
In margine a “Viviamo senza sognare” di F. Nova (qui)
di Rita Simonitto
Visto che le poesie non sono soltanto ‘pezzi ‘e core’ ma trasmettono anche dei messaggi volevo soffermarmi su due punti. Continua la lettura di Ricordare e sognare
In margine a “Viviamo senza sognare” di F. Nova (qui)
di Rita Simonitto
Visto che le poesie non sono soltanto ‘pezzi ‘e core’ ma trasmettono anche dei messaggi volevo soffermarmi su due punti. Continua la lettura di Ricordare e sognare
La guerra vicina scatena in tutti noi emozioni intense. Ci inquieta. Le immagini di morti, sofferenza, devastazione, ci fanno un nodo alla gola. Brucia la domanda di come fermare l’orrore. Come arrestare questa sofferenza insensata che è la guerra? Ci sentiamo sotto attacco anche noi, non solo per solidarietà, ma anche per la sensazione inquietante che la sicurezza in cui pensavamo di vivere sia fragile, le persone che vediamo soffrire ci sembrano condividere i nostri valori. Quando l’inquietudine è così forte, è difficile districare le emozioni dalla ragione ed è facile, trascinati dall’emotività, commettere errori. Lo è per tutti noi e lo è per chi prende le decisioni collettive, rispondendo alle passioni di tutti. Sento intorno a me due modi di reagire all’orrore: le decisioni sono difficili, e vedo le ragioni di entrambi.
Da una parte ci sono le parole di tanti che spingono per una immediata diminuzione dello scontro, per negoziati senza pregiudiziali e rigidità, aperti a concessioni reciproche. Sono tante queste voci. Dal segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres ai tanti paesi che alle Nazioni Unite hanno preferito non sostenere la risoluzione di condanna alla Russia: sono oltre trenta nazioni che rappresentano più di 3 miliardi di abitanti, quasi metà del pianeta. Tra queste voci ci sono massimi leader religiosi, come il Papa, o il Dalai Lama. In Italia, sono voci di colori ideologici e politici diversissimi che vanno da sindacati di sinistra al mondo cattolico di Pax Christi, da chi è impegnato da anni contro la guerra, non solo questa, come la Rete italiana Pace e disarmo o Emergency, a generali del nostro esercito come il generale Fabio Mini, fino a molte voci di intellettuali di collocazioni assai diverse fra loro, che ci chiedono di riflettere e considerare la complessità della situazione, prima di farci travolgere in passi di cui rischiamo pentirci.
Dall’altra parte c’è la reazione immediata al fatto che siamo di fronte a un’evidente aggressione feroce da parte di un Paese con un regime politico che la maggior parte di noi detesta — io per primo —, contro un Paese che viene ridotto in macerie per essersi avvicinato alla nostra Europa. Per una volta almeno sembra chiaro da che parte stia il torto, e la reazione istintiva è concentrarsi solo su questo, la ovvia condanna dell’aggressore e la difesa del Paese aggredito, aiutandolo militarmente, indipendentemente da qualunque altra considerazione. Questa reazione naturale alimenta il «noi contro loro», lo spirito di gruppo. Fa crescere la belligeranza. Questa è da sempre la logica della guerra: concentrarsi sulle nefandezze del nemico (spesso, ahimè, reali) ignorando il resto, demonizzarlo sempre di più, dipingerlo come pazzo sanguinario, alzare lo scontro, sentirsi dalla parte della moralità, della giustizia, e per questo arrivare a sparare, uccidere.
