Su “Il Sessantotto e noi” di Romano Luperini e Beppe Corlito
di Ennio Abate
«Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria
Su “Il Sessantotto e noi” di Romano Luperini e Beppe Corlito
di Ennio Abate
«Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria
di Ennio Abate
Non ho letto il libro di Luperini e Corlito ma avevo letto (e mi sono riletto ora) l’introduzione apparsa su LA LETTERATURA E NOI (qui) e solo su questa intervengo per esporre alcune perplessità:
1. Va bene la testimonianza, la voglia di lasciare ”una sorta di testamento rivolto al futuro”. Ma parlare del ‘68 come di “uno spartiacque per cui nulla di quanto esisteva prima è potuto essere uguale, dopo” mi pare un’affermazione smentita dalla storia che, appunto, è venuta dopo e che ci ha lasciato con le ossa rotte. Spartiacque sarà stato su molte cose, ma come negare il persistere e anzi il prevalere poi di elementi di continuità (o di restaurazione) con la situazione pre ’68, se gli stessi autori della testimonianza temono ora di “dover morire fascisti o postfascisti”?
2. “Nessuno può dimenticare la propria gioventù”. e “questo anno ha lasciato un’impronta indelebile” in chi ha fatto o preparato il ‘68 – una minoranza preziosa ma, va detto, presto messa fuori gioco. Ma qual è il giudizio storico? Perché di questo c’è bisogno, specie a tanti decenni di distanza e se ci si lamenta che ben pochi sono gli studi degli storici sul ‘68. Se no, si rischia di dare troppa importanza alle proprie impressioni (“Ci sembrò allora che tutto il mondo fosse giovane“).
3. Nei tentativi di organizzare i desideri e i bisogni emersi nel ‘68-’69 si confrontarono posizioni vagamente luxemburghiane e posizioni leniniste o a volte “miste”; e abbiamo visto il fallimento di entrambe. Non capisco, allora, come mai e perché l’ipotesi della «lunga marcia attraverso le istituzioni» di Rudi Dutschke, (di taglio luxemburghiano) possa essere indicata come “l’unica ipotesi di rivoluzione possibile nelle società capitalistiche complesse”. Ma anche la stessa “progressiva conquista delle “casematte borghesi” teorizzata da Gramsci e strettamente connessa al suo concetto di egemonia”, qui evocata, è ipotesi praticata (dal PCI) e ha avuto risultati – negativi, credo io.
4. In mancanza di una analisi del capitalismo o dei capitalismi odierni e di un progetto politico capace di contrastarlo/li, che serve ribadire che “ il nostro obiettivo era e rimane una società di uguali”, mentre vediamo le diseguaglianze crescere a dismisura e non esistono forze capaci quantomeno di arginarle?
5. Anche rimandare la palla al futuro e ad altri (“La riflessione sul Sessantotto si potrà riaprire solo quando qualche movimento politico ne riprenderà la lezione e l’eredità, ne criticherà e supererà i limiti”), mi pare atteggiamento vago. Il futuro qui da noi in Occidente è compromesso o cancellato. La repressione è anch’essa senza argini. Colpisce lavoratori, studenti, giovani, immigrati ed ha in altre parti del mondo le dimensioni del massacro se non di peggio.
Può darsi – ripeto – che nel libro ci siano analisi e ragionamenti più convincenti e per ora sospendo il giudizio, ma non volevo tacere i miei dubbi.
RIORDINADIARIO 1999. Stralci da una lettera a Romano Luperini
di Ennio Abate
Il 24 gennaio 1999 scrissi una lunga lettera a Romano Luperini sul suo libro Il professore come intellettuale. In essa mettevo in evidenza il processo di scollamento tra intellettuali universitari e intellettuali massa. Gli rimproveravo di accogliere “il processo “riformatore” di Luigi Berlinguer guardando le cose della scuola dal punto di vista degli appartenenti a una “corporazione buona”. Dicevo che: “i “nuovi” progetti e i “grandiosi” problemi “epocali” trattati da Ministro, Saggi, Esperti, ecc. si [andavano] ancora una volta scaricando sulle spalle di insegnanti e studenti costretti a marciare a testa bassa, ingolfati in assillanti “vecchi” e “nuovi” problemi quotidiani”. Notavo che, mentre Fortini aveva suggerito “una energica riduzione dell’insegnamento delle patrie lettere” e scriveva: “ Non so che cosa si aspetti a farla finita, ma sul serio, con Dante […] il silenzio e ‘ignoranza vera sono sempre preferibili alla pratica corrente del “tutto e male”, ossia dell’ignoranza falsa” (Insistenze, pag. 114) e Remo Ceserani e Lidia De Federicis aveva lanciato sul mercato Il Materiale e l’immaginario, anche lui, Luperini, pur con altro taglio, pubblicava un manuale La scrittura e l’interpretazione di dimensioni altrettanto gigantesche. Riletta oggi, di fronte al disastro della scuola italiana, mi sento di difendere ancora la mia inquietudine di allora niente affatto settaria (ma soltanto solitaria). Ne pubblico oggi alcuni stralci.
