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L’età di Biden

 

Bollettino elezioni americane (2)

di Raffaella Ferraiolo Depero

Ragazzi non c’è niente da fare, anche se Balordo44 ha proposto Michell Obama e Strullo45 AOC come alternative a Biden nelle elezioni presidenziali la scelta è binaria: Biden oppure Trump.
La convenzione democratica è al lavoro, chiedendo freneticamente il parere dei vari Strulli e Balordi, ma pare che non ci sia niente da fare.

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Oh che bella guerra!

Note sulla nuova guerra americana

di Paolo Di Marco

1- ∂F, TF9

Durante la guerra contro il Daesh gli americani hanno sperimentato e usato tattiche nuove, centrate sulla minimizzazione della presenza diretta e quindi delle perdite dei loro soldati. E questo ha portato all’impiego di nuovi tipi di armi e anche un nuovo tipo di organizzazione.
Le armi:
-droni (comandati da specialisti situati in basi negli Stati Uniti)
-cannoni a lunga gittata a tiro rapido (obici da 11 m)
-aerei da battaglia (caccia) con equipaggio
Queste armi e la mancanza delle truppe di terra con la loro classica struttura rendevano obsoleta la forma gerarchica solita, centrando tutto su una unità mobile di racolta informazioni, selezione dei bersagli e comando delle armi, tutti integrati.
Una delle principali era/è la Delta Force, Task Force 9.
Loro la selezione degli obiettivi, loro il comando degli attacchi.
Trump aveva concesso alla Delta Force una larga autonomia, e la Task Force 9 di fatto non rendeva conto a nessuno del proprio operato.
Due esempi:
a) diga di Mosul: su un lato del fiume c’era una piccola postazione dell’ISIS; non essendo riusciti a distruggerla con mezzi convenzionali TF9 ordina ai caccia americani un bombardamento con bombe pesanti; una finisce sulla diga, fortunatamente inesplosa. Isis e tecnici e miliziani governativi collaborano a disinnescarla. Avrebbe causato un’inondazione a valle con decine di migliaia di morti.
b) Raqqa: la città è controllata dal Daesh. Con cannoni a lunga gittata (obici M777A2) in postazioni lontane e invisibili dalla città i marines del 10° e 11° battaglione sparano senza interruzione per due mesi 1100 caricatori uno, 10000 l’altro (nel Desert Storm del 91 erano stati in tutto 70). I bersagli sono di tutto, da supposti rifugi militari a moschee, scuole, centrali energetiche. In qualche caso l’ordine è di sparare a griglia, ovvero indiscriminatamente.
Quella che viene operata è una guerra segreta, non dichiarata, che nel 2017/2018 si allarga alla Siria. E in cui dei soldati americani non si vede l’ombra, ma si sente solo il rumore. E dove nessuno è ufficialmente responsabile della selezione dei bersagli e tantomeno delle perdite civili.
Gli unici effetti sui soldati americani sono i rari casi di stress su chi, chiuso in un bunker del Montana, ammazza sconosciuti di cui non sa le colpe coi droni; e in maggior misura le conseguenze neurologiche degli spari dei cannoni a lunga gittata, che distruggono a livello di microconnessioni il tessuto nervoso degli  operatori ( a un tasso superiore al 50%).

2- le nuove armi

Anche se le armi tradizionali non perdono la loro attrattività, anzi, e recentemente si sono anche scoperte ecologiche (per aggirare le norme sui finanziamenti socialmente accettabili), si stanno affacciando nuove armi che hanno il potenziale per cambiare lo scenario bellico ma anche quello produttivo.
1-Uno sono i droni, che come abbiamo visto in Ucraina non debbono essere necessariamente grossi e costosi ma possono essere immediatamente derivati dagli esemplari commerciali, sia a scopo di raccolta informazioni che di attacco mirato. Il che rende ancora più obsoleta l’attuale struttura centralizzata degli eserciti.
2-Un secondo sono i mezzi plananti: utilizzate anche dai cinesi per i missili nucleari, le traiettorie plananti escono dai vincoli delle traiettorie balistiche, rigide e prevedibili, riuscendo a modificarle in modo imprevedibile ma anche penetrante: appiattendo gli archi di traiettoria e riuscendo a passare al di sotto dei sistemi di avvistamento, o nel caso stando nascosti nelle coltri di nubi per poi buttarsi in picchiata.
(Era anche un’idea utilizzata dagli Zengakuren in Giappone nel periodo delle lotte studentesche, col lancio di dischi esplosivi mediante bracci che imprimevano rotazioni -analoghi al lancio dei piattelli- idea più minacciata che attuata ma che permise loro a lungo di mettere in stallo la polizia).