È questa, la logica della guerra. Molto simile alla logica delle faide fra bande, in cui l’attenzione sull’ultima grave offesa subita è motivo per sentirsi autorizzati a far crescere lo scontro, o la logica dei litigi fra individui, in cui entrambi si convincono, spesso in parte a ragione, di essere vittime. In questa logica, nessun compromesso è possibile. Il problema non è più trovare il modo per fare finire la guerra. Anzi, un compromesso è visto come un pericoloso cedimento al male. Le voci di dubbio sono percepite come voci che sostengono il nemico. Oggi questa seconda reazione è prevalente negli Stati Uniti e, con più dubbi, in Europa. La mia opinione, per quello che vale, è che sia un errore di cui ci pentiremo, soprattutto in Europa. Penso sia un errore per due motivi, uno a corto termine e uno a lungo termine. Il primo è che dare più importanza alla logica dello scontro che non alla cessazione delle ostilità implica aumentare, e non diminuire le sofferenze dell’Ucraina. Qualcuno pensa davvero che mandando armi in Ucraina diminuiamo le sofferenze della guerra, diminuiamo il numero di morti e la quantità di devastazione? Le armi mandate in Siria sono servite a fare soffrire meno Aleppo? Le armi che vari Paesi mandano in Libia hanno pacificato la Libia? Sono decisioni difficili, ovviamente. Ma abbiamo sentito alla televisione molti «combattiamo fino alla morte» di giovani ucraini, e io non mi sento dalla loro parte.
Rileggiamo «La Storia» di Elsa Morante per capire cosa succede in guerra. Ci sono i «combattiamo fino alla morte», e c’è la folla sofferente delle Iduzze che semplicemente non vuole la guerra. Io mi sento più dalla parte di questi. A me, come a tanti altri nel mondo, sembra che mandare armi in Ucraina sia cadere nel terribile gioco usuale delle superpotenze: armare i piccoli perché facciano la guerra, per procura, contro altre potenze. Usare morti e devastazione ucraini, e morti russi, per fare pagare un prezzo alto alla Russia. Il secondo motivo per cui penso che la reazione in corso sia un errore, a lungo termine, è che ci spinge in una logica di scontro totaleche rischia di fare del XXI secolo un secolo perfino peggiore del XX. Se vediamo il mondo in modo manicheo, diviso in buoni e pericolosi cattivi, le buone democrazie occidentali e i cattivi autocrati di Russia e Cina, se pensiamo che l’unica salvezza sia imporre a tutti il nostro predominio con le armi, penso che andiamo verso catastrofi. L’alternativa, ancora una volta, è quella che ripete il segretario generale delle Nazioni Unite e che indicano in moltissimi: accettare la complessità, la varietà politica ed ideologica, lavorare per la legalità internazionale, per la diplomazia.
Questo richiede accettare che altri paesi abbiano idee diverse dalle nostre, non esserne spaventati. Lavorare per la collaborazione fra Paesi, e non vedere il mondo come un luogo dove il nostro vantaggio non può passare che attraverso la riduzione degli altri. È la paura degli altri la peggiore consigliera. Leggete «Mein Kampf» di Hitler: è basato sul fatto che bisogna avere paura degli altri. Che gli altri sono pericolosi. È la paura la radice dell’aggressività. Da una parte come dall’altra. Il primo passo verso la non belligeranza è uscire noi per primi (in fondo, in realtà, siamo militarmente ed economicamente più forti) dalla logica della paura. L’élite al potere in Russia era terrorizzata dalla prospettiva di missili nucleari Nato in Ucraina. Vi sembra strano? Era per promuovere la distensione che la Nato faceva esercitazioni militari nel Mar Nero davanti alle basi russe, l’anno scorso? Questo non scusa nulla, ma ci aiuta a capire. Per evitare missili sovietici a Cuba gli Stati Uniti sono stati pronti a sfiorare la guerra nucleare. Non è poi così incomprensibile che il Cremlino faccia lo stesso. La soluzione trovata da Kennedy e Kruscev fu che l’Unione Sovietica rinunciava a mettere missili a Cuba in cambio del ritiro dei missili americani dalla Turchia. Un vero accordo diplomatico, in una situazione molto più ideologicamente polarizzata di oggi. Un passo indietro ciascuno. Così si va verso la pace. Perché non possiamo fare lo stesso? Non per un mondo di sfere di influenza, ma per un mondo in cui nessuno cerchi di imporre sugli altri con la guerra le proprie idee o i propri interessi. Un mondo in cui combattano idee, non armi.