Continua la lettura di Su “Il professore come intellettuale” (1998)
di Giuseppe Muraca
Questo ritratto fa parte di un testo più ampio scritto nel 2011 e ora rivisto, che riguarda l’attività e l’opera dello studioso lucchese Continua la lettura di Ritratto di Romano Luperini da giovane
di Donato Salzarulo
Reversibilità Anassagora giunse ad Atene che aveva da poco passati i trent’anni. Era amico d’Euripide e Pericle. Parlava di meteore e arcobaleni. Ne resta memoria nei libri. Si ascolti però quel che ora va detto. Anche la grandissima Unione Sovietica e la Cina esistono, o l’Africa; e le radio ogni notte ne parlano. Ma per noi, per noi che poco da vivere ci resta, che cosa sono l’Asia immensa, il tuono dei popoli e i meravigliosi nomi degli eventi, se non figure, simboli dei desideri immutabili, dolorosi? Eppure - si ascolti ancora – i desideri immutabili dolorosi che mordono il cuore nei sonni e del poco da vivere che resta fanno strazio felice, che cosa sono se non figure, simboli, voci, dei popoli che mutano e si inseguono, degli uomini che furono e che in noi son fin d’ora? E così vive ancora, parlando con Euripide e con Pericle di arcobaleni e meteore, il filosofo sparito e una sera d’estate ansioso fra capre e capanne di schiavi entra ad Atene Anassagora. (da Franco Fortini “Poesie inedite” Einaudi, 1997)Continua la lettura di “Reversibilità”: due forme di trascendenza della vita privata
TESTIMONIANZE PER FRANCO FORTINI dicembre 1996 COLOGNO MONZESE
Ieri ho messo in ordine nel mio PC la cartella ‘Nei dintorni di Franco Fortini’ datando in ordine cronologico appunti e interventi che ho accumulato dal 1978 ad oggi. Li rileggerò e ripenserò alle ragioni più o meno consapevoli di questa mia lunga fedeltà alla sua figura e alla sua opera, malgrado il mutamento che hanno subìto nella percezione pubblica in questo lungo tempo trascorso dalla sua morte nel 1994. Per ora ripubblico il contenuto di un libretto cartaceo di 73 pagine oggi introvabile. Lo costruii assieme ad amici dell’Associazione Culturale Ipsilon di Cologno Monzese e riuscimmo a pubblicarlo nel 1996. Può essere scaricato e spulciato con calma usando il pulsante ‘Dowload PDF’ ( a destra in alto). [E. A.] Continua la lettura di “Se tu vorrai sapere…”
di Ennio Abate
L‘affetto e la grandissima stima che ho per Romano Luperini non mi impediscono ancora oggi – in tempi politicamente così bui – di esprimere un mio fraterno dissenso (o almeno la mia perplessità) per la sua – purtroppo insufficiente presa posizione [Vedi APPENDICE). I buoi sono già scappati dalla stalla (della scuola italiana) e il pensiero critico è stato espulso non solo dall’università ma dalla società italiana. Non basta la lodevole resistenza da ultimi mohicani nella scuola.
È una critica che espressi (vanamente in verità e non per colpa sua) in una lettera che gli scrissi nel lontano aprile 1998 dopo aver letto il suo “Il professore come intellettuale “. Continua la lettura di Non bastano gli ultimi mohicani nella scuola
di Romano Luperini
Questo articolo è uscito anche su “L’immaginazione ” n. 318, luglio-agosto 2020. Le precedenti riflessioni sul romanzo di Roberto Bugliani si possono leggere qui, qui e qui [E. A.]
Bugliani e un romanzo sull’America Latina
Conosco Roberto Bugliani dagli anni sessanta. Prima nel ’68 nel movimento degli studenti, poi come dirigente della sezione di La Spezia del mio gruppo politico. Con la barbetta, silenzioso, ma sempre disponibile. Poi per qualche anno lo persi di vista per ritrovarlo come redattore della rivista Allegoria negli anni settanta. Col passare degli anni però la sua partecipazione alle riunioni della redazione si ridusse: era sempre all’estero, in paesi dell’America Latina, dove frequentava in Messico l’esercito di liberazione nazionale del Subcomandante Marcos, i cui documenti traduceva e diffondeva in Italia. Per anni ha trascorso la maggior parte del suo tempo soprattutto in questo paese e in Equador. Nel frattempo scriveva poesie sperimentali sulla scia del Gruppo 63, mescolando audacie letterarie e politiche, che mi lasciavano, ricordo, alquanto freddo.