3-Un terzo è, ovviamente, l’Intelligenza Artificiale
(In questo caso un drone con A.I. usato dall’esercito israeliano)
Questa può essere usata a vari livelli: da sistema di guida autonoma di droni (che evita i limiti del comando a distanza) a sistemi di riconoscimento e guida sui bersagli, a sistemi di risposta automatica ad attacchi nemici.
Ricordando l’esempio del sistema di riconoscimento di attacchi nucleari che stava per lanciare una salva di missili nucleari contro l’URSS per aver interpretato come attacco nemico il sorgere della luna..l’unico commento che possiamo fare è : che Allah ci protegga!
D’altro canti i tempi di risposta ridotti e la molteplicità del tipo di attacchi tende a far preferire questi sistemi a quelli umani o misti per un semplice vantaggio di tempi di reazione. E che Yahweh ce la mandi buona.

4- Un quarto è ancora, ufficialmente, silente ma si prepara, le armi batteriologiche: sono circa 40 i laboratori americani (o da loro finanziati e controllati, come fino ad Agosto scorso Wuhan) dove si studia la guerra batteriologica (dopo il bado dell’ONU e di Obama ora chiamata col nome ‘politicamente corretto’ di ‘gain-of-function’ (aggiunta di funzioni; ricordiamo i passaggi base: si prende un battero o virus già esistente e con buone potenzialità di diffusione e letalità (v. il virus dei pipistrelli), gli si aggiunge un pezzo (aggiunta di funzioni) che lo rende più letale e specifico per l’uomo (tipo la proteina Spike con le ‘forbici molecolari’ ), si prepara un vaccino da iniettare alle proprie truppe; si diffonde l’agente patogeno nel territorio/tra le truppe del nemico; quando ha fatto effetto si mandano le proprie truppe../Specifichiamo che il ‘gain-of-function non è necessariamente a scopi bellici: dei circa 50 laboratori che lo usano in giro per il mondo (compreso uno in Italia) una decina sono a scopi pacifici.

5- Il quinto non è un’arma, ma conta di più, le informazioni: dai tempi in cui ero piccolo e i bip del primo Sputnik sorpresero il mondo il cielo si è riempito di migliaia di satelliti, parlanti o silenziosi, e che in larga parte ci spiano (con una precisione insospettabile)

In parte dei governi per scopi militari e di spionaggio, in larga parte di telecomunicazioni e gestiti da privati, ma con potenziale doppio uso, come ha mostrato Musk quando  ha messo Space X a disposizione dei militari ucraini. O come ci mostrano anche i film che ci fan vedere come si possa seguire un’auto o una persona dappertutto.

3-la nuova guerra

a) Aggiornando von Clausewitz, : ‘la guerra e la politica tendono ad essere fatte vieppiù con gli stessi mezzi’.
Maestro indubbio di questa commistione è indubbiamente stato il testè scomparso Henry Kissinger, che per questo ha anche avuto il Nobel (la motivazione ufficiale era per la pace, ma era talmente improbabile e provocatoria da non poter che nascondere l’ammirazione per l’aggiornamento di von Clausewitz).
Il bombardamento a tappeto della Cambogia (500.000 tonnellate di bombe e 150000 morti) che ne distrusse l’economia (e en passent aprì la strada al dominio dei Khmer rossi) è stato esemplare, così come la sua orchestrazione del colpo di stato cileno di Pinochet, forzato dall’irresponsabilità del popolo cileno che, pensando di essere in democrazia, aveva scelto un presidente non gradito agli USA. Gli stermini di Indonesia/East timor e Pakistan/Bangladesh portano anch’essi la sua firma.
Ma alla semplice, qualcuno direbbe semplicistica, brutalità di Kissinger si sta progressivamente affiancando, forse sostituendo, una tattica più raffinata, basata sulla gestione del caos.
Come il defibrillatore caotico sostituisce all’unica scarica brutale e ustionante del defibrillatore classico una successione di piccole scariche mirate, così la Rand Corporation e altri hanno iniziato a studiare, simulare e cercare il modo di intervenire sulle traiettorie dei paesi con una successione di interventi mirati. Si dà generalmente credito alla Rand di aver concepito il piano che ha portato alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, sfiancata dal prolungato logoramento della concorrenza contemporaneamente militare, economica e politica degli USA, ma non si presta la dovuta attenzione al ruolo di Woytila, che ha sfiancato economicamente la chiesa cattolica (e le ha anche procurato la dipendenza da cattive compagnie) ma ha esercitato con la Polonia un colpo destabilizzante dagli effetti devastanti.
Lo stesso Kissinger negli ultimi anni si era spostato in questa direzione, tanto da essere critico rispetto al golpe ucraino e al conseguente confronto con la Russia; si era dissociato anche dalla solita Viktoria Nuland e dal suo stile da bullo di balera quando, ripetendo il copione già usato con Yanukovich, aveva minacciato Putin di sabotare il Nordstream in caso di invasione dell’Ucraina (avvisando di averlo già minato); chè poi, dopo l’invasione, l’aereo CIA/norvegese che manda il segnale di esplosione è un atto di bullismo gratuito, uno schiaffo stavolta alla Germania peraltro già carponi; (l’attribuzione all’Ucraina è un recente gesto di gentilezza e prudenza insieme);
così come non approvava l’attacco stile guerra fredda alla Cina fatto da Biden nello stile di quello anti sovietico, con l’accerchiamento militare e la guerra economica e tecnologica; anche nei confronti di Israele si dissocia, non apertamente, dalla politica genocida di Nethanyahu mostrando invece la possibilità di giocare coi palestinesi e i vicini arabi su più piani: ponendosi così su quel piano di gestione della complessità la cui forma tecnica è la gestione del caos, cioè l’individuazione delle traiettorie (caotiche) in atto e delle spinte necessarie a passare da una all’altra. (Di cui il porsi su più piani è condizione indispensabile, dato che si tratta di traiettorie multidimensionali).
b) le manipolazioni informatiche (hackeraggio): il travaso da strumento di conflitto pacifico a strumento di conflitto armato è pressochè immediato
c) la propaganda: la guerra moderna è impensabile senza propaganda, che è stata parte essenziale nel conflitto ucraino/russo come in Israele/Palestina;
il suicidio di stati come la Germania, il cui presente ed avvenire era impensabile senza la Russia, è stato forzato con molti mezzi diversi dagli Stati Uniti, ma una condizione centrale è stata far bere alla popolazione tedesca una pozione narrativa tossica forzata giù per mezzo di una pressione proagandistica enorme. Ma ormai quasi dappertutto il ruolo congiunto di social, stampa e televisioni è tale da stravolgere prima e consolidare poi equilibri prima impensabili; anche se nelle Americhe questo è facilitato dal peso massiccio delle truppe cammellate evangeliche, che negli USA, Brasile, Australia, forse Argentina, hanno portato decine di milioni di votanti ad eleggere candidati impensabili fino a un anno prima. L’appoggio a guerre e strategie fino ad allora estranee è lo sbocco che solo dopo si palesa. Ricordiamo la ‘strage di Timisoara’, il pretesto col quale Ceasuscu venne impiccato dai romeni infuriati; solo dieci anni dopo si è scoperto che era inventato di sana pianta. D’altro canto la narrazione è fondamentale per il consenso a politiche prima impopolari, come ben sanno gli orchestratori dell’11 Settembre, con la ‘nuova Pearl Harbour’ dei neocon. Lezione forse non estranea anche a un Israele che esattamente un anno fa aveva in mano i piani dettagliati dell’attacco di Hamas. (Come ci raccontava ieri il NYTimes, che ha anche dedicato due articoli alla ∂F-TF9).

