Reversibilità
Anassagora giunse ad Atene
che aveva da poco passati i trent’anni.
Era amico d’Euripide e Pericle.
Parlava di meteore e arcobaleni.
Ne resta memoria nei libri.
Si ascolti però quel che ora va detto.
Anche la grandissima Unione Sovietica e la Cina
esistono, o l’Africa; e le radio
ogni notte ne parlano. Ma per noi, per
noi che poco da vivere ci resta,
che cosa sono l’Asia immensa, il tuono
dei popoli e i meravigliosi nomi
degli eventi, se non figure, simboli
dei desideri immutabili, dolorosi? Eppure
- si ascolti ancora – i desideri immutabili
dolorosi che mordono il cuore nei sonni
e del poco da vivere che resta
fanno strazio felice, che cosa sono
se non figure, simboli, voci,
dei popoli che mutano e si inseguono,
degli uomini che furono e che in noi
son fin d’ora? E così vive ancora,
parlando con Euripide e con Pericle
di arcobaleni e meteore, il filosofo
sparito e una sera d’estate
ansioso fra capre e capanne di schiavi
entra ad Atene Anassagora.
(da Franco Fortini “Poesie inedite” Einaudi, 1997)
TESTIMONIANZE PER FRANCO FORTINI dicembre 1996 COLOGNO MONZESE
Ieri ho messo in ordine nel mio PC la cartella ‘Nei dintorni di Franco Fortini’ datando in ordine cronologico appunti e interventi che ho accumulato dal 1978 ad oggi. Li rileggerò e ripenserò alle ragioni più o meno consapevoli di questa mia lunga fedeltà alla sua figura e alla sua opera, malgrado il mutamento che hanno subìto nella percezione pubblica in questo lungo tempo trascorso dalla sua morte nel 1994. Per ora ripubblico il contenuto di un libretto cartaceo di 73 pagine oggi introvabile. Lo costruii assieme ad amici dell’Associazione Culturale Ipsilon di Cologno Monzese e riuscimmo a pubblicarlo nel 1996. Può essere scaricato e spulciato con calma usando il pulsante ‘Dowload PDF’ ( a destra in alto). [E. A.]Continua la lettura di “Se tu vorrai sapere…”→
L‘affetto e la grandissima stima che ho per Romano Luperini non mi impediscono ancora oggi – in tempi politicamente così bui – di esprimere un mio fraterno dissenso (o almeno la mia perplessità) per la sua – purtroppo insufficiente presa posizione [Vedi APPENDICE). I buoi sono già scappati dalla stalla (della scuola italiana) e il pensiero critico è stato espulso non solo dall’università ma dalla società italiana. Non basta la lodevole resistenza da ultimi mohicani nella scuola. È una critica che espressi (vanamente in verità e non per colpa sua) in una lettera che gli scrissi nel lontano aprile 1998 dopo aver letto il suo “Il professore come intellettuale “.Continua la lettura di Non bastano gli ultimi mohicani nella scuola→
Questo articolo è uscito anche su “L’immaginazione ” n. 318, luglio-agosto 2020. Le precedenti riflessioni sul romanzo di Roberto Bugliani si possono leggere qui, qui e qui [E. A.]
Bugliani e un romanzo sull’America Latina
Conosco Roberto Bugliani dagli anni sessanta. Prima nel ’68 nel movimento degli studenti, poi come dirigente della sezione di La Spezia del mio gruppo politico. Con la barbetta, silenzioso, ma sempre disponibile. Poi per qualche anno lo persi di vista per ritrovarlo come redattore della rivista Allegoria negli anni settanta. Col passare degli anni però la sua partecipazione alle riunioni della redazione si ridusse: era sempre all’estero, in paesi dell’America Latina, dove frequentava in Messico l’esercito di liberazione nazionale del Subcomandante Marcos, i cui documenti traduceva e diffondeva in Italia. Per anni ha trascorso la maggior parte del suo tempo soprattutto in questo paese e in Equador. Nel frattempo scriveva poesie sperimentali sulla scia del Gruppo 63, mescolando audacie letterarie e politiche, che mi lasciavano, ricordo, alquanto freddo.