Perché metà del pianeta si è rifiutata di condannare la Russia,nonostante sia da condannare? Credo che il motivo sia ovvio: perché agli occhi di molti le bombe russe su Kiev sono orrore, ma lo sono state anche le bombe Nato su Belgrado, Tripoli, Bagdad, o Kandahar, tutte lanciate su Paesi che non avevano aggredito alcun Paese Nato e contro le indicazioni delle Nazioni Unite. Come ci ricorda il generale Mini in una recente intervista, la guerra in Ucraina non nasce adesso. Una sanguinosa guerra civile, di cui pochi da noi si commuovevano, era in corso da quasi dieci anni, con devastazioni e morti. Da anni l’Occidente inviava già pesanti finanziamenti per sostenere le spese militari di una delle due parti. (l’impeachment di Trump, ricordate?, era proprio per aver ritardato 400 milioni di dollari in aiuti militari a Zelensky).
Sono orrore anche le bombe fabbricate in Italia che il nostro alleato Arabia Saudita scarica anche oggi sullo Yemen, in una guerra che, come la guerra in Afghanistan scatenata dall’Occidente, illegalmente, fa moltissimi più morti, rifugiati, devastazione e dolore che non la guerra in Ucraina. Perché tutto questo è rilevante? Perché naturalmente noi siamo profondamente scossi dalla guerra vicina, ma se consideriamo la guerra come un immenso orrore quando la fanno gli altri, e una triste necessità quando conviene a noi, non siamo credibili, e non lavoriamo per la pace. L’Europa non era ostile a promuovere una logica di collaborazione. Ora si sta facendo trascinare fuori da questa logica, più per emozione che per ragione, mi sembra. L’Italia per cultura e storia ha una tradizione di ricerca del dialogo. Penso che dobbiamo uscire dalla logica suicida di rispondere alla violenza fomentando violenza. Dobbiamo trovare, con dialogo e politica, come seppero fare Kennedy e Kruscev, una soluzione che non parta dalla demonizzazione e demolizione del nemico come unica prospettiva.
Perché non possiamo semplicemente vivere senza che la gente muoia sotto le bombe? Perché diamo più peso a interessi economici e giochi di potenza, che all’immenso dolore delle persone? Perché cadiamo tutti in questa logica guerresca? Non lo so, e cerco come tutti risposte, ma il clima di belligeranza che percepisco attorno a me, in cui vedere sofferenze ci spinge a sostenere la guerra, e chiamiamo «pace» l’inviare armi, mi preoccupa profondamente, mi fa pensare che stiamo forse commettendo un errore. Tante altre volte i Paesi si sono eccitati in questo modo, e spesso è finita male. Abbiamo paura gli uni degli altri. Siamo spaventati dalla nostra stessa ombra, e trasformiamo la nostra terra in un inferno. La gente sta morendo in Ucraina. Stanno morendo civili, giovani soldati ucraini che combattono, giovani soldati russi che individualmente non hanno colpa di nulla. La guerra non risparmia nessuno, nessuna guerra lo fa. Io penso che la vera urgenza sia salvare loro
di Marga
C’è un virus che si aggira per l’Europa (e in altre parti del mondo) il quale, anziché attaccare il corpo, attacca la mente. Una viralità che passa inosservata fintanto che non si arriva alle estreme conseguenze. La mente infatti non ha ‘corporeità’ e quindi i suoi malanni non sono immediatamente percepibili se non all’occhio esperto: perciò quando si interviene può essere troppo tardi. Anche questo virus ne rispetta le peculiarità: è molto contagioso, si appiccica ai fragili e a coloro che hanno poche difese immunitarie (ovvero non sanno pensare ‘in proprio’), e assume, com’è sua natura, varie mutazioni. Ma il suo compito rimane quello: allargare il parterre degli ospiti da contagiare. Le mutazioni si presentano nelle vesti del “luogo comune” (molto