 

 

 

 

 

 

 

la Yugoslavia ….e la nuova Europa dei fratelli Grimm

di Paolo Di Marco

1- l’intervento all’ONU di Vučić (da l’Antidiplomatico)

Il 20 Settembre, davanti ad un’assemblea generale delle Nazioni Unite tutta presa dal conflitto ucraino, il presidente serbo Vučić ha fatto un discorso di grande coraggio e lucidità

Sono davanti a voi come rappresentante di un Paese libero e indipendente, la Serbia, che si trova nel percorso di adesione all’Unione europea ma che, al tempo stesso, non è pronto a voltare le spalle alle sue tradizionali amicizie costruite da secoli )”. “Voglio alzare la voce a nome del mio Paese, ma anche a nome di tutti coloro che oggi, a 78 anni dalla fondazione delle Nazioni Unite, credono veramente che i principi della Carta delle Nazioni Unite siano l’unica difesa essenziale della pace nel mondo, del diritto alla libertà e all’indipendenza dei popoli e degli Stati. Ma anche di più: sono la garanzia della sopravvivenza stessa della civiltà umana. L’ondata globale di guerre e violenze che colpisce le fondamenta della sicurezza internazionale è una conseguenza dolorosa dell’abbandono dei principi delineati nella Carta delle Nazioni Unite […] Il tentativo di smembrare il mio Paese, formalmente iniziato nel 2008 con la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo è ancora in corso. Per la precisione, la violazione della Carta delle Nazioni Unite nel caso della Serbia è stato uno dei precursori visibili di numerosi problemi che tutti dobbiamo affrontare oggi, che vanno ben oltre i confini del mio Paese o il quadro della regione da cui provengo. Più in generale, dall’ultima volta che ci siamo incontrati qui, il mondo non è né un posto migliore né più sicuro. Al contrario, la pace e la stabilità globale sono ancora minacciate. […] Onorevoli colleghi, anche se da tre giorni da questo palco tutti giuriamo di rispettare i principi e le regole della Carta delle Nazioni Unite, proprio la loro violazione è all’origine della maggior parte dei problemi nelle relazioni internazionali – mentre l’implementazione di doppi standard è un aperto invito per tutti quelli che cercano di affermare i loro interessi con la guerra e la violenza, violando le norme del diritto internazionale ma anche le fondamenta della moralità umana.
Tutti i relatori finora, e credo tutti dopo di me, hanno parlato della necessità di cambiamenti nel mondo, menzionando il proprio Paese come esempio di moralità e rispetto della legge. Oggi non parlerò molto del mio Paese […] Ma parlerò dei principi che sono stati violati e che ci hanno portato alla situazione odierna, e non dai piccoli paesi, che spesso sono bersaglio di tali attacchi, ma dai paesi più potenti del mondo, soprattutto quelli che si sono arrogati il diritto di dare lezioni a tutto il mondo, esclusivamente dal proprio punto di vista, su politica e morale.”
E ancora “Qui in questa sala, appena due giorni fa, abbiamo potuto sentire dal Presidente degli Stati Uniti che il principio più importante nelle relazioni tra i paesi è il rispetto della loro integrità territoriale e sovranità – e solo come terzo fattore più importante ha menzionato i diritti umani. E mi è sembrato che tutti in questa stanza lo sostenessero. Io, come presidente della Serbia, l’ho accolto con palese entusiasmo. […] Sarebbe tutto bello se fosse vero. Quasi tutte le principali potenze occidentali hanno brutalmente violato sia la Carta delle Nazioni Unite sia la Risoluzione ONU 1244, che era stata adottata in questa Alta Camera, negando e calpestando tutti quei principi che oggi difendono, e ciò è accaduto ventiquattro anni fa e ancora quindici anni fa. Per la prima volta, senza precedenti nella storia del mondo, i diciannove paesi più potenti hanno preso una decisione senza il coinvolgimento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – lo ripeto, senza alcuna decisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – di attaccare brutalmente e punire un Paese sovrano sul suolo europeo – come ebbero a dire – “per impedire il disastro umanitario” […]. E quando ebbero finito con questo lavoro, dissero che la situazione del Kosovo era un fatto di democrazia e che sarebbe stata risolta in base alla Carta della Nazioni Unite e al diritto internazionale. E poi, contraddicendo