Ho conosciuto Pierino nel 1980, quando
ho vinto la cattedra di ordinario all’università e mi sono trovato
sbalestrato in quella di Lecce. 17 ore di treno e altrettante al
ritorno tutte le settimane, salvo accorgermi poi che ero uno dei
pochi ordinari a insegnare e i più se ne stavano tranquillamente a
casa facendo lavorare gli assistenti al loro posto. In due anni per
esempio non ho avuto mai modo di conoscere il titolare
dell’insegnamento di Letteratura italiana che pure veniva da Roma e
non da Siena come il sottoscritto. D’altronde la disorganizzazione
era totale e la Facoltà di Lettere dell’università di Lecce
allora era piuttosto un luogo dove esibire un potere locale che una
istituzione addetta alla istruzione superiore. Ricordo lo stupore dei
colleghi e dei segretari quando chiesi una macchina da scrivere nel
mio ufficio per lavorare. Cercai di rimediare organizzando un libero
seminario di letteratura contemporanea a cui potevano partecipare
tutti gli interessati, anche se non erano studenti universitari. Così
conobbi Annagrazia Doria e poi il marito, Pierino. Entrambi
insegnanti, avevano deciso di svolgere la loro funzione all’interno
del carcere minorile di Lecce, in modo da unire impegno civile e
culturale (costante intreccio del loro modo di intendere la vita).
Diventammo amici. Cenavo spesso da loro che mi allettavano comprando
i dolci più squisiti della città che poi io e il loro figlio,
allora all’incirca dodicenne, divoravamo con grande diletto. Poi
cominciai ad andare a dormire a casa loro, usufruendo della loro
generosità e ospitalità.
Riordinadiario /In margine ad un convegno su Elvio Fachinelli del 1998
di Ennio Abate
Ripubblico questo mio resoconto ragionato di un convegno su Elvio Fachinelli tenutosi a Milano nel 1998 dopo aver letto su LE PAROLE E LE COSE un ricordo di lui nel trentennale della sua morte scritto da Sergio Benvenuto (qui). Ho letto varie opere di Fachinelli e ho spesso citato il suo scritto “Gruppo chiuso e gruppo aperto” (ad es. nel 2011 qui) . Non l’ho mai conosciuto di persona (l’intravvidi solo una volta, attorno al 1988, in mezzo al pubblico alla Casa della Cultura di Milano) ma ho sentito parlare spesso di lui da Giancarlo Majorino. E mi hanno sempre particolarmente colpito il suo scontro con Franco Fortini e l’autocritica postuma di quest’ultimo nei suoi confronti. (Il «diverbio» con Fachinelli Fortini lo rievoca in una nota di «Psicoanalisi e lotte sociali», pag. 229 di Non solo oggi). L’attenzione e lo scrupolo da cronista, con cui allora segui quel convegno privilegiando ancora in un’ottica da insegnante (sarei andato in pensione in quell’anno), dimostra il mio interesse per i problemi sollevati da Fachinelli ma anche la mia diffidenza per la piega impolitica/apolitica con la quale i suoi amici e colleghi psicanalisti lo ricordarono in quel convegno, esaltando – proprio come oggi fa in maniera definitiva Sergio Benvenuto – il lato amicale e liberal-libertario del suo pensiero fin quasi a far scomparire la sua permeabilità e sensibilità alle inquietudini sociali e politiche di quegli anni. Non condividevo né condivido il ripiegamento di tanti intellettuali nei “culti amicali, cultural-editoriali e professional-corporativi ” e neppure il nuovo dogma della leggerezza antideologica oggi di moda. E trovo fiacca, puerile e sospetta l’apologia del Fachinelli “dionisiaco” di Benvenuto e il suo viscerale antimarxismo. Tanto più che lui stesso è costretto a chiedersi: ” Ma allora, come