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Paralleli inquietanti tra ‘crudeltà’ diverse

di Rita Simonitto

Ieri sera ho rivisto, per l’ennesima volta, un film di Pietrangeli del 1965 “Io la conoscevo bene” (*) e, rivedendolo – come accade sempre quando possiamo ritornare sopra alle opere d’arte – ho preso contatto con una realtà inquietante che non atteneva solo alla palese denuncia fatta dal regista soprattutto verso il mondo del cinema che in quegli anni, dietro il miraggio di una vita facile ed enfatizzata dai rotocalchi, ‘bruciava’ senza pietà gli incauti che vi si volevano avvicinare senza le dovute protezioni. Ma rappresentava sotto traccia una allucinante fiera delle crudeltà, un catalogo delle varie forme di abbrutimento a cui può pervenire l’essere umano quando, stanco di sacrifici e di patimenti, si fa sedurre dalle sirene del facile successo. Non una scena, non un fotogramma sono esenti dall’evidente spietatezza che permea ciò che viene rappresentato,  a partire dalla stessa protagonista Adriana (una strepitosa Stefania Sandrelli), inconsapevolmente impietosa verso la propria persona, incapace di salvaguardare la sua intimità, impossibilitata quindi a proteggersi, a difendersi e pertanto facile preda di personaggi senza scrupoli. Dalle canzoni selezionate (e che fanno da accompagnamento tragico a questa storia), ai dettagli delle tenerezze che questa fragile fanciulla è in grado di dedicare agli altri più deboli di lei (ad esempio nei confronti di un bambino che lei tiene in custodia) fino al ticchettio dei suoi zoccoli estivi che arrivano all’orecchio dello spettatore come tante fucilate: tutto concorre a sottolineare la crudezza nella quale la ragazza è avviluppata.

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25 aprile 2020: a chiacchiere, coi fatti

Questa foto è tratta dal post odierno di Accio Claudio Di Scalzo su FB (*)

Samizdat

In uno scritto di Fortini del 1975, intitolato Lisiàti si legge: Uno sfoglia queste carte [la biografia del partigiano Lisiàt (Athos Iovi) fucilato il 1° settembre 1944] e subito pensa che quella era una vita, così ridotta dal tempo trascorso. E più avanti: Che cosa significa: “ricordano”?. Ponendosi dinanzi all’ombra di Lisiàt dal punto di vista di un noi allora ancora capace di farsi carico del passato della Resistenza, Fortini scriveva: è degno di ricordo perché difese la giusta parte. Ma oggi? Non esiste più questo noi. Esiste, invece, un noi ipocrita e retorico che ha ridotto la Resistenza a chiacchiera o a slogan pubblicitario tricolorato o a svuotato bellociaoismo. E allora – pochi, isolati, dispersi e fuori da ogni cerimonia ufficiale – vale la pena di porgere l’orecchio a fatti (come quelli raccontati nell’articolo di Cinzia Arruzza e Felice Mometti) che, pur seppelliti e rimossi dalle roboanti cazzate dei vari governanti sfascisti, ancora insistono ad accadere. E vogliono un’intelligenza politica nuova, che li interpreti e li strappi ad una apparente insignificanza. Perché il combattimento per il comunismo è già il comunismo (qui):

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Niente panico?!

di Alessandro Scuro

Il brainstorming (o “tempesta di cervelli”) scaturito dalla pandemia di Coronavirus è di una tale intensità e vastità da scoraggiare chiunque voglia mantenere un minimo di lucidità e di controllo dell’ansia dall’inseguire il flusso ininterrotto e crescente di notizie, video, commenti, proclami politici, dichiarazioni scientifiche. La sobrietà in questa situazione mi pare una virtù fondamentale. E perciò su Poliscritture ho finora evitato di segnalare anche la minima parte delle cose che vado leggendo. Sto ospitando, infatti, esclusivamente contributi che mi vengono proposti da amici e amiche. Questo arrivatomi da Alessandro Scuro, collaboratore di Poliscritture per un lungo periodo con articoli sulla letteratura spagnola, è il primo che affronta il tema del cosiddetto “dopo-Coronavirus” su un piano direttamente politico e con una scelta “militante” molto orientata. Proviamo a discuterne. [E. A.]

Alcune settimane fa, su El País, è stato pubblicato un trafiletto di Fernando Savater, filosofo di chiara fama qui in Spagna, intitolato Cúnico(sulla falsa riga di una famosa battuta “¡Que no panda el cúnico!”, storpiatura dell’esclamazione “¡Qué no cunda el pánico!”, ovvero “Niente panico!”). Savater se la prende con i sacerdoti dell’apocalissi che in momenti come questi, oggi come mille anni fa, interpretano il disastro come una punizione divina, come il giusto castigo per le malefatte dell’umanità, riferendosi in particolar modo a chi sta approfittando della situazione attuale per denunciare lo stile di vita criminale al quale fino a poche settimane fa, volenti o nolenti, tutti eravamo ben abituati. L’articolo si conclude con un augurio del filosofo che, con grande sicumera, tranquillizza i lettori: Niente panico! Sconfitto il virus tutto tornerà come prima!

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Appunti politici (10): Su “Comunismo di F. Fortini”. Una polemica con C. Fischer

di Ennio Abate

Replico  ai commenti lasciati da Cristiana Fischer sotto i post che ho  dedicato a «Comunismo di F. Fortini» (qui, qui e qui). [E. A.]

1.
No, non credo si tratti  di pignoleria ma semplicemente di anticomunismo quasi viscerale (che è per me il peggiore). I tuoi commenti svelano, infatti, molto del tuo atteggiamento verso Fortini, un autore che conosci poco, e il suo marxismo. Rigettano, infatti, in un sol colpo il concetto e la parola ‘comunismo’ e l’interpretazione che ne dà Fortini nell’articolo in questione. E hanno un intento preciso: sbarazzarsi dei problemi che quell’idea e quella storia (novecentesca) potrebbero ancora riportare a galla.
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Il Tonto e il pensionato

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DIALOGANDO CON IL TONTO (4)

 

Me lo aspettavo che non avrebbe perso l’occasione per colpire. Infatti da poche ore i sindacati confederali avevano indetto: “L’apertura formale di una grande vertenza sulle pensioni”, che trovo appeso al cancello di casa un manifesto scritto a caratteri cubitali che ripete, con una serie di punti interrogativi artisticamente disposti, lo slogan della mobilitazione: “A testa alta: tutti insieme per rivendicare diritti e dignità dei pensionati”. Continua la lettura di Il Tonto e il pensionato

Nomadi pesci e migranti

20031013
20031013

di Cristiana Fischer

Uno era bruno, alto, aveva gli occhi blu scuro, giovane, ricordo il nome Antòn. Io avevo compiuto undici anni e i giovani maschi adulti mi affascinavano. L’altro un po’ piú vecchio, biondiccio e piú basso, un professore, cosí si spiegavano in latino lui e mio padre. Profughi dall’Ungheria. Mia madre cuoceva gli spaghetti, i due li condivano con la marmellata o con il cacao. Forse, non ricordo se è successo davvero, si sono convinti dopo le prime volte a condirli con il ragú. Continua la lettura di Nomadi pesci e migranti