tutto questo e soprattutto contrariamente al diritto internazionale, nel 2008 hanno deciso di supportare l’indipendenza del Kosovo. La decisione illegale di secessione della provincia autonoma di Kosovo e Metohija dalla Serbia è stata presa dieci anni dopo la fine della guerra, senza un referendum o qualsiasi altra forma di consultazione democratica affinché i cittadini in Serbia o almeno nel Kosovo stesso, potessero dichiarare le loro intenzioni. Questa decisione è stata presa in un momento in cui la Serbia aveva un governo impegnato nell’integrazione europea ed euroatlantica […]. Tutto questo non ha impedito che la violenza politica e legale arrivasse proprio da coloro che oggi sono in prima fila nell’impartirci lezioni […]. La cosa peggiore è che tutti coloro che hanno contribuito all’aggressione contro la Serbia oggi ci danno lezioni sull’integrità territoriale dell’Ucraina. Come se non la supportassimo. Noi la supportiamo e continueremo a farlo perché noi non cambiamo le nostre politiche e i nostri principi, non ostante la nostra centenaria amicizia con la Federazione Russa. […] Sono il presidente della Serbia, al mio secondo mandato; in innumerevoli occasioni ho subito pressioni politiche, sono un veterano politico. Ciò che vi dico oggi è la cosa più importante per me: i principi non cambiano in base alle circostanze. I principi non si applicano solo ai forti, si applicano a tutti. Se non è così, non sono più principi”. […] Un’altra cosa importante è che la pace è diventata una parola proibita. Tutti loro (NDR, le grandi potenze) hanno i loro preferiti e i loro colpevoli. I soli valori che rimangono alle grandi potenze sono proprio i principi. Ma sono principi falsi: li invocheranno solo fin quando gli staranno bene.”

Nei successivi incontri con la stampa, Vučić ha rivelato di esser stato “consigliato” di non menzionare l’aggressione della NATO contro la Serbia e la violazione del diritto internazionale implicita nella dichiarazione di indipendenza del Kosovo. “Hanno cercato di spiegarmi che era l’ultima occasione, per me, di diventare un politico del futuro e non un politico del passato” (sembra di sentire la Viktoria Nuland con Yanukovich) “e se non avessi voluto, ci sarebbero state queste fondazioni straniere pronte a sostenere i miei avversari politici, per portarli dove devono essere”.
in un mondo del genere, credo che ancora una volta, la Serbia, alzando la voce e combattendo per i valori universali e per i principi di inviolabilità dei confini internazionalmente riconosciuti, per l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza politica, offra l’esempio della battaglia per ciò che è giusto […] Non ci vuole una grande forza ma solo risolutezza e coraggio. […] È solo triste che i grandi paesi, che non sono interessati alla legge e alla giustizia, si appellino a principi diversi in base alle circostanze, ovvero ai principi che in quel momento gli convengono. Quando si segue questo tipo di politica, quando non c’è moralità nella politica, diventa chiaro che entreremo in un’era di grandi divisioni e grandi conflitti, non solo economici e politici ma anche militari. Proprio in una situazione così difficile, l’ONU rimane l’unica piattaforma reale che ci unisce […]. Forniamo pieno sostegno a tutti i processi di riforma delle Nazioni Unite, comprese le iniziative del Segretario generale per preservare la pace globale, per non rischiare di scomparire, tutti, in un conflitto darwiniano guidato dalle maggiori potenze […] La Serbia è sulla strada europea, pronta al cambiamento e alle riforme. Abbiamo buoni rapporti con gli Stati Uniti e credo che i nostri rapporti saranno ancora migliori. Allo stesso tempo preserveremo le nostre amicizie tradizionali, in tutti i continenti, e saremo orgogliosi dei nostri buoni rapporti con i paesi e i popoli in Africa, Asia e America Latina. […] Le nostre relazioni con Cina, Korea e Giappone, molti paesi arabi e musulmani, sono alla loro massima espressione storica. Non romperemo la nostra importante, storica amicizia con la Russia, nella convinzione che Il dialogo rimane l’unica strada per una soluzione di compromesso. […] Credo nel futuro […] e nella capacità di superare le differenze con sforzi congiunti. […] Voglio che costruiamo ponti, non muri.”