infettivo); nell’apnea del campo informativo (che, essendo sempre quello di parte, si asfissia da sé solo); nell’inversione dei valori linguistici pilotati a seconda di chi li sta esprimendo. Orwell insegna. Contemporaneamente, il linguaggio viene confinato ad un livello concreto (il nome è la cosa) e non riesce a passare ai livelli superiori dell’astrazione, della metafora e della simbolizzazione. Faccio un esempio ricorrendo ad una litania sentita di frequente nelle nostre ‘beatitudini’ infantili: “se trovi piacere da solo, ovvero ti masturbi, diventerai cieco!” E via con il terrore, dilaniati tra la possibilità di perdere la vista e il perdere il piacere. Ma il senso era diverso: se continui a masturbarti intellettualmente, parlandoti sempre addosso, compiacendoti di te stesso, certamente diventi ‘cieco’ di fronte alle istanze altrui, a loro volta usate come meri ammennicoli di piacere e non interlocutori. La modalità di attacco di questo virus è anch’essa orientata alle ‘vie respiratorie’ le quali, metaforicamente intese, permettono gli scambi tra il dentro (noi) e il fuori (gli altri). Essendosi perduto il senso del tessuto sociale (ulteriormente danneggiato dalle esagerate/assurde restrizioni legate alla pandemia) oggi la tutela linguistica è decaduta. Una ‘archeolingua’ (come la definisce G. Orwell) va sostituita dalla neo lingua la cui funzione, una volta radicatasi nella popolazione, renderà impossibile ogni pensiero eretico. Qualunque pensiero discordante o contrario viene considerato uno psico-crimine il cui portatore va messo alla gogna. Questo è lo spettacolo che oggi è sotto l’occhio di tutti! Continua la lettura di Guerra in Ucraina. Prese di posizione (9)
di Giorgio Mannacio
1.
Tempo fa ebbi l’occasione di esprimere su Poliscritture le mie opinioni sull’eterno conflitto che brucia la terra di Palestina. Mi considerai “filopalestinese “ secondo una formula molto generica ma- penso – sufficientemente significativa. I luttuosi e tragici fatti di queste ultime settimane mi rafforzano in quell’opinione e mi spingono verso alcune ulteriori considerazioni di tipo generale ma dotate di una valenza specifica. Continua la lettura di Storia e cronaca dei fatti di Palestina
Nel 1999 come “Associazione culturale IPSILON” organizzammo a Cologno Monzese un incontro-dibattito con lo storico Pier Paolo Poggio, autore di “Nazismo e revisionismo storico”(Manifestolibri 1997). Ne ricavai quello che doveva essere il n. 1 de “I quaderni di Ipsilon”, rimasto poi impubblicato per il venir meno dell’Associazione proprio quando si stava per festeggiare i suoi dieci anni di attività. A vent’anni da allora, in coincidenza con la “Giornata della memoria”, che l’Amministrazione Comunale leghista ha creduto di dover controbilanciare aggiungendovi un “Giorno del ricordo 2019” (qui) con tanto di proiezione del film sulle foibe “Rosso Istria”(giustamente criticato: qui) e testimonianza di un “esule e figlio di infoibati”, mi sembra quasi doveroso contrapporre il contenuto di quel “quaderno-fantasma”. Di fronte agli sproloqui propagandistici e presuntuosamente disinformati che s’incontrano sui social quando si parla di Shoah, fascismo, nazismo, gulag e lager, testimoniare la qualità di una riflessione storica e culturale andata del tutto persa mi pare questione elementare di igiene mentale. Bisogna pur tentare di uscire da questo oggi informe, in cui come diceva Fortini nell’intervento in Appendice «mentre continuiamo a scoprire inimmaginabili fosse comuni, accettiamo che la storia del secolo, cioè la nostra vita, ci sia raccontata come una favola di burattini, i buoni qui e i cattivi là, tutto chiaro.» [E. A.]
