Ciò che più colpisce in questo testo così complesso è la densità del percorso linguistico, metaforico, materico. La scelta lessicale, precisa e senza sbavature, si addensa in una sua fisicità che rimanda non semplicemente ai movimenti, ai pensieri, ai vissuti più o meno drammatici delle persone, ma alla complessità del mondo in cui si divincolano: tutto si espande si contorce si frantuma in questa realtà che non è mai astratta, sembra di buttarcisi dentro, anche con fatica, ma sempre con questo nostro mondo che, fortunatamente, non ci consente di estraniarci. Continua la lettura di I sentieri di Velio→
di Paolo G. Di Marco *Politecnico di Milano, retd [1]
Pubblico questo sintetico studio scientifico di Paolo Di Marco su un argomento di grande attualità che sta smuovendo timori spesso dalle tinte apocalittiche. Il linguaggio è apparentemente arido e asettico ma permette di riportare l’attenzione sugli aspetti oggettivi della pandemia e innestare una riflessione meno emotiva, base indispensabile per valutare anche le scelte che i governanti vanno facendo. [E. A.]
[A proposito soprattutto di scuola (e anche di comunicazione e cultura, più in generale). Pubblico una mia considerazione di poco meno di due anni fa. Temo che sia più attuale ancora oggi, e che sarà meno facile porre argine alle derive di banalizzazione (o peggio) in atto. Spero di essere smentito]
I suoi genitori gli avevano dato un nome impegnativo, Benedetto, forse perché lo avevano aspettato a lungo e finalmente questo maschietto era arrivato a riempire la loro vita che, ormai tutta presa da casa e soprattutto lavoro, sentiva il bisogno di un qualche cosa di ‘caldo’, che trasmettesse affetti e buoni sentimenti. E, non ultimo, anche il desiderio di passare in eredità a qualcuno il cospicuo patrimonio di famiglia che negli anni si era accumulato.
Nel leggere questa ode di Gualtiero Via così cordialmente meditativa e speranzosa sulla scuola d’oggi, mi sono ricordato di quant’era invece dolente e incupito dalla sconfitta del ’68 “Prof Samizdat”, personaggio/maschera alle prese con la scuola anni ’70-’80 del Novecento. Il racconto della sua esperienza cominciava, infatti, così: “Dove lo troviamo Prof Samizdat? A bagnomaria nel quotidiano scolastico. Eccolo. Ha dettato i voti d’italiano e storia. Primo quadrimestre, eh. Restano da firmare i tabelloni e il registro azzurro. Ultimi avvertimenti di una voce – la coordinatrice di classe. Con la fregola addosso si accalcano per lo scarabocchio finale sui tabelloni e i registri. Battutine. Quali? Boh. Ultimi saluti distratti. Si scappa fuori. Il pomeriggio è di piombo. Dentro e fuori? Ci arriveremo, ci arriveremo. Lui pure scappa. Per i corridoi a quell’ora deserti e silenziosi. Ti scruto primo quadrimestre. Ti perquisisco io, pezzo di vita stronza. Io, prof Samizdat, che quasi non ti voglio notare, mutanda mia scolastica! Ché sui tabelloni metterei non la firma ma uno sputo. Che è firma + rancore. Per assenza d’amore? E chissà se un corridoio resta. Per l’amore o solo per andare a cesso?“. Non suoni provocatorio accostare due esperienze lontane nel tempo per capire da quanto tempo dura la sofferenza di una scuola che ora pare smettere di respirare e rischia di dissolversi in DAD. [E. A.]
un’ode
(agli studenti a agl’insegnanti)
Fra pochi giorni avremo lo scrutinio
carissime colleghe, e voi, colleghi,
condenseremo, in numeri,
che cosa?