2-Kosovo

Una nota a margine: ricordiamo come Fronte di Liberazione del Kosovo non fosse altro che il nome preso dall’esercito privato dei trafficanti di droga albanesi, organizzazione che gli USA avevano-per una volta giustamente- messo nella lista dei gruppi terroristi; collocazione cambiata nel corso di una notte durante le elezioni albanesi; cosicchè il Kosovo è il primo narco-stato ufficiale. L’ovvio riconoscimento USA (fatto in funzione anti serba e anti sinistra albanese) è stato entusiasticamente accompagnato da molti altri paesi, Italia compresa.

3- La sanguinosa distruzione

Quello di cui Vučić non può parlare viene prima del Kosovo, ed è la storia di come la Yugoslavia sia stata distrutta. Lo facciamo noi, riprendendo l’analisi di Michel Chossudovsky°, la prima e più dettagliata (e informata) relazione sulla frantumazione della Jugoslavia con mezzi finanziari.

a) L’immagine del futuro
La Yugoslavia multietnica e socialista era una volta una potenza industriale regionale e un esempio di successo economico. Nelle due decadi anteriori al 1980 il PNL era cresciuto alla media del 6,1%, la sanità era gratuita, il tasso di alfabetizzazione era del 91% e l’aspettativa di vita di 72 anni. Ma dopo un decennio di prescrizioni economiche occidentali e cinque anni di disintegrazione, guerra, boicottaggio ed embargo le economie della ex Yugoslavia sono distrutte, i loro settori industriali smantellati.
L’implosione della Yugoslavia è stata in parte dovuta a macchinazioni statunitensi. Nonostante il non-allineamento di Belgrado e le sue estese relazioni commerciali con Europa ed USA, l’amministrazione Reagan ha preso di mira l’economia jugoslava in una direttiva ‘Segreta e Sensibile’ (NSDD 133: ‘La politica USA verso la Yugoslavia’) del 1984; una versione declassificata ma censurata del 1990 la mostrava come elaborazione della Direttiva NSDD 64 sull’Europa dell’Est, del 1992: questa promuoveva “sforzi aumentati per promuovere una ‘rivoluzione quieta’ per rovesciare governi e partiti comunisti” e contemporaneamente reintegrare i paesi dell’Europa orientale in una economia di mercato.
Gli USA si erano precedentemente uniti agli altri creditori internazionali di Belgrado nell’imporre un primo giro di riforme macroeconomiche nel 1980, poco prima della morte di Tito. Quel giro iniziale di ristrutturazioni fissava le linee guida; nel corso degli anni ’80 il FMI e la Banca Mondiale prescrivevano dosi ulteriori della loro amara medicina economica mentre l’economia jugoslava andava lentamente cadendo nel coma.
Fin dall’inizio i successivi programmi patrocinati dal FMI accelerarono la disintegrazione del settore industriale jugoslavo la cui produzione arrivò nel 1990 a un tasso di crescita negativo del 10% parallelamente allo smantellamento dello stato sociale, con tutte le prevedibili conseguenze sociali. Nel frattempo gli accordi di ristrutturazione del debito aumentavano il debito estero ed una svalutazione forzata della monetà colpì duramente i livelli di vita degli jugoslavi.”

b) Markovic va a Washington
“Nell’autunno del 1989, appena prima della caduta del Muro, il premier jugoslavo federale Ante Markovic si incontrò a Washington col presidente George Bush per concludere i negoziati per un nuovo pacchetto di aiuti finanziari. In cambio dell’assistenza la Yugoslavia acconsentiva a riforme economiche ancora più drastiche, inclusa una nuova svalutazione, un altro blocco dei salari, tagli drastici alle spese statali e l’eliminazione delle compagnie a proprietà sociale, gestite dai lavoratori. I dirigenti di Belgrado, con l’aiuto di consiglieri occidentali, aveva posto le basi per la missione di Markovic realizzando in amticipo molte delle riforme richieste, inclusa una estesa liberalizzazione della legislazione sugli investimenti esteri.
La terapia d’urto iniziò nel gennaio 1990. Sebbene l’inflazione avesse già mangiato parte dei salari, il FMI ordinò che i salari venissero congelati ai livelli di metà Novembre 89; i prezzi continuarono a salire senza sosta, e nei primi 6 mesi del 1990 i salari reali crollarono del 41%.
Il FMI controllava anche di fatto la Banca Centrale jugoslava; la sua politica di restrizioni monetarie paralizzava ulteriormente la sua capacità di finanziarne i programmi economici e sociali; entrate statali che avrebbero dovuto andare come trasferimenti alle repubbliche e alle provincie andavano invece al servizio del debito di Belgrado coi circoli di Parigi e Londra. Le repubbliche venivano lasciate largamente alle sole risorse proprie.
Con un un decisivo colpo di scopa i riformatori architettarono il collasso finale della struttura fiscale federale jugoslava provocando una ferita mortale alle sue situzioni politiche federali. Tagliando le arterie finanziarie tra Belgrado e le repubbliche le riforme alimentarono le tendenze secessionisti basate su fattori economici come su divisioni etniche, assicurando virtualmente la secessione de facto delle repubbliche.
La crisi di bilancio indotta dal FMI creò un fatto compiuto economico che aprì la strada alla secessione formale di Crozia e Slovenia nel Giugno 1991.”

