e di volere – invoca gli Stati Uniti affinché proseguano l’occupazione e la spoliazione dell’Afghanistan, in nome della democrazia liberale occidentale e richiamandosi oscenamente a Gino Strada.
Anche alcuni di coloro che 20 anni fa si erano opposti alla guerra sembrano ormai completamente vinti e conquistati dall’ideologia dirittumanista.

4. Ennio Abate

* La bomba cade
la bomba cade l’afghano
muore
il mercante d’armi brinda il papa prega
il terrorista si prepara il pacifista manifesta
il poeta scrive versi ispirati
alla bomba che cade
all’afghano che muore
al mercante d’armi che brinda
al papa che prega
al terrorista che si prepara
al pacifista che manifesta
contro la bomba che cade
sempre su un altro: afghano, irakeno, kosovaro, ceceno, etc.
che muore
che non brinda che non manifesta che non scrive versi
che lontano, lontano
riceve solo la bomba della nostra intelligenza.
Dicembre 2007

P.s. 2021
Ahi noi, neppure più “il pacifista manifesta”…
5. Brunello Mantelli
L’analogia Kabul 2021 – Saigon 1975 mette l’accento su chi si ritira (gli USA), mentre l’analogia Kabul 2021 – Phnom Penh 1975 mette l’accento su chi entra (Khmer Rossi 1975, Taliban 2021). IN entrambi i casi, ed al di là dei lessici usati dagli uni e dagli altri, si tratta di eserciti formati da contadini che si rovesciano sulle città, sottomendole e puntando a distruggerle in quanto simbolo della negatività, di ciò che si contrappone a valori altri di cui essi si fanno portatori.
Che poi un paese come l’Afghanistan, ancorché arretrato, possa sopravvivere senza città centro di commercio, senza borghesia del bazar, senza – in particolare – donne inserite in pieno nel tessuto sociale e produttivo (ancorché oppresse, diseguali, costrette a conciarsi come spaventapasseri) è ovviamente opinabile.
Di donne istruite ed attivamente inserite non può fare a meno l’Iran (sebbene governato da una clerocrazia maschile e maschilista), non possono fare a meno gli Emirati del golfo (quantunque governati da emiri degni di un’operetta viennese del XIX secolo), ne può per ora (!) fare a meno la sola Arabia Saudita, che compra la subalternità delle donne saudite con i privilegi che può loro garantire grazie e al petrolio, e allo sfruttamento di una massa di iloti senza diritti fatti venire dagli altri più poveri paesi musulmani.(DA https://www.facebook.com/brunello…/posts/4791260787568841)

6. Gianfranco La Grassa

Credo che non stiano accadendo al momento cose terribili in Afghanistan. Vedremo se i talebani manterranno o meno quanto detto. Ma ciò non dipende affatto da un loro novello spirito “aperto”, ma da quello che non sappiamo circa i motivi del ritiro americano, di qualche accordo che sicuramente c’è stato ben al di là di quello ufficiale di pura facciata (e quindi non mantenuto con la piena consapevolezza dei dirigenti USA), ecc. ecc. Staremo a vedere. Gli USA hanno dovuto comunque accettare di farci una qualche figuraccia.

(DA https://www.facebook.com/gianfran…/posts/10220214549944012)

Una commistione di due età poetiche

di Roberto Bugliani Continua la lettura di Una commistione di due età poetiche