Continua la lettura di Nella zona grigia del revisionismo storicoDa SAMIZDAT COLOGNOM n. 1 PROVA DIC. 1999
[Cliccando sul link qui sopra si accede al PDF che contiene tutti gli articoli del n. 1]
di Ennio Abate
Dal 1999 al 2005 ho pubblicato otto numeri di una fanzine, redatta solo da me, fotocopiata e circolata in poche copie. Ne ripubblico alcuni testi che a distanza di tempo conservano una loro vivacità e assumono anche nuovi significati. [E. A.]
Continua la lettura di Nuovi immigrati: Daniel Contreras e Daud Malak
di Arnaldo Éderle
La tremenda storia della Russia invasa dalle divisioni di Hitler viene narrata attraverso un duplice filtro: il racconto di una donna russa, Anastasia, e la rielaborazione dell’autore italiano, che la riporta incantato come un bambino-poeta. Veniamo a sapere della bella, piacevole e pacifica vita di ricchi contadini e dell’orrendo spettacolo di cadaveri tra la neve. Il prima, il poi…Le ragioni della guerra? Questa poesia non le sfiora. [E. A.]
Mi diceva Anastasia che i suoi parenti
siberiani erano molto ricchi,
russi con tanti rubli che investivano in
elargizioni volontarie alle loro famiglie che
spesso vivevano in Moldavia e lì passavano la loro Continua la lettura di Mi diceva Anastasia
di Giorgio Mannacio
1.
Inizio con una giustificazione del titolo, che vuol essere un po’ dissacrante. L’eresia riguarda i concetti di popolo e democrazia più che mai inflazionati in questa triste stagione politica dell’Italia.
Sono convinto che rispetto a tali due termini occorra una certa chiarezza. Ciò eviterà – forse – di cadere preda di facili illusioni. Continua la lettura di Appunti eretici sulla democrazia e il popolo
di Ennio Abate
PUNCTUS CONTRA PUNCTUM: CERONETTI/SAMIZDAT
La morte di Guido Ceronetti ha dato la stura ai panegirici sulla stampa: “grande scrittore”, “grande traduttore” di testi biblici, ecc. Mi ha stupito (solo perché sono vecchio) che su Facebook molti “amici” si accodassero agli osanna e condividessero la sua ultima intervista al “Fatto quotidiano” (qui) di Silvia Truzzi, sovranisticamente intitolata “Sono un patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna”, un vero “grido di dolore” reazionario. E allora ho ripescato nel mio salvadanaio culturale alcuni spiccioli di cultura critica del solito Fortini, che Ceronetti l’aveva conosciuto da vicino (qui). I commenti seguiti mi hanno indotto a contestare punto per punto le “sparate” di Ceronetti in quella intervista. [E. A.]
10 febbraio, Giorno del ricordo. E ricordati di questo e ricordati di quello, ma «senza conoscere la catena di eventi che scatenò reazioni di tal genere, non è possibile dare una chiave di interpretazione corretta a quegli avvenimenti e il Giorno del ricordo, anziché essere un’occasione di riflessione storica, rimarrà esclusivamente uno strumento politico» (Piero Purini). Ascoltate gli storici prima di parlare. Del resto anche se avete una malattia (e l’ignoranza o la dimenticanza metaforicamente un po’ lo sono) vi rivolgete al medico o al primo che passa per strada? In questo post, come faccio di solito su POLISCRITTURE FB, ho selezionato gli stralci per me più significativi di un lavoro encomiabile per la serietà con cui tratta la questione delle foibe. E’ apparso l’anno scorso ( qui. [E. A.]
su “Internazionale” e che potete leggere per intero