c) Schiacciata dalla ‘Mano Invisibile’
Le riforme richieste dai creditori di Belgrado colpivano al cuore il sistema jugoslavo di imprese a proprietà sociali gestite dai lavoratori; l’obiettivo era di forzare una massiccia privatizzazione e smantellare il settore pubblico. La burocrazia del Partito Comunista, specialmente il settore militare e di spionaggio, fu oggetto di proposte mirate di appoggio politico ed economico a condizione dello smantellamento integrale del sistema di protezioni sociali dei lavoratori. Era un’offerta che una Yugoslavia disperata non poteva rifiutare. L’assalto all’economia socialista includeva anche una nuova legge bancaria mirata alla liquidazione delle ‘Banche Associate’ di proprietà collettiva; nel giro di due anni più della metà della banche del paese erano sparite, sostituite da nuove istituzioni ‘orientate al profitto’.
Nel 1990 l’andamento del PNL era passato a -7,5%; nel ’91 era sceso di un altro 15%; l’industria pesante era di fatto in liquidazione, con 2 milioni di lavoratori che avevano perso il posto; i salari erano in caduta libera, i programmi sociali erano collassati, la disoccupazione era galoppante. Lo smantellamento dell’economia industriale era di un’ampiezza e brutalità da togliere il fiato.

d) L’economia politica della disintegrazione
Qualcuno si unì per reagire alla distruzione della loro economia e politica. C’erano sacche di resistenza che superavano le linee di divisione etnica con Serbi, Croati, Bosniaci e Sloveni che lottavano spalla e spalla. Ma le difficoltà economiche acuivano le tensioni nelle relazioni tra repubbliche e tra le repubbliche e Belgrado.
La Serbia respinse totalmente il piano di austerità, e 650000 lavoratori serbi scioperarono contro il governo federale per aumenti di salario, le altre repubbliche seguirono strade differenti, con la Slovenia che sosteneva le riforme, la Croazia che si opponeva, e nelle elezioni del 1990 in Croazia, Slovenia e Bosnia vincono forze secessioniste. Così come il collasso economico aveva spinto alla frattura così a sua vece ka secessione accentuava la crisi economica; la cooperazione tra le repubbliche venne praticamente a cessare; e con le repubbliche che si azzannavano vicendevolmente alla gola tanto l’economia che la nazione si avviavano in una perniciosa spirale discendente. Il processo venne accelerato dalle dirigenze delle repubbliche che forzavano deliberatamente le divisioni sociali ed economiche per rafforzarsi. L’apparenza simultanea di milizie leali ai dirigenti secessionisti accelerò ulteriormente la discesa nel caos; queste milizie, prese in una spirale crescente di reciproche atrocità non solo spaccarono la popolazione lungo linee etniche ma frammentarono anche il movimento operaio.”

e) L’aiuto occidentale
Le misure di austerià avevano posto le basi per la ricolonizzazione dei Balcani. Se questo rendesse necessaria la rottura della Yugoslavia era oggetto di dibattito tra le potenze occidentali, con la Germania capofila della spinta secessionista e gli USA, timorosi di aprire il vaso di Pandora del nazionalismo, all’inizio favorevoli alla conservazione della Yugoslavia. A seguito della decisiva vittoria in Croazia di Tudjman, il ministro degli esteri tedesco Genscher, in contatto quotidiano con Zagabria, diede il via libera alla secessione; e non fu un sostegno passivo, chè la Germania forza la mano alla diplomazia internazionale per riconoscere Croazia e Slovenia; voleva avere mano libera dai suoi alleati per ‘acquisire il dominio economico dell’intera Europa di Mezzo”.
Il piano funziona male, anche per le difficoltà dell’unificazione tedesca e la crisi della Guerra del Golfo, mentre gli Americani si adattano alla tendenza in atto e scelgono di concentrarsi su Bosnia Macedonia e Croazia, sullo sfondo di quella che ormai è una sanguinosa e prolungata guerra civile.

4- dintorni

L’esempio yugoslavo è l’emblema della storia dell’Europa post muro e del suo allargamento.