Continua la lettura di Su “La disciplina dell’attenzione”di Roberto Bugliani (4)di Romano Luperini
Ho conosciuto Pierino nel 1980, quando ho vinto la cattedra di ordinario all’università e mi sono trovato sbalestrato in quella di Lecce. 17 ore di treno e altrettante al ritorno tutte le settimane, salvo accorgermi poi che ero uno dei pochi ordinari a insegnare e i più se ne stavano tranquillamente a casa facendo lavorare gli assistenti al loro posto. In due anni per esempio non ho avuto mai modo di conoscere il titolare dell’insegnamento di Letteratura italiana che pure veniva da Roma e non da Siena come il sottoscritto. D’altronde la disorganizzazione era totale e la Facoltà di Lettere dell’università di Lecce allora era piuttosto un luogo dove esibire un potere locale che una istituzione addetta alla istruzione superiore. Ricordo lo stupore dei colleghi e dei segretari quando chiesi una macchina da scrivere nel mio ufficio per lavorare. Cercai di rimediare organizzando un libero seminario di letteratura contemporanea a cui potevano partecipare tutti gli interessati, anche se non erano studenti universitari. Così conobbi Annagrazia Doria e poi il marito, Pierino. Entrambi insegnanti, avevano deciso di svolgere la loro funzione all’interno del carcere minorile di Lecce, in modo da unire impegno civile e culturale (costante intreccio del loro modo di intendere la vita). Diventammo amici. Cenavo spesso da loro che mi allettavano comprando i dolci più squisiti della città che poi io e il loro figlio, allora all’incirca dodicenne, divoravamo con grande diletto. Poi cominciai ad andare a dormire a casa loro, usufruendo della loro generosità e ospitalità.
Continua la lettura di Per Pierino ManniRiordinadiario / In margine ad un convegno su Elvio Fachinelli del 1998
di Ennio Abate
Ripubblico questo mio resoconto ragionato di un convegno su Elvio Fachinelli tenutosi a Milano nel 1998 dopo aver letto su LE PAROLE E LE COSE un ricordo di lui nel trentennale della sua morte scritto da Sergio Benvenuto (qui). Ho letto varie opere di Fachinelli e ho spesso citato il suo scritto “Gruppo chiuso e gruppo aperto” (ad es. nel 2011 qui) . Non l’ho mai conosciuto di persona (l’intravvidi solo una volta, attorno al 1988, in mezzo al pubblico alla Casa della Cultura di Milano) ma ho sentito parlare spesso di lui da Giancarlo Majorino. E mi hanno sempre particolarmente colpito il suo scontro con Franco Fortini e l’autocritica postuma di quest’ultimo nei suoi confronti. (Il «diverbio» con Fachinelli Fortini lo rievoca in una nota di «Psicoanalisi e lotte sociali», pag. 229 di Non solo oggi). L’attenzione e lo scrupolo da cronista, con cui allora segui quel convegno privilegiando ancora in un’ottica da insegnante (sarei andato in pensione in quell’anno), dimostra il mio interesse per i problemi sollevati da Fachinelli ma anche la mia diffidenza per la piega impolitica/apolitica con la quale i suoi amici e colleghi psicanalisti lo ricordarono in quel convegno, esaltando – proprio come oggi fa in maniera definitiva Sergio Benvenuto – il lato amicale e liberal-libertario del suo pensiero fin quasi a far scomparire la sua permeabilità e sensibilità alle inquietudini sociali e politiche di quegli anni. Non condividevo né condivido il ripiegamento di tanti intellettuali nei “culti amicali, cultural-editoriali e professional-corporativi ” e neppure il nuovo dogma della leggerezza antideologica oggi di moda. E trovo fiacca, puerile e sospetta l’apologia del Fachinelli “dionisiaco” di Benvenuto e il suo viscerale antimarxismo. Tanto più che lui stesso è costretto a chiedersi: ” Ma allora, come accade che, puntualmente, questa carica creativa dell’inconscio si congeli in quella che chiamò “la freccia ferma”, nei marmi rigidi delle istituzioni, della burocrazia, del gelido rigore ossessivo? “. E deve ammettere che ” la contrapposizione tra pulsione di vita e pulsione di morte è un modo di descrivere – certo eloquentemente – il problema, non di risolverlo”. E allora? Confermo pienamente quanto scrivevo da isolato in quel lontano 1998: “Il limite astorico dell’inconscio o del desiderio dissidente è problema enorme e irrisolto per qualsiasi progetto, sia esso di spostamento o di rinnovamento o di rivoluzione. Allora [nel ’68] la contraddizione era visibile; e Fachinelli e Fortini polemizzavano fecondamente. Oggi, ridotte politica e gestione psicanalitica dell’inconscio a professioni ipocritamente rispettose del proprio specialismo, la contraddizione non si sa se c’è o non c’è più. E, così restando, indisturbate, non ci sarà possibilità reale né di politica innovativa né di desiderio costruttivo”. [E. A.]