accade che, puntualmente, questa carica creativa dell’inconscio si congeli in quella che chiamò “la freccia ferma”, nei marmi rigidi delle istituzioni, della burocrazia, del gelido rigore ossessivo? “. E deve ammettere che ” la contrapposizione tra pulsione di vita e pulsione di morte è un modo di descrivere – certo eloquentemente – il problema, non di risolverlo”. E allora? Confermo pienamente quanto scrivevo da isolato in quel lontano 1998: “Il limite astorico dell’inconscio o del desiderio dissidente è problema enorme e irrisolto per qualsiasi progetto, sia esso di spostamento o di rinnovamento o di rivoluzione. Allora [nel ’68] la contraddizione era visibile; e Fachinelli e Fortini polemizzavano fecondamente. Oggi, ridotte politica e gestione psicanalitica dell’inconscio a professioni ipocritamente rispettose del proprio specialismo, la contraddizione non si sa se c’è o non c’è più. E, così restando, indisturbate, non ci sarà possibilità reale né di politica innovativa né di desiderio costruttivo”. [E. A.]
Perché
ho dovuto così a lungo nascondere la mia attività di scrittore e
poeta e praticarla in clandestinità? Con molte rinunce, se non con
una vera mortificazione
del mio desiderio? Ho sentito questo desiderio
come una malattia che volevo curarmi da solo? E mi sono letto poeti e
critici come uno che si legge da solo trattati di medicina per capire
di cosa soffre?
Riprendo la rubrica Scrap-book dove seleziono stralci significativi di articoli significativi. [E. A.]
1.
I poeti e la pubblicità Note su Fortini copywriter per la Olivetti
DI SERGIO BOLOGNA
Franco Fortini e Giovanni Giudici invece dovevano inventare i testi da collocare esattamente nello spazio che il formato scelto dal grafico ti lasciava, dovevano trovare il nome alle macchine da scrivere e alle macchine da calcolo, dovevano trovare le parole con cui dare un senso ad uno stand fieristico, dovevano creare un linguaggio che fosse espressione e crittogramma. I poeti abituati ai vincoli della metrica, i poeti epigrammatici, si muovono a loro agio nel mondo della pubblicità. Franco, che dell’epigramma era un maestro, doveva eccellere in quel mestiere ma, ripeto, s’era dovuto creare quel background di conoscenza dell’ambiente sociotecnico di fabbrica che la frequentazione dei «Quaderni Rossi», negli anni dopo la morte di Adriano, gli consentirà di leggere con occhio marxiano, con uno sguardo rovesciato. Si è parlato molto del rapporto tra Olivetti e gli intellettuali, io penso che l’esperienza all’interno dell’organizzazione di una grande industria abbia avuto un’importanza decisiva nella sprovincializzazione di una parte della cultura italiana. Se non come poeta, l’esperienza all’Olivetti, proprio per queste sue caratteristiche, a mio avviso per Fortini ha avuto un grande peso nel suo modo di essere un intellettuale, deve avergli dato una carica di modernità che faceva la differenza rispetto a tanti suoi colleghi, Pasolini compreso, rimasto ancora legato all’immagine di un’Italia rurale che s’inurba ma rimane lontana dall’industria. Continua la lettura di Scrap-book da “L’ospite ingrato”→
Pubblico lo scambio polemico che ho avuto negli ultimi giorni con Giorgio Linguaglossa a proposito di un suo articolo su Franco Fortini. Non è una chiacchierata estiva. [E.A.]
a cura di Ennio Abate
Pubblico lo scambio polemico che ho avuto negli ultimi giorni con Giorgio Linguaglossa a proposito di un suo articolo su Franco Fortini. Non è una chiacchierata estiva. [E.A.]