In Polonia era intervenuto direttamente il Vaticano, con Woytila che svuota totalmente le casse per finanziare Solidarnosc e tutta la nomenclatura che doveva appoggiarne o tollerarne l’ascesa; alla fine la Polonia si troverà al potere non i portuali cattolici ma un’oligarchia fascista; ai confini con la Russia ci pensano gli americani, con una base di missili puntati direttamente su Mosca (è vero, sono missili antiaerei..solo che nel giro di 24 ore possono essere sostituiti da missili d’attacco a lungo raggio).

Dopo la caduta del muro Ungheria e Cecoslovacchia seguono alla fine una sorte simile.

In Ucraina l’inizio segue la falsariga del copione jugoslavo, con la Viktoria Nuland che impone a Yanukovich di seguire le prescrizioni del FMI -pena diventare ‘obsoleto’- cosa che dopo il rifiuto di Yanukovich (che non è solo come la Yugoslavia ma può contare sull’appoggio russo -per quanto limitato) si tramuta nel colpo di stato di piazza Maidan. La reazione dei russofoni vede la Crimea tenere un referendum che vota la secessione (e riunificazione con la Russia che con l’ucraino  Kruscev l’aveva scorporata e data all’Ucraina), seguita dal Donbass, dove però le milizie naziste bruciano schede e scrutatori e iniziano una repressione che fa 14000 morti. È un processo non limitato al Donbass, dato che l’Ucraina è un mosaico a due colori fra russofoni e ucrainofoni, ben separati agli estremi ma mescolati nel resto; e a poco a poco i russofoni vengono repressi, licenziati, cacciati, uccisi. Fino a che la marionetta del più grande mercante d’armi dell’est europeo diventa presidente, incarnando dal vero la parte che aveva imparato in televisione.

Si conclude con la proposta di adesione alla Nato la lunga partita iniziata con la caduta del Muro, che aveva visto tutte le torri dell’ex Patto di Varsavia cadere in mano al nemico e cambiare colore. Ma questa ultima è particolarmente dolorosa, non solo perchè l’Ucraina  è all’origine della Russia storica, non solo perchè è stata infranta l’ennesima promessa fatta dai presidenti americani a quelli russi, ma anche per la sua posizione strategica rispetto alle vie d’acqua e al raggio d’azione dei missili. Putin si trova in Zugzwang: qualunque mossa faccia è perdente. Sceglie non la ‘meno peggio’ ma quella che lascia alla Russia orizzonti temporali e spaziali più larghi. È l’ultima mossa di un lungo gioco di rimessa che ha visto la Russia privata a poco a poco di tutti gli orizzonti europei.

E gli USA prendono due piccioni con una fava, dato che il primo risultato, inaspettato nella sua rapidità e profondità, è la distruzione dell’Europa come entità ed anche del suo pilastro economico, la Germania, privata dell’energia che alimentava le sue industrie, spogliata di ogni credibilità di ‘guida’, schiacciata anch’essa dal ‘tallone di ferro’. E pure beffata dagli americani che fanno saltare i gasdotti russi Nordstream, mossa prima preparata come deterrente all’invasione ucraina e poi invece usata contro la Germania (come ci rivela Seymour Hersh) .

Due brevi note: visto quello che è successo alla Jugoslavia -come anche alla Grecia- forse i regimi fasciooligarcici dell’est Europa rappresentano il modo più facile di chiudersi a riccio per evitare di essere stritolati da Fondo Monetario e BCE. Enti che d’altro canto hanno sempre ben davanti agli occhi l’obiettivo della lotta di classe: le loro prescrizioni, così come le misure antiinflazione, sono sempre caratterizzate da una esasperazione e pervicacia che appaiono gratuite se non fosse che  ai loro occhi l’obiettivo principale non è mai solo uscire dalle crisi (incluse quelle da loro provocate) ma mettere in ginocchio la classe operaia e tutti i proletari e poi, eventualmente, uscire dalla crisi. (Ce lo raccontano candidamente gli economisti del NYTimes quando descrivono i processi decisionali del Tesoro e della Banca Centrale americani).

Nella narrazione dei fuoriusciti dell’Officina Primo Maggio i proletari scompaiono, sostituiti dai popoli, in un’Europa immaginaria dove gli USA sono occupati altrove, dove il cattivo è già definito per carattere, indipendentemente dai fatti, e dove fra gli accadimenti fa capolino una Europ’Idea che fa di sè favola.

Sono un avido lettore di fantascienza, e negli ultimi anni anche di fantasy; così mi sono sorbito tutti i 14 volumi della ‘Ruota del Tempo’ di Robert Jordan, che nonostante la mole sono stati una piacevole lettura. Così quando Amazon ne ha fatto la versione per il piccolo schermo ho iniziato a vederla, ma  ho scoperto con amarezza che il beota dello sceneggiatore (già bersaglio dei milioni di fan della serie per un maldestro tentativo di trailer di anni fa) delle 14000 pagine di cui Amazon aveva comprato i diritti ne aveva usate solo 6: l’indice. Col risultato prevedibile di un pasticcio senza capo nè coda. La mia impressione è che i nostri moderni fratelli Grimm abbiano fatto lo stesso colla storia recente; anche se, come con tutte le storie dei Grimm, sotto sotto c’è sempre una morale. Anzi, alla fine resta solo quella, classica dei BildungRoman, col giovane (l’Europa) che attraversa prove difficili ma si rende conto alla fine che il suo destino si realizza solo accettando quello che il suo tutore (d’oltreoceano) gli prospetta. Potevano limitarsi a questo.