Romanzo tragicomico che racconta in prima persona la storia del primo anno d’insegnamento di un giovane supplente di Lettere con qualche ambizione artistica e della scuola di campagna dove è approdato. I personaggi che lo animano si muovono sulla pagina come presenze in carne e ossa. Tutti inadeguati, consumati, a volte evanescenti, popolano un mondo rimasto sullo sfondo della modernità, come il bidello-scrittore Celestino (che possiede il dono dello svedere), il professor Sciarra (misogino e intrattabile), la vicepreside (anzi, Arcipreside), gli insegnanti ibernati e i genitori rinunciatari. Tutti assenti con la sua scrittura scanzonata e fortemente umoristica, è stato segnalato alla XXXI edizione del Premio Calvino «per il notevole talento linguistico e per l’acuta intelligenza con cui si tratteggia un disilluso quadro dell’odierna istruzione di massa e, sotto traccia, della società italiana nel suo insieme».
Da “Morfeologie” un nuovo racconto di Stefano Taccone, già qui portatore di una necessaria e intelligente ironia. [E. A.]
Sto
attraversando Piazzale Loreto ed è il 25 aprile. Ma che ci faccio
oggi e quest’anno a Piazzale Loreto? Lo scorso anno in una traversa
di Piazzale Loreto c’era l’istituto nel quale insegnavo e quindi
stavo sempre qui… Non so quante volte mi sono perso nei meandri di
Piazzale Loreto, perché tutte le traverse mi pareva si
assomigliassero… Passavo minuti e minuti prima di trovare la via
dell’edificio scolastico e ogni mezzo secondo era un battito
accelerato, ché a Milano sono più “fascisti” degli svizzeri con
gli orari. Se arrivi tardi a un collegio dei docenti, a un consiglio
di classe, a un consiglio di dipartimento o a un altro rompicapo
simile che il preside tira fuori a raffica, quasi come dovesse
organizzarci l’intrattenimento pomeridiano, ti mettono assente
ingiustificato e parte la sanzione disciplinare. E arrivare tardi qui
non significa un quarto d’ora, venti minuti… Ne bastano cinque
per comminarti una pena di morte appendendoti a testa in giù…
Pubblico le riflessioni che Paolo Rabissi e Franco Romanò hanno fatto leggendo il racconto del mio ’68 ( qui ). [E. A.]
IL MIO ’68 ERA COMINCIATO NEL ’66 di Paolo Rabissi
Caro Ennio
non sono uno dei vecchi cui poter passare le tue domande così cariche di problemi, non ho capito meglio di te il significato di quell’anno. Di più, io festeggio il ’68 tutti gli anni il 7 dicembre non perché a S. Ambrogio in quell’anno Capanna strigliava i compagni poliziotti Continua la lettura di Memoria. Tre sessantottini.→
(La mia terra perduta: Apulia, la casa:
un lungo viale, svolta a destra dopo
le carceri, la strada a metà delle palazzine
gemelle a due piani, numeri 48 e 50
un grande atrio: mio nonno Felice usciva
col tabarro sulla strada non asfaltata.
Mia madre andava in città a trovare la sorella,
noi le correvamo dietro disperati) Continua la lettura di Apulia→
Uscito dall’ufficio ho preso la macchina e mi sono avviato verso la montagna senza salutare nessuno. Al lavoro è stata una giornata davvero faticosa, per fortuna la musica di Bjork può togliere il torpore della sonnolenza che ha lasciato lo spaghetto all’amatriciana mangiato a pranzo. Tra i colleghi del nostro tavolo sono stato l’unico a prendere questa bomba calorica. Di solito l’amatriciana a pranzo la digerisco bene, sarà che ho mangiato in fretta perché due compagne di lavoro si sono messe a discutere piuttosto animatamente sull’importanza dei figli nel rapporto di coppia. Quella che sedeva al mio fianco ha due figli ed è sposata, mentre l’altra, che avevo di fronte, non ha figli e convive ormai da molto Continua la lettura di quando le patatine fritte crescono sugli alberi→