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°Dismantling Yugoslavia; Colonizing Bosnia
by Prof. Michel Chossudovsky, Covert Action, No. 56, Spring 1996
Michel Chossudovsky è Professore di Economia, University of Ottawa.

Sul libro di Andrea Graziosi

L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia

di Ennio Abate

So che la guerra in Ucraina a quasi  dieci mesi dal suo inizio (24 febbraio 2022) è allo stallo ma continua  a produrre morti e distruzione –  un temporale sul quale incombe il fantasma di un nube apocalittica. So pure che gli schieramenti contrapposti nel dibattito dei primi giorni di guerra si sono stancamente cristallizzati e vengono ripetute  le stesse accuse o gli stessi argomenti. Per lo più propagandismo piatto.  Mi sono, perciò, imposto di seguire da lontano e in silenzio i commenti o gli articoli che sull’argomento riesco a captare. Ma il libro dello storico Andrea Graziosi, segnalatomi da un amico, per scrupolo ho voluto leggerlo e commentarlo. Malgrado avessi letto con sospetto l’elogio che ne ha fatto l’”interventista” Adriano Sofri sulla sua pagina FB. Forse – mi sono detto – offre dati o argomenti che ignoro. O che potrebbero farmi rivedere o correggere la posizione che ho preso  allo scoppio della guerra e nelle riflessioni immediatamente successive (ad. es. qui e qui). Continua la lettura di Sul libro di Andrea Graziosi

Sulla guerra in Ucraina. Rileggere, rileggersi (1)

Riordinadiario del 4 aprile 2022

di Ennio Abate

Senza un ordine preciso rileggerò e selezionerò le cose scritte da vari autori (quasi tutti incrociati su FB) sulla guerra in Ucraina dal momento del suo scoppio (la mia prima reazione del 23 febbraio 2022 qui). Questo è il primo appunto. Continua la lettura di Sulla guerra in Ucraina. Rileggere, rileggersi (1)

Un’orchestra sul Titanic

di Cristiana Fischer

Diversi strumenti musicali compongono nell’orchestra una ricca tavolozza timbrica. Ci sono i suoni gravi e vibranti che danno una colorazione drammatica al discorso, insieme al corpo centrale degli archi che lo sostiene con continuità e senza interruzioni. Il discorso ininterrotto cui mi riferisco è quello che trasmettono imperterrite tutte le fonti di comunicazione scritte, orali e  visive, sui canali ufficiali delle tv, di stato o quasi (come sono quelle dei grandi gruppi privati), più la selva di fonti diffuse, come gli alberi le rocce e i rivi di una larga foresta che corrisponde all’intrico dei social. È il discorso della guerra, al 99% impegnato a sostenere la validità di un quadro che non si smette di abbellire e rafforzare: la povera Ucraina invasa dal rabbioso capo russo.
Continua la lettura di Un’orchestra sul Titanic

25 aprile targato Nato. 25 aprile, ohibò, rovinato

di Samizdat

Ah, com’eran  – ragazzini  e belle e sveglie –  i partigiani nel ’45!

Ma voi, invece, dietro i Violante, sdoganatori dei “ragazzi di Salò”.
Dietro i Pansa del “sangue dei vinti”(fascisti). E, ahi, pure dietro
gli sbeffeggiatori della Resistenza “rossa e non democristiana”.

E oggi vi beccate questi Letta, ciarlatani USA dai sorrisi cardinalizi?
E gli equiparatori d’un Zelensky   nazionalfascistoide ai partigiani?
E gli sventolatori di bandiere Nato al posto dello straccio rosso?

Smartphone rotti?  Bussola di Marx rotta?  Eppur bisogna andar!
Difendiamo le “nostre verità” partigiane! Quali? Quali? Quali?
No alla guerra dei filoamericani! No alla guerra dei filoputiniani.

 (da leggere  riascoltando “ Vi ricordate quel diciotto aprile” qui:
https://www.ildeposito.org/canti/vi-ricordate-quel-diciotto-aprile)

 

Putin e la Russia Eterna

di Antonio Sagredo

ir\riflessione (NON COMPARATA CON ALTRE CULTURE) sulla singolarità russa odierna (o passata – i “tempi torbidi”, insomma non è cambiato nulla tra le mura del Cremlino)… se ne era accorto per primo ìl poeta Alexander Blok scrivendo nei suoi taccuini che non gli sembrava affatto una rivoluzione, ma l’ascesa di un gruppo (o casta se volete) per conquistare il potere che divenne più assoluto del potere degli zar. Il poeta Majakovskij alla vigilia della sua morte (anno 1930) si dichiara convinto e dà ragione al Blok. So che è stato ucciso dagli uomini di Stalin anche se non ho le prove, ma prima o dopo usciranno, stessa cosa per il poeta Esenini.- Continua la lettura di Putin e la Russia Eterna